ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 6-bis del  Regolamento
per  la  tutela  giurisdizionale  dei   dipendenti,   approvato   con
deliberazione dell'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati 28
aprile  1988,  modificato   dalla   deliberazione   dell'Ufficio   di
Presidenza della Camera dei deputati 6 ottobre 2009, n. 77,  promosso
dal  Tribunale  ordinario  di  Roma,  sezione  seconda  lavoro,   con
ordinanza-ricorso  notificata  il  13  giugno  2016,  depositato   in
cancelleria il 9 settembre 2016 ed iscritto  al  n.  4  del  registro
conflitti tra poteri dello Stato 2015, fase di merito. 
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati e gli atti
di intervento del Senato della Repubblica e di I. A. ed altri; 
    udito nella camera di consiglio dell'8 febbraio 2017  il  Giudice
relatore Giuliano Amato. 
    Ritenuto che il Tribunale  ordinario  di  Roma,  in  funzione  di
giudice del lavoro, con ordinanza-ricorso del  26  ottobre  2015,  ha
promosso  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  nei
confronti della Camera dei deputati, in relazione alla  deliberazione
degli  articoli  da  1  a  6-bis  del  Regolamento  per   la   tutela
giurisdizionale dei dipendenti  28  aprile  1988,  secondo  il  testo
coordinato con le modifiche approvate dall'Ufficio di Presidenza  con
deliberazione 6 ottobre 2009, n. 77, resa esecutiva con  decreto  del
Presidente della Camera dei deputati 15 ottobre 2009, n. 781; 
    che i richiamati  articoli  disciplinano  la  costituzione  degli
organi giurisdizionali  interni  di  primo  e  secondo  grado  ed  il
procedimento dinanzi ad essi; 
    che tali disposizioni vengono  contestate  nella  parte  in  cui,
violando gli artt. 3, primo comma,  24,  primo  comma,  102,  secondo
comma, quest'ultimo in combinato  disposto  con  la  VI  disposizione
transitoria, 108, secondo comma, e 111, primo e secondo comma,  della
Costituzione,  precludono  ai  dipendenti   l'accesso   alla   tutela
giurisdizionale in riferimento alle controversie  di  lavoro  insorte
con la Camera dei deputati; 
    che il Tribunale ordinario di Roma premette di  essere  investito
della decisione in ordine al ricorso proposto da 175 dipendenti della
Camera   dei   deputati,   al   fine   di   ottenere   l'accertamento
dell'illegittimita' del  comportamento  dell'amministrazione  che  ha
introdotto limiti alle  progressioni  di  carriera,  oltreche'  della
nullita' o dell'illegittimita' sia della  deliberazione  dell'Ufficio
di Presidenza del 30 settembre 2014,  n.  102,  con  cui  sono  state
approvate le disposizioni volte a introdurre  tali  limiti,  sia  del
decreto della Presidente della Camera  dei  deputati  del  6  ottobre
2014, n. 824, che ha reso esecutiva tale delibera; 
    che  al  Tribunale  ricorrente  vengono  altresi'  richieste   la
disapplicazione di entrambi i  richiamati  atti,  la  condanna  della
Camera  dei  deputati  all'esatto  adempimento   delle   obbligazioni
contrattuali assunte, ai sensi  dell'art.  1372  del  codice  civile,
nonche' ogni altro provvedimento che si renda  necessario,  ai  sensi
dell'art. 63, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165
(Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle  dipendenze  delle
amministrazioni pubbliche), per assicurare il  pieno  rispetto  delle
posizioni soggettive dei dipendenti; 
    che il Tribunale ordinario di Roma  riferisce  che  i  ricorrenti
hanno ritenuto sussistere la competenza del giudice ordinario, e,  in
particolare, del giudice del lavoro, ai sensi dell'art.  409,  quinto
comma, del codice di procedura civile;  essi  ritengono  che,  da  un
lato, l'art. l del Regolamento  per  la  tutela  giurisdizionale  dei
dipendenti della Camera dei deputati preveda  una  mera  facolta'  di
adire gli organi giurisdizionali interni per la tutela di diritti  ed
interessi legittimi dei  lavoratori;  dall'altro  che,  sulla  scorta
degli argomenti esposti dalla  Corte  di  cassazione,  sezioni  unite
