ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 1,
lettera a), della legge della Regione Veneto  16  marzo  2015,  n.  4
(Modifiche di leggi regionali e disposizioni in  materia  di  governo
del territorio e di aree naturali protette regionali),  promosso  dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 19-20
maggio 2015, depositato in cancelleria il 26 maggio 2015  e  iscritto
al n. 54 del registro ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  7  febbraio  2017  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera; 
    uditi l'avvocato dello Stato Marco Corsini per il Presidente  del
Consiglio dei ministri e gli avvocati Ezio Zanon e Andrea  Manzi  per
la Regione Veneto. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 19-20 maggio  e  depositato  il  26
maggio 2015, il Presidente del Consiglio dei  ministri  ha  impugnato
l'art. 8, comma 1, lettera a), della legge della  Regione  Veneto  16
marzo 2015, n. 4 (Modifiche di  leggi  regionali  e  disposizioni  in
materia di  governo  del  territorio  e  di  aree  naturali  protette
regionali). 
    2.- Premette il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  che  la
Regione Veneto con la legge impugnata ha introdotto modifiche a norme
regionali in materia di governo, assetto e  uso  del  territorio,  di
paesaggio, di edilizia e urbanistica,  nonche'  in  materia  di  aree
protette. 
    In  particolare,  il  citato  art.  8,  comma  1,  in  dichiarata
attuazione della norma statale di cui all'art.  2-bis  del  d.P.R.  6
giugno  2001  n.  380,  recante  «Testo  Unico   delle   disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)» (d'ora  in
avanti TUE), avrebbe demandato allo strumento urbanistico generale la
fissazione dei limiti di densita', altezza e distanza tra fabbricati,
in deroga a quelli stabiliti dall'ordinamento statale, in  una  serie
di ipotesi espressamente elencate. 
    Tra le ipotesi previste  il  ricorrente  richiama  esclusivamente
l'art. 8, comma 1,  lettera  a),  della  legge  impugnata,  il  quale
statuisce che lo strumento urbanistico generale  puo'  derogare:  «a)
nei casi di cui all'articolo 17, comma 3,  lettere  a)  e  b),  della
legge regionale 23 aprile 2004, n.  11  "Norme  per  il  governo  del
territorio e in materia di paesaggio", con riferimento ai  limiti  di
distanza  da  rispettarsi  all'interno   degli   ambiti   dei   piani
urbanistici  attuativi  (PUA)  e  degli   ambiti   degli   interventi
disciplinati puntualmente». 
    Ad avviso del ricorrente la disposizione violerebbe la competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia  di  ordinamento  civile
(art. 117, secondo comma, lettera l, della Costituzione). 
    3.-  Secondo  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,   il
decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 9
agosto  2013,  n.  98,  nel  disporre  una   serie   di   misure   di
semplificazione normativa anche nel settore edilizio, con l'art.  30,
avrebbe  introdotto   nel   TUE   l'art.   2-bis.   La   disposizione
consentirebbe alle Regioni e  alle  Province  autonome  di  Trento  e
Bolzano di dettare  norme  anche  in  deroga  alle  disposizioni  del
decreto del ministro dei lavori  pubblici  2  aprile  1968,  n.  1444
(Limiti inderogabili di densita' edilizia, di  altezza,  di  distanza
fra  i  fabbricati  e  rapporti  massimi  tra  spazi  destinati  agli
insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici  o  riservati
alle attivita'  collettive,  al  verde  pubblico  o  a  parcheggi  da
osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici  o
della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6
agosto 1967, n. 765). 
    Il potere derogatorio attribuito alle  Regioni  dal  citato  art.
2-bis, pero', lascerebbe espressamente ferma la competenza statale in
materia  di  ordinamento  civile,  con  riferimento  al  diritto   di
proprieta' e alle  connesse  norme  del  codice  civile  e  alle  sue
disposizioni   integrative,    come    altresi'    affermato    dalla
giurisprudenza costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 134 del
2014, n. 6 del 2013, n. 114 del 2012, n. 232 del 2005). 
