ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  7,  comma
20, del decreto-legge 31  maggio  2010,  n.  78  (Misure  urgenti  in
materia  di   stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  30  luglio
2010,  n.  122,  promosso  dal  Consiglio  di  Stato,  sezione  sesta
giurisdizionale,  nel  procedimento   vertente   tra   l'Associazione
nazionale  degli  industriali  delle  conserve  alimentari   vegetali
(ANICAV) ed altri e la Camera di commercio,  industria,  artigianato,
agricoltura di Parma ed altri,  con  sentenza  del  9  ottobre  2014,
iscritta al n. 40 del registro  ordinanze  2015  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  12,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2015. 
    Visti gli atti di costituzione dell'Associazione nazionale  degli
industriali delle conserve alimentari  vegetali  (ANICAV)  ed  altri,
della  Camera  di  commercio,  industria,  artigianato,   agricoltura
(CCIAA) di Parma, della Stazione Sperimentale per  l'industria  delle
conserve alimentari azienda speciale della (CCIAA) di Parma  (SSICA),
fuori termine,  nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 7 marzo 2017 il Giudice  relatore
Augusto Antonio Barbera; 
    uditi gli avvocati Angelo Clarizia per  l'Associazione  nazionale
degli industriali delle  conserve  alimentari  vegetali  (ANICAV)  ed
altri, Franco Gaetano Scoca per la Camera  di  commercio,  industria,
artigianato, agricoltura di Parma e l'avvocato  dello  Stato  Giacomo
Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Consiglio di Stato,  sezione  sesta  giurisdizionale,  con
sentenza  non  definitiva  del  9  ottobre  2014,  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 97 e 118 della Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 20, del  decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia  di  stabilizzazione
finanziaria  e  di   competitivita'   economica),   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui
ha  disposto  la  soppressione  della   Stazione   Sperimentale   per
l'Industria delle Conserve  Alimentari  (di  seguito:  SSICA)  ed  il
trasferimento dei relativi compiti ed  attribuzioni  alla  Camera  di
commercio di Parma. 
    2.- Nel giudizio principale, l'Associazione nazionale industriali
conserve alimentari vegetali (ANICAV)  e  tre  societa'  di  capitali
operanti  nel  settore  delle  conserve  alimentari  hanno  impugnato
davanti al TAR per l'Emilia-Romagna, sezione distaccata di Parma:  la
delibera  della  Camera  di  Commercio,   Industria   Artigianato   e
Agricoltura (d'ora in poi, anche CCIAA) di Parma in  data  14  giugno
2010, n. 116,  che,  ai  sensi  del  citato  art.  7,  comma  20,  ha
costituito l'Azienda speciale della Camera  di  commercio  di  Parma,
denominata  Stazione  Sperimentale  per  l'industria  delle  conserve
alimentari;  il  decreto  del  Ministro  dello  sviluppo   economico,
adottato di concerto con il Ministro  dell'economia,  del  1°  aprile
2011, recante «Tempi e modalita' di trasferimento dei compiti e delle
attribuzioni, del personale e delle risorse strumentali e finanziarie
delle soppresse Stazioni sperimentali per l'industria»;  la  delibera
di detta Camera di commercio del  4  luglio  2011,  n.  143,  che  ha
confermato le determinazioni  assunte  in  ordine  alla  costituzione
della predetta azienda speciale. 
    Il TAR, con sentenza del 30 marzo 2012, n. 138, ha dichiarato  il
ricorso  inammissibile,  per  difetto  di  interesse.  Avverso  detta
pronuncia hanno proposto appello le soccombenti ed  il  Consiglio  di
Stato, con sentenza del 9  ottobre  2014:  ha  deciso  l'impugnazione
limitatamente alla censurata  declaratoria  di  inammissibilita';  ai
fini  della  decisione  di  merito,  ha  ritenuto  rilevante  e   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
del citato  art.  7,  comma  20,  che  ha  sollevato,  disponendo  la
sospensione del giudizio e la rimessione degli atti a questa Corte. 
    2.1.- Posta  questa  premessa,  il  provvedimento  di  rimessione
deduce che la norma censurata ha disposto la soppressione degli  enti
pubblici  economici  statali  denominati  Stazioni  Sperimentali  per
l'industria, trasferendo  compiti  ed  attribuzioni  alle  camere  di
commercio  indicate  nell'allegato  2  del  d.l.  n.  78  del   2010,
individuando in quella di Parma l'ente conferitario della SSICA. 
    La CCIAA di Parma,  con  la  delibera  impugnata,  ha  costituito
l'Azienda speciale, denominata Stazione sperimentale per  l'industria
delle conserve alimentari, prima che la legge di conversione del d.l.
n. 78 del 2010 inserisse nel testo del censurato art.  7,  comma  20,
ultimo  alinea,  la  previsione  che  ha  attribuito  ad  un  decreto
ministeriale la fissazione di tempi e modalita' del trasferimento dei
compiti in esame. 
    Le ricorrenti hanno eccepito l'illegittimita' di detta  delibera,
perche' adottata prima di tale decreto ministeriale ed  in  relazione
ad ulteriori profili, censurando anche, con motivi aggiunti, gli atti
sopravvenuti (il citato d.m. del 1° aprile 2011; la delibera camerale
del 4 luglio 2011, n. 143). 
    2.2.- Il giudice a quo, dopo avere  illustrato  gli  argomenti  a
conforto della ritenuta fondatezza del  primo  motivo  di  appello  e
dell'esistenza dell'interesse delle  parti  attrici,  deduce  che  la
sollevata questione sarebbe rilevante, poiche' il richiamato art.  7,
comma 20, costituisce la base giuridica di tutti gli atti impugnati. 
    2.3.- Nel merito, il rimettente osserva che la norma in esame  e'
collocata nel Capo II  del  d.l.  n.  78  del  2010,  il  cui  titolo
(«Riduzione del costo degli  apparati  politici  ed  amministrativi»)
dimostrerebbe che ratio della stessa sarebbe stata di realizzare  «un
significativo risparmio di spesa attraverso la soppressione  di  enti
ritenuti  costosi  per  l'erario  e  non  piu'  strategici   per   il
perseguimento  dell'interesse  pubblico  nazionale»  e,  appunto  per
questo, ne evidenzierebbe l'irragionevolezza. 
