ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 8
e 9,  della  legge  della  Regione  Puglia  10  aprile  2015,  n.  17
(Disciplina della  tutela  e  dell'uso  della  costa),  promosso  dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 12-16
giugno 2015, depositato il 15 giugno 2015 ed iscritto al  n.  63  del
registro ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Puglia; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  10  gennaio  2017  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    uditi l'avvocato dello Stato Gianna Galluzzo  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Leonilde Francesconi  per  la
Regione Puglia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 12-16 giugno 2015 e  depositato  il
15 giugno 2015  (reg.  ric.  n.  63  del  2015),  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all'art. 117, primo
e  secondo  comma,  lettera  e),  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 8 e  9,  della  legge
della Regione Puglia 10 aprile 2015, n. 17 (Disciplina della tutela e
dell'uso della costa). 
    1.1.- L'Avvocatura generale dello Stato  premette  che  la  legge
reg. Puglia n. 17 del  2015  disciplina  l'esercizio  delle  funzioni
amministrative connesse alla gestione del demanio marittimo  e  delle
zone del mare territoriale, individuando le  funzioni  trattenute  in
capo alla Regione e quelle  conferite  ai  Comuni  nell'ambito  della
gestione integrata della costa, definita dall'art. 1, comma 2,  della
stessa legge regionale quale «concorso della pluralita' di  interessi
pubblici, ai diversi livelli territoriali,  nella  valutazione  delle
azioni programmatiche finalizzate all'uso, alla valorizzazione e alla
tutela del bene demaniale marittimo». 
    In tale contesto, l'art.  14  della  legge  regionale,  rubricato
«[n]orme di salvaguardia e direttive per la pianificazione costiera»,
ai commi 8 e 9, disciplina le concessioni demaniali. 
    In particolare, il comma 8 dell'articolo citato prevede che  «[i]
PCC [Piani comunali delle coste], compatibilmente con  gli  indirizzi
del PRC [Piano regionale delle coste] di cui al comma 2 dell'articolo
3 e le direttive e norme di salvaguardia di cui ai commi 1, 2, 3,  5,
6 e 10 del presente articolo,  individuano  nella  quota  concedibile
l'intera superficie o parte di essa non inferiore  al  50  per  cento
delle aree demaniali in concessione,  confermandone  la  titolarita',
fatte salve le circostanze di revoca e decadenza di cui  all'articolo
12. Il Piano, anche in deroga ai limiti di cui al comma 5,  individua
apposite aree demaniali da destinare alla  variazione  o  traslazione
dei titoli concessori in contrasto con il PCC». 
    Secondo  la  ricostruzione  del  ricorrente,  tale   disposizione
consentirebbe ai Comuni di confermare  (salvo  i  casi  di  revoca  o
decadenza) la titolarita' di  almeno  il  50  per  cento  delle  aree
demaniali in concessione e di individuare aree demaniali da assegnare
direttamente (con provvedimento di «variazione» o  «traslazione»)  ai
titolari di concessioni divenute in contrasto con il  Piano  comunale
delle coste. 
    Il comma 9, invece, prevede che  «[i]l  PCC,  nelle  disposizioni
transitorie volte a disciplinare le modalita'  di  adeguamento  dello
stato dei luoghi  antecedenti  alla  pianificazione,  salvaguarda  le
concessioni in essere fino alla scadenza del termine della proroga di
cui all'articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009,  n.
194, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative,
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010,  n.  25,
salve le esigenze di sicurezza». 
    Nella prospettazione del ricorrente, questa disposizione  sarebbe
volta a salvaguardare le concessioni in essere fino alla scadenza del
termine della proroga al 31 dicembre 2015 (recte: 31  dicembre  2020,
per effetto  della  modifica  apportata  dall'art.  34-duodecies  del
decreto-legge 18 ottobre 2012,  n.  179,  recante  «Ulteriori  misure
urgenti per la crescita del Paese», convertito dall'art. 1, comma  1,
della legge 17 dicembre 2012, n. 221), prevista  dall'art.  1,  comma
18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194  (Proroga  di  termini
previsti da disposizioni legislative), convertito dall'art. 1,  comma
1, della legge 26 febbraio 2010, n. 25. 
    Secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  le   disposizioni
impugnate,  determinando  restrizioni  e   distorsioni   dell'assetto
concorrenziale,   sarebbero   «in   contrasto    con    i    principi
dell'ordinamento     comunitario»,     presentando     profili     di
incostituzionalita' per violazione dell'art. 117, primo comma  (nella
parte in cui prevede che la legislazione regionale  si  esercita  nel
rispetto  dei  vincoli  derivanti  dall'ordinamento  comunitario)   e
secondo comma,  lettera  e),  Cost.,  essendo  invasa  la  competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di concorrenza. 
