ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4,  comma
1, lettere a), b), c), d), h), l) e m); 6, commi 1, lettere c) e  g),
e 2; 8, comma 3; 9, commi 1, 2 e 6; 12 e 13, comma 1,  lettere  a)  e
b), della legge della Regione Marche 20 aprile 2015, n. 17  (Riordino
e semplificazione della normativa regionale in materia di  edilizia),
promosso dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  con  ricorso
notificato il 26-30 giugno  2015,  depositato  in  cancelleria  il  2
luglio 2015 ed iscritto al n. 73 del registro ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Marche; 
    udito nell'udienza  pubblica  dell'8  novembre  2016  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi l'avvocato  dello  Stato  Maria  Gabriella  Mangia  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Stefano Grassi per
la Regione Marche. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 26-30 giugno 2015, depositato il  2
luglio 2015 e iscritto  al  n.  73  del  registro  ricorsi  2015,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 4, comma
1, lettere a), b), c), d), h), l) e m); 6, commi 1, lettere c) e  g),
e 2; 8, comma 3; 9, commi 1, 2 e 6; 12 e 13, comma 1,  lettere  a)  e
b), della legge della Regione Marche 20 aprile 2015, n. 17  (Riordino
e semplificazione della normativa regionale in materia di  edilizia),
in riferimento all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  l),  e  terzo
comma, della Costituzione. 
    1.1.- L'art. 4, comma 1,  della  legge  impugnata  individua  una
serie di interventi edilizi eseguibili senza necessita'  di  ottenere
alcun titolo abilitativo, in quanto ritenuti  ricompresi  tra  quelli
indicati all'art. 6, comma l, del  d.P.R.  6  giugno  2001,  n.  380,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in materia edilizia (Testo A)», di seguito TUE. 
    Secondo  il  ricorrente,  la  disposizione  citata  violerebbe  i
principi fondamentali in materia  di  «governo  del  territorio»,  in
quanto gli interventi in essa individuati si  allontanerebbero  dalla
ratio  sottesa  alla  normativa  statale  che  includerebbe  tra   le
attivita' "libere" soltanto quelle prive di rilevanza esterna, se non
temporanea. Inoltre, per taluni di essi, il legislatore regionale non
avrebbe prescritto l'invio della comunicazione di inizio  dei  lavori
(cosiddetta cil). 
    Sulla scorta di questa premessa generale,  il  Governo  passa  in
rassegna le singole previsioni  di  edilizia  libera  elencate  nella
norma  censurata,  rimarcandone  i  profili  di  contrasto   con   la
disciplina statale. 
    La lettera a) - relativa  ai  «movimenti  di  terra  strettamente
necessari  alla  rimodellazione  di  strade  di  accesso  e  aree  di
pertinenza degli edifici esistenti, sia pubblici che privati, purche'
non comportino realizzazione di opere di contenimento e comunque  con
riporti o sterri complessivamente di altezza non  superiore  a  metri
1,00» - contrasterebbe con l'art. 6, comma l, lettera  d),  del  TUE,
che espressamente limita l'attivita'  libera  ai  soli  movimenti  di
terra   «strettamente   pertinenti    all'esercizio    dell'attivita'
agricola». 
    La lettera b) - la quale consente, negli stessi  limiti  previsti
dalla lettera a), la «rimodellazione del terreno anche  per  aree  di
sosta nei limiti indicati alla lettera a), che siano contenute  entro
l'indice di permeabilita' ove stabilito dallo  strumento  urbanistico
comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini  interamente
interrate» - si porrebbe in contrasto con quanto  previsto  dall'art.
6, comma 2, lettera c), del TUE, in quanto non  riproduce  il  limite
della non accessibilita' delle medesime e non  prevede  l'obbligo  di
presentare la cil. 
    La lettera c) - relativa alla «realizzazione di  rampe  e  pedane
per l'abbattimento e superamento delle barriere  architettoniche  per
dislivelli inferiori a metri 1,00» - si  porrebbe  in  contrasto  con
l'art. 6, comma l, lettera b), del  TUE,  che  esclude  espressamente
dall'attivita' di edilizia libera gli interventi di  rimozione  delle
barriere architettoniche che «comportino la realizzazione di rampe  o
di ascensori esterni». 
    La lettera d) - nella parte  in  cui  non  prevede  l'obbligo  di
presentare la cil per gli interventi consistenti nella  realizzazione
di «aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di  arredo  delle
aree pertinenziali degli edifici senza creazione di volumetria e  con
esclusione delle piscine - violerebbe l'art. 6, comma 2, lettera  e),
del TUE. 
    La lettera h) - che, nel combinato disposto con l'art. 5, commi l
e 2, esclude dall'obbligo di presentare la  comunicazione  di  inizio
dei lavori asseverata da un tecnico abilitato (cosiddetta  cila)  «le
opere  interne   a   singole   unita'   immobiliari,   ivi   compresi
l'eliminazione, lo spostamento  e  la  realizzazione  di  aperture  e
pareti divisorie interne che non costituiscono elementi  strutturali,
sempre che non comportino aumento del numero delle unita' immobiliari
o implichino incremento  degli  standard  urbanistici»  -  violerebbe
l'art. 6, comma 2, lettera a), e comma 4, del TUE, che subordina  gli
interventi di manutenzione straordinaria a tale adempimento. 
    La lettera l) violerebbe i principi  fondamentali  della  materia
«governo  del  territorio»,  in  quanto  ricondurrebbe  all'attivita'
edilizia libera una serie di fattispecie  che  la  normativa  statale
subordina a permesso di costruire (art. 3, comma l, lettera  e),  del
TUE), a SCIA, ovvero a cil (contrastando  in  quest'ultimo  caso  con
quanto previsto dall'art. 6, comma 2, lettere b ed e-bis, del TUE). 
    La lettera m) - relativa  alle  «opere  necessarie  a  consentire
lavorazioni eseguite all'interno di locali chiusi, anche  comportanti
modifiche nell'utilizzo dei locali adibiti a esercizio  d'impresa»  -
contrasterebbe con l'art. 6, comma 2, lettera  e-bis),  del  TUE  che
esclude dall'edilizia libera  gli  interventi  che  riguardino  parti
strutturali dell'edificio. 
    1.2.- Viene impugnato anche l'art. 6, commi l, lettere c) e g), e
2, della legge reg. Marche n. 17 del 2015. La disposizione regionale,
consentendo di realizzare mediante segnalazione certificata di inizio
attivita'  (SCIA),  invece  che  tramite  permesso  di  costruire,  o
denuncia  di  inizio  attivita'  (DIA)  alternativa  al  permesso  di
costruire,  gli  interventi  «di  ristrutturazione   edilizia»,   «di
demolizione parziale  e  integrale  di  manufatti  edilizi»,  nonche'
quelli «di cui all'articolo 22, comma 3,  del  d.P.R.  n.  380/2001»,
violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., in riferimento agli  artt.
10, comma l, lettera c), e 22, comma 3, lettera a), del TUE, i  quali
devono ritenersi principi fondamentali in  materia  di  «governo  del
territorio» afferenti al regime dei titoli edilizi abilitativi. 
    1.3.- Viene censurato anche l'art. 8, comma 3, della  legge  reg.
Marche n. 17 del 2015, in  riferimento  all'art.  117,  terzo  comma,
Cost. 
    La disposizione regionale prevede che: «Non costituiscono inoltre
variazioni essenziali  rispetto  al  titolo  abilitativo  il  mancato
completamento degli interventi o la realizzazione di minori superfici
o volumetrie o altezze o parziali riduzioni dell'area di  sedime,  di
maggiori distacchi, purche' gli interventi non comportino difformita'
dalle prescrizioni del titolo abilitativo medesimo o da norme o piani
urbanistici». 
    Il ricorrente lamenta che tale previsione contrasterebbe  con  il
principio fondamentale della materia «governo del territorio» fissato
dall'art.  34,  comma  2-ter,  del  TUE,  secondo   cui:   «Ai   fini
dell'applicazione  del  presente  articolo,  non   si   ha   parziale
difformita' del titolo  abilitativo  in  presenza  di  violazioni  di
altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta  che  non  eccedano
per  singola  unita'  immobiliare  il  2  per  cento   delle   misure
progettuali». 
    1.4.- Anche l'art. 9 della legge reg. Marche n. 17 del 2015 viene
impugnato  per  violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.  La
disposizione regionale da ultimo citata - nella parte in cui  prevede
che il  Comune  «puo'  autorizzare  a  titolo  temporaneo  interventi
edilizi» riguardanti  opere  pubbliche  o  di  pubblico  interesse  e
attivita' produttive,  «ancorche'  difformi  dalle  previsioni  degli
strumenti urbanistici comunali adottati  o  approvati,  destinati  al
soddisfacimento di documentate esigenze di carattere improrogabile  e
transitorio non altrimenti realizzabili» - si porrebbe, per un verso,
in contrasto con l'art. 7, comma 1, lettera b),  del  TUE,  il  quale
esenta «le opere pubbliche, da eseguirsi da amministrazioni statali o
comunque insistenti su aree del demanio statale e opere pubbliche  di
interesse statale» dal rispetto delle norme del titolo II del TUE,  a
condizione che ne sia accertata la «conformita' con  le  prescrizioni
urbanistiche ed edilizie ai sensi del decreto  del  Presidente  della
Repubblica 18 aprile 1994, n. 383, e successive  modificazioni».  Per
altro verso, la disposizione regionale contrasterebbe con l'art.  14,
comma l, del TUE,  che  non  consente  il  rilascio  di  permesso  di
costruire in deroga per le attivita' produttive. 