    4.-  Il  ricorrente   precisa,   inoltre,   che   questa   Corte,
considerando che le distanze tra gli edifici possano  incidere  anche
sull'assetto del territorio  e  quindi  fuoriuscire  dai  limiti  dei
rapporti tra privati,  ha  ritenuto  che  la  loro  disciplina  possa
formare altresi' oggetto di legislazione concorrente  in  materia  di
governo del territorio. Le Regioni possono dunque  emanare  norme  in
deroga a quelle statali, purche' tale scostamento persegua  finalita'
di  carattere  urbanistico  destinate  ad  assicurare   «un   assetto
complessivo ed unitario di determinate zone del territorio». 
    5.- Ancora il ricorrente riconosce che la stessa  inderogabilita'
dei  soli  limiti  di  distanza  era  stata  attenuata  dallo  Stato,
ammettendo la possibilita' di distanze inferiori nel caso  di  gruppi
di  edifici  che  formino  oggetto  di  piani   particolareggiati   o
lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche (art.  9
del d.m. n. 1444 del 1968). Quindi, la legittimazione a derogare  per
ragioni urbanistiche  e'  principio  gia'  presente  nella  normativa
statale. 
    6.- Nella specie, secondo l'Avvocatura generale dello  Stato,  la
Regione Veneto non avrebbe tuttavia utilizzato in  modo  corretto  la
facolta' derogatoria concessagli e avrebbe  invaso,  per  l'eccessiva
ampiezza della previsione, la competenza dello Stato. In primo luogo,
avrebbe assegnato agli strumenti urbanistici un potere piu' esteso di
quello che avrebbero potuto esercitare dal momento che, mentre l'art.
2-bis del TUE ammette deroghe al d.m. n. 1444 del 1968  solo  per  le
distanze,  la  norma  regionale  qui  censurata   introdurrebbe   una
derogabilita'  alla  disciplina  statale  anche  relativamente   alle
altezze e  alle  densita'.  In  secondo  luogo,  la  norma  regionale
censurata consentirebbe le deroghe in parola nei casi di cui all'art.
17, comma 3, lettere a) e b), della legge regionale n. 11  del  2004,
con esplicito riferimento ai piani urbanistici attuativi (PUA) e agli
interventi disciplinati puntualmente. 
    Queste previsioni urbanistiche risulterebbero del tutto generiche
e prive di riferimenti a particolari e specifiche esigenze legate  al
territorio e, come tali, non  consentirebbero  una  disciplina  delle
distanze in deroga. 
    Lo specifico richiamo agli «interventi disciplinati puntualmente»
sarebbe inoltre in contrasto con gli stessi requisiti di  omogeneita'
e  unitarieta',  richiesti  dalla  giurisprudenza  costituzionale  in
materia perche' prevalga la discriminante urbanistica. 
    7.- La Regione Veneto si e' costituita in  giudizio  con  memoria
depositata il 30 giugno 2015. Ha eccepito,  in  via  preliminare,  il
difetto di interesse dello  Stato,  poiche'  la  norma  censurata  si
limiterebbe a richiamare l'art. 17, comma 3, della legge regionale n.
11 del 2004, mai oggetto di censura da parte dello Stato. 
    7.1.- Nel merito, la Regione Veneto chiede che la  questione  sia
dichiarata infondata. 
    Premette che  la  disposizione  regionale  impugnata  e'  tesa  a
garantire un ordinato assetto del territorio e  non  a  regolamentare
puntuali ipotesi di distanze tra edifici isolati. Sostiene,  inoltre,
che  essa  sarebbe  compatibile  con   i   principi   dettati   dalla
giurisprudenza costituzionale, sia nella parte in  cui  si  riferisce
«ai limiti di distanza da rispettare  all'interno  degli  ambiti  dei
piani urbanistici attuativi (PUA)», sia nella parte in cui indica gli
«ambiti degli interventi disciplinati puntualmente». Il contrasto,  a
suo avviso, riguarderebbe soltanto l'interpretazione dello  strumento
urbanistico e la sua efficacia. 
    Tuttavia secondo la  Regione,  il  riferimento  agli  «interventi
disciplinati  puntualmente»  contenuto  nella  legge  regionale,  non
implicherebbe specifici interventi edificatori  rientranti  -  quanto
alle distanze tra costruzioni - nella materia  «ordinamento  civile».