    La soppressa Stazione  Sperimentale  era  infatti  finanziata  in
misura preponderante con  i  contributi  delle  imprese  del  settore
conserviero e,  dunque,  non  sussisterebbe  «la  primaria  finalita'
perseguita dal legislatore, coincidente  con  esigenze  di  risparmio
della spesa pubblica». 
    2.3.1.-  Secondo  il  giudice  a  quo,  la  norma  violerebbe  il
principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione), realizzando una
discriminazione   tra   gli   operatori   economici    dell'industria
conserviera. Quelli di essi che  non  hanno  la  propria  sede  nella
provincia di Parma  godrebbero  di  minore  rappresentativita'  negli
organi camerali rispetto agli imprenditori che  in  questa  hanno  la
loro  sede  e,  dunque,  «potrebbero   essere   discriminati»   nella
determinazione delle politiche gestionali e nelle scelte  strategiche
della Azienda speciale. 
    2.3.2.- Il trasferimento dei compiti e delle  funzioni  in  esame
alla CCIAA di  Parma  si  porrebbe,  altresi',  in  contrasto  con  i
principi di  buon  andamento  ed  imparzialita'  dell'amministrazione
(art. 97 Cost.), poiche' essa «non ha competenze e strutture adeguate
ad assicurare  il  corretto  ed  unitario  esercizio  delle  funzioni
trasferite su tutto il territorio nazionale». 
    Il principio di imparzialita' sarebbe leso, poiche' la  CCIAA  di
Parma, per legge e per statuto, dovrebbe perseguire gli interessi dei
propri  iscritti   e   del   tessuto   economico   della   provincia;
conseguentemente, «non  appare  ente  adeguato  a  svolgere  in  modo
imparziale  le  attribuzioni  conferite  in  favore  di   tutti   gli
imprenditori del settore conserviero operanti a livello nazionale». 
    Ad avviso del rimettente, il citato art. 7, comma 20, violerebbe,
dunque, i principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza
(art. 118 Cost.). L'allocazione delle funzioni amministrative  ad  un
livello prossimo ai destinatari delle stesse e' aderente  al  modello
di sussidiarieta' verticale delineato dalla Costituzione, purche'  ne
sia garantito il corretto  ed  omogeneo  esercizio.  Tuttavia,  nella
specie,  la  dimensione  locale  della  camera  di  commercio,   «non
sembrerebbe  prima  facie  compatibile  con  l'ottimale  ed  unitario
esercizio di quelle funzioni in favore di tutti gli  operatori  della
industria conserviera nazionale». L'art. 1 della  legge  29  dicembre
1983, n. 580 (Riordinamento delle  camere  di  commercio,  industria,
artigianato e agricoltura), imprimerebbe alle  stesse  «un  perimetro
d'azione  necessariamente  localistico  che  appare   inconciliabile,
proprio in corretta applicazione del principio di sussidiarieta', con
la proficua tutela di interessi di categoria che trascendono l'ambito
strettamente locale». 
    Il recupero della rappresentativita' degli  interessi  a  livello
nazionale neppure potrebbe avvenire «a livello  di  Unioncamere»,  la
quale, in virtu' delle previsioni del relativo statuto e dell'art.  7
della legge n. 580 del 1993, rappresenta gli interessi generali delle
camere  di  commercio  presenti  sul   territorio   nazionale.   Tale
rappresentanza,  in  quanto  riferita  agli  interessi  generali  del
sistema camerale italiano, non inciderebbe sulla sfera  di  autonomia
di ciascuna  camera  di  commercio,  sui  compiti  e  sulle  funzioni
attribuite alle stesse, ancora piu' quando, come nella specie,  siano
state trasferite ad organismi appositamente istituiti, posti sotto la
vigilanza dell'ente camerale territoriale. 
    3.- L'ANICAV, in persona del legale rappresentante,  la  Agricola
Tre Valli scarl, la Doria spa, la Salvati Mario & C. spa  (ognuna  in
persona  del  rispettivo  legale  rappresentante),   appellanti   nel
giudizio principale, si sono costituite nel giudizio davanti a questa
Corte, chiedendo che la sollevata questione sia dichiarata fondata. 
    Nella memoria depositata in prossimita' dell'udienza pubblica  le
parti fanno proprie le argomentazioni dell'ordinanza di rimessione in
punto di rilevanza e  fondatezza  della  questione.  A  loro  avviso,
tenuto  conto  delle  modalita'  del  finanziamento  delle   Stazioni
Sperimentali, la norma sarebbe irragionevole, poiche' non realizza il
risparmio di spesa, che dovrebbe costituirne la finalita'. L'art.  97
Cost. sarebbe leso, poiche' le camere di commercio, in ragione  delle
competenze  territorialmente  e  funzionalmente  limitate   ad   esse
attribuite, non garantirebbero il corretto svolgimento dei compiti in
esame. Il principio di  imparzialita'  sarebbe,  inoltre,  vulnerato,
dato che le imprese conserviere non aventi sede  nella  provincia  di
Parma  godrebbero  di  minore  rappresentativita'  negli  organi   di
amministrazione dell'azienda speciale. 
    Secondo   le   parti,   l'ordinanza   di    rimessione    avrebbe
convincentemente motivato la violazione dell'art. 118 Cost. La  norma
censurata avrebbe attuato un «decentramento  inopportuno,  inadeguato
rispetto all'oggetto dell'attivita' in questione», tenuto conto della
dimensione nazionale della stessa e del carattere locale della camera
di commercio. 
    4.- Nel giudizio si e' altresi'  costituita  la  CCIAA  di  Parma
(resistente nel giudizio principale), in persona del  presidente  pro
tempore, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile (per
la mancata verifica della possibilita' di fornire  un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  della  norma  censurata)  e   comunque
infondata. 