    In particolare, quanto al comma 8, la conferma della  titolarita'
delle  aree  demaniali  in  concessione  determinerebbe,  secondo  il
ricorrente, anche per le concessioni demaniali da  riassegnare  sulla
base  del  nuovo  PCC,  «un   vantaggio   competitivo   rispetto   al
concessionario  esistente»,  configurando  un  meccanismo  analogo  a
quello che  caratterizzava  il  cosiddetto  «diritto  di  insistenza»
previsto dall'art. 37, secondo comma, del codice  della  navigazione,
abrogato a seguito di una procedura di infrazione  comunitaria.  Tale
art. 37, secondo comma, cod. nav. prevedeva  (prima  delle  modifiche
apportate dal d.l. n. 194 del 2009) che, per  il  rilascio  di  nuove
concessioni demaniali marittime per  attivita'  turistico-ricreative,
venisse  data  preferenza  (oltre  alle  richieste  che  importassero
attrezzature non fisse e  completamente  amovibili,  come  e'  ancora
attualmente consentito)  anche  «alle  precedenti  concessioni,  gia'
rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze». 
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato  ricorda  che   quest'ultima
disposizione fu modificata proprio in funzione  del  superamento  del
diritto di insistenza, che  la  Commissione  europea  aveva  ritenuto
ostativo alla piena  attuazione  della  concorrenza  e  del  corretto
funzionamento del mercato, dando luogo all'apertura  della  procedura
di infrazione n. 2008/4908. 
    Secondo la difesa statale, la norma ora introdotta dalla  Regione
Puglia si porrebbe in  contrasto  con  l'art.  49  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), che  vieta  le  restrizioni
alla liberta' di stabilimento dei cittadini  dell'Unione,  e  con  il
piu' generale principio della concorrenza, desumibile dagli artt.  3,
101, 102 e 106 TFUE. La disposizione sarebbe, inoltre,  in  contrasto
con l'art. 12  della  direttiva  12  dicembre  2006,  n.  2006/123/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi
nel mercato  interno),  che  vieta  forme  di  rinnovo  automatico  o
preferenza nella selezione del concessionario. 
    Osserva l'Avvocatura generale  dello  Stato  che,  attraverso  le
concessioni  demaniali  marittime,  si  fornisce   «un'occasione   di
guadagno a soggetti operanti nel mercato», per cui, una volta scaduto
il titolo, occorre provvedere alla riassegnazione del  bene  mediante
procedimenti  competitivi:  sicche'  la  proroga  disposta  ex   lege
determinerebbe  una  illegittima  sottrazione  delle  concessioni  al
mercato. 
    Anche il comma 9 dell'art. 14 della legge regionale impugnata,  a
giudizio  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  risulterebbe   in
contrasto con gli evocati parametri costituzionali,  nella  parte  in
cui proroga automaticamente le concessioni in  scadenza,  nelle  more
dell'adeguamento della  nuova  normativa  regionale,  ricalcando  una
disposizione statale (l'art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del  2009),
che, in  considerazione  del  suo  contrasto  con  i  principi  della
concorrenza, ha provocato una procedura di  infrazione  ed  e'  stata
oggetto  di  un  rinvio  pregiudiziale  alla   Corte   di   giustizia
dell'Unione europea (e' citata la causa C-67/15). 
    La disposizione in esame, oltre a porsi in contrasto  con  l'art.
49 TFUE e con il principio della concorrenza, desumibile dagli  artt.
3, 101, 102 e 106 TFUE, violerebbe anche l'art.  12  della  ricordata
direttiva 2006/123/CE,  che  vieta  forme  di  rinnovo  automatico  o
preferenza  nella  selezione  del  concessionario,  impone  procedure
selettive  di  gara  per  l'attribuzione  della   titolarita'   delle
concessioni e prevede che queste ultime abbiano una durata  adeguata,
ma limitata, con esclusione di qualsiasi forma di rinnovo automatico,
di preferenza  del  concessionario  uscente  (cosiddetto  diritto  di
insistenza), o di altri vantaggi a questi o a persone  che  con  tale
prestatore abbiano particolari legami. 
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato  ricorda,  infine,   che   i
«principi proconcorrenziali della  Direttiva  Servizi»  si  ritrovano
anche nella direttiva del 26 febbraio 2014, n. 2014/23/UE  (Direttiva
del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio  sull'aggiudicazione  dei
contratti di  concessione),  in  quanto  entrambe  prevedono  che  le
concessioni  siano  assegnate  a  seguito  di  selezioni   pubbliche,
trasparenti e non discriminatorie, abbiano una durata  limitata,  non
eccessivamente lunga e proporzionata agli investimenti,  al  fine  di
non precludere l'accesso al mercato e di  non  ostacolare  la  libera
concorrenza. 
    2.- La Regione Puglia, in persona  del  Presidente  della  Giunta
regionale, si e' costituita in giudizio, chiedendo che  le  questioni
siano dichiarate non fondate. 
    Ad avviso della difesa regionale, i commi  8  e  9  dell'art.  14
della legge regionale impugnata dovrebbero essere  interpretati  alla
luce del contesto complessivo delle disposizioni di cui all'art.  14,
inserito nel Titolo Terzo della legge regionale, dedicato alle  norme
transitorie e finanziarie. 
    Tali commi non avrebbero affatto il significato  che  viene  loro
attribuito dal ricorrente, quello cioe' di reinserire  il  cosiddetto
diritto di insistenza, definitivamente  abbandonato  dal  legislatore
statale nel sistema delle concessioni demaniali. 
