ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3-ter,
comma  8-quater,  del  decreto-legge  22  dicembre   2011,   n.   211
(Interventi  urgenti  per  il  contrasto  della  tensione   detentiva
determinata dal  sovraffollamento  delle  carceri),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 17 febbraio 2012, n.
9 (recte: dell'art. 1, comma 1-quater,  del  decreto-legge  31  marzo
2014, n. 52, recante «Disposizioni urgenti in materia di  superamento
degli   ospedali   psichiatrici    giudiziari»,    convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 maggio  2014,  n.
81), promosso dal Giudice per le indagini preliminari  del  Tribunale
ordinario di Napoli nel procedimento penale a  carico  di  F.G.,  con
ordinanza del 21  maggio  2015,  iscritta  al  n.  187  del  registro
ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 9 novembre  2016  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del   Tribunale
ordinario di Napoli, con ordinanza del 21 maggio 2015  (r.o.  n.  187
del  2015),  ha  sollevato,   in   riferimento   all'art.   3   della
Costituzione, una questione di legittimita' costituzionale «dell'art.
3 ter, co.8 quater, DL 211 del 2011, conv.  con  modif.  in  L.9  del
2012, modificato dal DL 52 del 2014, conv, con  modif.  in  L.81  del
2014», nella parte in cui «stabilisce  che  le  misure  di  sicurezza
detentive, provvisorie  o  definitive,  compreso  il  ricovero  nelle
residenze per l'esecuzione delle misure  di  sicurezza,  non  possono
durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il
reato commesso, avuto riguardo alla previsione massima (...)». 
    Il giudice rimettente riferisce di dover sciogliere una  «riserva
di decidere» relativa a una persona indagata per i reati di cui  agli
artt. 337, 582, 61, numero 2),  e  635,  secondo  comma,  del  codice
penale, nei cui confronti il procedimento era stato sospeso  a  norma
dell'art. 71 del codice di procedura penale. Questa persona era stata
sottoposta alla misura  di  sicurezza  provvisoria  del  ricovero  in
ospedale psichiatrico giudiziario con  provvedimento  del  28  maggio
2005,  sempre  confermato  nel  corso  degli  anni,  ed  era   ancora
internata, pur essendo decorso il termine massimo fissato  dall'«art.
3 ter DL 211 del 2011, conv. con modif. in L.9 del  2012,  modificato
dal DL 52 del 2014, conv, con modif. in L.81 del 2014,  che  al  co.8
quater stabilisce che le misure di sicurezza detentive, provvisorie o
definitive, compreso il ricovero  nelle  residenze  per  l'esecuzione
delle  misure  di  sicurezza,  non  possono  durare  oltre  il  tempo
stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto
riguardo alla previsione massima (...)». 
    Secondo il giudice rimettente lo  stato  di  persona  socialmente
pericolosa dell'internato sarebbe «del tutto preoccupante», in quanto
dalla  relazione  semestrale  del  Dipartimento  di  salute   mentale
dell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli, del 4 ottobre 2014,
risultava che  il  medesimo  era  affetto  da  «psicosi  cronica  con
sintomatologia  delirante  di   grandezza,   fenomeni   allucinatori,
disorganizzazione del pensiero, assenza dei poteri di  critica  e  di
giudizio,  eteroaggressivita'  e  condotte   compulsive   alla   base
dell'iperfagia alimentare e dell'episodica ingestione di sostanze non
commestibili (pica), ipertensione  arteriosa,  broncopatia  asmatica,
tabagismo cronico,  obesita'  grave  (all'ingresso  oltre  kg.  200),
disturbi    strutturali     della     coscienza     (disorientamento,
distraibilita',  disturbi  mnesici,  incoerenza  ideativa),   mancata
autonomia alla cura di se' e dei propri spazi». 
    La successiva relazione psichiatrica del Dipartimento  di  salute
mentale del 25 marzo 2015 aveva confermato la situazione di  gravita'
psicopatologica  dell'internato,   precisando   che   sarebbe   stata
possibile la sua allocazione  «in  prosieguo»  presso  una  struttura
residenziale alternativa, purche'  avente  caratteristiche  di  «alta
intensita' assistenziale e [di] congrua disponibilita'  di  personale
specializzato». Secondo la stessa  relazione  non  vi  erano,  pero',
strutture sul territorio disponibili all'accoglienza  dell'internato,
ne' la sua famiglia aveva l'intenzione di accoglierlo in casa. 
    Cio' posto, la norma impugnata sarebbe irragionevole,  in  quanto
il  suo  fondamento  riposerebbe  su  interpretazioni  delle  vicende
sociali  che  «vengono  in  fatto  a  rivelarsi  fallaci  in   quanto
divergenti  dagli  accadimenti  della  quotidianita'».  Questa  norma
infatti ancorerebbe la cessazione della misura di sicurezza detentiva
alla pena edittale del reato per cui  e'  stata  applicata,  anziche'
alla cessazione della pericolosita' sociale, come disposto  dall'art.