    4.1.- A suo avviso, il citato art. 7, comma 20, mira a realizzare
non  una  mera   riduzione   della   spesa   pubblica,   bensi'   una
«stabilizzazione finanziaria», conseguibile  attraverso  «diversi  ed
autonomi  meccanismi»  (analiticamente  indicati),   riservati   alla
discrezionalita' del legislatore, garantita anche dal mancato aumento
della stessa. 
    Finalita' della disposizione sarebbe quella di  assicurare  detta
stabilizzazione, senza prevedere «nuove spese pubbliche», dato che le
risorse delle aziende speciali sono costituite dai contributi versati
dagli imprenditori di settore (art. 23 del regio decreto  31  ottobre
1923, n. 2523, recante «Riordinamento  dell'istruzione  industriale»;
decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 540, recante «Riordino  delle
stazioni sperimentali per l'industria, a norma dell'articolo 11 della
L. 15 marzo 1997,  n.  59»).  Inoltre,  essa  avrebbe  realizzato  un
riassetto strumentale a garantire la «competitivita' economica» delle
aziende speciali e delle camere di  commercio,  in  coerenza  con  le
complessive finalita' del d.l. n. 78 del 2010. 
    4.2.- La censura riferita all'art.  3  Cost.  muoverebbe  poi  da
un'identificazione della natura, dei compiti e delle  funzioni  delle
camere di commercio non convincente, poiche' non terrebbe conto delle
modifiche  introdotte  alla  legge  n.  580  del  1993  dal   decreto
legislativo  15  febbraio  2010,  n.  23  (Riforma   dell'ordinamento
relativo  alle  camere  di  commercio,   industria,   artigianato   e
agricoltura, in attuazione dell'articolo 53  della  legge  23  luglio
2009, n. 99), in particolare, ai commi 1 e 2  dell'art.  1  di  detta
legge. 
    Le camere di  commercio  avrebbero,  infatti,  una  «funzione  di
supporto  e  di  promozione»  di  interessi  economici   generali   e
nazionali,   «perseguiti   a    livello    territoriale    attraverso
l'istituzione di articolazioni autonome,  nello  specifico  l'Azienda
speciale».  Quest'ultima  non  sarebbe   asservita   alle   industrie
conserviere della provincia di Parma, mentre l'art. 2, comma 4, della
legge n. 580 del 1993 stabilisce  che,  «Per  il  raggiungimento  dei
propri scopi,  le  camere  di  commercio,  promuovono,  realizzano  e
gestiscono  strutture  ed  infrastrutture  di   interesse   economico
generale a livello locale,  regionale  e  nazionale,  direttamente  o
mediante la partecipazione, secondo le norme del codice  civile,  con
altri soggetti pubblici e privati, ad organismi anche associativi, ad
enti, a consorzi e a societa'». 
    La constatazione che le ricorrenti hanno ripetutamente fruito dei
servizi  dell'Azienda  speciale  dimostrerebbe  l'inesistenza   della
eccepita disparita' di trattamento. In ogni caso,  non  sussisterebbe
il dedotto difetto di rappresentativita', in quanto lo statuto  della
stessa prevede che tutte le associazioni di categoria e gli operatori
non aventi sede in detta provincia, «a rotazione entrano a far parte»
del consiglio di amministrazione. 
    4.3.- La censura riferita all'art. 97  Cost.  sarebbe  infondata,
poiche' le funzioni di supporto e di promozione di interessi generali
non sarebbero «incompatibili con l'onere di gestire  in  sede  locale
una struttura che, per volonta' del  legislatore,  presta  servizi  a
livello nazionale». E' stato, inoltre, ragionevolmente  previsto  che
le  stesse  siano  espletate  da  un'azienda  speciale,   costituente
articolazione autonoma della CCIAA di Parma, che godrebbe di un ampio
margine di indipendenza. 
    Non sarebbe, infine, corretta l'enfatizzazione della  «dimensione
locale dell'istituto camerale»  e  sarebbe  infondata  la  denunciata
violazione dell'art. 118 Cost.  Le  camere  di  commercio  espletano,
infatti, funzioni di interesse generale per il sistema delle  imprese
e, tenuto conto della natura, dell'organizzazione e dei compiti delle
stesse, garantirebbero l'adeguata cura degli interessi in gioco. 
    5.- Nel giudizio si e' costituita anche la Stazione  Sperimentale
per l'industria delle conserve  alimentari,  Azienda  speciale  della
Camera di commercio di Parma (resistente nel processo principale), in
persona del legale rappresentante, chiedendo  che  la  questione  sia
dichiarata  manifestamente   inammissibile,   ovvero   manifestamente
infondata. 
    Secondo la parte, la norma mira ad assicurare la  «competitivita'
economica»  della  stazione  sperimentale,   finalita'   congruamente
conseguita, mediante l'attribuzione dei relativi compiti alla  camera
di commercio, le cui funzioni, in virtu' della legge n. 580 del 1993,
neppure sono limitate all'ambito esclusivamente provinciale. 
    6.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che, nell'atto di intervento ed in una successiva memoria,  ha
chiesto che la questione sia dichiarata  inammissibile  e,  comunque,
infondata. 
    6.1.- A suo avviso, finalita' della norma in esame sarebbe quella
di migliorare la competitivita'  del  sistema  economico,  conseguita
mediante  una  misura  concernente  un  ambito  riservato   all'ampia
discrezionalita'    del    legislatore.    Sarebbe    poi    inesatta
l'enfatizzazione della dimensione locale delle camere  di  commercio,
perche' queste possono espletare funzioni  che  trascendono  l'ambito
locale. Il recupero della rappresentativita' degli interessi  sarebbe
poi garantito «a livello di Unioncamere». Il Consiglio di  Stato  ha,
peraltro, ritenuto legittimo l'esercizio da  parte  dello  Stato  del
potere regolamentare nella materia de qua («Sezione  consultiva  atti
normativi, 10 gennaio 2005, n. 150/2001»), ricadendo le  funzioni  in
esame nel novero delle competenze dell'art. 117, terzo  comma,  Cost.