civili, nell'ordinanza 6 maggio 2013, n. 10400, nonche'  dalla  Corte
costituzionale nella sentenza n. 120 del 2014, sia  da  escludere  la
competenza  della  Camera  dei  deputati  ad  adottare  provvedimenti
giurisdizionali nella materia dei rapporti di  lavoro  con  i  propri
dipendenti; 
    che la Camera dei deputati, invece,  ha  sollevato  eccezione  di
difetto  di   giurisdizione,   affermando   che   i   propri   organi
giurisdizionali  hanno  competenza  esclusiva   in   relazione   alle
controversie insorte con i dipendenti; 
    che e' stato richiamato, in proposito, l'orientamento della Corte
costituzionale (sentenza n. 154 del 1985) e della Corte di cassazione
(sezioni unite civili, sentenze 27 maggio 1999, n. 317  e  10  giugno
2004, n. 11019), secondo cui i regolamenti parlamentari, sui quali si
fonda l'autodichia, sono fonti normative di rango primario  e  dunque
sostanzialmente parificate alle leggi ordinarie, in quanto dispiegano
la loro efficacia  nella  sfera  di  azione  interna  alle  assemblee
legislative, riservata alla loro autonomia per  ragioni  di  garanzia
dell'indipendenza delle assemblee stesse; 
    che il Tribunale ordinario di Roma richiama, invece,  l'ordinanza
19 dicembre 2014, n. 26934, con cui le  sezioni  unite  civili  della
Corte di cassazione hanno sollevato conflitto di attribuzione  tra  i
poteri dello Stato, chiedendo dichiararsi che non spettava al  Senato
della Repubblica deliberare gli artt.  da  72  a  84  del  Titolo  II
(Contenzioso)   del   testo   unico   delle    norme    regolamentari
dell'Amministrazione  riguardanti  il  personale  del  Senato   della
Repubblica; 
    che,  ad  avviso  del  ricorrente,  le  ampie   e   condivisibili
argomentazioni esposte dalla Corte di  cassazione  a  sostegno  della
citata  ordinanza  sarebbero  sostanzialmente   sovrapponibili   alla
fattispecie al suo esame; 
    che anche per  la  Camera  dei  deputati,  infatti,  non  sarebbe
dubitabile  che  nell'attuale  assetto   ordinamentale   gli   organi
giurisdizionali   interni   abbiano   competenza   esclusiva    sulle
controversie affidate alla loro cognizione; 
    che  l'argomento  letterale  in  senso  contrario   addotto   dai
ricorrenti, secondo cui la formulazione dell'art. l  del  Regolamento
per la tutela giurisdizionale prevederebbe soltanto una mera facolta'
per ciascun dipendente di adire l'organo giurisdizionale, ove ritenga
lesi i propri diritti o interessi legittimi, sarebbe alquanto labile; 
    che, infatti, nell'interpretazione ormai consolidata, gli  organi
di giustizia costituiti  all'interno  delle  Camere  hanno  non  solo
natura giurisdizionale, ma anche competenza esclusiva  nelle  materie
loro riservate (sentenze n. 154 del 1985 e n. 120 del  2014;  nonche'
Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza n. 317 del 1999); 
    che,  pertanto,  nel  presente  giudizio  non  sarebbe  possibile
procedere  all'esame  della  controversia  nel  merito,  giacche'  la
competenza giurisdizionale spetterebbe, in via esclusiva, agli organi
giurisdizionali interni della Camera dei deputati; 
    che  l'autodichia  della  Camera  dei  deputati   ha   fondamento
nell'art. 12, comma 3, lettere d) ed  f),  del  suo  Regolamento,  ai
sensi del quale sono emanati i regolamenti subprimari,  tra  i  quali
quello per la tutela giurisdizionale dei dipendenti; 
    che, dunque, competente a decidere in  primo  grado  sui  ricorsi
presentati dai dipendenti della Camera dei deputati e' la Commissione
giurisdizionale per il personale; 
    che  di  tale  Commissione   il   regolamento   per   la   tutela
giurisdizionale disciplina composizione  e  modalita'  di  formazione
(art. 3); procedimento (art. 4); modalita'  di  decisione  (art.  5);
impugnazione delle sentenze (art. 6); 
    che tale complesso di  disposizioni,  ad  avviso  del  Tribunale,
costituisce  un  sistema  del  tutto  autonomo  ed  interno  per   la