    Ricorda la difesa regionale  che  il  citato  art.  14,  nel  suo
insieme, introduce indirizzi per la pianificazione costiera regionale
e comunale. Il comma 5 di tale articolo, in particolare, prevede  che
una percentuale non inferiore al 60 per cento della  linea  di  costa
utile, cosi' come definita al successivo comma 6,  sia  riservata  al
pubblico uso, in  armonia  con  i  principi  generali  dettati  dalla
legislazione statale - art. 1, comma 254,  della  legge  27  dicembre
2006, n. 296, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato  (legge  finanziaria  2007)»  -  in
materia di predisposizione da  parte  delle  Regioni  dei  cosiddetti
piani di utilizzazione, e cioe' di corretto equilibrio  tra  le  aree
concesse a soggetti  privati  e  gli  arenili  liberamente  fruibili,
nonche' di libero accesso alla battigia. 
    Di  conseguenza,  ciascun  Comune  costiero,  cui  la  disciplina
regionale conferisce le  funzioni  di  gestione  in  materia,  potra'
destinare al massimo il 40 per  cento  della  linea  di  costa  utile
all'uso cosiddetto discriminato (ad esempio, per  l'installazione  di
uno stabilimento balneare) da assentire per  mezzo  del  rilascio  di
concessioni amministrative. 
    In  tal  modo,  l'esatta  individuazione  delle  zone   demaniali
concedibili e' demandata alla  pianificazione  comunale,  secondo  un
criterio   oggettivo   indicato   dalla   pianificazione   regionale,
improntato al prevalente interesse pubblico alla tutela del paesaggio
e dell'ambiente. 
    Esistono, tuttavia - secondo la difesa regionale - Comuni che, in
forza di concessioni rilasciate in  passato,  presentano  livelli  di
utilizzo della costa di gran lunga superiori rispetto al  limite  del
40 per cento stabilito dalla legge  regionale:  essi,  evidentemente,
per  rientrare  nella  quota  massima  concedibile,  devono   ridurre
l'estensione delle aree gia'  oggetto  di  concessioni  in  corso.  E
proprio a questo scopo, osserva la difesa regionale, il comma  8  del
citato  art.  14   introduce   un   criterio   da   applicare   nella
pianificazione comunale, onde evitare fenomeni di discriminazione. La
disposizione  prevede,  infatti,  che,  in  fase  di  pianificazione,
ciascuna delle superfici oggetto delle concessioni  in  essere  debba
essere ridotta  fino  ad  un  massimo  del  50  per  cento.  Per  non
compromettere       l'equilibrio        economico        dell'azienda
turistico-ricreativa interessata, la disposizione inoltre conferma (e
non gia' rinnova) la concessione vigente, perche' non ancora scaduta,
per la restante consistenza. 
    La norma impugnata, in sostanza, stabilirebbe  che,  in  caso  di
superamento (a livello di linea della  costa  comunale)  della  quota
concedibile, il PCC debba fissare  il  criterio  di  rientro,  scelto
liberamente dal Comune costiero,  con  l'unico  limite  rappresentato
proprio dalle previsioni del comma 8 dell'art. 14, il  quale  dispone
che alle concessioni vigenti puo' essere sottratto al massimo  il  50
per cento della consistenza originaria. 
    Osserva ancora la difesa regionale che la disposizione  impugnata
introdurrebbe una previsione a  danno  del  concessionario  e  non  a
vantaggio dello stesso, poiche'  questi  potrebbe  subire  la  revoca
parziale della concessione ancora in corso e non scaduta, e cioe'  la
riduzione fino al 50  per  cento  dell'area  oggetto  della  medesima
concessione. Tale riduzione sarebbe, del resto, correlata al disposto
dell'art. 42 cod. nav., che consente la revoca, anche parziale, della
concessione, «in  caso  di  necessita'  determinata  da  una  diversa
valutazione del pubblico interesse». 
    Quanto al comma 9 dell'art. 14, anch'esso impugnato,  secondo  la
difesa regionale tale disposizione «giustifica anche sotto il profilo
normativo quanto stabilito dal precedente comma 8», in quanto prevede
che tale operazione di riequilibrio (tra spiaggia libera  e  spiaggia
in concessione), stante la norma statale che ha  prorogato  tutte  le
concessioni  demaniali  marittime  fino  all'anno  2020,  non   possa
comportare la soppressione totale  delle  concessioni  vigenti  prima
della loro naturale scadenza, salve esigenze di sicurezza. 
    In altre parole, la  disposizione  censurata  legittimerebbe  una
revoca solo parziale (e non totale) della concessione, tenendo  conto
della  volonta'  del  legislatore   statale,   che,   prorogando   le
concessioni in corso, ha inteso salvaguardare gli investimenti  degli
imprenditori balneari, «nelle more del procedimento di revisione  del
quadro normativo in materia di rilascio  delle  concessioni  di  beni
demaniali marittimi con finalita' turistico-ricreativa». 