Il riconoscimento costituzionale degli enti di  autonomia  funzionale
(art.  118  Cost.)  permetterebbe  che  alcuni  processi  decisionali
facciano capo a soggetti diversi dall'amministrazione statale. 
    L'Avvocatura generale ripercorre  l'evoluzione  della  disciplina
delle Stazioni Sperimentali per l'Industria e ricorda che l'art.  23,
quarto  comma,  del  regio  decreto  31   ottobre   1923,   n.   2523
(Riordinamento dell'istruzione  industriale),  nel  testo  modificato
dall'articolo unico del decreto del Presidente  della  Repubblica  24
aprile 1948, n. 718 (Pagamento  degli  emolumenti  del  personale  di
ruolo delle Stazioni sperimentali per  l'industria),  ha  fissato  le
modalita' della contribuzione da parte delle imprese. Il d.lgs n. 540
del 1999 ne ha realizzato  il  riordino,  configurandole  come  «enti
pubblici economici» (art. 2, comma 1), muniti di potesta'  statutaria
(art. 3); da ultimo, le  stesse  sono  state  soppresse  dalla  norma
censurata. 
    Quest'ultima  ha  demandato  ad  un   decreto   interministeriale
l'individuazione dei tempi e delle  modalita'  di  trasferimento  dei
compiti e delle attribuzioni in esame, stabiliti dal richiamato  d.m.
1° aprile 2011. A questo si e' conformata la CCIAA di Parma,  con  la
delibera del 4 luglio 2011, n. 143,  che  ha  dato  continuita'  alla
dimensione nazionale dell'attivita' svolta. 
    Secondo  l'interveniente,   l'allocazione   delle   funzioni   in
questione presso l'Azienda speciale non avrebbe alterato  il  rilievo
nazionale delle stesse, anche «perche' le  Camere  di  commercio  non
sono  enti  locali»  e  possono  svolgere,  con   ampi   margini   di
indipendenza, compiti di interesse  generale  per  il  settore  delle
imprese, come e' accaduto per tutte le altre  Stazioni  Sperimentali.
La collocazione dell'Azienda speciale presso la CCIAA di Parma non ne
comporterebbe  l'asservimento  alle   industrie   conserviere   della
provincia, tenuto conto anche dell'art. 2, comma 4,  della  legge  n.
580 del 1993 e delle disposizioni contenute nell'art.  1  del  citato
d.m. 1° aprile 2011 (puntualmente riportate dall'interveniente). 
    Lo statuto dell'Azienda speciale ha, inoltre, previsto che  tutte
le associazioni di categoria (e le  imprese  non  aventi  sede  nella
provincia),   fanno   parte,   a   rotazione,   del   consiglio    di
amministrazione,  con  conseguente  infondatezza   della   denunciata
violazione del principio di eguaglianza. Le funzioni  di  supporto  e
promozione degli interessi generali delle imprese bene possono essere
espletate da una struttura che, per volonta' del legislatore,  svolge
un servizio a livello nazionale, e cio' grazie anche alla  scelta  di
istituire un'azienda speciale, articolazione  autonoma  che  gode  di
margini di indipendenza. 
    L'infondatezza della censura  riferita  all'art.  118  Cost.,  ad
avviso dell'interveniente, sarebbe confortata  dalle  sentenze  della
Corte costituzionale n. 477  del  2000  (secondo  cui  le  camere  di
commercio entrano «a pieno titolo, formandone parte costituente,  nel
sistema dei poteri locali  secondo  lo  schema  dell'art.  118  della
Costituzione») e n. 374 del 2007 (in quanto ha sottolineato che  alle
camere di commercio fanno capo «funzioni d'interesse generale per  il
sistema delle imprese» e «funzioni di supporto e  di  promozione»  di
interessi economici generali e nazionali). 
    Le disposizioni del richiamato d.m. 1° aprile 2011 (esaminate  in
dettaglio   dall'Avvocatura   Generale)    garantirebbero,    infine,
l'unitario  ed  efficiente  esercizio  delle   funzioni   trasferite,
ragionevolmente  attribuite  agli  enti  piu'  prossimi  all'area  di
riferimento delle singole Stazioni  Sperimentali,  nell'interesse  di
tutte le  imprese  interessate.  L'attribuzione  al  Ministero  dello
sviluppo economico delle funzioni di collegamento e di confronto  con
la  camera  di  commercio  e   di   approvazione   dei   criteri   di
determinazione  e  la  misura  dei  contributi   assicurerebbero   il
«mantenimento a livello centrale di decisioni di  evidente  interesse
nazionale». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Consiglio di  Stato,  sezione  sesta  giurisdizionale,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97 e 118 della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma  20,  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio  2010,  n.  122,
nella parte  in  cui  ha  disposto  la  soppressione  della  Stazione
Sperimentale per l'industria delle conserve alimentari  (di  seguito:
SSICA) ed il trasferimento dei relativi compiti ed attribuzioni  alla
Camera di commercio di Parma. 
    1.1.- Secondo il rimettente,  ratio  della  disposizione  sarebbe
stata quella di  realizzare  «un  significativo  risparmio  di  spesa
attraverso la soppressione di enti ritenuti  costosi  per  l'erario»;
detta norma sarebbe dunque irragionevole, dato che la soppressa SSICA
e l'Azienda speciale che ora ne espleta i compiti sono finanziate  in
misura preponderante con  i  contributi  delle  imprese  del  settore
conserviero. 
    La norma realizzerebbe,  inoltre,  una  discriminazione  tra  gli
operatori economici del settore  dell'industria  conserviera,  tenuto
conto della minore rappresentativita' garantita negli organi camerali
dell'azienda speciale a quelli di  essi  che  non  hanno  sede  nella
provincia di Parma. 
    I  principi  di  buon  andamento  ed  imparzialita'   dell'azione
amministrativa (art. 97 Cost.) sarebbero lesi, in quanto la Camera di
commercio di Parma sarebbe priva di competenze e  strutture  adeguate
ad  assicurare  il  corretto  ed  unitario  esercizio  su  tutto   il
territorio nazionale delle funzioni trasferite e,  per  legge  e  per
statuto, dovrebbe curare gli interessi  dei  propri  iscritti  e  del
tessuto economico della provincia. Pertanto, la  stessa  «non  appare
ente  adeguato  a  svolgere  in  modo  imparziale   le   attribuzioni
conferite». 