L'avverbio  «puntualmente»,  infatti,  non   qualificherebbe   alcuni
interventi edificatori individuali, bensi' la loro disciplina. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha   promosso
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  8,  comma  1,
lettera a), della legge della Regione Veneto  16  marzo  2015,  n.  4
(Modifiche di leggi regionali e disposizioni in  materia  di  governo
del territorio e di aree naturali protette regionali), per violazione
dell'art. 117, secondo comma,  lettera  l),  della  Costituzione,  in
riferimento all'art. 2-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380,  recante
«Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia edilizia (Testo  A)»  (d'ora  in  avanti  TUE),  che  ammette
deroghe al decreto del ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n.
1444 (Limiti  inderogabili  di  densita'  edilizia,  di  altezza,  di
distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli
insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici  o  riservati
alle attivita'  collettive,  al  verde  pubblico  o  a  parcheggi  da
osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici  o
della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6
agosto 1967, n. 765). 
    Secondo il ricorrente, il citato art. 8,  comma  1,  della  legge
regionale del Veneto n. 4 del 2015, avrebbe demandato allo  strumento
urbanistico generale la fissazione dei limiti di densita', altezza  e
distanza   tra   fabbricati,   in   deroga   a    quelli    stabiliti
dall'ordinamento statale,  in  una  serie  di  ipotesi  elencate.  E'
censurato, in particolare, l'art. 8, comma 1, lettera a), della legge
regionale, nella parte in cui stabilisce che lo strumento urbanistico
generale possa derogare: «nei casi di cui all'articolo 17,  comma  3,
lettere a) e b), della legge regionale 23 aprile 2004, n.  11  "Norme
per il governo  del  territorio  e  in  materia  di  paesaggio",  con
riferimento ai limiti di distanza da  rispettarsi  all'interno  degli
ambiti dei piani urbanistici attuativi (PUA)  e  degli  ambiti  degli
interventi disciplinati puntualmente». La disposizione contrasterebbe
con l'art. 2-bis del TUE, in quanto gli  strumenti  per  disporre  le
deroghe risulterebbero eccessivamente generici e indeterminati. 
    2.-  Preliminarmente,  va   precisato   che   la   questione   di
legittimita' costituzionale ha ad oggetto  esclusivamente  l'art.  8,
comma 1, lettera a), che consente  deroghe  alla  disciplina  statale
limitatamente al regime delle  distanze.  Il  contenuto  del  ricorso
impone, infatti, di ritenere  che  detta  norma  e'  stata  impugnata
solamente nella parte in cui deroga alla disciplina  delle  distanze;
cio', peraltro,  in  armonia  con  la  deliberazione  governativa  di
impugnazione della legge che fa espresso riferimento alla sola «norma
contenuta nell'art. 8, comma 1, lettera a)». 
    3.- Non e' fondata l'eccezione di inammissibilita' per difetto di
interesse sollevata dalla Regione Veneto, motivata dall'identita'  di
contenuto che la norma censurata avrebbe rispetto all'art. 17,  comma
3, della legge regionale n. 11 del  2004,  disposizione  quest'ultima
mai impugnata da  parte  dello  Stato.  Nell'assunto  della  Regione,
qualora la questione qui in esame fosse ritenuta fondata, l'art.  17,
comma 3, della legge regionale n. 11 del 2004 continuerebbe  comunque
ad essere vigente e a produrre effetti nell'ordinamento. 
    In senso opposto al rilievo addotto dalla  Regione,  va  tuttavia
ribadita  l'inapplicabilita'   dell'istituto   dell'acquiescenza   ai
giudizi in via principale atteso che la norma impugnata  ha  comunque
l'effetto di  reiterare  la  lesione  da  cui  deriva  l'interesse  a
ricorrere dello Stato (da ultimo, sentenza n. 231 del 2016). 
    4.- Cio'  premesso,  la  questione  deve  ritenersi  parzialmente
fondata nei termini precisati di seguito. 