    Le norme regionali impugnate non  violerebbero  il  principio  di
evidenza pubblica e, dunque, le  norme  comunitarie,  in  quanto  non
prevedono il rilascio di una nuova concessione (disciplinata, invece,
dall'art. 8 della medesima legge reg. Puglia n. 17 del 2015), ne'  un
rinnovo automatico, non essendo applicabili ai casi di  scadenza  del
titolo   originario.   Al   contrario,   esse   introdurrebbero   una
rimodulazione, in riduzione, della superficie  delle  concessioni  in
corso, senza alcuna invasione della competenza legislativa  esclusiva
dello  Stato:   nell'ambito   della   pianificazione   costiera,   le
disposizioni in questione  sarebbero  esclusivamente  destinate  alla
disciplina del processo pianificatorio in atto nella Regione  Puglia,
teso al raggiungimento di un equilibrio tra uso del demanio marittimo
e sua libera accessibilita'. 
    2.1.- Con memoria depositata il  16  dicembre  2016,  la  Regione
Puglia  ha  ribadito  le  difese   gia'   articolate   nell'atto   di
costituzione in giudizio. Evidenzia, tuttavia, che, con sentenza  del
14 luglio 2016 (cause  riunite  C-458/14  e  C-67/15),  la  Corte  di
giustizia  dell'Unione  europea  ha  ritenuto  che   l'articolo   12,
paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE deve essere interpretato
nel senso che osta  a  una  misura  nazionale,  come  quella  di  cui
all'art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del  2009,  come  convertito  e
successivamente modificato, che prevede la proroga  automatica  delle
autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per  attivita'
turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di  selezione
tra i potenziali candidati. In considerazione del fatto che il  comma
9 dell'art. 14 della legge reg. Puglia  n.  17  del  2015,  impugnato
dallo Stato, rinvia espressamente alla disposizione  statale  oggetto
della  indicata  decisione  della  Corte  di  giustizia   dell'Unione
europea, la difesa regionale - pur rilevando  che,  a  tutt'oggi,  la
norma statale non risulta ne' abrogata ne' modificata  -  ha  rimesso
alla Corte costituzionale ogni valutazione in ordine alle conseguenze
che  la  sentenza  della  Corte   europea   puo'   comportare   sulla
disposizione regionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  in  riferimento
all'articolo  117,  primo  e  secondo  comma,   lettera   e),   della
Costituzione, ha sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 14, commi 8 e 9, della legge della Regione Puglia 10 aprile
2015, n. 17 (Disciplina della tutela e dell'uso della costa). 
    Nell'ambito  della  normativa  regionale  volta  a   disciplinare
l'esercizio delle funzioni amministrative connesse alla gestione  del
demanio marittimo, l'art. 14, comma 8, della legge reg. Puglia n.  17
del 2015, secondo la ricostruzione del ricorrente,  consentirebbe  ai
Comuni di confermare (salvo i casi di revoca o decadenza),  a  favore
degli originari concessionari, la titolarita' di  almeno  il  50  per
cento delle aree demaniali gia' attribuite  in  concessione,  laddove
tali  concessioni  risultino  non  conformi  al  sopravvenuto   Piano
comunale delle coste (d'ora  in  avanti:  PCC).  Inoltre,  la  stessa
disposizione  autorizzerebbe  i  Comuni  ad  individuare  nuove  aree
demaniali  da  assegnare  direttamente  in  concessione,   attraverso
provvedimenti di «variazione» o «traslazione», agli  stessi  titolari
delle concessioni rivelatesi in contrasto con il PCC.  In  tal  modo,
sarebbe garantito un indebito vantaggio ai soggetti gia' titolari  di
concessione, attraverso l'introduzione di una disciplina  analoga  al
cosiddetto  «diritto   di   insistenza»,   originariamente   previsto
dall'art. 37,  secondo  comma,  del  codice  della  navigazione:  una
disposizione, osserva l'Avvocatura generale dello Stato,  abrogata  a
seguito di procedura di infrazione  comunitaria  proprio  perche'  in
contrasto con l'art. 49 del Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea  (TFUE),  che  vieta  le   restrizioni   alla   liberta'   di
stabilimento dei cittadini dell'Unione,  e  con  il  principio  della
concorrenza, desumibile dagli artt. 3, 101, 102 e 106 TFUE, oltre che
con l'art. 12  della  direttiva  12  dicembre  2006,  n.  2006/123/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi
nel mercato interno), che non consente forme di rinnovo automatico  o
di preferenza nella selezione dei concessionari. 
    L'art. 14, comma 9, della legge reg. Puglia n. 17 del  2015,  per
parte sua, disporrebbe la salvaguardia delle  concessioni  in  essere
fino alla scadenza del termine della proroga  prevista  dall'art.  1,
comma 18, del decreto-legge 30 dicembre  2009,  n.  194  (Proroga  di
termini previsti da disposizioni legislative),  convertito  dall'art.
1, comma 1, della legge 26 febbraio 2010, n. 25, attualmente  fissata
al 31 dicembre 2020,  per  effetto  della  modifica  apportata,  alla
disposizione   appena   ricordata,   dall'art.    34-duodecies    del
decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure  urgenti  per
la crescita del Paese), convertito dall'art. 1, comma 1, della  legge
17 dicembre 2012, n. 221. 
