ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 1,
lettera c), della Tariffa,  Parte  prima,  allegata  al  decreto  del
Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione  del
Testo unico delle disposizioni concernenti  l'imposta  di  registro),
promosso dalla  Commissione  tributaria  provinciale  di  Napoli  nel
procedimento vertente tra il Fallimento della Keymat Industrie spa  e
l'Agenzia delle entrate - direzione provinciale  II  di  Napoli,  con
ordinanza del 20  maggio  2016,  iscritta  al  n.  217  del  registro
ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 44, prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  5  luglio  2017  il  Giudice
relatore Daria de Pretis. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 20 maggio 2016,  iscritta  al  n.  217  del
registro ordinanze 2016, la  Commissione  tributaria  provinciale  di
Napoli  ha  sollevato  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 8,  comma  1,  lettera  c),  della  Tariffa,  Parte  prima,
allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26  aprile  1986,
n. 131 (Approvazione del Testo unico delle  disposizioni  concernenti
l'imposta di registro). 
    La questione e' sorta nel  corso  di  un  giudizio  promosso  dal
curatore del fallimento della  Keymat  Industrie  spa  nei  confronti
dell'Agenzia delle entrate - direzione provinciale II di Napoli. 
    La controversia ha ad oggetto un avviso di liquidazione,  che  ha
determinato in euro  68.559,00  l'imposta  di  registro  relativa  un
decreto pronunciato ai sensi dell'art. 98 del regio decreto 16  marzo
1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del  concordato  preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa;  in  seguito:  legge  fallimentare).  Con   esso   il
Tribunale ordinario di Napoli, definendo un giudizio  di  opposizione
allo stato passivo del fallimento  della  Keymat  Industrie  spa,  ha
ammesso al concorso un credito in precedenza escluso. 
    Il ricorrente nel  processo  principale  lamenta  che  sia  stata
applicata l'imposta di registro nella misura  proporzionale  dell'uno
per cento, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lettera c), della  Tariffa,
Parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 (in  seguito,  anche:
Tariffa), anziche' nella misura fissa,  nonostante  si  tratti  della
registrazione di un provvedimento relativo a un credito derivante  da
operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto (IVA).  Sostiene,
altresi',  che  le  pronunce  rese  a  definizione  dei  giudizi   di
opposizione allo stato passivo, per la loro natura  endofallimentare,
non sarebbero soggette a registrazione. 
    Il  giudice  a  quo  dubita  della  legittimita'   costituzionale
dell'art. 8, comma 1, lettera c), della Tariffa, in riferimento  agli
artt. 3,  24,  53  e  10  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui
assoggetta  all'imposta  di  registro  nella   misura   proporzionale
dell'uno  per  cento,  anziche'  in   misura   fissa,   gli   «[a]tti
dell'Autorita'  Giudiziaria  ordinaria  e  speciale  in  materia   di
controversie civili che definiscono, anche parzialmente, il  giudizio
[...] c) di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale»,  anche
nel caso di accertamento di crediti derivanti da operazioni  soggette
a IVA. 
    1.1.- Sulla rilevanza della questione, il rimettente osserva che,
ai sensi della nota II all'art. 8 della Tariffa, gli atti  giudiziari
di cui al comma 1, lettera b) e al comma 1-bis dello  stesso  art.  8
non sono sottoposti all'imposta  proporzionale  di  registro  per  la
parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi  o  prestazioni
soggetti a IVA. Tale norma costituirebbe una  particolare  attuazione
del principio di alternativita' fra l'imposta  di  registro  e  l'IVA
stabilito dall'art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986, sicche' agli  atti
in essa indicati si applicherebbe l'imposta in misura fissa. 
    Il  rimettente  osserva,  altresi',  che  secondo   la   costante
giurisprudenza di legittimita', alla quale dichiara  di  aderire,  la
norma di cui alla citata nota II si applica ai soli provvedimenti  di
condanna e,  in  quanto  di  stretta  interpretazione,  non  si  puo'
estendere agli atti giudiziari che si limitano ad  accertare  crediti
derivanti da operazioni soggette a IVA, come le sentenze  pronunciate
in esito ai giudizi di opposizione allo stato passivo del fallimento. 
