ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 7,
della legge della Regione  Puglia  25  febbraio  2010,  n.  4  (Norme
urgenti in materia  di  sanita'  e  servizi  sociali),  promossi  con
quattro ordinanze dell'8 ottobre 2015  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per la Puglia, iscritte ai nn. 3, 4, 5  e  6  del  registro
ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 4, prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visti gli atti di costituzione  di  P.G.  R.  ed  altri  e  della
Regione Puglia; 
    udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 2017 il Giudice relatore
Giulio Prosperetti; 
    uditi gli avvocati Giacomo Valla per P.G. R. ed  altri  e  Sabina
Ornella di Lecce per la Regione Puglia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con quattro ordinanze di identico contenuto, iscritte ai  nn.
3, 4, 5 e 6 del registro ordinanze 2016 e pubblicate  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n.  4,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2016, il Tribunale amministrativo regionale per  la  Puglia,  sezione
seconda,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 21, comma 7, della legge della Regione Puglia  25  febbraio
2010, n. 4 (Norme urgenti in materia di sanita' e servizi sociali)  -
in base al quale «Ai contratti di lavoro di  cui  ai  commi  5  e  6,
nonche' nei confronti dei medici incaricati definitivi, si  applicano
le  deroghe  previste  dall'articolo  2  della  L.   740/1970,   come
modificato dall'articolo 6 del decreto legge 14 giugno 1993, n.  187,
convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto  1993,  n.  296,
nel rispetto della normativa nazionale ed europea in tema  di  orario
di lavoro, individuando il tetto massimo orario  in  quarantotto  ore
settimanali (articolo 6 della  direttiva  2003/88/CE  del  Parlamento
europeo e del Consiglio del  4  novembre  2003)»  -,  in  riferimento
all'art. 117, primo e secondo comma, lettera l), della Costituzione. 
    Le  predette  ordinanze  traggono  origine  da  quattro  distinti
giudizi promossi, per mezzo di  altrettanti  ricorsi,  da  medici  di
guardia  e  infermieri  presso  alcuni  istituti  di  pena  pugliesi,
svolgenti anche attivita' libero-professionale  o  ospedaliera  (r.g.
nn. 925 e 1044 del 2014), da dirigenti medici, da medici di base e da
medici  specialisti  presso  le  aziende  sanitarie   locali   (ASL),
svolgenti servizio presso alcune case circondariali pugliesi (r.g. n.
926 del 2014) e da  dirigenti  medici  in  servizio  presso  la  casa
circondariale di Bari (r.g. n. 333 del 2014),  al  fine  di  ottenere
l'annullamento della delibera della Giunta regionale n. 1076 del 2014
che impone a tutte  le  ASL  pugliesi  l'obbligo  di  rispettare,  in
conformita' della disposizione regionale censurata, il tetto  massimo
di quarantotto ore settimanali di lavoro. 
    1.1.- Ad avviso del giudice a quo, la norma  regionale,  fissando
autoritativamente  il  tetto  massimo  orario  in   quarantotto   ore
settimanali, senza fare salve tutte le ipotesi in deroga previste dal
legislatore nazionale e comunitario, avrebbe illegittimamente  invaso
la materia riservata alla competenza esclusiva dello Stato in materia
di ordinamento civile, violando  cosi'  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera   l),   Cost.,   e   contravvenuto   ai   vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario, con conseguente lesione anche dell'art.
117, primo comma, Cost. 
    Il  rimettente  evidenzia  che  la  questione   di   legittimita'
costituzionale e' rilevante in quanto  l'eventuale  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 7, della legge reg.
Puglia n. 4 del 2010 comporterebbe  l'illegittimita'  derivata  della
impugnata delibera di Giunta regionale e degli  eventuali  successivi
atti applicativi. 
    Il  TAR  per  la  Puglia  ritiene,  peraltro,   non   praticabile
un'interpretazione   costituzionalmente   orientata    della    norma
regionale, non essendo nella  stessa  previsto  alcun  discrimen  tra
lavoro svolto all'interno delle strutture sanitarie, relativamente al
quale vigerebbe l'osservanza del limite orario, e lo  svolgimento  di
ulteriori attivita' professionali da parte dei ricorrenti. 
    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,   le   ordinanze   di
rimessione   recepiscono   gli   argomenti   posti    a    fondamento
dell'eccezione  di  incostituzionalita'  sollevata  dalle  parti   in
relazione all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.,  in  quanto
la norma regionale, disciplinando il rapporto di lavoro del personale
sanitario degli istituti  penitenziari,  avrebbe  invaso  la  materia
dell'ordinamento civile riservata al legislatore statale. 