    In una materia attribuita alla competenza esclusiva dello Stato -
quale la «tutela  della  concorrenza»  -  la  disposizione  regionale
riprodurrebbe una disposizione statale (l'art. 1, comma 18, del  d.l.
n. 194 del 2009), in lesione dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera
e), Cost. Inoltre, evidenzia l'Avvocatura generale dello Stato,  tale
disposizione statale e'  oggetto  di  procedura  di  infrazione,  «in
considerazione della sua contrarieta' ai principi della concorrenza»,
poiche' introduce una proroga di concessioni demaniali  in  scadenza,
senza  alcuna  selezione  aperta,  pubblica  e  trasparente  tra  gli
operatori interessati, come invece richiesto dai principi europei. 
    Secondo  la  difesa  statale,  in  definitiva,  le   disposizioni
ricordate   determinerebbero   restrizioni   e   distorsioni    della
concorrenza, in contrasto con i principi dell'ordinamento  europeo  e
percio' in violazione dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.  Inoltre,
sarebbe invasa la competenza legislativa  esclusiva  dello  Stato  in
materia di «tutela della  concorrenza»,  in  violazione  del  secondo
comma, lett. e), del medesimo art. 117 Cost. 
    2.- La questione relativa al comma 8  dell'art.  14  della  legge
reg. Puglia n. 17 del  2015  e'  fondata,  limitatamente  al  secondo
periodo di tale disposizione. E' fondata anche la questione  relativa
all'art. 14, comma 9, della medesima legge regionale. 
    3.-  Il  corretto  inquadramento   delle   questioni   sottoposte
all'esame di questa Corte richiede una  sintetica  ricostruzione  del
quadro normativo in cui si inseriscono le disposizioni impugnate. 
    Con l'art. 1, comma 18, del d.l.  n.  194  del  2009,  convertito
dall'art. 1, comma 1,  della  legge  26  febbraio  2010,  n.  25,  il
legislatore nazionale ha modificato le  modalita'  di  accesso  degli
operatori  economici  alle  concessioni  relative  a  beni  demaniali
marittimi. L'intervento normativo ha  fatto  seguito  alla  procedura
d'infrazione comunitaria n. 2008/4908,  aperta  nei  confronti  dello
Stato italiano per il mancato adeguamento all'art. 12, comma 2, della
direttiva n. 2006/123/CE, in virtu' del quale  e'  vietata  qualsiasi
forma di automatismo che favorisca il precedente concessionario  alla
scadenza del rapporto concessorio. La Commissione  europea,  infatti,
con una lettera di costituzione in  mora  notificata  il  2  febbraio
2009, aveva ritenuto che il dettato dell'art. 37 cod. nav.  fosse  in
contrasto con l'art. 43 del Trattato CE (ora art. 49  TFUE)  poiche',
prevedendo un diritto  di  preferenza  a  favore  del  concessionario
uscente nell'ambito della procedura di attribuzione delle concessioni
(cosiddetto diritto di insistenza), configurava una restrizione  alla
liberta'   di   stabilimento   e    comportava,    in    particolare,
discriminazioni in  base  al  luogo  di  stabilimento  dell'operatore
economico, rendendo  difficile,  se  non  impossibile,  l'accesso  di
qualsiasi altro concorrente alle concessioni in scadenza. 
    Il citato art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009, dunque,  ha
previsto la soppressione del  secondo  comma  dell'articolo  37  cod.
nav., nella parte in cui stabiliva la  preferenza  al  concessionario
uscente. Ha, inoltre, disposto la proroga al 31 dicembre  2015  delle
concessioni per finalita' turistico-ricreative in scadenza  prima  di
tale data e in atto al  30  dicembre  2009,  giorno  dell'entrata  in
vigore dello stesso decreto-legge,  qualificando  espressamente  tale
disciplina come  transitoria,  in  quanto  dettata  «nelle  more  del
procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio
delle concessioni» di beni demaniali marittimi,  da  realizzarsi  nel
rispetto dei principi pro-concorrenziali. 
    Successivamente, l'art. 11 della legge 15 dicembre 2011,  n.  217
(Disposizioni    per    l'adempimento    di    obblighi     derivanti
dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'   europee   -   Legge
comunitaria  2010),  ha  conferito  una  delega  legislativa  per  la
revisione e il riordino della  normativa  relativa  alle  concessioni
demaniali marittime. Tale delega non  e'  stata  tuttavia  esercitata
poiche', dopo la chiusura della procedura di infrazione  comunitaria,
con l'articolo 34-duodecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179
(Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n.
221, e' stata disposta la proroga sino  al  31  dicembre  2020  delle
concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 ed  in
scadenza entro il 31 dicembre 2015. 
    La nuova proroga ope legis ha costituito oggetto  di  due  rinvii
pregiudiziali alla Corte di giustizia dell'Unione  europea  che,  con
sentenza del 14 luglio 2016 (nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15),
ha statuito che «l'articolo 12, paragrafi  1  e  2,  della  direttiva
2006/123 deve essere interpretato nel senso che  osta  a  una  misura
nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede
la proroga automatica  delle  autorizzazioni  demaniali  marittime  e
lacuali in essere per attivita' turistico ricreative, in  assenza  di
qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati». 