    Cosi' interpretata la norma - che  sarebbe  valida  anche  per  i
decreti che definiscono  ora  i  giudizi  di  opposizione,  ai  sensi
dell'art. 98 della legge fallimentare nella sua attuale  formulazione
- il ricorso dovrebbe essere respinto,  mentre  esso  sarebbe  invece
destinato ad essere accolto se la Corte ritenesse fondato  il  dubbio
di costituzionalita'. In questo secondo caso  infatti  il  ricorrente
dovrebbe pagare solo l'imposta di registro in misura fissa. 
    Da qui, per il giudice a quo, la rilevanza della questione. 
    1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza della questione,  la
norma censurata violerebbe in primo luogo l'art. 3 Cost. per  lesione
del  principio  di  eguaglianza,  in   quanto   sarebbe   del   tutto
irragionevole «trattare in  maniera  differenziata»  le  pronunce  di
accertamento di crediti derivanti da operazioni soggette a IVA  e  le
pronunce di condanna al pagamento degli stessi crediti, per le  quali
la nota II all'art. 8 della Tariffa, Parte prima, allegata al  d.P.R.
n. 131 del 1986, prevede l'applicazione dell'imposta in misura fissa. 
    Secondo il rimettente, la pronuncia di condanna al  pagamento  di
un credito  presuppone  sempre,  quale  suo  antecedente  logico,  un
giudizio di accertamento dello stesso credito, sicche' il legislatore
disciplinerebbe in modo  irragionevolmente  diverso  «situazioni  con
presupposti identici», solo perche' la parte avrebbe  deciso  di  non
chiedere contestualmente anche la condanna del debitore. 
    Questa conclusione varrebbe, a maggior ragione, per i giudizi  di
opposizione allo stato passivo, in quanto il  creditore  escluso  non
potrebbe agire per ottenere la condanna del fallimento, ostandovi  le
regole del concorso, che consentono  solo  l'azione  di  accertamento
endofallimentare. Con l'opposizione si proporrebbe quindi una domanda
di accertamento equivalente, nella sostanza, a un'azione di condanna,
sia pure nei limiti del concorso, poiche' il creditore chiede,  oltre
all'accertamento del suo diritto, anche di concorrere nell'attivo. 
    1.3.- In secondo luogo, la norma censurata violerebbe  l'art.  24
Cost. per lesione del diritto di difesa sia  del  creditore  che  del
fallimento, in quanto il primo «non  azionera'  le  sue  pretese  nel
giudizio  di  opposizione  (specialmente  laddove  vanti  importi  di
notevole entita'), perche' a fronte di una  ipotetica  partecipazione
al concorso (credito verosimilmente falcidiato e di molto)  sosterra'
viceversa un costo certo e di  notevole  entita'  (l'1%  della  somma
vantata)», mentre il secondo  avrebbe  «maggiore  convenienza  a  non
coltivare  alcun  giudizio»,  perche'  l'ammissione  al  passivo  del
credito e il suo pagamento con la falcidia concorsuale si tradurrebbe
per la massa dei creditori in  un  «costo»  inferiore  a  quello  che
deriverebbe dal pagamento in prededuzione, ex art.  111  della  legge
fallimentare, dell'importo versato a titolo di  imposta  di  registro
proporzionale dal creditore vittorioso nel giudizio di opposizione. 
    1.4.- Sarebbe violato anche  l'art.  53  Cost.  per  lesione  del
principio di capacita' contributiva, in quanto il  creditore  di  una
prestazione soggetta a IVA sarebbe tenuto al  pagamento  dell'imposta
in misura proporzionale, anziche' fissa,  indipendentemente  «da  una
sua attivita' o scelta processuale» e «per il solo fatto che e' stato
costretto ad agire in ambito endo-fallimentare», non potendo agire in
via ordinaria nei  confronti  del  debitore  fallito;  e  in  quanto,
inoltre, «il pagamento dell'imposta viene chiesto anche al Fallimento
(anzi, in caso di accoglimento dell'opposizione il creditore  istante
avra' diritto al pagamento in prededuzione)». 