    Nelle ordinanze e' evidenziato, in particolare,  che  «la  figura
dei cd. "medici incaricati" e' stata introdotta e disciplinata per la
prima volta dall'art. 1 legge 9 ottobre  1970,  n.  740  (Ordinamento
delle categorie di  personale  sanitario  addetto  agli  istituti  di
prevenzione   e   pena   non   appartenenti   ai    ruoli    organici
dell'Amministrazione penitenziaria), che  cosi'  qualifica  i  medici
"non appartenenti al personale civile di  ruolo  dell'Amministrazione
degli istituti di prevenzione e di pena, i  quali  prestano  la  loro
opera presso gli istituti o servizi dell'amministrazione stessa".  In
base alla predetta disciplina statale, dunque, le prestazioni rese da
questi ultimi non ineriscono ad un rapporto di lavoro subordinato, ma
sono inquadrabili nella prestazione d'opera professionale  in  regime
di parasubordinazione, come la Corte  Costituzionale  ha  piu'  volte
riconosciuto  (da  ultimo  Sent.   n.   149/2010)   affermando   che,
diversamente dagli impieghi [recte: impiegati] civili dello Stato,  i
medici incaricati possono esercitare  liberamente  la  professione  e
assumere altri impieghi o incarichi». 
    Nelle ordinanze di rimessione viene, altresi', dato atto  che  le
parti, pur svolgendo servizio presso gli istituti di pena,  rivestono
la qualita' di medici  ospedalieri,  medici  di  base  o  medici  del
Servizio sanitario nazionale (SSN)  e  che  la  Regione  Puglia,  pur
riconoscendo loro, con  la  norma  censurata,  il  regime  di  deroga
stabilito nella normativa  nazionale  per  i  medici  incaricati,  ha
fissato  per  essi  il  tetto  massimo  dell'orario  di   lavoro   in
quarantotto  ore  settimanali,  facendo  riferimento  alla  normativa
nazionale ed europea in tema di lavoro subordinato. 
    Il giudice a quo esamina, quindi, le deroghe al tetto massimo  di
quarantotto ore di lavoro settimanali previste dall'art. 17, comma 5,
del decreto legislativo  8  aprile  2003,  n.  66  (Attuazione  delle
direttive  93/104/CE  e   2000/34/CE   concernenti   taluni   aspetti
dell'organizzazione  dell'orario   di   lavoro),   secondo   cui   le
disposizioni relative alla durata massima dell'orario di  lavoro  non
si applicano ai lavoratori la cui durata  dell'orario  di  lavoro,  a
causa  delle  caratteristiche  dell'attivita'  esercitata,  «non   e'
misurata o predeterminata o puo' essere  determinata  dai  lavoratori
stessi [...]». 
    Il TAR ritiene, in conclusione,  che  la  disposizione  regionale
censurata, non avendo richiamato  e  fatto  salve  tutte  le  ipotesi
previste dalla disciplina nazionale ed europea  in  deroga  al  detto
limite  orario  settimanale,  avrebbe  illegittimamente   invaso   la
competenza  esclusiva  del  legislatore   statale   in   materia   di
ordinamento   civile   e   contravvenuto   ai    vincoli    derivanti
dall'ordinamento comunitario, violando  cosi'  l'art.  117,  primo  e
secondo comma, lettera l), Cost. 
    2.-  Con  atti  depositati  in  data  15  febbraio  2016,  si  e'
costituita  in  tutti  i  giudizi  la  Regione   Puglia,   sostenendo
l'inammissibilita',  per  assoluta  carenza  di  motivazione,   della
questione sollevata con riferimento all'art. 117, primo comma,  Cost.
e, comunque, l'infondatezza  nel  merito  di  entrambe  le  questioni
sollevate. 
    2.1.- In relazione alla dedotta eccezione di inammissibilita', la
difesa della Regione sostiene  che  il  giudice  a  quo  non  avrebbe
richiamato nel  dispositivo  delle  quattro  ordinanze  il  parametro
interposto, ovvero la norma europea la cui violazione  determinerebbe
il  contrasto  tra  la  norma  regionale  impugnata  e  il  parametro
costituzionale evocato, e che tale parametro interposto non  sarebbe,
comunque,  desumibile  dalla   motivazione   dei   provvedimenti   di
rimessione. 
    2.2.- Nel merito, ad avviso  della  Regione  Puglia,  le  censure
sarebbero entrambe infondate. 
