ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 5,  comma
12, e 8, comma 13, lettere  s)  ed  u),  della  legge  della  Regione
Lombardia 5 agosto 2015, n. 22 (Assestamento al bilancio 2015/2017  -
I provvedimento di variazione  con  modifiche  di  leggi  regionali),
promosso dal Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  con  ricorso
notificato il 9-12 ottobre 2015,  depositato  in  cancelleria  il  13
ottobre 2015 ed iscritto al n. 93 del registro ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Lombardia; 
    udito nella  udienza  pubblica  del  4  luglio  2017  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli; 
    uditi l'avvocato  dello  Stato  Maria  Gabriella  Mangia  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Piera Pujatti  per
la Regione Lombardia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con il ricorso in epigrafe, il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha impugnato gli artt. 5, comma 12, e 8, comma 13, lettere  s)
ed u), della legge della Regione  Lombardia  5  agosto  2015,  n.  22
(Assestamento al bilancio 2015/2017 - I provvedimento  di  variazione
con modifiche  di  leggi  regionali),  in  riferimento  ai  parametri
costituzionali, e per i motivi, di  cui  direttamente  si  dira'  nel
Considerato in diritto. 
    2.- La Regione  Lombardia,  costituitasi,  ha  eccepito,  in  via
preliminare,  l'inammissibilita',  per  genericita'  e   difetto   di
chiarezza, delle censure rivolte agli artt. 5, comma 12, e  8,  comma
13, lettera u); ed ha contestato, comunque,  la  fondatezza  di  ogni
questione ex adverso prospettata relativamente alla propria succitata
legge. 
    3.- Il ricorrente Presidente del  Consiglio  dei  ministri  e  la
resistente Regione Lombardia hanno anche depositato memorie,  con  le
quali  ribadiscono,  ed  ulteriormente  argomentano,  le   rispettive
richieste e conclusioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Viene impugnata, dal Presidente del Consiglio  dei  ministri,
la legge della Regione Lombardia 5 agosto 2015, n.  22  (Assestamento
al bilancio 2015/2017 - I provvedimento di variazione  con  modifiche
di leggi regionali), in relazione alla  quale  l'Avvocatura  generale
dello Stato, che rappresenta e  difende  il  ricorrente,  propone  le
seguenti tre distinte questioni: 
    a) se l'art. 5, comma 12, di detta legge regionale - nella  parte
in cui prevede che le disposizioni di cui al  comma  532,  secondo  e
terzo periodo, dell'art. 1 della legge  23  dicembre  2014,  n.  190,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita'  2015)»  si  applichino,
per l'anno 2015, anche  al  personale  della  Regione  Lombardia  nel
rispetto della  disciplina  del  pareggio  di  bilancio,  cosi'  come
prevista dai commi 460 e seguenti dello stesso art. 1 della legge  n.
190 del 2014 - violi l'art. 117, secondo  comma,  lettera  l),  della
Costituzione, per lesione  della  competenza  esclusiva  dello  Stato
nella materia «ordinamento civile»; 
    b) se il successivo art. 8, comma 13,  lettera  s),  della  legge
regionale in esame - con il disporre che la  Giunta  regionale  possa
«consentire, per le sole concessioni  in  scadenza,  la  prosecuzione
temporanea, da parte del concessionario  uscente,  non  oltre  il  31
dicembre 2017, dell'esercizio degli impianti di grande derivazione ad
uso  idroelettrico  per   il   tempo   strettamente   necessario   al
completamento delle procedure di attribuzione di cui all'art. 12  del
d.lgs. n. 79 del 1999 [decreto  legislativo  16  marzo  1999,  n.  79
(Attuazione della direttiva 96/92/CE  recante  norme  comuni  per  il
mercato interno dell'energia elettrica)]» - violi l'art.  117,  commi
primo e secondo, lettera e), Cost., nonche' i  principi  fondamentali
in materia di produzione e distribuzione di energia di  cui  all'art.