    1.5.- Infine, sarebbe violato l'art. 10  Cost.  per  lesione  del
«principio di concorrenza (garantito anche a  livello  comunitario)»,
in quanto la norma censurata porrebbe il creditore  del  fallito  «in
una posizione deteriore rispetto a un creditore che agisca contro  un
debitore non fallito». 
    2.- Con atto depositato in cancelleria il  22  novembre  2016  e'
intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata  inammissibile  o  comunque
manifestamente infondata. 
    2.1.- L'interveniente osserva che l'imposta  di  registro,  quale
imposta d'atto, puo' avere natura di tassa o  natura  di  imposta  in
senso stretto a seconda che essa sia legata alla  prestazione  di  un
servizio amministrativo di registrazione, che comporta l'applicazione
del tributo in misura fissa,  oppure  al  contenuto  e  agli  effetti
giuridici degli atti, dai quali  emerga  un  evento  suscettibile  di
valutazione economica, con conseguente  applicazione  di  una  misura
proporzionale. L'imposta dovuta per  i  decreti  che  definiscono  il
giudizio di opposizione allo stato  passivo  avrebbe  questa  seconda
natura, dal momento che essi contengono l'accertamento dell'esistenza
e  dell'efficacia  del  credito  nei  confronti  della  procedura   e
consentono al contribuente di partecipare al  concorso  ottenendo  la
soddisfazione del credito in sede di riparto. 
    Cio' premesso, ad  avviso  dell'Avvocatura  la  diversita'  delle
situazioni  messe  a  confronto  escluderebbe  la  fondatezza   della
questione sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. Solo la pronuncia
di condanna, a differenza  di  quella  di  accertamento,  costituisce
titolo esecutivo idoneo a ottenere sia la soddisfazione coattiva  del
credito  che  l'adozione  di  misure   cautelari,   quale   l'ipoteca
giudiziale ex art. 2818 del codice civile. Il fatto che  la  condanna
presupponga  sempre  l'accertamento  del  diritto  non   rileverebbe,
perche' «quest'ultimo e' qualcosa in meno  rispetto  alla  condanna»,
cosi'  da   giustificare   l'assoggettamento   delle   corrispondenti
decisioni giudiziarie a un'imposta proporzionale dell'uno per  cento,
ridotta a un terzo di quella ordinariamente prevista per le  sentenze
di condanna, pari al tre per cento ex art. 8, comma  1,  lettera  b),
della Tariffa, Parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986. 
    Nel caso di accertamento giudiziale di un  credito  derivante  da
operazioni soggette a IVA, la mancata applicazione del  principio  di
alternativita' sarebbe del tutto logica e coerente  con  il  sistema,
perche' la natura dichiarativa della pronuncia esclude  l'obbligo  di
versamento dell'IVA. Verrebbe pertanto meno la necessita' di  evitare
una doppia imposizione dello stesso fatto economico,  costituente  la
ratio dell'assoggettamento alla sola imposta fissa delle pronunce  di
condanna,  la  cui  esecuzione  determina  l'applicazione   immediata
dell'IVA. Il trattamento  delle  sentenze  di  accertamento  con  una
tassazione di registro autonoma, pari a un terzo di quella ordinaria,
sembrerebbe dunque ragionevole. 
    Secondo l'interveniente, il fatto che nel giudizio di opposizione
allo  stato  passivo  sia  preclusa  una  pronuncia  di  condanna  al
pagamento  del  credito  accertato  non  comporta  alcuna  violazione
dell'art.  3  Cost.,  in  quanto  le  situazioni  messe  a  confronto
permangono comunque diverse.  Nelle  procedure  concorsuali,  invero,
l'impossibilita' di ottenere pronunce di condanna  al  pagamento  dei
crediti ammessi al passivo sarebbe connaturata al sistema, che  vieta
di iniziare o proseguire azioni esecutive  individuali,  ex  art.  51
della  legge  fallimentare,  sicche'   l'auspicata   estensione   del
principio di alternativita' ai soli decreti che definiscono i giudizi
di opposizione allo stato passivo, in sostanziale deroga alla  regola
generale che prevede la tassazione proporzionale delle  decisioni  di
accertamento, apparirebbe del tutto ingiustificata. 