risoluzione delle controversie insorte con il  personale  dipendente,
al punto da non consentire non solo il ricorso al giudice, ma neppure
il controllo generale di legittimita' che la Costituzione affida alla
Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost.; 
    che il Tribunale ordinario  di  Roma  richiama,  in  particolare,
l'ordinanza della Corte  di  cassazione,  sezioni  unite  civili,  19
dicembre  2014,  n.  26934,  evidenziando  che  la  disciplina  della
competenza giurisdizionale della Camera dei deputati presenterebbe  i
medesimi  profili  di  illegittimita'  che  hanno   giustificato   la
proposizione del conflitto di attribuzione, da parte della  Corte  di
cassazione, nei confronti del Senato della Repubblica; 
    che  anche  l'autodichia  della  Camera  dei  deputati,  infatti,
sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza (art.  3,  primo
comma, Cost.), di cui e' espressione il diritto di ognuno di agire in
giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art.
24, primo comma, Cost.); 
    che, pertanto, non  essendo  possibile  un'interpretazione  delle
richiamate disposizioni subprimarie tale da fugare ogni dubbio  circa
il   contrasto    con    principi    fondamentali    dell'ordinamento
costituzionale, posto che il sistema giurisdizionale della Camera dei
deputati esclude, per unanime interpretazione, ogni  possibilita'  di
ricorso all'autorita' giudiziaria (ordinaria  o  amministrativa),  il
Tribunale ritiene necessario sollevare conflitto di attribuzione  nei
confronti della Camera dei deputati; 
    che il ricorrente chiede dunque a questa Corte di dichiarare  che
non spettava alla Camera dei deputati deliberare gli articoli da 1  a
6-bis del Regolamento per la tutela giurisdizionale  dei  dipendenti,
nella parte in cui, violando gli artt.  3,  primo  comma,  24,  primo
comma, 102, secondo comma, quest'ultimo in combinato disposto con  la
VI disposizione transitoria, 108,  secondo  comma,  e  111,  primo  e
secondo comma,  Cost.,  precludono  l'accesso  dei  dipendenti  della
Camera dei deputati alla tutela giurisdizionale in  riferimento  alle
controversie di lavoro insorte con la Camera stessa; 
    che questa Corte, con ordinanza n. 91 del 2016, ha dichiarato,  a
norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo  1953,
n. 87 (Norme sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della  Corte
costituzionale), l'ammissibilita' del conflitto di  attribuzione  tra
poteri  dello  Stato,  rilevando,  sotto  il  profilo  del  requisito
soggettivo,  che   il   conflitto   e'   sollevato   da   un   organo
giurisdizionale,  in  posizione  di  indipendenza  costituzionalmente
garantita, competente a  dichiarare  definitivamente,  nell'esercizio
delle funzioni attribuitegli, la volonta' del potere cui appartiene e
che,  parimenti,  e'  legittimata  ad  essere  parte  la  Camera  dei
deputati, nei cui confronti il conflitto medesimo e' stato sollevato,
quale organo competente a dichiarare in modo definitivo  la  volonta'
del potere cui appartiene; 
    che, per quanto attiene al profilo oggettivo, sussiste la materia
del conflitto, dal momento che il  Tribunale  ricorrente  lamenta  la
lesione  della  propria  sfera  di  attribuzioni,  costituzionalmente
garantita,  in  conseguenza  della  mancanza,  per  inesistenza   dei
relativi  presupposti,  del  potere  della  Camera  dei  deputati  di
deliberare norme regolamentari che precludano  l'accesso  dei  propri
dipendenti  alla   tutela   giurisdizionale   in   riferimento   alle
controversie di lavoro; 
    che, in questa fase di giudizio, si e' costituita la  Camera  dei
deputati ed e' intervenuto il Senato della Repubblica, chiedendo  che
il conflitto sia dichiarato inammissibile o comunque infondato; 
    che sono altresi' intervenute alcune parti private ricorrenti nel
giudizio dinanzi al Tribunale di Roma, chiedendo l'accoglimento delle
conclusioni  formulate  nell'ordinanza  introduttiva   del   presente
giudizio. 