    La norma recherebbe, infine, vulnus all'art. 118  Cost.,  perche'
l'allocazione dei compiti in esame presso la Camera di  commercio  di
Parma non costituirebbe soluzione adeguata, efficiente ed in grado di
assicurarne il corretto ed omogeneo esercizio, dal momento che questa
ha «un perimetro  d'azione  necessariamente  localistico  che  appare
inconciliabile, proprio in corretta  applicazione  del  principio  di
sussidiarieta', con la proficua tutela di interessi di categoria  che
trascendono l'ambito strettamente locale». 
    2.-  Preliminarmente  va  dichiarata   l'inammissibilita'   della
costituzione in giudizio della Stazione Sperimentale per  l'industria
delle conserve alimentari, Azienda speciale della Camera di commercio
di Parma (parte nel giudizio a quo), avvenuta con atto  pervenuto  il
18 maggio 2015 (spedito il 12 maggio 2015), quindi, oltre il  termine
stabilito dall'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme  sulla
costituzione  e  sul  funzionamento  della   Corte   costituzionale),
computato come e' previsto dall'art. 3 delle norme integrative per  i
giudizi davanti alla Corte costituzionale, essendo tale termine,  per
costante giurisprudenza di questa  Corte,  perentorio  (tra  le  piu'
recenti, sentenze n. 219, n. 84 e n. 57 del 2016). 
    3.-  Sempre  in  linea  preliminare,  occorre  osservare  che  la
questione di  legittimita'  costituzionale  e'  stata  sollevata  dal
Consiglio di Stato con "sentenza", con cui ha deciso «parzialmente  e
non definitivamente» l'appello, dichiarando ammissibile il ricorso di
primo grado. Il giudice a quo non ha, dunque, definito il processo; a
tale  scopo,  ha  infatti  ritenuto   rilevante   la   questione   di
legittimita' costituzionale, che ha proposto con detto provvedimento,
disponendo altresi' la sospensione del  giudizio  e  la  trasmissione
degli atti a questa Corte. 
    L'adozione di due provvedimenti (una sentenza non  definitiva  ed
un'ordinanza di rimessione, in relazione ai  motivi  di  ricorso  non
decisi) in uno stesso contesto formale (cioe' in un unico  atto)  non
incide sulla autonomia  di  ciascuno  e  sulla  idoneita'  di  quello
costituente ordinanza  ad  instaurare  il  giudizio  di  legittimita'
costituzionale in via incidentale, dato che risulta osservato  l'art.
23 della legge n. 87 del 1953 ed il giudizio principale non e'  stato
definito (sentenza n. 94 del 2009). 
    3.1.- Il provvedimento di rimessione  ha  motivato  la  rilevanza
della questione, osservando  che  «tutti  gli  atti  in  primo  grado
impugnati hanno assunto a base giuridica la  disposizione»  censurata
e, quindi,  l'eventuale  fondatezza  della  stessa  ne  comporterebbe
«l'annullamento   per   invalidita'   derivata».   Si    tratta    di
argomentazione  plausibile,  con  conseguente  ammissibilita',  sotto
questo profilo, della questione (per tutte, sentenze n. 203, n. 200 e
n. 133 del 2016). 
    3.2.-  Esigenze  di  chiarezza   espositiva   rendono   opportuno
esaminare le eccezioni di inammissibilita' della Camera di  commercio
di Parma e dell'interveniente unitamente ai profili di  merito  delle
censure, tenuto anche conto del contenuto delle stesse. 
    3.3.- Ancora in linea preliminare, va infine  osservato  che,  in
data successiva all'ordinanza di rimessione, l'art. 10 della legge  7
agosto  2015,  n.   124   (Deleghe   al   Governo   in   materia   di
riorganizzazione delle amministrazioni  pubbliche),  ha  delegato  il
Governo  ad  adottare  un  decreto   legislativo   per   la   riforma
dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle  camere
di commercio, industria, artigianato e agricoltura, anche mediante la
modifica della legge 29 dicembre 1993, n.  580  (Riordinamento  delle
camere di commercio,  industria,  artigianato  e  agricoltura),  come
modificata dal decreto legislativo 15 febbraio 2010, n.  23  (Riforma
dell'ordinamento  relativo  alle  camere  di  commercio,   industria,
artigianato e agricoltura, in attuazione dell'articolo 53 della legge
23 luglio 2009, n. 99). 
    Tale delega e' stata  esercitata  con  l'emanazione  del  decreto
legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega di  cui
all'articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124,  per  il  riordino
delle  funzioni  e  del  finanziamento  delle  camere  di  commercio,
industria, artigianato e agricoltura). 
    Le norme sopravvenute non hanno tuttavia modificato il  censurato
art. 7, comma 20;  cio'  e'  sufficiente  ad  escludere  che  lo  ius
superveniens imponga la restituzione degli  atti.  Peraltro,  benche'
sia indubbio che,  come  osservato  dal  Consiglio  di  Stato,  detto
decreto legislativo abbia «avvia[to] una profonda riforma dell'intero
sistema» camerale (Sezione normativa, parere del 20 ottobre 2016,  n.
2155/2016), lo stesso neppure ha introdotto innovazioni in  grado  di
rendere anche solo opportuna una rivalutazione delle censure da parte
del rimettente. 
    4.- Nel merito, la questione non e' fondata, nei sensi di cui  in
motivazione. 
    4.1.- Il rimettente censura la  norma  in  esame  in  riferimento
all'art.  3   Cost.,   denunciandone,   sotto   un   primo   profilo,
l'irragionevolezza intrinseca, per incoerenza rispetto alla finalita'
della stessa, identificata  nel  conseguimento  di  un  risparmio  di
spesa. 