    2.2.- La questione sollevata in  riferimento  all'art.  24  Cost.
sarebbe inammissibile, perche' fondata sull'erroneo  presupposto  che
il  creditore  escluso  dal  concorso  sia  indotto  a  non  proporre
opposizione per la  certezza  del  costo  corrispondente  all'imposta
proporzionale  di  registro   applicabile   sulla   somma   accertata
giudizialmente, mentre la  sua  successiva  riscossione  in  sede  di
riparto sarebbe invece incerta e soggetta alla falcidia  concorsuale.
Il  giudice  a  quo  non  avrebbe  considerato  che  il  costo  della
registrazione del decreto emesso ex art. 98 della legge  fallimentare
non rimane a carico del creditore vittorioso che abbia anticipato  il
pagamento dell'imposta, avendo egli diritto al rimborso  della  spesa
nei confronti della procedura, in prededuzione  rispetto  agli  altri
crediti. 
    2.3.- La questione sollevata in  riferimento  all'art.  53  Cost.
sarebbe infondata, in  quanto  l'imposta  di  registro  in  esame  e'
applicabile  in  presenza  di   una   manifestazione   di   capacita'
contributiva,  come  si  dovrebbe   considerare   la   pronuncia   di
accertamento dell'esistenza di un credito. 
    2.4.- Infine, la questione riferita all'art. 10 Cost.,  sotto  il
profilo della lesione  del  principio  comunitario  di  tutela  della
concorrenza,  sarebbe  inammissibile   per   mancanza   assoluta   di
motivazione, apparendo in ogni caso improprio il riferimento  a  tale
parametro, anziche' all'art. 11 Cost. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Commissione tributaria provinciale di Napoli dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 1, lettera  c),  della
Tariffa, Parte  prima,  allegata  al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del Testo unico delle
disposizioni concernenti l'imposta di registro) (in  seguito,  anche:
Tariffa),  in  riferimento  agli  artt.  3,  10,  24   e   53   della
Costituzione, nella parte in cui assoggetta all'imposta  di  registro
nella misura proporzionale dell'uno per  cento,  anziche'  in  misura
fissa, gli «[a]tti dell'Autorita' Giudiziaria ordinaria e speciale in
materia di controversie civili che definiscono,  anche  parzialmente,
il  giudizio  [...]  c)  di  accertamento  di  diritti  a   contenuto
patrimoniale», anche nel caso di accertamento di crediti derivanti da
operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto (IVA). 
    La questione e' sorta nel  corso  di  un  giudizio  promosso  dal
curatore di un fallimento nei confronti dell'Agenzia delle entrate  -
direzione provinciale II di Napoli. La controversia ha ad oggetto  un
avviso  di  liquidazione  che  ha  applicato  l'imposta  di  registro
proporzionale a un decreto con il quale  il  Tribunale  ordinario  di
Napoli, definendo un giudizio di opposizione allo stato  passivo  del
fallimento, ha ammesso al concorso un credito in precedenza  escluso,
ai sensi dell'art. 99  del  regio  decreto  16  marzo  1942,  n.  267
(Disciplina    del    fallimento,    del    concordato    preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa; in seguito: legge fallimentare). 
    Il ricorrente nel  processo  principale  lamenta  che  sia  stata
applicata l'imposta di registro nella misura  proporzionale  dell'uno
per cento ai sensi dell'art. 8, comma 1, lettera c),  della  Tariffa,
anziche' nella misura fissa, nonostante si tratti della registrazione
di un provvedimento relativo a un  credito  derivante  da  operazioni
soggette a IVA. 
    Il rimettente osserva che ai sensi della nota II all'art. 8 della
Tariffa gli atti giudiziari recanti condanna al pagamento  di  somme,
di cui al comma 1, lettera b), e al comma 1-bis dello stesso art.  8,
per la parte in  cui  dispongono  il  pagamento  di  corrispettivi  o
prestazioni  soggetti  a  IVA,  non   sono   sottoposti   all'imposta
proporzionale di registro, bensi' all'imposta  in  misura  fissa,  in
attuazione del principio di alternativita' fra l'imposta di  registro
e l'IVA stabilito dall'art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986. 