    4.1.- Secondo la giurisprudenza di questa  Corte,  la  disciplina
delle distanze fra costruzioni ha la sua collocazione anzitutto nella
sezione VI del Capo II del Titolo II del Libro III del codice civile,
intitolata appunto "Delle distanze nelle costruzioni,  piantagioni  e
scavi, e dei  muri,  fossi  e  siepi  interposti  tra  fondi".  «Tale
disciplina, ed in particolare quella degli articoli  873  e  875  che
viene qui in piu'  specifico  rilievo,  attiene  in  via  primaria  e
diretta ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi. [...]  Non  si
puo' pertanto dubitare che la disciplina delle distanze,  per  quanto
concerne   i   rapporti    suindicati,    rientri    nella    materia
dell'ordinamento civile, di competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato»  (sentenza  n.  232  del  2005).  Nondimeno,  si  e'  altresi'
sottolineato, che quando i fabbricati insistono su di  un  territorio
che puo' avere, rispetto ad altri - per ragioni naturali e storiche -
specifiche caratteristiche, «la disciplina che li  riguarda  -  e  in
particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso - esorbita
dai limiti propri dei rapporti interprivati e tocca  anche  interessi
pubblici», la cui cura deve ritenersi  affidata  anche  alle  Regioni
perche' attratta all'ambito di competenza concorrente del governo del
territorio (si veda sempre la sentenza n. 232 del 2005). 
    In questa cornice si e' dunque affermato  che  «alle  Regioni  e'
consentito fissare limiti in deroga alle  distanze  minime  stabilite
nelle  normative  statali,  solo  a  condizione  che  la  deroga  sia
giustificata dall'esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al
governo del territorio. Dunque, se da un lato  non  puo'  essere  del
tutto esclusa una  competenza  legislativa  regionale  relativa  alle
distanze  tra  gli  edifici,  dall'altro   essa,   interferendo   con
l'ordinamento civile, e' rigorosamente circoscritta dal suo  scopo  -
il governo del territorio -  che  ne  detta  anche  le  modalita'  di
esercizio» (sentenza n. 6 del 2013; nello stesso  senso,  da  ultimo,
anche le sentenze n. 231, n. 189, n. 185 e n. 178 del 2016). 
    4.2.- Nel delimitare i rispettivi ambiti di competenza -  statale
in materia di  «ordinamento  civile»  e  concorrente  in  materia  di
«governo del territorio» - questa Corte ha individuato  il  punto  di
equilibrio nell'ultimo comma dell'art. 9 del d.m. n. 1444  del  1968,
piu' volte ritenuto dotato di  particolare  «efficacia  precettiva  e
inderogabile» (sentenza n. 185 del 2016, ma anche sentenze n. 114 del
2012 e n. 232 del 2005), in quanto richiamato dall'art.  41-quinquies
della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge  urbanistica),  introdotto
dall'art. 17  della  legge  6  agosto  1967,  n.  765  (Modifiche  ed
integrazioni  alla  legge  urbanistica  17  agosto  1942,  n.  1150).
Pertanto, e' stata giudicata legittima  la  previsione  regionale  di
distanze in deroga a quelle stabilite  dalla  normativa  statale,  ma
solo «nel caso di gruppi di edifici  che  formino  oggetto  di  piani
particolareggiati  o  lottizzazioni  convenzionate   con   previsioni
planovolumetriche» (ex  plurimis,  sentenza  n.  231  del  2016).  In
definitiva, le deroghe  all'ordinamento  civile  delle  distanze  tra
edifici  sono  consentite  «se  inserite  in  strumenti  urbanistici,
funzionali  a  conformare  un  assetto  complessivo  e  unitario   di
determinate  zone  del  territorio»  (sentenza  n.  134   del   2014;
analogamente sentenze n. 178, n. 185,  n.  189,  n.  231  del  2016),
poiche' «la loro legittimita' e' strettamente connessa  agli  assetti
urbanistici generali e quindi al governo del territorio, non, invece,
ai  rapporti  tra  edifici   confinanti   isolatamente   considerati»
(sentenza n. 114 del 2012; nello stesso senso, sentenza  n.  232  del
2005). 
    4.3.-  I  medesimi  principi  sono  stati  ribaditi  anche   dopo
l'introduzione dell'art. 2-bis del TUE, da parte dell'art. 30,  comma
1, lettera a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69  (Disposizioni
urgenti   per   il   rilancio   dell'economia),    convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 9  agosto  2013,  n.
98. 