    Relativamente a questo profilo, va ricordato che questa Corte  ha
desunto dall'art. 3 Cost. un canone  di  "razionalita'"  della  legge
svincolato da una normativa di raffronto, rintracciato  nell'esigenza
di  conformita'  dell'ordinamento  a  criteri  di  coerenza   logica,
teleologica e storico-cronologica  (sentenza  n.  87  del  2012).  Il
principio  di  ragionevolezza  e'  dunque  leso  quando  si   accerti
l'esistenza  di  una  irrazionalita'   intra   legem,   intesa   come
«contraddittorieta'   intrinseca   tra   la   complessiva   finalita'
perseguita dal legislatore e la  disposizione  espressa  dalla  norma
censurata» (sentenza n. 416 del 2000). Tuttavia, «non ogni incoerenza
o imprecisione di una normativa puo'  venire  in  questione  ai  fini
dello scrutinio di costituzionalita'» (sentenza  n.  434  del  2002),
consistendo il giudizio di ragionevolezza  in  un  «apprezzamento  di
conformita' tra la regola introdotta e la "causa"  normativa  che  la
deve assistere» (sentenze n. 89 del 1996 e  n.  245  del  2007)  che,
«quando e' disgiunto dal riferimento  ad  un  tertium  comparationis,
puo' trovare ingresso solo  se  l'irrazionalita'  o  iniquita'  delle
conseguenze della norma sia manifesta e irrefutabile» (sentenza n. 46
del 1993). 
    Alla luce di detti principi, l'enfatizzazione della realizzazione
di un risparmio di spesa, nei termini sostenuti dal  rimettente,  non
e' corretta. Il d.l. n. 78 del 2010 reca, infatti, «Misure urgenti in
materia  di   stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'
economica».  Quest'ultima  locuzione,  autonomamente  valutabile,  e'
richiamata nella premessa del decreto, nella  quale  e'  sottolineata
l'esigenza di «emanare disposizioni» anche  «per  il  rilancio  della
competitivita'  economica».  La  soppressione  di  determinati   enti
pubblici e le modalita' di allocazione delle relative  funzioni  sono
state dunque altresi' ispirate all'esigenza, espressamente enunciata,
di   accrescere   la   competitivita',   attraverso    un'opera    di
razionalizzazione organizzativa. 
    La verifica della coerenza finalistica della norma  va,  inoltre,
condotta  avendo  riguardo  all'evoluzione  della  disciplina   delle
Stazioni Sperimentali per l'industria. 
    Queste ultime sono organizzazioni di  risalente  tradizione,  che
svolgevano,  in  collaborazione   con   i   settori   produttivi   di
riferimento, attivita' di sperimentazione e  di  ricerca  industriale
finalizzate al sostegno della competitivita' delle imprese. La  SSICA
fu istituita con decreto reale del 2  luglio  1922,  n.  1396  (Regia
Stazione sperimentale per l'industria delle  Conserve  Alimentari  in
Parma), con sede presso i locali forniti dalla Camera di commercio di
Parma, all'esito di un'evoluzione che rinviene  le  sue  radici  alla
fine del 1800 ed aveva visto assumere da  parte  delle  industrie  di
settore  del  territorio  parmigiano   una   funzione   di   rilievo.
Anteriormente, e successivamente, sono state istituite altre Stazioni
Sperimentali,   tutte   connotate,   fin   dalle    origini,    dalla
localizzazione in base  al  criterio  della  pertinenza  e  rilevanza
dell'industria di riferimento in relazione ad  una  determinata  area
territoriale.  Il  decreto  legislativo  29  ottobre  1999,  n.   540
(Riordino  delle  stazioni  sperimentali  per  l'industria,  a  norma
dell'articolo 11 della Legge 15 marzo 1997, n. 59) le ha  configurate
quali  «enti  pubblici  economici»  sottoposti  «alla  vigilanza  del
Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato» (art.  2,
comma  1),  senza  tuttavia  introdurre   modificazioni   sostanziali
all'attivita'   delle   stesse   (primariamente   consistente   nella
«attivita'  di  ricerca   industriale   e   attivita'   di   sviluppo
precompetitiva», art. 2, comma  2,  lettera  a)  ed  al  criterio  di
localizzazione, tenuto conto dell'inerenza dell'attivita' di  ricerca
e sperimentazione ai settori produttivi peculiarmente  sviluppati  in
determinate aree territoriali del Paese. 
    La norma censurata ha, infine,  disposto  la  soppressione  delle
Stazioni Sperimentali,  prevedendo  che  la  relativa  attivita'  sia
svolta  dalle  camere   di   commercio   nella   cui   circoscrizione
territoriale  esse   avevano   sede,   demandando   ad   un   decreto
interministeriale l'individuazione di «tempi e concrete modalita'  di
trasferimento dei compiti». 
    Nel quadro della lunga e complessa  evoluzione  della  disciplina
delle  Stazioni  Sperimentali,  il  citato  art.  7,  comma  20,   ha
realizzato   una   soluzione    riconducibile    -    come    dedotto
dall'interveniente e dalla Camera di commercio di Parma  -  all'ampia
discrezionalita' spettante  al  legislatore  ordinario  nella  scelta
delle misure organizzative. Tale scelta non e'  stata  manifestamente
irragionevole, in quanto  ispirata  all'esigenza  di  razionalizzarne
l'organizzazione,  in  vista  del   recupero   della   competitivita'
economica,  tenendo  conto  delle  finalita',  delle  origini  (anche
storiche) delle Stazioni Sperimentali e delle ragioni della  costante
localizzazione delle stesse sulla scorta  del  criterio  di  inerenza
dell'attivita'  a  determinate   realta'   produttive   primariamente
esistenti in dati ambiti territoriali.  La  norma  in  esame  non  ha
appunto avuto ad oggetto soltanto  la  SSICA,  ma  ha  realizzato  un
intervento che ha interessato tutte le Stazioni Sperimentali. 