    Il  rimettente  osserva,  altresi',  che  secondo   la   costante
giurisprudenza di legittimita', alla quale dichiara  di  aderire,  la
norma di cui alla citata nota II si applica ai soli provvedimenti  di
condanna e, per la sua natura di stretta interpretazione, non si puo'
estendere agli atti giudiziari che si limitano ad  accertare  crediti
derivanti da operazioni soggette a IVA, come  quelli  pronunciati  in
esito ai giudizi di opposizione allo stato passivo del fallimento. 
    2.- La norma censurata violerebbe in primo luogo l'art.  3  Cost.
per lesione del principio di eguaglianza, in quanto sarebbe del tutto
irragionevole  trattare  in  maniera  differenziata  le  pronunce  di
accertamento di crediti derivanti da operazioni soggette a IVA  e  le
pronunce di condanna al pagamento degli stessi crediti, per le  quali
la  nota  II  all'art.  8  della   Tariffa   prevede   l'applicazione
dell'imposta in misura fissa. 
    Secondo il rimettente, la pronuncia di condanna al  pagamento  di
un credito  presuppone  sempre,  quale  suo  antecedente  logico,  un
giudizio di accertamento dello stesso credito, sicche' il legislatore
disciplinerebbe in modo  irragionevolmente  diverso  «situazioni  con
presupposti identici», solo perche' la parte avrebbe  deciso  di  non
chiedere contestualmente anche la condanna del debitore. 
    Questa conclusione varrebbe, a maggior ragione, per i giudizi  di
opposizione allo stato passivo, in quanto il  creditore  escluso  non
potrebbe agire per ottenere la condanna del fallimento, ostandovi  le
regole del concorso, che consentono  solo  l'azione  di  accertamento
endofallimentare. Con l'opposizione,  pertanto,  si  proporrebbe  una
domanda di accertamento equivalente nella  sostanza  a  un'azione  di
condanna, sia pure nei limiti  del  concorso,  poiche'  il  creditore
chiede, oltre all'accertamento del suo diritto, anche  di  concorrere
nell'attivo. 
    In secondo luogo, la norma censurata violerebbe l'art. 24  Cost.,
per lesione  del  diritto  di  difesa,  sia  del  creditore  che  del
fallimento, in quanto il primo «non  azionera'  le  sue  pretese  nel
giudizio  di  opposizione  (specialmente  laddove  vanti  importi  di
notevole entita') perche' a fronte di una ipotetica partecipazione al
concorso (credito verosimilmente falcidiato  e  di  molto)  sosterra'
viceversa un costo certo e di  notevole  entita'  (l'1%  della  somma
vantata)», mentre il secondo  avrebbe  «maggiore  convenienza  a  non
coltivare  alcun  giudizio»,  perche'  l'ammissione  al  passivo  del
credito e il suo pagamento con la falcidia concorsuale si tradurrebbe
per la massa dei creditori in  un  «costo»  inferiore  a  quello  che
deriverebbe dal pagamento in prededuzione, ex art.  111  della  legge
fallimentare, dell'importo versato a titolo di  imposta  di  registro
proporzionale dal creditore vittorioso nel giudizio di opposizione. 
    Sarebbe violato anche l'art. 53 Cost., per lesione del  principio
di capacita' contributiva, in quanto il creditore di una  prestazione
soggetta a IVA sarebbe tenuto al  pagamento  dell'imposta  in  misura
proporzionale,  anziche'  fissa,  indipendentemente   «da   una   sua
attivita' o scelta processuale» e «per il solo  fatto  che  e'  stato
costretto ad agire in ambito endo-fallimentare», non potendo agire in
via ordinaria nei confronti del debitore fallito; inoltre, in  quanto
«il pagamento dell'imposta viene chiesto anche al  Fallimento  (anzi,
in caso di accoglimento dell'opposizione il creditore  istante  avra'
diritto al pagamento in prededuzione)». 
    Infine,  sarebbe  violato  l'art.  10  Cost.  per   lesione   del
«principio di concorrenza (garantito anche a  livello  comunitario)»,
in quanto la norma censurata porrebbe il creditore  del  fallito  «in
una posizione deteriore rispetto a un creditore che agisca contro  un
debitore non fallito». 