    La   disposizione,   infatti,   ha    sostanzialmente    recepito
l'orientamento della  giurisprudenza  costituzionale,  inserendo  nel
testo   unico   sull'edilizia   i   principi    fondamentali    della
vincolativita', anche per le Regioni e le  Province  autonome,  delle
distanze  legali  stabilite   dal   d.m.   n.   1444   del   1968   e
dell'ammissibilita'  delle  deroghe,  solo  a  condizione  che  siano
«inserite  in  strumenti  urbanistici,  funzionali  a  conformare  un
assetto complessivo e unitario di determinate  zone  del  territorio»
(sentenza n. 185 del 2016; nello stesso senso, ex plurimis,  sentenza
n. 189 del 2016). 
    4.4.- La deroga alla disciplina delle distanze  realizzata  dagli
strumenti  urbanistici  deve,  in  conclusione,  ritenersi  legittima
sempre  che  faccia  riferimento  ad  una  pluralita'  di  fabbricati
("gruppi di edifici") e sia fondata su  previsioni  planovolumetriche
che evidenzino, cioe', una capacita' progettuale tale da  definire  i
rapporti spazio-dimensionali e architettonici delle varie costruzioni
considerate come fossero un edificio unitario (art. 9, ultimo  comma,
del d.m. n. 1444 del 1968). 
    5.-  Alla  luce  delle  considerazioni  svolte,  deve   ritenersi
coerente, rispetto  alle  indicazioni  interpretative  offerte  dalla
Corte e ribadite dal disposto  di  cui  all'art  2-bis  del  TUE,  il
riferimento  che  la  norma  impugnata  reca  ai  piani   urbanistici
attuativi  (PUA),  assimilabili  ai  piani  particolareggiati  o   di
lottizzazione e dunque  riconducibili  a  quella  tipologia  di  atti
menzionati nell'art. 9, ultimo comma del d.m. n. 1444 del 1968,  piu'
volte richiamato, cui va riconosciuta la possibilita' di derogare  al
regime delle distanze. 
    D'altro  canto  la  stessa  giurisprudenza  di  questa  Corte  ha
stabilito che la deroga alle distanze minime potra' essere contenuta,
oltre che in piani particolareggiati  o  di  lottizzazione,  in  ogni
strumento urbanistico equivalente sotto il profilo della  sostanza  e
delle  finalita',  purche'  caratterizzato   da   una   progettazione
dettagliata e definita degli interventi (sentenza n. 6 del 2013). 
    Ne  consegue  che  devono  ritenersi   ammissibili   le   deroghe
predisposte nel contesto dei piani urbanistici attuativi,  in  quanto
strumenti funzionali a conformare un assetto complessivo  e  unitario
di determinate zone del territorio, secondo quanto richiesto, al fine
di attivare le deroghe in esame, dall'art 2-bis del TUE, in linea con
l'interpretazione nel tempo tracciata da  questa  Corte  (ex  multis,
sentenze n. 231, n. 189, n. 185, n. 178 del 2016 e n. 134 del 2014). 
    6.- Una tale conclusione non puo' essere  estesa  al  riferimento
che   la   norma   censurata   fa   agli   «interventi   disciplinati
puntualmente», corrispondente alla lettera b) del comma 3,  dell'art.
17, della legge regionale n. 11 del 2004. 
    L'espressione utilizzata, infatti, appare  in  contrasto  con  lo
stringente contenuto che dovrebbe assumere una  previsione  siffatta,
destinata  a  legittimare  deroghe  al  di  fuori  di  una   adeguata
pianificazione urbanistica. 
    L'assenza di precise indicazioni, in particolare, non consente di
attribuire agli  interventi  in  questione  un  perimetro  di  azione
necessariamente coerente con l'esigenza di garantire  omogeneita'  di
assetto a determinate zone  del  territorio;  del  resto,  lo  stesso
riferimento alla puntualita' che dovrebbe caratterizzarli si  presta,
sul piano semantico, a legittimare anche interventi diretti a singoli
edifici,  in  aperto  contrasto  con  le  indicazioni  interpretative
offerte in precedenza. 
    Limitatamente  ai  suddetti  interventi,  dunque,  va  dichiarata
l'illegittimita'  costituzionale  della  norma   censurata,   perche'
legittima deroghe alla disciplina delle distanze tra fabbricati al di
fuori dell'ambito della competenza regionale concorrente  in  materia
di governo del territorio, in violazione del limite  dell'ordinamento
civile assegnato alla competenza legislativa  esclusiva  dello  Stato
(da ultimo, sentenza n. 231 del 2016).