    Da ultimo, l'art.  24,  comma  3-septies,  del  decreto-legge  24
giugno  2016,  n.  113  (Misure  finanziarie  urgenti  per  gli  enti
territoriali e il territorio),  introdotto  in  sede  di  conversione
dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, successivamente al deposito  della
sentenza della Corte di giustizia UE prima ricordata, ha previsto che
«conservano validita' i rapporti gia' instaurati e pendenti  in  base
all'art. 1, comma 18», del d.l. n. 194 del  2009,  ancora  una  volta
«[n]elle more  della  revisione  e  del  riordino  della  materia  in
conformita' ai principi di derivazione europea». 
    4.- Secondo la giurisprudenza  di  questa  Corte,  la  disciplina
relativa al rilascio delle concessioni su  beni  demaniali  marittimi
investe diversi ambiti  materiali,  attribuiti  alla  competenza  sia
statale che regionale. In  tale  disciplina,  particolare  rilevanza,
quanto ai criteri e alle modalita' di affidamento delle  concessioni,
«assumono i principi della libera concorrenza  e  della  liberta'  di
stabilimento,  previsti  dalla  normativa  comunitaria  e  nazionale»
(sentenza n. 213 del 2011). 
    Nel contesto normativo descritto, occorre percio'  verificare  se
le disposizioni regionali  impugnate  abbiano  invaso  la  competenza
esclusiva statale in materia di tutela  della  concorrenza,  dettando
una disciplina contraria anche ai principi di derivazione europea. 
    A questo scopo occorre tenere conto della ratio, della finalita',
del contenuto e dell'oggetto della disciplina impugnata  (da  ultimo,
sentenze n. 175 del 2016 e n. 245 del 2015). 
    4.1.- Il comma 8 dell'art. 14 della legge reg. Puglia n.  17  del
2015 dispone, nel primo periodo, che i PCC «individuano  nella  quota
concedibile l'intera superficie o parte di essa non inferiore  al  50
per cento delle  aree  demaniali  in  concessione,  confermandone  la
titolarita', fatte salve  le  circostanze  di  revoca  e  decadenza»,
aggiungendo, nel secondo periodo, che il PCC,  «anche  in  deroga  ai
limiti di cui al  comma  5,  individua  apposite  aree  demaniali  da
destinare alla variazione o  traslazione  dei  titoli  concessori  in
contrasto con il PCC». 
    Il ricorrente muove dal presupposto secondo cui il suddetto comma
8, considerato nella sua interezza, avrebbe introdotto un  meccanismo
analogo  al  cosiddetto  diritto   di   insistenza,   in   precedenza
disciplinato dall'art. 37, secondo comma, cod. nav. 
    Tale prospettazione e' solo  parzialmente  corretta,  essendo  in
realta' necessario analizzare partitamente i due periodi  di  cui  si
compone il comma impugnato. 
    Come suggerisce anche la difesa regionale, tale  comma,  nel  suo
primo periodo, deve essere letto  alla  luce  di  quanto  prevede  il
precedente comma 5 del medesimo art. 14. Quest'ultimo  prescrive  che
«[a]llo scopo di garantire il corretto utilizzo delle aree  demaniali
marittime  per  le  finalita'  turistico-ricreative,  una  quota  non
inferiore al 60 per cento del territorio demaniale marittimo di  ogni
singolo comune costiero e' riservata a uso  pubblico  e  alla  libera
balneazione». E' in tal modo introdotta una previsione  coerente  con
quanto disposto dall'art. 1, comma 254, della legge 27 dicembre 2006,
n. 296  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), che richiede  alle
Regioni, nella redazione dei piani di utilizzazione  delle  aree  del
demanio  marittimo,  di  individuare  un  corretto   equilibrio   tra
l'estensione delle aree concesse a soggetti privati  e  quella  degli
arenili liberamente fruibili. 
    La prima parte del comma 8 dell'art. 14 della legge  reg.  Puglia
n. 17  del  2015  e'  in  realta'  strumentale  all'attuazione  della
previsione appena descritta, che impone di riservare al pubblico  uso
una percentuale non inferiore al 60 per cento della  linea  di  costa
utile, e cosi' autorizza ogni singolo Comune costiero a destinare non
oltre il 40 per cento della propria linea di costa ad un uso diverso,
da  assentire  per  mezzo  del  rilascio  di  concessioni   demaniali
marittime. 
    Con formulazione peraltro non lineare, il primo periodo del comma
8 detta un criterio generale  per  procedere  all'individuazione,  in
sede di redazione del PCC, della  parte  di  costa  rientrante  nella
quota concedibile, prescrivendo ai Comuni costieri  di  identificarla
in corrispondenza delle aree gia' oggetto di  concessione  demaniale.
Per i casi  in  cui  -  in  forza  di  concessioni  rilasciate  prima
dell'adozione dei singoli  PCC  -  la  somma  di  tali  aree  risulti
superiore al limite percentuale massimo concedibile,  tale  parte  di
disposizione impone di procedere ad una revoca parziale delle singole
concessioni gia' assentite, in una misura non  superiore  al  50  per
cento per ciascuna. Cio' si ricava, a contrario,  dal  fatto  che  la
disposizione   individua   la   quota   concedibile   prendendo    in
considerazione una parte non inferiore al 50 per  cento  di  ciascuna
delle aree gia' in concessione. 