    3.- La questione e' fondata. 
    Secondo la costante giurisprudenza di  legittimita'  la  sentenza
che a seguito del giudizio di  opposizione  ammette  al  passivo  del
fallimento un credito in precedenza escluso deve essere  assoggettata
all'imposta proporzionale dell'uno per cento, prevista  dall'art.  8,
comma 1, lettera c), della Tariffa, Parte prima, allegata  al  d.P.R.
n. 131 del 1986. Si tratta infatti di una pronuncia emessa in esito a
un giudizio contenzioso di cognizione contenente l'accertamento,  nei
confronti   della   procedura    fallimentare,    dell'esistenza    e
dell'efficacia  del  credito   con   l'effetto   di   consentire   al
contribuente  la  partecipazione   al   concorso   e   la   possibile
soddisfazione  delle  sue  ragioni  in  sede  di  riparto  (Corte  di
cassazione, quinta sezione  civile,  sentenza  7  novembre  2012,  n.
19247; Corte  di  cassazione,  quinta  sezione  civile,  sentenze  19
ottobre 2012, n. 17947  e  n.  17946;  Corte  di  cassazione,  quinta
sezione  civile,  sentenza  5  luglio  2011,  n.  14816;   Corte   di
cassazione, quinta sezione civile, sentenza 26 giugno 2009, n. 15159;
Corte di cassazione, quinta sezione civile, sentenza 10 giugno  2005,
n. 12359; Corte di cassazione, quinta  sezione  civile,  sentenza  18
febbraio 2000, n. 1849). 
    Queste caratteristiche segnano la differenza fra la pronuncia  in
esame e gli atti giudiziali indicati nell'art. 8,  comma  1,  lettera
b), e comma 1-bis della Tariffa, i quali, contenendo una  statuizione
di condanna,  sono  suscettibili  di  esecuzione  forzata,  preclusa,
invece, nella procedura concorsuale. 
    Dalle diverse caratteristiche (e dai  diversi  effetti)  dei  due
tipi  di  pronunce  deriva  che  la  regola  dell'alternativita'  fra
l'imposta di registro e l'IVA stabilita dall'art. 40  del  d.P.R.  n.
131 del 1986 - secondo il quale «[p]er gli atti relativi  a  cessioni
di beni e prestazioni di  servizi  soggetti  all'imposta  sul  valore
aggiunto, l'imposta si applica in misura fissa» - non opera nel  caso
in cui il credito  ammesso  al  concorso  fallimentare  in  esito  al
giudizio di opposizione sorga da operazioni soggette a IVA.  La  nota
II all'art. 8  della  Tariffa  limita  infatti  l'applicazione  della
citata regola dell'alternativita' ai soli atti indicati espressamente
(quelli di cui al comma 1, lettera b, e al comma 1-bis dell'art.  8),
con una previsione agevolativa che, per la sua natura  eccezionale  e
derogatoria, non e' applicabile ad altri atti giudiziari. 
    «In definitiva»  -  afferma  la  Cassazione  -  «il  legislatore,
nell'ambito  delle  tipologie  di  atti  dell'autorita'   giudiziaria
elencate nell'art. 8 della tariffa, ha individuato in modo  specifico
e puntuale, nell'esercizio della sua discrezionalita',  quelle  [...]
da assoggettare, in deroga alla previsione generale,  ad  imposta  in
misura fissa  anziche'  proporzionale:  ne  deriva  che,  pur  se  in
astratto anche le disposizioni tributarie  recanti  benefici  fiscali
sono suscettibili di interpretazione estensiva  [...],  la  norma  in
esame,  per  le   caratteristiche   suddette,   non   lascia   spazio
all'interprete per ampliarne la precisa portata  applicativa»  (Corte
di cassazione, quinta sezione civile, sentenze 19  ottobre  2012,  n.
17947 e n. 17946). 
    Questo orientamento interpretativo puo' essere riferito anche  al
decreto motivato che definisce  le  medesime  controversie  ai  sensi
dell'art. 99 della legge fallimentare, nel testo vigente, trattandosi
di provvedimento emesso  all'esito  di  un  giudizio  contenzioso  in
materia di diritti soggettivi, sicche' la sua forma, propria del rito
camerale scelto dal legislatore, non ne muta la natura  di  pronuncia
di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale, ex art. 8, comma
1, lettera c), della Tariffa. 