    4.2.- Il secondo profilo di censura concernente  l'art.  3  Cost.
consiste  in  argomentazioni  inscindibilmente  connesse  con  quelle
svolte in relazione agli art. 97 e 118 Cost. Le deduzioni inerenti  a
quest'ultimo  parametro  costituzionale  sono,  infatti,   prive   di
autonomia,  poiche'  convergono  tutte  nel  denunciare  l'ipotizzata
inidoneita'  delle  camere  di  commercio  a  svolgere  compiti   non
connotati da dimensione localistica (tenuto  conto  delle  competenze
alle stesse spettanti e delle strutture delle  quali  dispongono)  e,
quindi, vanno esaminate congiuntamente. 
    4.2.1.- Anche in relazione a detto profilo, la questione  non  e'
fondata. 
    4.2.2.- Il contenuto delle censure impone  di  ricordare  che  le
Camere di commercio, fin dalla loro istituzione (con legge  6  luglio
1862, n. 680, recante «Per l'istituzione e l'ordinamento delle camere
di commercio ed arti») hanno assunto un duplice  volto:  da  un  lato
organi  di  rappresentanza  delle  categorie  mercantili;  dall'altro
strumenti per il  perseguimento  di  politiche  pubbliche,  tanto  da
assumere successivamente (con la legge 20 marzo 1910, n. 121, recante
«Riordinamento delle camere di commercio e arti del regno» e  con  il
regolamento di attuazione approvato con  regio  decreto  19  febbraio
1911, n. 245) la natura  di  enti  di  diritto  pubblico,  dotati  di
personalita' giuridica. 
    La qualificazione di ente pubblico fu mantenuta  con  la  riforma
realizzata negli anni venti del secolo scorso. Il successivo sviluppo
fu caratterizzato, tra l'altro, dallo svolgimento  di  funzioni  loro
demandate quali nuovi organi periferici dello Stato, alle  dipendenze
del Ministro delle corporazioni (sotto forma di Consigli  provinciali
dell'economia corporativa, in cui erano state trasformate  le  Camere
di commercio) e,  in  seguito,  del  Ministro  dell'industria  e  del
commercio, allorche' furono ricostituite come enti, a  circoscrizione
provinciale,  di  coordinamento  e  rappresentanza  degli   interessi
commerciali, industriali ed agricoli della provincia e fu avviato  il
ripristino della elezione degli  organi  da  parte  della  categorie,
attuato infine con la legge n. 580 del 1993. Le camere  di  commercio
risultarono titolari di funzioni proprie e di  funzioni  delegate  da
parte di amministrazioni statali, come  affermato  da  questa  Corte,
sottolineando appunto che «l'organizzazione delle Camere di commercio
interessa anche lo Stato» (sentenza n. 15 del 1957). 
    Tale natura delle Camere di Commercio  e'  stata  sostanzialmente
mantenuta successivamente  all'entrata  in  vigore  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione  della
delega di cui all'art. 1 della L. 22 luglio 1975,  n.  382),  fino  a
quando la legge n.  580  del  1993  le  ha  configurate  quali  «enti
autonomi di diritto pubblico», stabilendo che «svolgono,  nell'ambito
della  circoscrizione  territoriale  di   competenza,   funzioni   di
interesse generale per il sistema delle imprese curandone lo sviluppo
nell'ambito delle economie locali» (art. 1, comma 1). 
    La legge  15  marzo  1997,  n.  59  (Delega  al  Governo  per  il
conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti  locali,  per
la riforma della Pubblica Amministrazione e  per  la  semplificazione
amministrativa), ha portato a piu' coerente  svolgimento  il  disegno
del d.P.R n. 616 del 1977, allentando i controlli statali. Nondimeno,
il riferimento all'ambito locale non  e'  stato  ritenuto  limitativo
dell'attivita' svolta e non ha impedito  alle  camere  di  commercio,
anche dopo le riforme realizzate con la legge n. 580 del 1993  e  con
il d.lgs. n. 23 del 2010, di svolgere funzioni di interesse generale,
necessarie per la tutela dei  consumatori  e  per  la  promozione  di
attivita' economiche. 
    E' stato infatti previsto che  le  camere  di  commercio  possono
incidere sullo stato soggettivo degli operatori economici attraverso,
ad esempio, la tenuta del registro delle imprese  o  di  taluni  albi
professionali (art. 2, comma 2, lettera a, della  legge  n.  580  del
1993). Ad esse sono state attribuite le funzioni degli Uffici metrici
provinciali e di taluni uffici periferici  del  Ministero  (art.  20,
comma 1, del decreto legislativo  31  marzo  1998,  n.  112,  recante
«Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello  Stato  alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge  15
marzo 1997, n.  59»);  presso  le  stesse  e'  stato  individuato  un
responsabile delle attivita' finalizzate alla tutela del  consumatore
e della fede pubblica, con  particolare  riferimento  ai  compiti  in
materia di controllo di  conformita'  dei  prodotti  e  strumenti  di
misura gia' svolti da detti uffici (art. 20, comma 2, del  d.lgs.  n.
112 del 1998); e' stato  previsto  che  i  comuni  possono  stipulare
convenzioni con le camere di commercio, per  la  realizzazione  dello
sportello unico (art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 112  del  1998);  e'
stata stabilita la possibilita' di svolgere compiti di ausilio  dello
Stato  nell'attivita'  di  programmazione  economica  e  finanziaria,
coordinamento e verifica degli interventi per lo  sviluppo  economico
territoriale e settoriale e delle politiche  di  coesione  (art.  24,
comma 1, lettera c, del decreto legislativo 30 luglio 1999,  n.  300,
recante   «Riforma   dell'organizzazione   del   Governo,   a   norma
dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59»); e'  stata  prevista
la facolta' di «costituzione di commissioni arbitrali e  conciliative
per la risoluzione delle controversie tra imprese  e  tra  imprese  e
consumatori e utenti»,  di  «predisposizione  di  contratti-tipo  tra
imprese, loro associazioni e associazioni di tutela  degli  interessi
dei consumatori  e  degli  utenti»  e  di  «promozione  di  forme  di
controllo sulla presenza di clausole inique inserite  nei  contratti»
(art. 2, comma 2, lettere g, h, i, della legge n. 580 del 1993). 