    A ben vedere, dunque, il comma 8 dell'art. 14  della  legge  reg.
Puglia n. 17 del 2015 non reintroduce, nella sua prima  parte,  alcun
diritto di insistenza a  favore  del  concessionario  in  essere,  in
quanto non dispone alcun rinnovo di concessioni gia' assentite e  non
riserva alcuna preferenza  ai  rispettivi  titolari.  Invece,  previa
fissazione di un criterio oggettivo volto ad evitare discriminazioni,
consente   una   revoca   parziale   di   quelle   concessioni,   ove
indispensabile per  permettere  il  rientro  nel  limite  percentuale
massimo di area  concedibile,  legittimamente  fissato  dalla  stessa
legge regionale. Cio'  in  armonia  con  l'art.  42  cod.  nav.,  che
consente la revoca, anche parziale, della concessione «per  specifici
motivi inerenti al pubblico uso del  mare  o  per  altre  ragioni  di
pubblico interesse»: ragione di pubblico interesse che, nel  caso  di
specie,  e'   costituita   dalla   necessita'   di   armonizzare   la
concedibilita' di aree demaniali marittime a  privati  per  finalita'
turistico-ricreative con il (prevalente) utilizzo pubblico di esse. 
    In tal modo, il legislatore regionale non  ha  previsto,  ne'  il
rilascio in via preferenziale  di  nuove  concessioni  in  favore  di
precedenti titolari, ne' un rinnovo automatico delle concessioni gia'
in atto. Non ha, dunque, invaso  la  competenza  legislativa  statale
nella materia della tutela della concorrenza,  ne'  si  e'  posto  in
contrasto con  i  principi  comunitari.  Ha  invece  fatto  legittimo
ricorso alle proprie  competenze  legislative,  in  una  materia  che
attiene sia  al  governo  del  territorio  sia  alla  disciplina  del
turismo, operando un  bilanciamento  tra  l'interesse  pubblico  alla
libera fruibilita' degli arenili e l'interesse dei  privati  al  loro
sfruttamento per finalita' turistico-ricreative. 
    In  definitiva,  in  relazione  al  primo  periodo  del  comma  8
dell'art. 14 della legge reg. Puglia n. 17 del 2015, le questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate con il ricorso statale non sono
fondate. 
    5.- A conclusioni  opposte  deve  giungersi  con  riferimento  al
secondo periodo  del  medesimo  comma  8  dell'art.  14  della  legge
regionale e la relativa questione e' percio' fondata. 
    Il secondo periodo del citato comma 8 consente la «variazione»  o
«traslazione» delle concessioni gia' assentite - e che  risultino  in
contrasto con il PCC - su aree  demaniali  diverse  ed  appositamente
individuate, anche in deroga ai limiti di cui al comma 5 dell'art. 14
della legge reg. Puglia n. 17  del  2015,  ossia  anche  in  modo  da
superare la quota concedibile del 40 per cento della linea  di  costa
utile di ciascun Comune costiero. 
    In base a tale disposizione,  dunque,  vengono  salvaguardate  le
concessioni gia' assentite e in sopravvenuto contrasto con il PCC  di
nuova adozione,  per  quota  parte  o  per  intero.  Cio'  avviene  o
attraverso una variazione  dell'area  oggetto  della  concessione,  a
compensazione della  parte  revocata  (compensazione  che,  peraltro,
dovrebbe  realizzarsi  attraverso  indennizzo,   come   espressamente
prevede, per casi del  genere,  l'art.  21-quinquies  della  legge  7
agosto 1990 n. 241, recante «Nuove norme in materia  di  procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi»),
o attraverso una traslazione del titolo concessorio, che comporta  il
trasferimento  totale  di  questo  su  un'area  diversa   da   quella
originariamente concessa. 
    A  tali  modalita'  di  variazione  e  traslazione   dei   titoli
concessori corrisponde, invero, il riconoscimento di  un  diritto  su
aree diverse da quelle originariamente assentite. E cio', si osservi,
avviene addirittura in  deroga  ai  limiti  complessivi  fissati  per
l'estensione territoriale delle concessioni demaniali e su aree  alle
quali nessun altro operatore economico puo' aspirare. Si e',  dunque,
in presenza del rilascio di nuove concessioni (in tal senso Consiglio
di Stato, sezione sesta, 28 gennaio 2014,  n.  432,  con  riferimento
alla variazione del titolo concessorio), per le quali l'art. 8  della
stessa legge reg. Puglia n. 17 del 2015 prescrive, correttamente,  il
ricorso a procedure di evidenza pubblica, non previste, invece, dalla
seconda  parte  del  comma  impugnato,   che   appunto   dispone   la
destinazione diretta di tali aree alla variazione o  traslazione  dei
titoli concessori in contrasto con il PCC. 
    Il mancato ricorso a procedure di selezione  aperta,  pubblica  e
trasparente  tra  gli  operatori  economici  interessati   determina,
dunque, un ostacolo all'ingresso di nuovi soggetti nel  mercato,  non
solo risultando invasa la competenza esclusiva statale in materia  di
tutela della concorrenza, in violazione dell'art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost., ma conseguendone altresi' il contrasto con  l'art.