    Considerato che questa Corte, con la citata ordinanza n.  91  del
2016, in base all'art. 24, comma 3, delle  norme  integrative  per  i
giudizi davanti alla Corte costituzionale, ha assegnato al  Tribunale
ricorrente  il  termine  di  sessanta  giorni,  a   decorrere   dalla
comunicazione della stessa ordinanza (avvenuta il  22  aprile  2016),
per notificare alla Camera dei deputati e al Senato della  Repubblica
il ricorso  e  l'ordinanza  dichiarativa  dell'ammissibilita',  e  il
successivo termine di trenta giorni dall'ultima notificazione per  il
deposito degli stessi atti nella cancelleria della Corte; 
    che, in attuazione della predetta ordinanza,  il  ricorrente,  in
data 30 maggio 2016, ha provveduto a spedire i suindicati atti per la
notificazione alla Camera dei deputati e al Senato della  Repubblica,
che li hanno ricevuti, rispettivamente, in data 1° giugno 2016  e  in
data 13 giugno 2016,  dunque  nel  rispetto  del  primo  termine,  di
sessanta giorni, assegnato da questa Corte; 
    che, tuttavia, l'ulteriore adempimento assegnato  al  ricorrente,
costituito dal deposito degli atti notificati presso  la  cancelleria
di questa Corte, e' avvenuto fuori termine; 
    che, infatti, il Tribunale di  Roma  ha  spedito  per  mezzo  del
servizio postale a questa Corte le copie  notificate  del  ricorso  e
dell'ordinanza di ammissione soltanto in data 7 settembre 2016,  come
risulta dal timbro postale sulla busta, e tali copie  sono  pervenute
in cancelleria il successivo 9 settembre; 
    che, ai sensi dell'art. 28, comma 2, delle norme integrative  per
i giudizi davanti alla Corte costituzionale,  nel  caso  di  deposito
effettuato avvalendosi del servizio postale, ai fini  dell'osservanza
dei termini per il deposito, vale la data di spedizione postale; 
    che, dunque, il prescritto deposito risulta effettuato  oltre  il
termine di trenta giorni stabilito dall'art. 24, comma 3, delle norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale; 
    che, infatti, secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte  (ex
plurimis, sentenze n. 88 del 2005 e n. 172 del 2002 ed  ordinanze  n.
211 e n. 168 del 2015, n. 317 del 2011, n. 41 del 2010,  n.  188  del
2009, n. 430 del 2008, n. 253 del 2007  e  n.  304  del  2006),  tale
termine - al pari di quello per la notificazione del ricorso e  della
relativa ordinanza di ammissibilita' - ha carattere perentorio e deve
essere osservato  a  pena  di  decadenza,  perche'  da  esso  decorre
l'intera catena degli ulteriori termini stabiliti per la prosecuzione
del giudizio, con la fase procedurale destinata a concludersi con  la
decisione definitiva sul merito; 
    che, pertanto, non puo' procedersi allo svolgimento della fase di
merito del giudizio sul conflitto  di  attribuzione,  non  risultando
rispettato  il  termine  perentorio  per  il  deposito   degli   atti
notificati nella cancelleria di questa Corte.