    Aggiunge il Governo che, attraverso l'autorizzazione  temporanea,
la norma censurata avrebbe introdotto un  nuovo  titolo  abilitativo,
non previsto dalla legislazione statale, invadendo anche sotto questo
profilo la competenza legislativa statale in materia di «governo  del
territorio», di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    1.5.- Il ricorrente impugna poi l'art. 12 della legge reg. Marche
n. 17 del 2015, in tema di miglioramento sismico degli  edifici,  per
contrasto con l'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,  in  riferimento  ai
principi fondamentali delle materie «protezione  civile»  e  «governo
del territorio» contenuti agli artt. 84 e 88 del TUE. L'art.  88,  in
particolare,   riconoscerebbe   soltanto   al   Ministro    per    le
infrastrutture e i trasporti la  possibilita'  di  concedere  deroghe
all'osservanza  delle  norme  tecniche  di  costruzione  nelle   zone
considerate sismiche (viene citata la sentenza n. 201 del 2012). 
    1.6.- Da ultimo, l'art. 13, comma l, lettere a) e b), della legge
reg. Marche n. 17 del 2015, in tema di recupero dei sottotetti  degli
edifici esistenti al 30 giugno 2014, nella parte in cui  non  prevede
il rispetto delle distanze minime di cui all'art. 9 del  decreto  del
Ministro  dei  lavori  pubblici  2  aprile  1968,  n.  1444   (Limiti
inderogabili di densita' edilizia, di  altezza,  di  distanza  fra  i
fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati  agli  insediamenti
residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attivita'
collettive, al verde pubblico o a  parcheggi  da  osservare  ai  fini
della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di
quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6  agosto  1967,  n.
765), violerebbe la competenza legislativa esclusiva dello  Stato  in
materia di «ordinamento civile», di cui all'art. 117, secondo  comma,
lettera l), Cost., in relazione all'art. 2-bis del TUE.  La  medesima
disposizione regionale, «ove  prevede  di  consentire  l'agibilita'»,
contrasterebbe con l'art. 117, terzo comma, Cost., in relazione  agli
artt. 24 e 25 del TUE, che disciplinano il certificato di agibilita'. 
    2.- In data 5 agosto 2015 la Regione Marche si e'  costituita  in
giudizio,  chiedendo  sia   dichiarata   l'inammissibilita'   o,   in
subordine,   l'infondatezza   delle   questioni    di    legittimita'
costituzionale proposte dal Governo. 
    2.1.- In riferimento all'art. 4, comma l, della  legge  regionale
impugnata, la resistente replica a ciascuno  dei  plurimi  motivi  di
impugnazione. 
    La censura di incostituzionalita' della  lettera  a),  oltre  che
inammissibile per  genericita'  e  carenza  di  motivazione,  sarebbe
infondata. I movimenti di terra vengono  si'  riportati  dalla  norma
statale   alle   sole   attivita'   aventi   carattere   agricolo   e
agro-silvo-pastorale, tuttavia ben potrebbe il legislatore  regionale
- nell'esercizio della facolta' riconosciutagli dall'art. 6, comma 6,
lettera a),  del  TUE  -  individuare  attivita'  di  diversa  natura
rispetto  alle  quali  "i  movimenti  di   terra"   siano   parimenti
coessenziali. 
    La   lettera   b)   dovrebbe   interpretarsi   come   comprensiva
dell'obbligo di comunicazione di inizio lavori previsto dall'art.  6,
comma 2, lettera c),  del  TUE;  analogamente,  la  realizzazione  di
«intercapedini interrate» dovrebbe intendersi assoggettata al  limite
della inaccessibilita' delle medesime. Tale interpretazione  conforme
a Costituzione  della  norma  censurata  sarebbe  giustificata  dalla
stessa legge reg. Marche n.  17  del  2015,  la  quale  rimanda  alla
disciplina  statale  per  tutto  quanto  da  essa  non  espressamente
disciplinato (art. 1, comma 3). 
    Quanto alla lettera c), la scelta di ascrivere  all'attivita'  di
edilizia libera la realizzazione di rampe e  pedane  «per  dislivelli
inferiori a metri 1,00», ovvero per  altezze  minime,  che  non  sono
idonee ad alterare la sagoma dell'edificio, si rileverebbe del  tutto
coerente con l'art. 6, comma l, lettera b), del  TUE.  Il  fondamento
della norma statale, infatti, sarebbe quello di evitare interventi di
significativa   rilevanza   esterna,   come   quelli   diretti   alla
realizzazione di ascensori, oppure di rampe e di altri manufatti,  ma
soltanto se idonei a modificare la sagoma dell'edificio: idoneita' di
cui la norma censurata sarebbe priva. 
    La questione di  legittimita'  costituzionale  della  lettera  d)
sarebbe manifestamente inammissibile, contenendo il ricorso una  mera
asserzione del contrasto tra due norme, regionale  e  statale,  senza
alcuna  argomentazione  esplicativa.  Nel   merito,   la   previsione
regionale, contemplando  una  fattispecie  costruttiva  di  rilevanza
esterna  minima,  non  sarebbe  sovrapponibile  a   quella   prevista
dall'art. 6, comma 2,  lettera  e),  del  TUE.  La  norma  censurata,
infatti, riconduce all'edilizia libera le aree ludiche e gli elementi
di arredo delle aree pertinenziali degli edifici senza «creazione  di
volumetria» e con  esclusione  «delle  piscine».  Inoltre,  anche  in
questo caso, l'obbligo di comunicazione di inizio lavori, per  quanto
non previsto espressamente, potrebbe ricavarsi in via interpretativa. 
    Quanto  alla  lettera  h),  la  questione  sarebbe   innanzitutto
inammissibile. Cio' che la difesa  erariale  realmente  contesterebbe
non sarebbe la fattispecie ricondotta dall'art. 4, comma  l,  lettera
h),  tra  le  attivita'  di  edilizia  libera,  bensi'   la   diversa
previsione, contenuta nell'art. 5, comma l, che esclude tale  ipotesi
dall'assoggettamento alla cila. La norma da ultimo citata,  tuttavia,
come  risulterebbe  tanto  dal  ricorso  quanto  dalla  delibera  del
Consiglio dei  ministri,  non  sarebbe  stata  oggetto  di  specifica
impugnazione. Nel merito, la questione  sarebbe  comunque  infondata,
poiche' gli interventi in esame rientrano nell'attivita' di  edilizia
libera solo ove «non  comportino  aumento  del  numero  delle  unita'
immobiliari o implichino incremento degli  standard  urbanistici»,  e
quindi solo nella misura in cui abbiano un  particolare  impatto  sul
territorio. 
    La questione prospettata in riferimento alla lettera  l)  sarebbe
anch'essa inammissibile, non  avendo  il  ricorrente  specificato  su
quali parti della disposizione  regionale  impugnata  (articolata  in
diversi   sotto   numeri)   si   appunterebbero   le    censure    di
incostituzionalita', ne' in  relazione  a  quali  parti  delle  norme
statali (evocate a parametro interposto) si determinerebbe l'asserito
contrasto. Nel merito, la questione sarebbe infondata, in  quanto:  -
dovrebbe escludersi la violazione dell'art. 3, comma l,  lettera  e),
del TUE, ricomprendendo la norma  impugnata  interventi  inidonei  ad
apportare una «trasformazione permanente del territorio non priva  di
rilevanza esterna»; per le medesime ragioni non sarebbe necessaria la
SCIA; - non vi sarebbe contrasto con l'art. 6, comma 2,  lettera  b),
del TUE, concernente le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze
contingenti e temporanee, la quale nulla avrebbe a che vedere con  la
impugnata lettera l), afferente alle «opere da realizzare nell'ambito
di stabilimenti industriali, intese ad  assicurare  la  funzionalita'
dell'impianto e  il  suo  adeguamento  tecnologico»;  -  non  sarebbe
violato neppure l'art. 6,  comma  2,  lettera  e-bis),  del  TUE,  in
relazione a tutte le fattispecie contemplate  dalla  norma  regionale
impugnata  che  non  riguardano  «modifiche  interne   di   carattere
edilizio»; per quelle parti della norma regionale  che  prevedono  le
suddette modifiche interne, la lettera l)  andrebbe  interpretata  in
senso conforme al TUE, con conseguente assoggettamento all'obbligo di
comunicazione di inizio lavori. 
    Anche la questione di costituzionalita' della lettera m)  sarebbe
manifestamente  infondata,   dovendosi,   anche   in   questo   caso,
interpretare la norma regionale conformemente al  TUE,  con  riguardo
sia  all'obbligo  di  comunicazione  di  inizio  lavori,   sia   alla
esclusione delle modifiche interne che comportino interventi su parti
strutturali dell'edificio. 
    2.2.- L'impugnazione dell'art.  6,  comma  l,  della  legge  reg.
Marche n. 17 del 2015 sarebbe infondata, in quanto tale  disposizione
premette che sono soggetti alla SCIA  soltanto  gli  interventi  «non
riconducibili all'attivita' edilizia libera di cui all'articolo  4  o
alla CIL di cui all'art. 5  ovvero  al  permesso  di  costruire».  In
secondo luogo, l'infondatezza  della  censura  statale  discenderebbe
dalla considerazione che l'art. 10, comma 2, del TUE,  consente  alle
regioni di stabilire «con  legge  quali  mutamenti,  connessi  o  non
connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di  immobili  o  di  loro
parti, sono subordinati a permesso  di  costruire  o  a  segnalazione
certificata di  inizio  attivita'»:  sarebbe  lo  stesso  legislatore
statale, dunque, a riconoscere espressamente al legislatore regionale
un margine di azione circa la scelta di quali tra gli interventi  che
comportino  mutamenti  d'uso  degli  immobili  (collegati  o  meno  a
trasformazioni fisiche) debbano essere  subordinati  al  permesso  di
costruire o alla SCIA. 