206, secondo comma, cod. pen.  «(implicitamente  abrogato  "in  parte
qua" dalla predetta legge successiva)». Cosi' verrebbe applicato alle
misure di sicurezza un principio proprio delle  «misure  di  custodia
cautelare», secondo  il  quale  la  misura  cautelare  applicata  «va
sostituita quando non appare piu' proporzionata alla sanzione che  si
ritiene possa essere irrogata  (art.  299,  co.2  CPP)»,  ovvero  «la
custodia cautelare perde efficacia quando e' pronunciata sentenza  di
condanna, ancorche' sottoposta ad impugnazione, se  la  durata  della
custodia gia' subita non e' inferiore alla pena  irrogata  (art.  300
co.4 CPP), e quindi, a maggior ragione, quando la custodia  cautelare
sia superiore alla pena edittale massima prevista per quel reato». 
    Le misure cautelari avrebbero, pero',  una  funzione  diversa  da
quella delle misure di sicurezza. Le prime tenderebbero a scongiurare
l'inquinamento probatorio, il pericolo di fuga o la reiterazione  dei
reati; le seconde sarebbero volte a curare il  malato  di  mente,  in
quanto la malattia ne determinerebbe la pericolosita' sociale. 
    L'avere equiparato le due situazioni significherebbe prevedere un
uguale trattamento per situazioni diverse. La norma impugnata sarebbe
irragionevole  pure  perche'  non   consentirebbe   in   alcun   modo
l'applicazione di altre misure, «anche detentive, se del  caso,  come
quello in esame, [idonee] ad assicurare alla persona inferma di mente
cure adeguate ed a contenere  la  pericolosita'  sociale,  misure  di
sicurezza previste  [...]  dal  co.4  da  eseguirsi  nelle  strutture
sanitarie   previste   dal   co.2   fino   alla   cessazione    della
pericolosita'». 
    La questione inoltre sarebbe rilevante, dato che il  procedimento
in oggetto non potrebbe essere definito indipendentemente  dalla  sua
risoluzione; il giudice infatti dovrebbe scegliere tra l'inosservanza
della legge impugnata, «sia pure per stato di necessita', e non  piu'
procrastinabile per la chiusura degli OPG», e la messa in liberta' di
una persona socialmente  pericolosa.  Sulla  rilevanza  non  potrebbe
incidere la sentenza n. 45 del 2015, con la  quale  questa  Corte  ha
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  159,   primo
comma, cod. pen.,  rendendo  possibile  l'estinzione  del  reato  per
prescrizione nel caso, come  quello  in  esame,  di  sospensione  del
procedimento per incapacita' dell'imputato quando e' accertato che la
situazione e' irreversibile. 
    Il giudice rimettente precisa che l'internato in via  provvisoria
era affetto da uno stato mentale patologico irreversibile,  anteriore
al 2000, per cui sarebbe maturata nei suoi confronti la  prescrizione
del reato, ma a norma dell'art.  205  cod.  pen.  «andrebbe  comunque
applicata la misura di sicurezza». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile per
difetto di rilevanza. 
    L'Avvocatura sostiene che il giudice rimettente e' incorso in una
palese aberratio ictus, avendo sottoposto a scrutinio della Corte una
disposizione legislativa non pertinente  rispetto  all'oggetto  delle
censure e non conferente rispetto al thema decidendum. 
    Il giudice a quo avrebbe  infatti  erroneamente  individuato  nel
«comma 8-quater dell'art. 3 ter del decreto legge n.  211  del  2011,
convertito in legge, con modificazioni, dalla legge  n.  9  del  2012
(come modificato dal decreto-legge n.  52  del  2014,  convertito  in
legge con modificazioni, dalla legge  n.  81/2014)»  la  disposizione
oggetto  di  censura,  anziche'  nell'art.  1,  comma  1-quater,  del
decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52 (Disposizioni urgenti  in  materia
di superamento degli ospedali psichiatrici  giudiziari),  convertito,
con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 maggio  2014,
n. 81, il quale ha effettivamente previsto che la durata delle misure
di sicurezza detentive non puo' eccedere il  massimo  edittale  della
pena comminata per il reato commesso. 