117, terzo comma, Cost., poiche' legittimerebbe un  organo  regionale
ad esercitare la potesta' discrezionale, appartenente allo Stato,  di
far proseguire l'efficacia di una concessione oltre la sua originaria
scadenza, nonche' lo stesso art.  117,  secondo  comma,  lettera  e),
Cost., posto che  l'uso  di  tale  potere,  da  parte  della  Regione
Lombardia, sarebbe idoneo ad alterare i principi del libero  mercato,
ponendosi in contrasto  con  il  medesimo  d.lgs.  n.  79  del  1999,
attuativo, peraltro, delle norme comunitarie dettate in materia; 
    c) se lo stesso art. 8, comma 13, lettera u) - con  il  prevedere
che, al fine di concorrere al finanziamento di misure e interventi di
miglioramento ambientale, la Giunta  regionale  possa  stabilire,  in
luogo della corresponsione di tutti o parte dei proventi  di  cui  al
comma 5 dell'art. 53-bis della legge regionale 12 dicembre  2003,  n.
26 (Disciplina dei servizi locali di  interesse  economico  generale.
Norme in materia di gestioni dei rifiuti, di energia, di utilizzo del
sottosuolo e di risorse  idriche),  criteri,  modalita'  e  forme  di
compensazione  per  lo  sviluppo  del  territorio  interessato  dalla
concessione - violi, a sua volta, l'art. 117, commi primo e  secondo,
lettere e) ed s), Cost., nonche' i principi fondamentali  in  materia
di produzione e distribuzione di energia di cui all'art.  117,  terzo
comma,  Cost.,   poiche'   la   previsione   dell'imposizione   della
corresponsione di un canone aggiuntivo si porrebbe, illegittimamente,
in contraddizione con il principio, di derivazione comunitaria, della
libera concorrenza, in quanto  incidente  negativamente  sui  gestori
operanti nel territorio della Lombardia rispetto a  quelli  di  altre
Regioni. 
    2.- Preliminarmente va rilevato che il riferimento  all'art.  120
della Costituzione, in epigrafe e nella richiesta finale del presente
ricorso, non trova corrispondenza, nel corpo  dell'atto,  in  nessuna
censura, in termini di  sua  violazione  da  parte  di  alcune  delle
disposizioni impugnate, per cui  detto  parametro  deve  considerarsi
estraneo al thema decidendum. 
    3.- La prima questione - ammissibile, poiche',  contrariamente  a
quanto eccepito dalla resistente Regione, la  denuncia  di  invasione
del titolo di competenza  statale  e'  adeguatamente  argomentata  in
ricorso - e' anche fondata. 
    Secondo, infatti, la costante giurisprudenza di questa  Corte,  a
seguito della privatizzazione del pubblico impiego, la disciplina del
trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici  -  tra  i
quali, ai sensi dell'art. 1, comma  2,  del  decreto  legislativo  30
marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sono ricompresi anche  i
dipendenti delle Regioni - compete unicamente al legislatore statale,
rientrando nella materia «ordinamento civile» (ex multis, sentenze n.
72 del 2017; n. 257 del 2016; n. 180 del 2015; nn. 269, 211 e 17  del
2014). 
    La disposizione censurata - estendendo al personale della Regione
Lombardia  la  disciplina  (incidente  anche   sulle   modalita'   di
svolgimento dell'orario lavorativo) riferita da fonte statale  (legge
n.  190  del  2014,  art.  1,  comma  532)  solo  al  personale   non
dirigenziale del comune di Milano impiegato nelle  attivita'  per  la
realizzazione e lo  svolgimento  di  EXPO  -  effettivamente  incide,
quindi, sulla materia «ordinamento civile», di  competenza  esclusiva
dello  Stato,  e  va,  per  tale  assorbente  profilo,   incontro   a
declaratoria di illegittimita' costituzionale. 
    4.- La seconda questione - avente ad oggetto la  disposizione  di
cui all'art. 8, comma 13, lettera s), della legge regionale impugnata
- e' gia' stata dichiarata non  fondata,  in  relazione  ai  medesimi
parametri qui evocati (art. 117, secondo comma, lettera e),  e  terzo
comma, Cost.) con la sentenza di questa Corte n. 101 del 2016. 