    2.3.- La questione di legittimita' costituzionale  sollevata  dal
Governo in  relazione  all'art.  8,  comma  3,  sarebbe  innanzitutto
inammissibile, poiche' non motiverebbe sotto quale profilo due  norme
riguardanti oggetti diversi  -  una  (quella  impugnata)  concernente
l'individuazione delle variazioni essenziali al  progetto  assentito;
l'altra (quella statale) relativa alla disciplina delle sanzioni  per
gli «interventi eseguiti in  parziale  difformita'  dal  permesso  di
costruire» - si porrebbero in conflitto tra loro. 
    Nel merito, la questione sarebbe comunque  infondata.  L'art.  8,
comma 3, dopo aver stabilito  che  «il  mancato  completamento  degli
interventi o la realizzazione di  minori  superfici  o  volumetrie  o
altezze  o  parziali  riduzioni  dell'area  di  sedime,  di  maggiori
distacchi»  non  costituiscono  variazioni   essenziali   al   titolo
abilitativo, pone come condizione che «gli interventi non  comportino
difformita' dalle prescrizioni del titolo abilitativo medesimo  o  da
norme o piani urbanistici». Cio' significa «che tali  variazioni  non
essenziali  devono  risultare  pur  sempre  conformi  alla  normativa
statale e che, pertanto, non saranno sanzionabili ai sensi  dell'art.
34-ter [recte: dell'art. 34, comma 2-ter] solo qualora ne  rispettino
il contenuto, ovvero  solo  se  si  tratti  di  variazioni  "che  non
eccedano per singola unita' immobiliare il 2 per cento  delle  misure
progettuali"». 
    La Regione Marche  aggiunge  che  la  censura  sollevata  sarebbe
«priva di fondamento» laddove si rivolge all'intero comma 3 dell'art.
8. Infatti, l'art. 34, comma 2-ter, del TUE, che il ricorrente assume
essere stato violato dalla norma  regionale  impugnata,  concerne  le
difformita' del progetto realizzato rispetto al permesso di costruire
e alla SCIA, non anche rispetto alla comunicazione di inizio lavori. 
    2.4.- La questione di legittimita' costituzionale  formulata  dal
Governo in riferimento all'art. 9, commi l, 2 e 6, della  legge  reg.
Marche n. 17 del 2015, sarebbe anch'essa infondata.  La  disposizione
regionale  non  avrebbe  introdotto  un  ulteriore  e  nuovo   titolo
abilitativo edilizio,  bensi'  si  sarebbe  limitata  a  disciplinare
alcune ipotesi in relazione alle quali ragioni di interesse  pubblico
richiedono un permesso temporaneo, alla scadenza  del  quale  o  deve
essere intervenuto il titolo abilitativo  previsto  dalla  legge  per
quella determinata fattispecie, oppure l'opera deve  essere  rimossa,
anche coattivamente. Del resto, per espressa previsione del  comma  3
dell'art. 9, l'autorizzazione temporanea «non  sostituisce  le  altre
autorizzazioni previste dalla legge», ed e'  circondata  da  garanzie
intese ad assicurare l'effettiva provvisorieta' di  tali  interventi.
Neppure  si  tratterebbe  di  un  permesso  in  deroga,  perche'   in
quest'ultimo caso la deroga autorizzata non e' provvisoria. 
    2.5.- In riferimento all'art. 12 della legge reg.  Marche  n.  17
del 2015, la questione di  legittimita'  prospettata  dal  ricorrente
sarebbe inammissibile, in quanto il ricorso non  avrebbe  chiarito  i
termini  del  contrasto  tra  la  norma  censurata   e   i   principi
fondamentali della materia,  individuata  peraltro  indifferentemente
nel «governo del territorio» e nella «protezione civile». 
    Nel merito, la questione non potrebbe  comunque  essere  accolta.
Nessun contrasto potrebbe ravvisarsi tra la norma regionale impugnata
e l'art. 84 del TUE, il quale riguarda soltanto gli edifici di  nuova
costruzione e non gia', come la norma censurata, gli interventi volti
a migliorare la tenuta  di  edifici  esistenti  rispetto  a  fenomeni
sismici. Sotto altro profilo, le norme tecniche cui l'art. 84 del TUE
fa rinvio, non sarebbero idonee a  costituire  principi  fondamentali
ne' in materia  di  «governo  del  territorio»,  ne'  di  «protezione
civile», trattandosi di norme adottate con  fonte  regolamentare  (si
cita la sentenza n. 303 del 2003, paragrafo  7,  del  considerato  in
diritto). 
    Quanto, invece, al paventato contrasto con  l'art.  88  del  TUE,
l'art. 12 della legge reg. Marche n.  17  del  2015  non  conterrebbe
alcuna deroga alle norme tecniche in  materia  antisismica.  Inoltre,
anche l'art. 88  si  occuperebbe  della  sola  costruzione  di  nuovi
edifici in zone sismiche e non di interventi su edifici esistenti. 
    2.6.- L'impugnazione dell'art. 13, comma  l,  lettere  a)  e  b),
della  legge  reg.  Marche  n.  17  del  2015,  sarebbe  innanzitutto
inammissibile per carenza di motivazione. 
    Nel merito, il denunciato contrasto  tra  la  norma  regionale  e
l'art. 2-bis del TUE sarebbe privo  di  fondamento,  in  ragione  del
fatto che la disposizione impugnata non autorizzerebbe alcuna  deroga
alla disciplina statale in materia di distanze. 
    Sarebbe priva di fondamento anche la  questione  di  legittimita'
costituzionale sollevata in riferimento alla violazione  degli  artt.
24 e 25 del TUE, in quanto la norma  censurata  non  eliminerebbe  la
necessita', ove ne ricorrano i presupposti, di richiedere e  ottenere
il certificato di agibilita', limitandosi semplicemente a consentirne
l'ottenimento. 
    2.7.- Con memoria depositata  il  18  ottobre  2016,  la  Regione
resistente ha ribadito le proprie difese. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha   promosso
questioni di legittimita' costituzionale  degli  artt.  4,  comma  1,
lettere a), b), c), d), h), l) e m); 6, commi 1, lettere c) e  g),  e
2; 8, comma 3; 9, commi 1, 2 e 6; 12 e 13, comma 1, lettere a) e  b),
della legge della Regione Marche 20 aprile 2015, n.  17  (Riordino  e
semplificazione della normativa regionale in materia di edilizia). 
    2.- Con un primo ordine di motivi, il ricorrente  impugna  l'art.
4, comma 1, lettere a), b), c), d), h), l) e m), della  citata  legge
regionale. Queste disposizioni violerebbero l'art. 117, terzo  comma,
Cost., in riferimento ai  principi  fondamentali  della  legislazione
statale in materia di «governo del territorio» contenuti nel d.P.R. 6
giugno  2001,  n.  380,  recante  «Testo  unico  delle   disposizioni
legislative e  regolamentari  in  materia  edilizia  (Testo  A)»,  di
seguito  TUE.  In  particolare,  gli  interventi   assoggettati   dal
legislatore regionale al regime dell'edilizia  libera  non  sarebbero
omogenei  a  quelli  che  possono  essere   eseguiti   senza   titolo
abilitativo ai sensi dell'art. 6, commi 1 e 2, del TUE. 
    2.1.- Secondo la giurisprudenza  costituzionale,  la  definizione
delle categorie di interventi edilizi a cui si collega il regime  dei
titoli abilitativi costituisce principio fondamentale  della  materia
di  competenza  legislativa  concorrente  fra  Stato  e  regioni  del
«governo del territorio», vincolando cosi' la legislazione  regionale
di dettaglio (sentenza n. 303 del 2003; in seguito, sentenze  n.  259
del 2014, n. 171 del 2012, n. 309 del 2011). 
    L'art. 6, comma 6, del TUE  prevede  che  le  regioni  a  statuto
ordinario possono estendere  la  disciplina  dell'edilizia  libera  a
«interventi edilizi ulteriori» (lettera a), nonche' disciplinare  «le
modalita' di effettuazione dei controlli» (lettera b). Nel definire i
limiti del potere cosi'  assegnato  alle  regioni,  questa  Corte  ha
escluso «che la disposizione appena citata  permetta  al  legislatore
regionale di  sovvertire  le  "definizioni"  di  "nuova  costruzione"
recate dall'art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001 (sentenza  n.  171  del
2012). L'attivita' demandata alla regione  si  inserisce  pur  sempre
nell'ambito derogatorio definito dall'art. 6 del d.P.R.  n.  380  del
2001, attraverso la enucleazione di interventi tipici da sottrarre  a
permesso di costruire e  SCIA  (segnalazione  certificata  di  inizio
attivita'). Non e' percio' pensabile che il legislatore statale abbia
reso cedevole l'intera disciplina dei  titoli  edilizi,  spogliandosi
del compito, proprio del legislatore dei principi fondamentali  della
materia, di determinare quali  trasformazioni  del  territorio  siano
cosi' significative, da soggiacere comunque a permesso di  costruire.