    Stante l'estraneita' della disposizione  denunciata  rispetto  al
thema  decidendum  demandato  all'esame  della   Corte,   l'eventuale
accoglimento  della  questione  di  legittimita'  costituzionale  non
avrebbe alcuna incidenza sul giudizio a  quo,  e  di  conseguenza  la
questione sarebbe inammissibile. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 21 maggio 2015 (r.o. n. 187 del  2015),  il
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Napoli
ha sollevato, in  riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,  una
questione di  legittimita'  costituzionale  «dell'art.  3  ter,  co.8
quater, DL 211 del 2011, conv. con modif. in L.9 del 2012, modificato
dal DL 52 del 2014, conv, con modif. in L.81 del 2014»,  nella  parte
in cui «stabilisce che le misure di sicurezza detentive,  provvisorie
o definitive, compreso il ricovero nelle residenze  per  l'esecuzione
delle  misure  di  sicurezza,  non  possono  durare  oltre  il  tempo
stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto
riguardo alla previsione massima (...)». 
    Secondo il giudice a quo la disposizione impugnata, imponendo  la
cessazione  della  misura  di  sicurezza  detentiva   nonostante   la
persistente pericolosita'  sociale,  anche  elevata,  dell'internato,
sarebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto applicherebbe alle
misure di sicurezza detentive, provvisorie o definitive, un principio
proprio delle «misure di custodia  cautelare»,  cosi'  da  equiparare
situazioni diverse e misure caratterizzate da una  diversa  funzione.
La   disposizione   sarebbe   inoltre   irragionevole   perche'   non
consentirebbe di disporre «altre  misure  idonee,  anche  detentive»,
atte ad assicurare alla persona inferma di mente cure  adeguate  e  a
contenerne la pericolosita' sociale. 
    2.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita' della questione,  perche'  il  giudice  rimettente
sarebbe incorso in una palese aberratio ictus,  avendo  sottoposto  a
scrutinio della Corte una  disposizione  legislativa  non  pertinente
rispetto all'oggetto delle censure. 
    3.- L'eccezione e' priva di fondamento. 
    Il giudice a quo, nell'impugnare «l'art. 3 ter, co.8  quater,  DL
211 del 2011, conv. con modif. in L.9 del 2012, modificato dal DL  52
del 2014, conv, con modif. in L.81 del 2014», ha fatto riferimento  a
un comma del citato  art.  3-ter  che  non  esiste,  ma  ha  indicato
esattamente il contenuto testuale della  disposizione  che  intendeva
sottoporre all'esame della  Corte,  riportandone  con  precisione  le
parole. Si tratta dell'art. 1, comma 1-quater, del  decreto-legge  31
marzo 2014, n. 52 (Disposizioni urgenti  in  materia  di  superamento
degli   ospedali   psichiatrici    giudiziari),    convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 maggio  2014,  n.
81, che  e'  cosi'  formulato:  «Le  misure  di  sicurezza  detentive
provvisorie o definitive, compreso il ricovero  nelle  residenze  per
l'esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare  oltre  il
tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso,
avuto riguardo alla previsione edittale massima [...]». 
    E' chiaro dunque che il giudice ha commesso un  errore  materiale
nell'indicare gli estremi legislativi della norma censurata, ma  cio'
non preclude l'ammissibilita' della questione, dato che  l'ordinanza,
riportandone  il  testo  esatto,  consente   l'individuazione   della
disposizione censurata (sentenza n. 307 del 2009). 
    4.-  La  norma  impugnata  e'  diretta  a  evitare  i  cosiddetti
ergastoli  bianchi,  cui  puo'  dar  luogo  la  permanenza  a   tempo
indeterminato in strutture detentive per l'esecuzione delle misure di
sicurezza, e pone cosi' fine a situazioni  in  cui  per  l'infermita'
mentale, anche nel caso di commissione di reati di modesta  gravita',
persone senza supporti familiari o  sociali  rimanevano  perennemente
private della loro liberta' in un contesto di natura penale. E'  vero
pero'  che  la   situazione   sottoposta   dal   giudice   rimettente
all'attenzione della Corte desta effettivamente  preoccupazione,  per
la mancanza sul  territorio  di  strutture  idonee  a  soddisfare  le
esigenze di cura e di controllo delle persone socialmente  pericolose
rimesse in liberta'. 
    Cio' premesso la questione, anche se per una ragione  diversa  da
quella  indicata  dall'Avvocatura  generale  dello   Stato,   risulta
inammissibile. 
    Il giudice rimettente ricorda che questa Corte, con  la  sentenza
n.  45  del  2015,  ha  dichiarato  «l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 159, primo comma, del codice penale, nella  parte  in  cui,
ove lo stato mentale dell'imputato sia tale da impedirne la cosciente
partecipazione al procedimento e questo venga sospeso, non esclude la
sospensione della prescrizione quando e' accertato che tale stato  e'
irreversibile». Per effetto di questa sentenza «nel caso in esame  e'
ormai maturata la prescrizione»,  e  secondo  il  giudice  rimettente
l'avvenuta  estinzione  del  reato  andrebbe  «dichiarata  ai   sensi
dell'art. 129 cpp e degli artt. 70 co.1 e 71  co.1  cpp»,  e  inoltre
«andrebbe comunque applicata la misura di sicurezza a norma dell'art.