    Per la  sua  uniformita'  e  costanza  nel  tempo,  la  descritta
interpretazione della portata dell'art. 8, comma 1, lettera c), della
Tariffa integra il diritto vivente, sicche' correttamente il  giudice
a quo pone in riferimento ad  essa  il  suo  dubbio  di  legittimita'
costituzionale, sottoponendola allo scrutinio di questa Corte. 
    3.1.- Nell'esame della censura relativa alla violazione dell'art.
3 Cost., si deve muovere dalla riconosciuta natura agevolativa  della
disciplina che applica l'imposta di registro  in  misura  fissa  alle
(sole) pronunce di condanna al  pagamento  di  crediti  derivanti  da
operazioni soggette a IVA. 
    Questa Corte si e' trovata piu' volte a vagliare la  legittimita'
costituzionale di disposizioni che prevedono agevolazioni fiscali  e,
in questo contesto, ha affermato che  «norme  di  tale  tipo,  aventi
carattere eccezionale e derogatorio, costituiscono  esercizio  di  un
potere discrezionale del legislatore, censurabile  solo  per  la  sua
eventuale palese arbitrarieta' o irrazionalita' (sentenza n. 292  del
1987; ordinanza n. 174 del 2001); con la  conseguenza  che  la  Corte
stessa non puo' estenderne l'ambito di applicazione, se non quando lo
esiga la ratio dei benefici medesimi (sentenze n. 6 del 2014, n.  275
del 2005, n. 27 del 2001, n. 431 del 1997 e n. 86 del 1985; ordinanze
n. 103 del 2012, n. 203 del 2011, n. 144 del 2009 e n. 10 del  1999)»
(da ultimo, sentenze n. 153 del 2017 e n. 111 del 2016). 
    E' pertanto necessario verificare innanzitutto se, come  sostiene
il giudice a quo, la ratio  dell'agevolazione  si  possa  considerare
comune anche alla categoria delle pronunce di accertamento di crediti
derivanti da operazioni soggette a IVA, per le  quali  l'applicazione
dell'imposta in misura fissa e' negata. 
    L'agevolazione  trova  il  suo  fondamento   nel   principio   di
alternativita' fra l'imposta di registro e l'IVA,  stabilito  in  via
generale dal citato art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986  e  diretto  a
evitare fenomeni di doppia imposizione,  conseguenti  alla  simmetria
del sistema IVA-registro. Condizione  necessaria  e  sufficiente  del
trattamento agevolato  e'  che  l'operazione  ricada  nell'ambito  di
applicazione dell'IVA, delineato oggettivamente e soggettivamente dal
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta
sul valore aggiunto). Si deve trattare, cioe', di «cessioni di  beni»
(art. 2) o «prestazioni di servizi» (art. 3) effettuate  da  soggetti
esercenti attivita' di impresa (art. 4) o «arti e professioni»  (art.
5). 
    Quanto  agli  atti  giudiziari,  l'ambito  di  applicazione   del
principio e' specificamente limitato,  come  precisato  dalla  citata
nota II all'art. 8 della Tariffa, ai provvedimenti di  condanna  «per
la  parte  in  cui  dispongono  il  pagamento  di   corrispettivi   o
prestazioni soggetti all'imposta sul valore  aggiunto».  Come  visto,
l'estensione   del   trattamento   agevolativo   alle   pronunce   di
accertamento  di  corrispettivi  o  prestazioni  ugualmente  soggetti
all'IVA e' impedita, per diritto vivente, dalla natura eccezionale  e
derogatoria  della  sua  previsione  rispetto  alla  regola  generale
dell'assoggettamento  delle  pronunce  di  condanna  all'imposta   di
registro proporzionale. 
    A sostegno della censura di irragionevolezza, il  giudice  a  quo
muove innanzitutto dal rilievo che la condanna presuppone  sempre  un
giudizio di accertamento,  con  la  conseguenza  che  il  legislatore
disciplinerebbe  in  modo  diverso  situazioni  aventi   gli   stessi
presupposti, facendo dipendere la diversita' di  trattamento  fiscale
solo dalla decisione della  parte  di  non  chiedere  contestualmente
anche la condanna del debitore. 