Lo spazio attribuito alla legge regionale si deve  quindi  sviluppare
secondo  scelte  coerenti  con   le   ragioni   giustificatrici   che
sorreggono, secondo le previsioni dell'art. 6 del d.P.R. n.  380  del
2001, le specifiche ipotesi di  sottrazione  al  titolo  abilitativo»
(sentenza n. 139  del  2013).  Il  limite  assegnato  al  legislatore
regionale dall'art. 6, comma 6, lettera a), del  d.P.R.  n.  380  del
2001  sta,  dunque,  nella  possibilita'  di  estendere  «i  casi  di
attivita' edilizia libera ad  ipotesi  non  integralmente  nuove,  ma
"ulteriori",  ovvero  coerenti  e   logicamente   assimilabili   agli
interventi di cui ai commi  1  e  2  del  medesimo  art.  6»  (ancora
sentenza n. 139 del 2013). 
    Su queste basi, va dunque verificato se, in relazione a  ciascuna
delle categorie di opere incluse - dalle censurate lettere  dell'art.
4, comma 1, della legge  reg.  Marche  n.  17  del  2015  -  tra  gli
interventi edilizi eseguibili senza necessita' di titolo abilitativo,
il legislatore regionale si sia mantenuto nei limiti di quanto gli e'
consentito. 
    2.2.- La lettera a) riconduce all'edilizia libera i «movimenti di
terra strettamente necessari alla rimodellazione di strade di accesso
e aree di  pertinenza  degli  edifici  esistenti,  sia  pubblici  che
privati,  purche'  non   comportino   realizzazione   di   opere   di
contenimento e comunque con  riporti  o  sterri  complessivamente  di
altezza non superiore a metri  1,00».  Tale  previsione,  secondo  il
Governo, contrasterebbe con l'art. 6, comma 1, lettera d), del TUE. 
    2.2.1.-  In  via  preliminare,   va   respinta   l'eccezione   di
inammissibilita'  della  questione  prospettata  dalla  Regione   per
asserito difetto di motivazione sulle ragioni del  contrasto  tra  la
norma regionale e quella statale. 
    I requisiti di chiarezza e completezza delle ragioni  a  sostegno
della  richiesta  declaratoria  di  incostituzionalita'  nei  giudizi
proposti in via principale risultano soddisfatti nel caso  in  esame,
nella  misura  richiesta  dalla  giurisprudenza  costituzionale   (ex
plurimis, sentenze n. 251, n. 233, n. 218, n. 142, n. 82 e n. 32  del
2015). Nel  ricorso  infatti  si  possono  individuare  gli  elementi
sufficienti per ritenere ammissibile  la  censura,  ossia  i  termini
della questione proposta,  la  disposizione  impugnata,  i  parametri
evocati (ex plurimis, sentenze n. 40 del 2007, n. 139  del  2006,  n.
450 e n. 360 del 2005, n. 213 del 2003, n.  384  del  1999)  ed  esso
contiene inoltre una sia pure sintetica argomentazione  di  merito  a
sostegno   della   richiesta    dichiarazione    di    illegittimita'
costituzionale della norma impugnata (ex plurimis, sentenze n. 3  del
2013 e n. 312 del 2010 e ordinanza n. 123 del 2012). 
    2.2.2.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    L'art. 6, comma 1, lettera d), del TUE, prevede che nessun titolo
abilitativo e' richiesto per i movimenti di  terra,  ma  soltanto  se
essi  sono  strettamente  pertinenti   all'esercizio   dell'attivita'
agricola  e  alle  pratiche  agro-silvo  pastorali.  L'esenzione   e'
giustificata dal fatto che si tratta di modificazioni della forma del
territorio, non accompagnate dalla realizzazione di  opere  edilizie,
inerenti  all'usuale  pratica  agricola,  che   verrebbe   altrimenti
disincentivata  con  effetti  pregiudizievoli  anche  per  la   buona
manutenzione del territorio. 
    Le attivita' di sbancamento del terreno finalizzate a usi diversi
da quelli agricoli, se destinate a incidere sul  tessuto  urbanistico
del  territorio,  sono  invece  assoggettate  a  titolo   abilitativo
edilizio.  Al  fine  di  stabilire  se   i   movimenti   di   terreno
costituiscano o meno una trasformazione urbanistica  del  territorio,
occorre valutare l'entita'  dell'opera  che  si  intende  realizzare,
potendo gli stessi costituire, sia spostamenti  insignificanti  sotto
il profilo dell'insediamento abitativo, per i quali non e' necessario
alcun  titolo   abilitativo,   sia   rilevanti   trasformazioni   del
territorio, in quanto tali subordinate  al  preventivo  rilascio  del
permesso di costruire (Corte di cassazione, terza sezione penale,  24
novembre 2011, n. 48479; Corte di cassazione, terza sezione penale, 5
marzo 2008, n. 14243). 
    I movimenti di terra previsti dalla norma  regionale,  in  quanto
«strettamente necessari alla rimodellazione di strade  di  accesso  e
aree di pertinenza degli edifici esistenti, sia pubblici che privati,
purche' non comportino  realizzazione  di  opere  di  contenimento  e
comunque  con  riporti  o  sterri  complessivamente  di  altezza  non
superiore a metri 1,00»,  potenzialmente  includono  anche  opere  di
sbancamento  che,  sebbene   non   preordinate   a   una   successiva
costruzione, sono idonee ad alterare la  morfologia  del  territorio,
determinando una trasformazione permanente del suolo  non  edificato.
La scelta del legislatore regionale non e', dunque, coerente  con  le
ragioni  giustificatrici  che  sorreggono,  secondo   le   previsioni
dell'art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, le corrispondenti ipotesi  di
sottrazione a permesso di costruire e SCIA. 
    2.3.- La lettera b) riguarda «le opere  di  pavimentazione  e  di
finitura  di   spazi   esterni,   compresa   l'eventuale   necessaria
rimodellazione del  terreno  anche  per  aree  di  sosta  nei  limiti
indicati alla lettera a),  che  siano  contenute  entro  l'indice  di
permeabilita' ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi
compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate». 
    Il Governo lamenta che, in difformita'  dall'art.  6,  comma,  2,
lettera c), del TUE, la norma regionale,  da  un  lato,  non  prevede
l'obbligo di presentare la  comunicazione  di  inizio  lavori  (CIL);
dall'altro   consentirebbe   la   realizzazione   di    intercapedini
interamente interrate senza  riprodurre  il  limite  della  loro  non
accessibilita'. 
    2.3.1.- La questione e' fondata. 
    Ai fini dell'accoglimento e' dirimente il fatto  che,  mentre  la
norma statale subordina la  medesima  tipologia  di  interventi  alla
previa comunicazione dell'inizio dei lavori da parte dell'interessato
al comune, la previsione regionale non impone analogo onere formale. 
    Come questa Corte ha recentemente statuito, «[l]e regioni possono
si'  estendere  la  disciplina  statale   dell'edilizia   libera   ad
interventi "ulteriori" rispetto a quelli previsti dai  commi  1  e  2
dell'art. 6 del TUE, ma non anche differenziarne il regime giuridico,
dislocando diversamente  gli  interventi  edilizi  tra  le  attivita'
deformalizzate, soggette a cil e cila. L'omogeneita' funzionale della
comunicazione preventiva (asseverata  o  meno)  rispetto  alle  altre
forme di controllo delle costruzioni  (permesso  di  costruire,  DIA,
SCIA), deve indurre a riconoscere alla norma che la  prescrive  -  al
pari di quelle che disciplinano i titoli  abilitativi  edilizi  -  la
natura di principio  fondamentale  della  materia  del  "governo  del
territorio", in quanto ispirata  alla  tutela  di  interessi  unitari
dell'ordinamento e funzionale a  garantire  un  assetto  coerente  su
tutto il territorio nazionale, limitando  le  differenziazioni  delle
legislazioni regionali» (sentenza n. 231 del 2016). Ne  consegue  che
e' precluso al legislatore regionale di discostarsi dalla  disciplina
statale e di rendere talune categorie di opere totalmente  libere  da
ogni forma di controllo, sia pure indiretto mediante denuncia. 
    La rilevata antinomia non e' superabile in via di interpretazione
conforme. Il significato fatto  palese  dalla  lettera  dell'art.  4,
comma 1, e' chiaro nel senso che gli interventi in  essa  individuati
sono eseguibili senza necessita' di  comunicazione  preventiva.  Solo
gli interventi indicati nel successivo art. 5 sono effettuati  previa
CIL. E' vero che l'art. l, comma 3, della legge  regionale  impugnata
rinvia alla  normativa  statale  vigente  «per  quanto  da  essa  non
espressamente previsto», ma tale ultima precisazione non consente  di
rimodulare in via interpretativa l'impianto  sistematico  in  cui  si
colloca  la   previsione   censurata,   connotato   da   una   rigida
classificazione delle categorie di opere edilizie e del  loro  regime
giuridico. 
    Anche il profilo di censura relativo alla inclusione  nel  regime
della edilizia libera delle  «intercapedini  interamente  interrate»,
senza che sia riprodotto il limite della loro  "non  accessibilita'",
appare  fondato.  L'accessibilita'  dell'intercapedine,  infatti,  ne
altera la  funzione  da  volume  tecnico  a  vero  e  proprio  "vano"
potenzialmente utilizzabile a diversi fini.  Anche  in  questo  caso,
dunque, la Regione  ha  individuato  e  liberalizzato  un  intervento
edilizio  "nuovo"  e  non  semplicemente  "ulteriore"  rispetto  alle
previsioni dell'art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001. 