205 co.1 CP». 
    Queste parole significano che per il giudice rimettente,  se  non
fosse di ostacolo la norma impugnata (che impone la cessazione  della
misura di sicurezza detentiva quando  e'  superata  la  durata  della
«pena  detentiva  prevista  per   il   reato   commesso»),   dovrebbe
pronunciarsi una sentenza di non doversi procedere, per  l'estinzione
del reato, alla quale, per far fronte alla  perdurante  pericolosita'
sociale dell'indagato, dovrebbe fare seguito l'applicazione,  in  via
definitiva, della misura di sicurezza detentiva. 
    Questa conclusione pero' e' priva di fondamento. 
    Innanzi tutto va rilevato che, a quanto si desume  dall'ordinanza
di rimessione, il procedimento  si  trova  ancora  nella  fase  delle
indagini preliminari e il giudice rimettente  non  spiega  per  quale
ragione ritiene che queste debbano concludersi con  una  sentenza  di
proscioglimento, ai sensi  dell'art.  129  del  codice  di  procedura
penale (norma generalmente considerata inapplicabile nella fase delle
indagini), anziche' con un provvedimento di archiviazione,  ai  sensi
dell'art. 411 cod. proc. pen.; inoltre il giudice non  considera  che
le misure di sicurezza definitive non possono essere applicate  nella
fase delle indagini preliminari e neppure,  eccettuata  la  confisca,
all'esito dell'udienza preliminare (art. 425,  comma  4,  cod.  proc.
pen.). 
    In  ogni  caso  e'  decisiva  l'osservazione  che  le  misure  di
sicurezza non sono applicabili con una pronuncia  di  proscioglimento
per estinzione del reato. 
    L'art.  205,  primo  comma,  del  codice  penale,  al  quale   fa
riferimento il giudice rimettente, nel declinare la  regola  generale
che le misure di sicurezza «sono ordinate dal  giudice  nella  stessa
sentenza di condanna o di proscioglimento», non  puo'  riguardare  il
caso in questione. 
    Come e' stato  chiarito  dalla  giurisprudenza  di  legittimita',
«Nessuna delle misure di sicurezza tra quelle indicate tassativamente
dagli artt. 215 e 236 cod. pen., in  relazione  all'art.  199  stesso
codice, puo' essere applicata [alla persona che sia stata prosciolta]
per una causa diversa da quelle previste espressamente dagli artt. 49
(reato impossibile), 115 (istigazione  ed  accordo  a  commettere  un
delitto),  222  (reato  commesso  da  persona  non   imputabile   per
infermita' mentale e situazioni  a  queste  equiparate),  224  (reato
commesso da minore degli  anni  quattordici)  cod.  pen.,  in  quanto
presupposto indefettibile delle misure di sicurezza - compresa quella
della liberta' vigilata che ha carattere generale  -  prev[iste]  dal
codice penale e' l'esistenza di una sentenza di  condanna  (salvo  il
disposto dell'art. 205 comma secondo in relazione all'art.  109  cod.
pen.)» (Corte di cassazione, prima sezione penale, 15 marzo 1990,  n.
686, rv. 184328). 
    L'applicazione delle misure di  sicurezza  presuppone  di  regola
l'accertamento della commissione  del  reato  per  il  quale  si  sta
procedendo, accertamento che non avviene nel caso di  estinzione  del
reato per prescrizione. Percio' l'art. 205 cod. pen., nel  richiamare
la sentenza di  proscioglimento,  non  puo'  riferirsi  a  quella  di
estinzione del reato, che infatti  e'  regolata  dall'art.  210  cod.
pen., con la previsione che tale causa di proscioglimento  «impedisce
l'applicazione delle misure di sicurezza». 
    In  coerenza  con  questa  regola  l'art.  312  cod.  proc.  pen.
stabilisce  che  puo'  essere  applicata  la  misura   di   sicurezza
provvisoria quando non ricorrono  le  condizioni  previste  dall'art.
273, comma 2,  cod.  proc.  pen.,  il  quale,  tra  l'altro,  esclude
l'applicazione delle misure  cautelari  «se  sussiste  una  causa  di
estinzione del reato». 
    Percio',  una  volta  sopravvenuta  l'estinzione  del  reato  per
prescrizione, le  misure  di  sicurezza,  provvisorie  o  definitive,
risultavano inapplicabili, indipendentemente da quanto previsto dalla
norma impugnata in merito alla loro durata. 
    Deve quindi concludersi che la  questione  proposta,  riguardando
una  norma  della  quale  il  giudice  rimettente   non   deve   fare
applicazione, e' inammissibile per difetto di rilevanza (sentenza  n.
192 del 2015; ordinanza n. 264 del 2015).