    Infatti, l'art. 21, comma 7, della legge reg.  Puglia  n.  4  del
2010, non  solo  non  si  porrebbe  in  contrasto  con  la  direttiva
2003/88/CE del 4 novembre 2003 (Direttiva del  Parlamento  europeo  e
del  Consiglio   concernente   taluni   aspetti   dell'organizzazione
dell'orario  di  lavoro),  ma   ne   costituirebbe   invece   diretta
attuazione, considerato quanto stabilito da essa nell'art. 6, lettera
b), in forza del quale e' fatto obbligo agli Stati membri di prendere
le misure necessarie  affinche',  in  funzione  degli  imperativi  di
protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori,  la  durata
media dell'orario di lavoro per ogni  periodo  di  sette  giorni  non
superi le quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario. 
    La difesa  della  Regione  ripercorre  la  complessiva  normativa
comunitaria e nazionale in materia di orario di lavoro, sostenendo la
conformita' della norma censurata a tale disciplina, anche laddove la
stessa  ne  esclude,  implicitamente,  l'applicazione  al   personale
incaricato  di  svolgere  incarichi  dirigenziali  o,  comunque,   di
direzione. 
    In particolare, in ordine alla applicabilita' del  tetto  massimo
settimanale di quarantotto ore di lavoro ai lavoratori  autonomi,  la
difesa  regionale  sostiene  che  «ovviamente  il  tetto  orario   in
questione non  e',  altresi',  applicabile  alle  ipotesi  di  lavoro
autonomo, poiche' si riferisce  solo  a  quelle  attivita'  che  sono
svolte nell'osservanza di un orario di lavoro, inteso come "qualsiasi
periodo in cui il lavoratore  sia  al  lavoro",  a  disposizione  del
datore di lavoro e "nell'esercizio della sua attivita'  o  delle  sue
funzioni" (cfr. art. 1, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 66 del 2003)». 
    La Regione sottolinea, poi, che la norma regionale censurata, pur
individuando il tetto massimo dell'orario di  lavoro  settimanale  in
quarantotto ore,  stabilisce  expressis  verbis  il  «rispetto  della
normativa nazionale ed europea in tema di orario di lavoro». 
    Il che escluderebbe ogni possibile contrasto tra la  disposizione
regionale  censurata  e  la  disciplina  dettata   in   materia   dal
legislatore nazionale ed europeo. 
    Peraltro, limitatamente alla dedotta  violazione  dell'art.  117,
primo comma, Cost., la difesa regionale afferma  che  le  ipotesi  di
deroga previste dalla direttiva al tetto  massimo  delle  quarantotto
ore di lavoro settimanali andrebbero intese  non  gia'  come  deroghe
obbligatorie, imposte  ai  legislatori  nazionali,  ma  come  deroghe
meramente facoltative, rimesse  alla  discrezionalita'  degli  Stati,
come  confermato  anche  dalla  circostanza  che  l'art.   17   della
direttiva, scaduto il  primo  periodo  transitorio  di  cinque  anni,
prevede limiti stringenti alle eventuali deroghe. 
    3.- In data 12 febbraio 2016 si sono costituite nel giudizio r.o.
n. 5 del 2016, le parti ricorrenti P.G. R. ed altri che, in  data  28
febbraio 2017, hanno depositato anche ulteriore memoria illustrativa,
precisando gli argomenti gia' esposti. 
    I  ricorrenti  insistono,  sulla  base  degli  stessi   argomenti
evidenziati dal giudice a quo, per la declaratoria di  illegittimita'
costituzionale dell'art. 21, comma 7, della legge reg.  Puglia  n.  4
del 2010, prospettando, preliminarmente,  anche  una  interpretazione
costituzionalmente orientata della norma denunciata, da intendersi, a
loro avviso, nel senso che il limite delle quarantotto  ore  da  essa
previsto possa essere riferito soltanto alle  prestazioni  lavorative
rese in regime di convenzione presso gli istituti di pena  e  non  al
complessivo lavoro svolto dai sanitari, a diverso  titolo,  nell'arco
della settimana. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo  regionale  per  la  Puglia,  con
quattro ordinanze di identico contenuto, iscritte ai nn. 3, 4, 5 e  6
del registro ordinanze 2016, ha sollevato questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 21,  comma  7,  della  legge  della  Regione
Puglia 25 febbraio 2010, n. 4 (Norme urgenti in materia di sanita'  e
servizi sociali), in riferimento all'art. 117, primo e secondo comma,
lettera l), della Costituzione. 
    La questione trae origine dall'impugnazione della delibera  della
Giunta regionale della Puglia n. 1076 del 2014, che impone a tutte le
aziende sanitarie locali (ASL) pugliesi l'obbligo  del  rispetto  nei
confronti di tutto il personale sanitario, medici ed infermieri,  del
tetto   massimo   di   quarantotto   ore   settimanali   di   lavoro,
ricomprendendovi sia il lavoro svolto all'esterno degli  istituti  di
pena, che quello svolto in regime di  parasubordinazione  all'interno
degli stessi. 