    2.4.- La lettera c), riguardante «la  realizzazione  di  rampe  e
pedane   per   l'abbattimento   e    superamento    delle    barriere
architettoniche  per  dislivelli  inferiori  a  metri  1,00»,   viene
impugnata dal Governo  per  contrasto  con  l'articolo  6,  comma  l,
lettera b), del TUE. 
    2.4.1.- Anche questa censura e' fondata. 
    Gli interventi di rimozione delle  barriere  architettoniche  che
«comportino la realizzazione  di  rampe  o  ascensori  esterni»  sono
espressamente esclusi dall'articolo 6, comma l, lettera b),  del  TUE
dal regime dell'attivita' edilizia libera. Le opere  necessarie  alla
loro realizzazione, compresi i  manufatti  che  alterino  la  sagoma,
rientrano invece nell'ambito applicativo dell'art. 22 del TUE e  sono
quindi soggette  a  SCIA  (Consiglio  di  Stato,  sezione  sesta,  24
novembre 2010, n. 7129). Con tali  previsioni,  da  considerare  come
principi fondamentali della  materia,  la  norma  regionale  si  pone
quindi in contrasto. 
    2.5.- La lettera d) - nella parte in cui non prevede l'obbligo di
presentare la CIL per gli interventi consistenti nella  realizzazione
di «aree ludiche senza fini di lucro» e di «elementi di arredo  delle
aree pertinenziali degli edifici senza creazione di volumetria e  con
esclusione delle piscine» - violerebbe, secondo il Governo, l'art. 6,
comma 2, lettera  e),  del  TUE,  che  subordina  tale  tipologia  di
intervento a previa comunicazione. 
    2.5.1.-  L'eccezione   di   inammissibilita'   per   difetto   di
motivazione sollevata dalla regione non e' fondata. I  termini  della
questione sollevata dallo Stato sono chiaramente  identificabili  nel
ricorso  che  offre  anche  un'argomentazione  di  merito,  sia  pure
sintetica,   a   sostegno    della    richiesta    declaratoria    di
incostituzionalita'. 
    2.5.2.- Nel merito la questione e' fondata. 
    Mentre  la  norma  statale  subordina  la  stessa  tipologia   di
interventi alla previa comunicazione dell'inizio dei lavori da  parte
dell'interessato, la previsione regionale non  impone  analogo  onere
formale. Il contrasto con la disciplina statale non e' escluso  dalla
precisazione, contenuta nella norma regionale, che  la  realizzazione
delle aree ludiche e  delle  opere  di  arredo  non  deve  comportare
«creazione di volumetria» e che da esse va esclusa  la  realizzazione
«delle piscine». Anche l'art. 6, comma 2, lettera e), del  TUE,  deve
essere  interpretato  nel  senso  di   escludere   dal   suo   ambito
applicativo,  sia  gli  interventi  volti  alla  creazione  di  nuove
volumetrie (ad esempio: spogliatoi e docce), sia  la  costruzione  di
piscine, in quanto opere comportanti l'effettuazione di scavi e, come
tali, del tutto estranee alla nozione di edilizia libera;  ma  questo
non rileva  quanto  alla  circostanza  che  la  norma  regionale  non
subordina  a  CIL  gli  interventi  in  essa  previsti,  mentre  tale
subordinazione  non  puo'  essere  omessa,  alla  stregua  di  quanto
previsto, come principio, dalla legge statale. 
    L'interpretazione costituzionalmente orientata  della  previsione
della lettera d)  non  appare  percorribile  per  gli  stessi  motivi
indicati  sopra   al   paragrafo   2.3.1.,   con   riferimento   alla
impossibilita'  di  rimodulare  in  via   interpretativa   l'impianto
sistematico in cui si colloca la previsione censurata,  connotato  da
una rigida classificazione delle categorie di opere  edilizie  e  del
loro regime giuridico. 
    2.6.- La lettera h) - che, nel suo combinato disposto con  l'art.
5, commi l e 2, esclude dall'obbligo di presentare  la  comunicazione
di inizio dei lavori asseverata da un tecnico  abilitato  (cila)  «le
opere  interne   a   singole   unita'   immobiliari,   ivi   compresi
l'eliminazione, lo spostamento  e  la  realizzazione  di  aperture  e
pareti divisorie interne che non costituiscono elementi  strutturali,
sempre che non comportino aumento del numero delle unita' immobiliari
o implichino  incremento  degli  standard  urbanistici»  -  si  pone,
secondo il Governo, in contrasto con l'art. 6, comma 2, lettera a), e
comma 4, del  TUE,  che  subordina  gli  interventi  di  manutenzione
straordinaria a tale adempimento. 
    2.6.1.- In via preliminare, la Regione eccepisce che la questione
sarebbe inammissibile poiche' cio' che la difesa  erariale  realmente
contesta sarebbe la previsione contenuta nell'art. 5,  comma  l,  che
esclude l'ipotesi in esame dall'assoggettamento alla cila e  che  non
sarebbe stata oggetto di  impugnazione,  come  risulterebbe  sia  dal
ricorso che  dalla  delibera  di  autorizzazione  del  Consiglio  dei
ministri. 
    L'eccezione non e' fondata perche' la disciplina pertinente  alla
censura e'  esattamente  quella  risultante  dall'art.  4,  comma  1,
lettera h), in combinato disposto con  l'art.  5,  commi  1  e  2,  e
perche' a tali previsioni  fanno  concordemente  riferimento  sia  il
ricorso, sia la deliberazione  della  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri. 
    2.6.2.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    Ai sensi dell'art. 6, comma 2, lettera a), del TUE, sono soggetti
a  CILA  «gli  interventi  di  manutenzione  straordinaria   di   cui
all'articolo 3, comma 1, lettera b), ivi compresa l'apertura di porte
interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino
le parti strutturali dell'edificio». La manutenzione straordinaria e'
dunque  sottoposta  a  CILA  quando  interessi  la   rinnovazione   o
sostituzione di parti interne  delle  singole  unita'  immobiliari  e
quelle esterne non strutturali. Le corrispondenti categorie di  opere
prese in considerazione dalla impugnata lettera h)  non  sono  invece
assoggettate  a  comunicazione  asseverata  (CILA),   e   neppure   a
comunicazione semplice (CIL). 
    Il contrasto con la norma statale non e' escluso - come  sostiene
la Regione - dal fatto che si tratta di interventi di minimo impatto,
giacche' nella disciplina statale  i  sopra  indicati  interventi  di
manutenzione   straordinaria   sono   sempre   soggetti   a    previa
comunicazione, anche quando «non comportino aumento del numero  delle
unita'  immobiliari  o  non  implichino  incremento  degli   standard
urbanistici». 
    2.7.- La lettera l) dell'art. 4, comma 1, della  legge  impugnata
riconduce all'attivita'  edilizia  libera  le  «opere  da  realizzare
nell'ambito di stabilimenti  industriali,  intese  ad  assicurare  la
funzionalita' dell'impianto e il suo adeguamento tecnologico, purche'
non modifichino  le  caratteristiche  complessive  in  rapporto  alle
dimensioni dello stabilimento, siano interne al suo perimetro o  area
di pertinenza e non incidano sulle sue  strutture».  La  disposizione
regionale precisa che «[t]ali opere riguardano: 1) le costruzioni che
non  prevedono  e  non  sono  idonee  alla  presenza  di  manodopera,
realizzate con  lo  scopo  di  proteggere  determinati  apparecchi  o
sistemi, quali cabine per trasformatori o per interruttori elettrici,
cabine per valvole di intercettazione fluidi, site sopra o  sotto  il
livello di campagna, cabine  per  stazioni  di  trasmissione  dati  e
comandi o per gruppi di riduzione purche' al servizio  dell'impianto;
2) i sistemi per la canalizzazione  dei  fluidi  mediante  tubazioni,
fognature e simili, realizzati all'interno dello stabilimento stesso;
3) i serbatoi fino a metri  cubi  tredici  per  lo  stoccaggio  e  la
movimentazione dei prodotti e  le  relative  opere;  4)  le  opere  a
carattere precario o facilmente amovibili,  quali  garitte,  chioschi
per l'operatore di pese a bilico, per  posti  telefonici  distaccati,
per quadri di  comando  di  apparecchiature  non  presidiate;  5)  le
installazioni di pali porta tubi in metallo  e  conglomerato  armato,
semplici e composti; 6) le  passerelle  con  sostegni  in  metallo  o
conglomerato armato per l'attraversamento delle  strade  interne  con
tubazioni di processo e  servizi;  7)  le  trincee  a  cielo  aperto,
destinate a raccogliere tubazioni di processo e servizi,  nonche'  le
canalizzazioni fognanti aperte e le relative vasche di trattamento  e
decantazione; 8) i basamenti, le  incastellature  di  sostegno  e  le
apparecchiature all'aperto per la  modifica  e  il  miglioramento  di
impianti  esistenti;  9)  la  separazione  di   aree   interne   allo
stabilimento realizzata mediante muretti e rete ovvero  in  muratura;
10) le attrezzature semifisse per il carico e lo scarico da autobotti
e ferro cisterne, come bracci di  scarichi  e  pensiline,  ovvero  da
navi, come bracci di sostegno delle manichette; 11)  le  attrezzature
per la movimentazione di materie prime e prodotti alla rinfusa  e  in
confezione, quali nastri trasportatori ed elevatori a tazze;  12)  le
coperture estensibili poste in  corrispondenza  delle  entrate  degli
stabilimenti a protezione del carico e dello scarico delle merci; 13)
le canne fumarie e altri sistemi di adduzione e di abbattimento». 