    In detta  sentenza  si  e',  in  primo  luogo,  infatti,  esclusa
l'asserita violazione  dei  principi  regolatori  della  materia,  di
competenza  concorrente,  «produzione,  trasporto   e   distribuzione
nazionale dell'energia», recati dal decreto  legislativo  n.  79  del
1999. E cio' sul rilievo che  il  suddetto  decreto  legislativo,  al
comma 1  del  suo  art.  12,  gia',  infatti,  prevede  che,  per  le
concessioni idroelettriche scadenti entro il  31  dicembre  2017,  la
gara di evidenza pubblica  per  la  nuova  concessione  possa  essere
differita ed indetta «entro due anni dalla data di entrata in  vigore
del[l'emanando] decreto [del Ministero dell'ambiente] di cui al comma
2»; e, al successivo comma 8-bis dello stesso art.  12,  testualmente
prevede che «Qualora alla data di scadenza di una concessione non sia
ancora  concluso  il  procedimento  per  l'individuazione  del  nuovo
concessionario, il concessionario  uscente  proseguira'  la  gestione
della derivazione, fino al subentro dell'aggiudicatario  della  gara,
alle stesse condizioni stabilite dalle normative e  dal  disciplinare
di concessione vigenti». 
    Per cui e'  evidente  che  la  Regione  -  disciplinando  analoga
ipotesi  di  prosecuzione  dell'attivita'  oggetto   di   concessione
scaduta, «al  fine  di  garantire  la  continuita'  della  produzione
elettrica» per i «tempi necessari [...] per espletare le procedure di
gara» ed assumendo la medesima data del 31 dicembre 2017 prevista dal
legislatore statale, oltretutto  al  solo  piu'  riduttivo  scopo  di
fissare il termine ultimo utile ai fini della  proseguibilita'  delle
gestioni antecedentemente scadute - non ha per alcun profilo  deviato
dal binario fissato dal legislatore statale, al quale  si  e'  invece
sostanzialmente attenuta. 
    Mentre, con riguardo alla denunciata  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera e), Cost., la stessa sentenza n. 101 del  2016
ha rilevato che, se e' pur vero che la disciplina della procedura  ad
evidenza pubblica relativa alla tempistica delle gare ed al contenuto
dei bandi, nonche' all'onerosita' delle concessioni messe a gara  nel
settore idroelettrico, rientra  nella  materia  della  «tutela  della
concorrenza», di competenza legislativa esclusiva statale, in  quanto
volta, appunto, a garantire  e  promuovere  la  concorrenza  in  modo
uniforme sull'intero territorio statale, vero e' anche, pero', che la
(temporalmente  circoscritta)  proseguibilita'  della   gestione   di
derivazione d'acqua oggetto di concessione scaduta - quale consentita
dalla norma regionale  impugnata  (in  linea,  peraltro,  con  quanto
analogamente previsto dal legislatore statale), in funzione della non
interruzione del  servizio  idrico,  nel  caso  e  per  il  tempo  di
protrazione delle procedure di gara indette per il conferimento della
nuova concessione - non reca alcun effettivo vulnus al  principio  di
«concorrenza», che resta salvaguardato dalla libera partecipazione  a
tali procedure. 
    Nessun rilievo si rinviene nell'odierno ricorso che contrasti  le
riferite argomentazioni,  ne'  alcun  altro  motivo  ivi  e'  esposto
diverso da quelli gia' valutati dalla  citata  sentenza  n.  101  del
2016. 
    Da qui la manifesta infondatezza  della  (seconda)  questione  in
esame. 
    5.- Con la terza questione, il  ricorrente  testualmente  lamenta
che l'imposizione di un canone aggiuntivo «contraddic[a]  in  maniera
illegittima il principio, di derivazione  comunitaria,  della  libera
concorrenza, in quanto incide negativamente sui gestori operanti  nel
territorio della Lombardia rispetto a quelli di altre Regioni». 
    Senonche', come rilevato dalla resistente, il denunciato art.  8,
comma 13, lettera u), della citata legge regionale n. 22 del 2015 non
introduce, esso, il canone aggiuntivo (invero gia' posto a carico del
concessionario uscente, per il «periodo di  prosecuzione  temporanea»
della concessione, dal non impugnato comma 5 dell'art.  53-bis  della
legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003),  ma,  presupponendolo,
disciplina criteri, modalita' e forme alternative  di  corresponsione
di quel canone, mediante il ricorso a forme di compensazione «per  lo
sviluppo del territorio interessato dalla concessione». 
    Con la conseguenza che la questione cosi' formulata, per  la  non
chiara pertinenza del suo petitum alla  disposizione  censurata,  non
supera il vaglio di ammissibilita'.