117, primo comma, Cost., per  lesione  dei  principi  di  derivazione
europea nella medesima materia (sentenze n. 171 del 2013, n. 213  del
2011, n. 340, n. 233 e n. 180 del 2010). 
    6.- Quanto al comma 9 dell'art. 14 della legge reg. Puglia n.  17
del 2015, esso prevede che «[i]l PCC, nelle disposizioni  transitorie
volte a disciplinare le modalita'  di  adeguamento  dello  stato  dei
luoghi antecedenti alla pianificazione, salvaguarda le concessioni in
essere  fino  alla  scadenza  del  termine  della  proroga   di   cui
all'articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194,
recante proroga di  termini  previsti  da  disposizioni  legislative,
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010,  n.  25,
salve le esigenze di sicurezza». 
    Secondo il ricorrente, tale disposizione avrebbe  introdotto  una
proroga di concessioni demaniali in  scadenza,  con  invasione  della
competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza e
lesione dei principi pro-concorrenziali di derivazione europea. 
    La questione e'  fondata,  in  relazione  all'art.  117,  secondo
comma, lettera e), Cost. 
    Con riferimento alla fase transitoria di adeguamento dello  stato
dei luoghi preesistente alla nuova pianificazione, la disposizione in
esame impone di «salvaguardare le concessioni in essere»,  fino  alla
scadenza del termine della proroga fissata dall'art. 1, comma 18, del
d.l. n. 194 del 2009, come convertito e successivamente novellato, e,
dunque, fino al 31 dicembre 2020. 
    Essa e' testualmente riferita a tutte «le concessioni in  essere»
e si applica, percio', sia alle concessioni gia' assentite alla  data
di entrata in vigore del d.l. n. 194  del  2009,  come  convertito  e
successivamente   modificato,   sia   alle   concessioni   rilasciate
successivamente,  incluse  quelle  conseguenti  alla  «variazione   o
traslazione dei titoli concessori in contrasto con il  PCC»,  di  cui
alla seconda parte del precedente comma 8 del medesimo art. 14  della
legge regionale. 
    Il contenuto precettivo della disposizione  impugnata  e'  dunque
volto a stabilire, per tutte le concessioni menzionate, una  scadenza
comune, individuata in quella fissata dal legislatore statale in sede
di proroga disposta con l'art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009. 
    Tuttavia, la disciplina dei termini di scadenza delle concessioni
demaniali  marittime  incide  sull'ingresso   di   altri   potenziali
operatori economici nel mercato e rientra nella materia «tutela della
concorrenza» (sentenze n. 171 del 2013, n. 213 del 2011, n.  340,  n.
233 e n. 180 del 2010). E questa Corte ha gia' chiarito (sentenza  n.
49 del 2014) che in materie di competenza esclusiva dello Stato, come
quella ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.,  sono  «inibiti
alle  Regioni  interventi  normativi  diretti   ad   incidere   sulla
disciplina  dettata  dallo  Stato,   finanche   in   modo   meramente
riproduttivo della stessa (sentenza n. 245 del 2013, che richiama  le
sentenze n. 18 del 2013, n. 271 del 2009, n. 153 e n. 29 del 2006)». 
    Proprio con riferimento alle concessioni gia' in essere alla data
di  entrata  in  vigore  del  d.l.  n.  194  del  2009,  la  costante
giurisprudenza costituzionale (da ultimo, sentenza n. 195  del  2015)
afferma che la novazione della fonte, con intrusione negli ambiti  di
competenza esclusiva statale,  costituisce  causa  di  illegittimita'
costituzionale della norma  regionale  (sentenza  n.  35  del  2011),
derivante non dal modo in cui essa  ha  disciplinato,  ma  dal  fatto
stesso di aver disciplinato una  materia  di  competenza  legislativa
esclusiva dello Stato (sentenza n. 18 del 2013). 
    Ancora  piu'  evidente  appare  la   violazione   del   parametro
costituzionale ricordato nella parte in cui il comma 9  dell'art.  14
della legge reg.  Puglia  n.  17  del  2015  si  applica  anche  alle
concessioni rilasciate successivamente alla data di entrata in vigore
del d.l. n.  194  del  2009.  La  disposizione  regionale  riconduce,
infatti, la scadenza ad un termine di nuovo  conio,  individuato  per
relationem in quello contenuto  nella  legge  statale.  In  tal  modo
risultano prorogate concessioni che di una tale proroga non avrebbero
potuto beneficiare, poiche' la disciplina statale  e'  relativa  alle
sole concessioni gia' in essere alla data di entrata  in  vigore  del
d.l. n. 194 del 2009. 
    Gia' con la sentenza n. 213 del 2011, del resto, questa Corte  ha
dichiarato  costituzionalmente  illegittime   norme   regionali   che
indicavano lo stesso  termine  di  proroga  fissato  dal  legislatore
statale,  applicandolo  tuttavia  a  fattispecie  diverse  da  quelle
disciplinate da quest'ultimo. 
    Restano, in tal caso, assorbiti gli ulteriori profili di censura,
riferiti alla violazione dell'art. 117, primo comma, Cost.