    Quanto  previsto  alla  lettera  h),   lamenta   il   ricorrente,
violerebbe i principi fondamentali della  materia  del  «governo  del
territorio», in quanto ricondurrebbe  all'attivita'  edilizia  libera
una serie  di  fattispecie  che  la  normativa  statale  subordina  a
permesso di costruire, a SCIA, ovvero a CIL. 
    2.7.1.- L'eccezione di inammissibilita'  proposta  dalla  Regione
per genericita' e difetto di motivazione e' fondata. 
    La censura ha ad oggetto  innanzitutto  indistintamente  l'intero
contenuto normativo della lettera l), nonostante la disposizione  sia
composta  da  una  pluralita'  di  proposizioni  normative   alquanto
articolate e diverse. Il ricorso, inoltre, non specifica in relazione
a quali  parti  delle  plurime  norme  statali  evocate  a  parametro
interposto si determinerebbe il lamentato contrasto. L'indiscriminata
impugnazione di previsioni dal contenuto assai  eterogeneo  determina
una inevitabile genericita' e oscurita' delle censure. Per le  stesse
ragioni,  le  argomentazioni  svolte  dalla  ricorrente  a   sostegno
dell'impugnazione «non raggiungono quella soglia minima di  chiarezza
e completezza cui e' subordinata l'ammissibilita'  delle  impugnative
in via principale (cfr.  ex  plurimis,  sentenza  n.  312  del  2013»
(sentenza n. 88 del 2014). 
    2.8.-  La  lettera  m)  -  riferita  alle  «opere  necessarie   a
consentire lavorazioni eseguite all'interno di locali  chiusi,  anche
comportanti modifiche nell'utilizzo dei locali  adibiti  a  esercizio
d'impresa» - contrasta secondo il Governo  con  l'art.  6,  comma  2,
lettera e-bis, del  TUE,  che  espressamente  assoggetta  a  CILA  le
«modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei
fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa, sempre che non  riguardino
le parti strutturali, ovvero le modifiche  della  destinazione  d'uso
dei locali adibiti ad esercizio  d'impresa».  La  previsione  statale
evocata dal  Governo  a  parametro  interposto  e'  stata  introdotta
dall'art. 13-bis, comma 1, lettera a), del  decreto-legge  22  giugno
2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del  Paese),  convertito,
con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7  agosto  2012,
n. 134, e successivamente modificata dall'art. 17, comma  1,  lettera
c), numero 1), lettera b), del decreto-legge 12  settembre  2014,  n.
133 (Misure urgenti per l'apertura  dei  cantieri,  la  realizzazione
delle  opere   pubbliche,   la   digitalizzazione   del   Paese,   la
semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e
per  la  ripresa  delle  attivita'   produttive),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n.
164, e ha la finalita' di  semplificare  le  trasformazioni  edilizie
preordinate allo svolgimento di attivita' d'impresa. 
    2.8.1.- La questione e' fondata sotto un duplice profilo. 
    In primo luogo,  la  norma  regionale,  a  differenza  di  quella
statale,  non  prescrive  alcuna  comunicazione  preventiva,  neppure
semplice, per la realizzazione dei lavori  individuati,  mentre  alla
regione non e' consentito di  discostarsi  dalle  scelte  legislative
statali attinenti al regime dei titoli edilizi, alla luce  di  quanto
esposto sopra circa la loro natura  di  principi  fondamentali  della
materia. 
    In secondo luogo, il legislatore statale limita espressamente  la
possibilita' di realizzare mediante CILA  interventi  sui  fabbricati
adibiti a esercizio di impresa ai soli casi in cui non interessino le
parti strutturali ovvero modifichino la destinazione d'uso dei locali
adibiti a esercizio d'impresa. Nessuna delle due limitazioni  ricorre
nella disposizione impugnata. 
    L'interpretazione    riduttiva    costituzionalmente    orientata
prospettata dalla resistente non appare percorribile per  gli  stessi
motivi sopra indicati  al  paragrafo  2.3.1.,  con  riferimento  alla
impossibilita'  di  rimodulare  in  via   interpretativa   l'impianto
sistematico in cui la previsione censurata si colloca,  connotato  da
una rigida classificazione delle categorie di opere  edilizie  e  del
loro regime giuridico. 
    3.- L'art. 6, commi l, lettere c) e g), e comma  2,  consente  di
realizzare mediante SCIA (invece che tramite permesso di costruire  o
DIA  alternativa  al  permesso  di  costruire),  gli  interventi   di
«ristrutturazione edilizia», di «demolizione parziale e integrale  di
manufatti edilizi», nonche' quelli di cui «all'articolo 22, comma  3,
del D.P.R. n. 380/2001». 
    Secondo il Governo tali previsioni  contrastano  con  l'art.  10,
comma l, lettera c), e con l'art. 22, comma 3, lettera a),  del  TUE,
che devono ritenersi principi fondamentali in materia di governo  del
territorio,  afferenti  al  regime  dei   titoli   abilitativi,   con
conseguente violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Ai sensi dell'art. 10, comma l, lettera c), del TUE, le opere  di
ristrutturazione edilizia necessitano di  permesso  di  costruire  se
consistenti in interventi che portano  a  un  organismo  edilizio  in
tutto o in parte diverso dal precedente e  che  comportano  modifiche
del volume o dei prospetti, ovvero che, limitatamente  agli  immobili
compresi  nelle  zone  omogenee   A,   comportano   mutamenti   della
destinazione d'uso (ristrutturazione  edilizia).  In  via  residuale,
sono soggetti invece a SCIA i restanti interventi di ristrutturazione
cosiddetta  "leggera"  (compresi  gli  interventi  di  demolizione  e
ricostruzione   che   non   rispettino   la   sagoma    dell'edificio
preesistente). 
    L'art. 22, comma 3, del TUE, si occupa di tre  diverse  tipologie
di interventi edificatori: la ristrutturazione di  cui  all'art.  10,
comma 1, lettera c), del TUE; gli interventi di nuova  costruzione  o
di  ristrutturazione  urbanistica  disciplinati  da  piani  attuativi
comunque denominati; gli interventi di nuova costruzione direttamente
esecutivi  di  strumenti   urbanistici   generali   recanti   precise
disposizioni  plano-volumetriche.  Per  la  loro   realizzazione   si
consente all'interessato, per ragioni di carattere acceleratorio,  di
optare, in alternativa al permesso di costruire, per la presentazione
della DIA (cosiddetta "super DIA"). La facolta' di scelta esaurisce i
propri effetti sul piano prettamente procedimentale, mentre su quelle
sostanziale (dei presupposti), penale  e  contributivo,  resta  ferma
l'applicazione della disciplina dettata per gli interventi soggetti a
permesso di costruire. 
    3.1.- Cio' premesso, le censure  rivolte  all'art.  6,  comma  l,
lettere c) e g), della legge reg. Marche n. 17  del  2015,  non  sono
fondate, perche' le previsioni contestate non contraddicono il regime
edilizio dettato dal TUE. L'art. 6, comma 1, si apre infatti  con  la
precisazione  che  sono  soggetti  alla  SCIA  gli   interventi   non
riconducibili al permesso di costruire.  Esso  va  quindi  pianamente
interpretato nel senso che si riferisce soltanto agli  interventi  di
ristrutturazione  edilizia  cosiddetta  "leggera",  che,   ai   sensi
dell'art. 10, comma l, del TUE, non sono subordinati al rilascio  del
permesso di costruire. 
    3.2.- Per motivi speculari, il comma  2  dell'art.  6  e'  invece
costituzionalmente illegittimo,  in  quanto  assoggetta  a  SCIA  gli
interventi di ristrutturazione cosiddetta "pesante",  gli  interventi
di nuova costruzione o di ristrutturazione  urbanistica  disciplinati
da piani attuativi, gli interventi di nuova costruzione  direttamente
esecutivi di strumenti urbanistici generali. Per  tali  categorie  di
opere, come visto sopra, l'art.  22,  comma  3,  del  TUE,  prescrive
invece il permesso di costruire o, alternativamente, la "super DIA". 
    4.- Il Governo impugna poi l'art. 8, comma 3,  della  legge  reg.
Marche n. 17  del  2015,  secondo  cui:  «Non  costituiscono  inoltre
variazioni essenziali  rispetto  al  titolo  abilitativo  il  mancato
completamento degli interventi o la realizzazione di minori superfici
o volumetrie o altezze o parziali riduzioni dell'area di  sedime,  di
maggiori distacchi, purche' gli interventi non comportino difformita'
dalle prescrizioni del titolo abilitativo medesimo o da norme o piani
urbanistici». 
    Secondo il Governo la previsione contrasta con la disposizione di
principio contenuta all'art. 34, comma 2-ter, del TUE,  secondo  cui:
«Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha  parziale
difformita' dal titolo  abilitativo  in  presenza  di  violazioni  di
altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta  che  non  eccedano
per  singola  unita'  immobiliare  il  2  per  cento   delle   misure
progettuali». 
    4.1.- In  accoglimento  dell'eccezione  formulata  dalla  Regione
Marche, la questione deve essere dichiarata inammissibile. 