    La delibera della Giunta regionale risulta essere applicativa del
censurato art. 21, comma 7, della legge reg. Puglia n. 4 del 2010  e,
pertanto, i ricorrenti che, in dipendenza di tale normativa, si  sono
visti costretti a rinunciare agli altri incarichi da  loro  ricoperti
rispetto a quello di medico penitenziario ovvero alla  riduzione  del
monte ore settimanale presso l'istituto penitenziario, hanno adito il
TAR per la Puglia che ha rimesso  a  questa  Corte  la  questione  di
legittimita' costituzionale della disposizione regionale. 
    Il rimettente, ritenuta rilevante la questione e non percorribile
un'interpretazione   costituzionalmente   orientata    della    norma
censurata, evidenzia che  questa,  disciplinando  le  prestazioni  di
lavoro  parasubordinato  del  personale  sanitario   degli   istituti
penitenziari,   avrebbe   invaso    la    competenza    in    materia
dell'ordinamento civile riservata al  legislatore  statale  dall'art.
117, secondo comma, lettera l), Cost. e,  inoltre,  contravvenuto  ai
vincoli europei, con  conseguente  violazione  anche  dell'art.  117,
primo comma, Cost. 
    2.- La questione e' fondata. 
    Questa Corte ha ripetutamente sottolineato che la disciplina  dei
vari profili del  tempo  della  prestazione  lavorativa  deve  essere
ricondotta alla materia  dell'ordinamento  civile,  in  quanto  parte
integrante della disciplina del trattamento normativo del  lavoratore
dipendente, sia pubblico che privato (ex plurimis,  sentenze  n.  257
del 2016, n. 18 del 2013, n. 290, n. 215 e n. 213 del 2012, n. 339  e
n. 77 del 2011, n. 324 del 2010). 
    Va rilevato che questa Corte si e'  gia'  pronunciata  in  ordine
alle prestazioni rese dai c.d. "medici incaricati" nell'ambito  degli
istituti di pena, chiarendo che esse «non ineriscono ad  un  rapporto
di lavoro subordinato, ma sono inquadrabili nella prestazione d'opera
professionale, in regime di parasubordinazione» (sentenza n. 149  del
2010). 
    Tale considerazione e' assorbente anche rispetto alle  richiamate
deroghe previste in materia dalla normativa nazionale e europea e, in
particolare, a quelle stabilite dall'art. 17, comma  5,  del  decreto
legislativo  8  aprile  2003,  n.  66  (Attuazione  delle   direttive
93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione
dell'orario di lavoro), a tenore del quale le  disposizioni  relative
alla durata  massima  dell'orario  di  lavoro  non  si  applicano  ai
lavoratori la  cui  durata  dell'orario  di  lavoro,  a  causa  delle
caratteristiche  dell'attivita'  esercitata,  non   e'   misurata   o
predeterminata o puo' essere determinata dai lavoratori stessi. 
    Invero,  esula  dalla   competenza   legislativa   regionale   la
qualificazione delle fattispecie in  termini  di  lavoro  autonomo  o
lavoro subordinato, come  presupposto  della  loro  regolamentazione,
trattandosi di materia rientrante nell'ambito dell'ordinamento civile
e, quindi, di esclusiva competenza del legislatore statale  (ex  art.
117, secondo comma, lettera l), Cost.). 
    Ne' a tale conclusione  potrebbe  opporsi  la  rilevanza  che  la
regolazione dell'orario di lavoro del  personale  pubblico  regionale
assume sugli assetti organizzativi dei servizi che  la  regione  deve
assicurare, trattandosi di competenza residuale che deve  esercitarsi
nel rispetto dei limiti derivanti da altre competenze statali, quali,
appunto, quelle in materia di ordinamento civile. 
    Peraltro, questa  Corte  ha  avuto  modo  di  ribadire,  in  piu'
occasioni, che, in presenza di una materia attribuita alla competenza
esclusiva  dello  Stato,  alle  Regioni  e'  inibita  anche  la  mera
riproduzione della norma statale (sentenze n. 18 del 2013 e n. 29 del
2006). 
    Da cio' consegue l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  21,
comma 7, della legge della Regione Puglia 25 febbraio 2010, n. 4, per
violazione  dell'art.  117,  secondo   comma,   lettera   l),   della
Costituzione. 
    3.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  in
riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., resta assorbita.