    Questa tesi non puo' essere condivisa. In generale, il fatto  che
l'accertamento del  diritto  di  credito  costituisca  il  necessario
antecedente logico-giuridico della condanna  non  rende  omogenee  le
fattispecie messe a confronto, neppure ai fini del regime  tributario
agevolato. E' evidente, infatti,  la  diversita'  degli  effetti  che
derivano dai due tipi di pronunce, quanto  alla  realizzazione  degli
interessi  del  creditore,  perche'  solo  quelle  di  condanna  sono
suscettibili di esecuzione forzata, rientrando cosi'  nell'ambito  di
applicazione   dell'IVA   qualora   dispongano   il   pagamento    di
corrispettivi o prestazioni soggetti a tale imposta. 
    Nondimeno,  tenuto   conto   della   ratio   del   principio   di
alternativita', che mira a evitare la doppia imposizione dello stesso
atto, si deve pervenire a una diversa conclusione con  riguardo  alle
pronunce di accertamento dei crediti che definiscono il  giudizio  di
opposizione  allo  stato   passivo   del   fallimento.   Puo'   cosi'
circoscriversi il piu' ampio petitum formulato  dal  giudice  a  quo,
alla luce delle specifiche motivazioni che egli dedica a tale profilo
della censura di irragionevolezza, in  stretta  correlazione  con  la
fattispecie dedotta nel processo principale.  Il  rimettente  precisa
infatti  che  nei  giudizi  di  opposizione  allo  stato  passivo  il
creditore escluso non potrebbe agire per  ottenere  la  condanna  del
fallimento, ostandovi le regole del  concorso,  che  consentono  solo
l'azione di accertamento endofallimentare, con la quale il  creditore
chiede, altresi', di concorrere nella ripartizione dell'attivo. 
    Invero,   il   trattamento   differenziato   non    risponde    a
ragionevolezza qualora l'accertamento del credito soggetto a IVA sia,
come nel caso dell'accoglimento dell'opposizione allo stato  passivo,
il presupposto necessario  e  sufficiente  della  partecipazione  del
creditore all'esecuzione collettiva, che e' strumentale al  pagamento
del credito stesso, sia pure in  "moneta  fallimentare".  Sotto  tale
profilo, la differenza tra le pronunce di accertamento e le  pronunce
di condanna, da cui la richiamata giurisprudenza trae la  conclusione
dell'inapplicabilita' del regime fiscale agevolato alle prime,  tende
a sfumare sino  a  dissolversi.  Per  la  soddisfazione  del  credito
ammesso  al  passivo,  infatti,  non  e'  richiesta  una   successiva
pronuncia di condanna suscettibile di  esecuzione  forzata,  preclusa
dal divieto ex art. 51 della legge fallimentare. 
    Da questo angolo visuale, la ratio sottesa all'alternativita' fra
l'imposta di registro e l'IVA risulta comune a entrambe le situazioni
messe a confronto ed esige pertanto che l'ambito di applicazione  del
beneficio fiscale sia esteso alle pronunce in questione, non  essendo
rilevante che il pagamento del corrispettivo soggetto a IVA, in  sede
di riparto dell'attivo fallimentare, sia un evento futuro  e  incerto
nell'an e nel quantum, ben potendo valere questa stessa  affermazione
anche per il pagamento coattivo in seguito a  condanna,  che  dipende
comunque dalla capienza del patrimonio del debitore. 
    Di   conseguenza,   deve   essere   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 8, comma 1, lettera c), della Tariffa, Parte
prima, allegata al d.P.R.  n.  131  del  1986,  nella  parte  in  cui
assoggetta all'imposta di registro proporzionale, anziche' in  misura
fissa, anche le pronunce che definiscono  i  giudizi  di  opposizione
allo stato passivo  del  fallimento  con  l'accertamento  di  crediti
derivanti da operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto. 
    Le altre censure, con le  quali  il  giudice  a  quo  lamenta  la
violazione degli artt. 10, 24 e 53 Cost., rimangono assorbite.