    Il Governo formula la questione in termini  meramente  assertivi,
generici  e  formali,  ponendo  a  confronto  il  testo  della  norma
regionale con quella statale avente ad oggetto  la  disciplina  delle
difformita'   parziali,   senza   motivare   specifici   profili   di
contraddizione tra le due disposizioni e senza tenere conto del fatto
che si tratta di disposizioni aventi un  oggetto  diverso:  la  norma
regionale infatti esemplifica le variazioni  essenziali  al  progetto
assentito (in attuazione peraltro dell'art. 32, comma  l,  del  TUE),
mentre la norma statale evocata a parametro interposto disciplina  le
sanzioni per gli «interventi eseguiti  in  parziale  difformita'  dal
permesso di costruire». La carenza assoluta di argomenti  a  sostegno
dell'impugnativa e l'impossibilita'  di  ricostruirne  altrimenti  il
senso ne preclude  irrimediabilmente  lo  scrutinio  nel  merito  (ex
plurimis, sentenze n. 8 del 2014, n. 272, n. 22 e n. 8 del 2013). 
    5.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha  impugnato  anche
l'art. 9, commi 1, 2 e 6, della legge reg. Marche n. 17 del 2015, per
violazione dell'art. 117,  terzo  comma,  Cost.  In  particolare,  la
disposizione regionale - nella parte in cui  prevede  che  il  Comune
«puo' autorizzare a titolo temporaneo interventi edilizi» riguardanti
opere pubbliche o  di  pubblico  interesse  e  attivita'  produttive,
«ancorche' difformi  dalle  previsioni  degli  strumenti  urbanistici
comunali  adottati  o  approvati,  destinati  al  soddisfacimento  di
documentate esigenze di carattere  improrogabile  e  transitorio  non
altrimenti realizzabili» - si porrebbe in contrasto innanzitutto  con
l'art. 7, comma 1, lettera b), del TUE, che esenta le opere pubbliche
da eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree
del demanio statale  e  opere  pubbliche  di  interesse  statale  dal
rispetto delle norme  del  titolo  del  TUE,  a  condizione  che  sia
accertata  la  «conformita'  con  le  prescrizioni  urbanistiche   ed
edilizie ai sensi del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  18
aprile 1994, n. 383, e successive modificazioni». Per altro verso, la
disposizione regionale contrasterebbe anche con l'art. 14,  comma  l,
del TUE, che non consente il rilascio di  permesso  di  costruire  in
deroga per le attivita' produttive.  Aggiunge  ancora  il  ricorrente
che, attraverso il  permesso  di  costruire  "temporaneo",  la  norma
censurata avrebbe inoltre introdotto un nuovo titolo abilitativo, non
previsto dalla legislazione statale, invadendo  cosi'  la  competenza
legislativa statale in materia di «governo  del  territorio»  di  cui
all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Va premesso che, sebbene  nelle  conclusioni  del  ricorso  siano
richiamati soltanto i commi 1, 2 e 6, il tenore delle censure investe
l'intero contenuto  dell'art.  9,  il  quale  delinea  la  disciplina
unitaria di un medesimo istituto. 
    5.1.- La questione e' fondata. 
    La disposizione impugnata contraddice, in primo luogo,  le  norme
statali che disciplinano il regime edilizio delle opere  pubbliche  e
di interesse pubblico (art. 7 del TUE). Per le «opere  pubbliche,  da
eseguirsi da amministrazioni statali o comunque  insistenti  su  aree
del demanio statale» e per le «opere pubbliche di interesse  statale,
da realizzarsi dagli enti  istituzionalmente  competenti,  ovvero  da
concessionari di servizi pubblici», oltre  a  non  essere  dovuto  il
contributo di costruzione  (art.  17,  comma  3,  del  TUE),  non  e'
necessario acquisire il permesso  di  costruire,  ne'  presentare  la
denunzia di inizio attivita' (art. 7, comma l, lettera b,  del  TUE),
essendo  prescritto,  in  luogo   di   essi,   l'accertamento   della
conformita' urbanistica ed edilizia delle opere, tramite lo specifico
procedimento  disciplinato  dal  d.P.R.  18  aprile  1994,   n.   383
(Regolamento recante disciplina dei  procedimenti  di  localizzazione
delle opere di interesse statale). 
    Mentre  dunque  la  norma  statale  non   prescrive   un   titolo
abilitativo per le opere pubbliche o di  interesse  pubblico,  ma  le
sottopone alla osservanza delle prescrizioni edilizie e  urbanistiche
tramite un apposito procedimento di controllo, la norma regionale  ha
coniato, per le medesime opere, un atto  di  assenso  "precario"  non
riconducibile ad alcuno  dei  "tipi"  disciplinati  dal  testo  unico
dell'edilizia. La violazione dell'art. 117, terzo  comma,  Cost.,  in
riferimento all'art. 7 del TUE non e', sotto  questo  primo  profilo,
contestabile. 
    5.2.- L'art. 9 della legge reg. Marche n. 17 del 2015 contraddice
anche l'art. 14  del  TUE  che  consente,  a  talune  condizioni,  il
rilascio  del  permesso  di  costruire  in  deroga  alla   disciplina
urbanistica ed edilizia. 
    Il permesso  di  costruire  in  deroga,  ai  sensi  del  comma  1
dell'art. 14 del TUE, puo' essere  rilasciato  solo  per  edifici  ed
impianti pubblici o di interesse pubblico, previa  deliberazione  del
Consiglio comunale, nel rispetto delle norme igieniche,  sanitarie  e
di sicurezza. Il permesso in deroga puo' riguardare esclusivamente  i
limiti  di  densita'  edilizia,  di  altezza  e  di  distanza  fra  i
fabbricati  di  cui  alle  norme  di   attuazione   degli   strumenti
urbanistici generali ed esecutivi e  puo'  essere  disposto  solo  se
sussiste uno specifico interesse pubblico  prevalente  rispetto  agli
interessi che hanno trovato  considerazione  e  riconoscimento  negli
atti di pianificazione territoriale (sul punto, Consiglio  di  Stato,
sezione quinta, 20 dicembre 2013, n. 6136). 
    La possibilita' di costruire in deroga agli strumenti urbanistici
generali, che l'art. 14, comma 1, del TUE riserva agli edifici e agli
impianti pubblici e di  interesse  pubblico,  e'  stata  recentemente
integrata da una nuova previsione (comma 1-bis), introdotta dall'art.
17, comma 1, lettera e),  del  decreto-legge  n.  133  del  2014.  In
particolare, per gli interventi di ristrutturazione edilizia, attuati
anche in aree industriali dismesse, e' prevista  la  possibilita'  di
costruire «anche  in  deroga  alle  destinazioni  d'uso».  La  previa
deliberazione del  Consiglio  comunale  che  ne  attesta  l'interesse
pubblico e' peraltro subordinata alla condizione che il mutamento  di
destinazione d'uso non comporti un aumento della  superficie  coperta
esistente prima del programmato intervento di ristrutturazione. 
    Alla luce di quanto esposto,  e'  evidente  che  l'autorizzazione
temporanea  introdotta   dalla   disposizione   regionale   censurata
contrasta sotto piu' profili con la disciplina statale  del  permesso
di costruire in deroga. 
    Le difformita' concernono: il procedimento, poiche' la disciplina
statale richiede una previa  deliberazione  del  Consiglio  comunale,
mentre l'art. 9 della legge reg. Marche n.  17  del  2015  stabilisce
soltanto che l'autorizzazione temporanea «e'  rilasciata  secondo  le
modalita' previste nel regolamento edilizio comunale»  (comma  3);  i
presupposti, in quanto la disciplina statale non prevede, come invece
la norma regionale, alcuna possibilita' di deroga per gli  interventi
edilizi riguardanti generiche «attivita' produttive», a meno che  non
si tratti di ristrutturazione edilizia (di  cui  all'art.  14,  comma
1-bis, del TUE); le finalita', in quanto l'istituto statale e'  volto
a  soddisfare  esigenze  costruttive  stabili  e  non  «esigenze   di
carattere improrogabile e transitorio  non  altrimenti  realizzabili»
(comma 1 dell'art. 9 della legge regionale); gli effetti,  in  quanto
il permesso disciplinato dall'art. 14 del TUE  consente  di  derogare
(in via definitiva) ai soli limiti di densita' edilizia, di altezza e
di distanza fra  i  fabbricati,  mentre  la  norma  regionale  sembra
autorizzare qualsivoglia difformita' rispetto alle  previsioni  degli
strumenti urbanistici comunali adottati o approvati. 
    Ne consegue che,  anche  sotto  questo  profilo,  il  legislatore
regionale ha introdotto una deroga non consentita al  regime  statale
dei  titoli  abilitativi,  il  quale  come   piu'   volte   ricordato
costituisce principio fondamentale della materia concorrente «governo
del territorio». 
    5.3.- Al di la' dei profili sopra esaminati, va rimarcato,  quale
ulteriore motivo di accoglimento della questione, che e' in ogni caso
precluso al legislatore  regionale  di  introdurre  atti  di  assenso
all'esecuzione di opere  edilizie  del  tutto  "atipici"  rispetto  a
quelli disciplinati dal testo  unico  dell'edilizia.  Il  regime  dei
titoli abilitativi - quanto a presupposti, procedimento ed effetti  -
costituisce principio  fondamentale  della  materia  concorrente  del
«governo del territorio»  rimesso  alla  potesta'  legislativa  dello
Stato. 
    6.- Secondo il Governo l'art. 12 della legge reg.  Marche  n.  17
del 2015 contrasta con l'art. 117, terzo comma, Cost., in riferimento
ai principi fondamentali delle materie «protezione civile» e «governo
del territorio» desunti dagli artt. 84 e  88  del  TUE.  Quest'ultimo
articolo, in particolare, riconoscerebbe soltanto al Ministro per  le
infrastrutture e i trasporti la  possibilita'  di  concedere  deroghe
all'osservanza  delle  norme  tecniche  di  costruzione  nelle   zone
considerate sismiche. 