    Tale quadro e' stato confermato dalle leggi di  attuazione  della
riforma del Titolo V della Parte II della  Costituzione,  anche  alla
luce del disposto dell'art. 7, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n.
131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.  3).  Peraltro,  se  la
disciplina vigente alla data  di  emanazione  della  norma  censurata
stabiliva che «le camere  di  commercio,  singolarmente  o  in  forma
associata, esercitano, inoltre, le funzioni ad  esse  delegate  dallo
Stato e dalle regioni, nonche'  i  compiti  derivanti  da  accordi  o
convenzioni internazionali, informando la loro azione al principio di
sussidiarieta'» (art. 2, comma 1, della legge n. 580  del  1983),  le
modifiche da ultimo realizzate dal d.lgs. n.  219  del  2016  neppure
hanno segnato una deriva esclusivamente localistica dei compiti delle
stesse (come risulta anche dall'art. 2, comma 4, della legge  n.  580
del 1993, nel testo modificato da detto decreto legislativo). 
    E' accaduto,  quindi,  che  sino  alla  legge  n.  580  del  1993
carattere locale degli  interessi  e  matrice  statale  degli  organi
chiamati a rappresentarli convivevano  in  una  figura  istituzionale
difficilmente definibile. Detta legge ha  configurato  la  camera  di
commercio quale ente pubblico «che entra a pieno  titolo,  formandone
parte costitutiva, nel sistema dei poteri locali  secondo  lo  schema
dell'art.  118  della  Costituzione,  diventando   anche   potenziale
destinatario di deleghe dello Stato e della Regione» (sentenza n. 477
del 2000). Da ultimo, questa Corte ha affermato che l'art.  1,  comma
1, della legge n. 580 del  1993  «non  contempla  affatto  l'asserita
attribuzione a dette Camere della natura di enti locali, ma  sancisce
che  [...]  sono  enti  pubblici  dotati  di  autonomia   funzionale»
(sentenza n. 29 del 2016), retti dal principio di sussidiarieta',  ai
quali sono attribuiti compiti  che,  se  necessario,  possono  essere
disciplinati in «maniera omogenea in ambito nazionale»  (sentenza  n.
374 del 2007). 
    Le modifiche da ultimo realizzate, benche' pregnanti,  non  hanno
alterato i caratteri fondamentali delle camere di commercio. E' stata
infatti realizzata una razionalizzazione e riduzione  dei  costi  del
sistema camerale,  confermando,  tra  le  altre:  l'attribuzione  dei
compiti in materia di pubblicita' legale e  di  settore  mediante  la
tenuta del  registro  delle  imprese;  le  funzioni  specificatamente
previste dalla legge in materia di tutela  del  consumatore  e  della
fede pubblica, vigilanza e controllo sulla  sicurezza  e  conformita'
dei  prodotti  e  sugli  strumenti  soggetti  alla  disciplina  della
metrologia legale; le competenze in materia di rilevazione dei prezzi
e delle tariffe, rafforzando la  vigilanza  da  parte  del  Ministero
dello sviluppo economico (vedi l'art.  2,  comma  2,  lettere  a,  c,
nonche' l'art. 4 della legge n. 580 del 1993,  nel  testo  modificato
dal d.lgs. n. 219 del 2016). 
    4.2.3.- Il quadro di riferimento nel quale e' stata realizzata la
scelta operata con la norma censurata (peraltro, con riguardo a tutte
le Stazioni Sperimentali) dimostra  che  l'attribuzione  dei  compiti
alle camere di commercio, tenuto conto della loro natura e dell'ampia
e composita gamma di funzioni loro conferite, non e' (e  non  e'  mai
stata)  imprescindibilmente  correlata  alla  necessaria   dimensione
localistica dell'interesse e soltanto esige che  la  relativa  scelta
appaia  giustificata  in  base   ai   principi   di   sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza (ex plurimis, sentenze n. 144 del 2014
e n. 232 del 2011), come e' appunto accaduto. 
    La  complessiva  considerazione  delle  origini  storiche   delle
Stazioni Sperimentali, del radicamento delle  stesse  in  determinati
ambiti territoriali, in correlazione con la tipologia delle attivita'
produttive, apprezzate alla luce della natura e  dei  compiti  svolti
dalle  camere  di  commercio,  rendono  dunque   non   manifestamente
irragionevole  ed  ingiustificata  la  scelta  del   legislatore   di
attribuire a quella di  Parma  i  compiti  in  passato  svolti  dalla
soppressa Stazione  Sperimentale  conserviera,  sulla  scorta  di  un
criterio generale,  applicato  a  tutte  le  altre,  pure  soppresse,
Stazioni sperimentali. 
    4.3.- La censura riferita  all'art.  3  Cost.,  in  relazione  al
principio di eguaglianza, non e' infine fondata, poiche' della  norma
puo' essere fornita un'interpretazione  costituzionalmente  orientata
(della quale il giudice e' onerato; per tutte, sentenza  n.  204  del
2016). 
    L'art. 7, comma 20, del d.l. n. 78 del 2010 stabilisce,  infatti,
che con decreto interministeriale «sono individuati tempi e  concrete
modalita'  di  trasferimento  dei  compiti  e   delle   attribuzioni»
spettanti alle Stazioni Sperimentali. 
    Gli ordinari criteri ermeneutici rendono possibile affermare  che
la  formulazione  della  norma  e'  tale  da  consentire  ed  imporre
modalita' attuative che assicurino sia la rappresentativita' di tutti
gli   imprenditori   interessati   dall'attivita'   delle    Stazioni
Sperimentali (nei limiti  e  nei  modi  resi  necessari  anche  dalla
specificita' di quest'ultima), sia il rilievo nazionale della stessa.
Eventuali  discriminazioni  che  dovessero   essere   realizzate   in
relazione a detti profili non  sarebbero  dunque  riconducibili  alla
norma e - qualora  dovessero  essere  riscontrate  -  costituirebbero
effetto delle modalita' di attuazione stabilite con gli atti  a  cio'
preordinati, soggetti al sindacato del giudice amministrativo.