    6.1.-  In   via   preliminare,   va   respinta   l'eccezione   di
inammissibilita'   prospettata   dalla   Regione   resistente,    sul
presupposto che il ricorso non chiarirebbe i  termini  del  contrasto
tra la norma censurata  e  i  principi  fondamentali  della  materia,
individuata indifferentemente nel «governo del  territorio»  e  nella
«protezione civile». 
    Il ricorso, sebbene molto conciso, rende  «ben  identificabili  i
termini  delle  questioni  proposte,  individuando  le   disposizioni
impugnate, i parametri evocati e le ragioni dei dubbi di legittimita'
costituzionale (sentenza n. 241  del  2012)»  (sentenza  n.  176  del
2015). In particolare, da esso si comprendono agevolmente  i  termini
del contrasto sollevato: il Governo ha evidentemente inteso censurare
le difformita', in termini di parametri costruttivi, tra il contenuto
della norma regionale e la  disciplina  statale  recante  i  principi
fondamentali della materia nel  settore  delle  costruzioni  in  zone
sismiche. 
    6.2.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    La  giurisprudenza  costituzionale  ha  costantemente  ricondotto
disposizioni di leggi regionali che incidono sulla  disciplina  degli
interventi edilizi in zone sismiche all'ambito materiale del «governo
del territorio» e a quello relativo alla «protezione  civile»  per  i
profili concernenti «la tutela dell'incolumita'  pubblica»  (sentenza
n. 254 del 2010). In entrambe le  materie,  di  potesta'  legislativa
concorrente, spetta allo Stato fissare i principi  fondamentali  (tra
le tante, sentenze n. 300 e n. 101 del 2013, n. 201 del 2012, n.  254
del 2010, n. 248 del 2009, n. 182 del 2006). La stessa giurisprudenza
assegna inoltre valenza di «principio fondamentale» alle disposizioni
contenute nel Capo IV della Parte II del  d.P.R.  n.  380  del  2001,
intitolato  «Provvedimenti  per  le   costruzioni   con   particolari
prescrizioni  per  le  zone  sismiche»,  che  prevedono   adempimenti
procedurali, quando questi ultimi  rispondano  a  esigenze  unitarie,
particolarmente pregnanti di fronte al rischio sismico. 
    La  disciplina  statale  che  rimette  a  decreti  del   Ministro
l'approvazione  delle  norme  tecniche  per  le  costruzioni  la  cui
sicurezza possa interessare la pubblica incolumita',  da  realizzarsi
in zone dichiarate sismiche (artt. 83  e  84  del  TUE),  costituisce
chiara espressione di un principio fondamentale, come tale vincolante
anche per le Regioni. Il legislatore statale ha  inteso  dettare  una
disciplina  unitaria  a   tutela   dell'incolumita'   pubblica,   con
l'obiettivo  di  garantire,  per  ragioni  di  sussidiarieta'  e   di
adeguatezza,  un  regime  unico,  valido  per  tutto  il   territorio
nazionale, in un settore  nel  quale  entrano  in  gioco  valutazioni
altamente tecniche. 
    Per le stesse ragioni,  anche  l'art.  88  del  TUE  -  il  quale
riconosce soltanto al Ministro per le infrastrutture e i trasporti la
possibilita' di concedere deroghe all'osservanza delle norme tecniche
di costruzione nelle zone considerate sismiche - esprime, secondo  la
giurisprudenza della Corte, un principio fondamentale  della  materia
(sentenza n. 254 del 2010). 
    La difesa regionale non coglie poi nel segno affermando  che  gli
artt. 84 e 88 del TUE  si  occuperebbero  dei  parametri  costruttivi
relativi alla costruzione di edifici in zone sismiche  con  esclusivo
riferimento agli  edifici  di  nuova  costruzione,  mentre  la  norma
regionale riguarderebbe interventi edilizi su edifici preesistenti. 
    L'intera normativa riguardante le opere da  realizzarsi  in  zone
dichiarate sismiche ha come punto di riferimento del  proprio  ambito
applicativo, non il concetto di nuova costruzione, bensi'  quello  di
«tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare  la
pubblica incolumita'» (art. 83 del TUE). Il legislatore applica cioe'
una nozione trasversale, indifferente e autonoma  rispetto  a  quella
utilizzata ai fini di altre classificazioni operanti nella disciplina
edilizia, e tale da essere tendenzialmente omnicomprensiva  di  tutte
le vicende in cui venga in questione la realizzazione  di  una  opera
edilizia rilevante per la pubblica incolumita' (Consiglio  di  Stato,
sezione quarta, 12 giugno 2009, n. 3706).  Pertanto,  la  circostanza
che l'opera da  realizzare  consista  in  interventi  sul  patrimonio
edilizio esistente non mette in dubbio il fatto che  possa  trattarsi
comunque di una costruzione da realizzarsi in zona sismica, e  quindi
ricompresa nell'ambito di applicazione degli artt. 84 e 88 del TUE. 
    Cio' premesso, l'art. 84 TUE non consente  che  l'art.  12  della
legge reg. Marche n. 17 del 2015 introduca deroghe per  l'inserimento
di (peraltro non meglio precisati) «elementi strutturali finalizzati,
nell'ambito di un progetto complessivo, a ridurre  la  vulnerabilita'
sismica  dell'intero  edificio».  Tanto  meno  consente   che   venga
introdotto un complesso rilevante di  deroghe  come  quello  previsto
nella  legge  regionale  impugnata,  consistenti  in:  incrementi  di
altezza; riduzioni delle distanze dal confine di proprieta';  mancato
computo ai fini del calcolo della volumetria delle  superfici,  delle
altezze e  delle  distanze;  possibilita'  di  rilasciare  il  titolo
abilitativo  in  difformita'  rispetto  a  quanto   stabilito   negli
strumenti urbanistici e nei regolamenti edilizi  comunali  (sia  pure
fatte  salve  eventuali  limitazioni  imposte  da  specifici  vincoli
storici,   ambientali,   paesaggistici,   igienico-sanitari   e    di
sicurezza);  inapplicabilita'  delle  disposizioni  in   materia   di
densita' edilizia e di altezza per le edificazioni nelle zone di tipo
E di cui agli articoli 7 e 8 del  decreto  del  Ministro  dei  lavori
pubblici 2 aprile 1968, n.  1444  (Limiti  inderogabili  di  densita'
edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi
tra spazi destinati agli insediamenti  residenziali  e  produttivi  e
spazi pubblici  o  riservati  alle  attivita'  collettive,  al  verde
pubblico o a parcheggi da osservare  ai  fini  della  formazione  dei
nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai
sensi dell'art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765). 
    7.- L'articolo 13 della legge reg. Marche n. 17 del 2015 in  tema
di recupero dei sottotetti degli edifici esistenti al 30 giugno 2014,
nella parte in cui non prevede il rispetto delle distanze  minime  di
cui al d.m. n. 1444 del 1968, violerebbe  secondo  il  ricorrente  la
competenza  legislativa  esclusiva  dello   Stato   in   materia   di
«ordinamento civile», di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost., in riferimento all'articolo 2-bis del TUE. 
    La medesima norma regionale inoltre, «ove prevede  di  consentire
l'agibilita'», contrasterebbe con l'art. 117, terzo comma, Cost.,  in
materia di «governo del territorio», in relazione agli artt. 24 e  25
del TUE che disciplinano il certificato di agibilita'. 
    7.1.-  L'eccezione  di  inammissibilita'  per  genericita'  delle
censure e' infondata,  in  quanto  le  questioni  sono  adeguatamente
motivate con l'indicazione degli elementi idonei a far comprendere il
senso della lamentata violazione dei parametri invocati. 
    7.2.- Nel merito, il contrasto tra la norma  regionale  e  l'art.
2-bis del TUE, non sussiste. 
    La norma regionale si limita a stabilire  che  «sono  consentiti,
anche in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici comunali,
il recupero a fini abitativi e  l'agibilita',  senza  modifica  della
sagoma dell'edificio, dei  sottotetti  esistenti  alla  data  del  30
giugno 2014, legittimamente realizzati o  condonati»,  purche'  siano
rispettati  una  serie  di  limiti   di   altezza   e   di   rapporto
"illuminotecnico". 
    Non solo  dunque  la  norma  non  autorizza  alcuna  deroga  alle
distanze minime tra fabbricati e agli  standard  urbanistici,  ma  si
deve ritenere che faccia salvo il rispetto di questi parametri,  come
e' confermato anche dall'art. 1, comma 3, della medesima  legge  reg.
Marche n. 17 del 2015, in  cui  l'art.  13  impugnato  si  inserisce,
secondo il quale: «[p]er quanto non previsto, si applica la normativa
statale vigente». 
    7.3.- Anche la questione di legittimita' costituzionale sollevata
in riferimento agli artt. 24 e 25 del TUE non e' fondata. 
    Avuto riguardo al suo tenore letterale, va escluso che  la  norma
impugnata elimini l'obbligo di sottoporre a controllo, attraverso  la
prescrizione  del  certificato  di  agibilita',  gli  interventi   di
recupero dei sottotetti che possono comportare un  sensibile  rischio
di peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie dell'edificio  o
degli impianti in questione. Essa va quindi logicamente  interpretata
nel  senso  che,  dal  punto  di  vista  edilizio,  il  recupero  dei
sottotetti - ove ne ricorrano i requisiti di igiene  e  salubrita'  -
consente di ottenere il certificato  di  agibilita',  ferma  restando
ovviamente la necessita' di conseguirne in concreto il rilascio.