ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  1,
della  legge  14  aprile  1982,  n.  164   (Norme   in   materia   di
rettificazione di attribuzione  di  sesso),  promossi  dal  Tribunale
ordinario di Trento, con due ordinanze dell'8 aprile 2015  e  del  28
aprile 2015, rispettivamente iscritte ai nn. 174 e 211  del  registro
ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 37 e n. 42, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visti gli atti di costituzione di E. R. e G. N.  e  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  20  giugno  2017  il  Giudice
relatore Giuliano Amato; 
    uditi l'avvocato Massimo Luciani per E. R. e G. N., e  l'avvocato
dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con due ordinanze di analogo tenore, dell'8 aprile 2015 (r.o.
n. 174 del 2015) e del 28 aprile 2015 (r.o.  n.  211  del  2015),  il
Tribunale ordinario di Trento ha  sollevato  -  in  riferimento  agli
artt. 2, 3, 32 e 117, primo comma, della  Costituzione,  quest'ultimo
in relazione all'art. 8 della Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la  legge  4
agosto 1955,  n.  848  -  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 1, della legge 14 aprile 1982, n.  164  (Norme  in
materia di rettificazione di attribuzione di sesso). 
    Tale disposizione prevede che «La rettificazione si fa  in  forza
di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una
persona sesso diverso da quello  enunciato  nell'atto  di  nascita  a
seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali». 
    Ad avviso del giudice rimettente, la  disposizione  censurata  si
porrebbe in contrasto con gli artt. 2 e 117, primo comma,  Cost.,  in
relazione  all'art.  8  della  CEDU,  poiche'  la  previsione   della
necessita', ai fini della rettificazione anagrafica dell'attribuzione
di  sesso,  dell'intervenuta  modificazione  dei  caratteri  sessuali
primari attraverso trattamenti chirurgici pregiudicherebbe gravemente
l'esercizio  del  diritto  fondamentale  alla  propria  identita'  di
genere. 
    E', inoltre, denunciato il contrasto con gli artt. 3 e 32  Cost.,
per l'irragionevolezza insita nella subordinazione dell'esercizio  di
un diritto fondamentale, quale il diritto all'identita' sessuale,  al
requisito della sottoposizione della persona a  trattamenti  sanitari
(chirurgici o ormonali), estremamente invasivi e  pericolosi  per  la
salute. 
    2.- In entrambi i  giudizi,  il  Tribunale  riferisce  di  essere
chiamato  a  decidere  in  ordine  alla  domanda  di   rettificazione
anagrafica dell'attribuzione di sesso, avanzata da  una  persona  non
sposata e senza figli, intenzionata al riconoscimento  di  una  nuova
identita' di genere, diversa da quella attribuita alla nascita. 
    In particolare, nel giudizio da cui proviene l'ordinanza iscritta
al n. 174 del r.o. 2015, si richiede che risulti quale genere  quello
maschile e quale prenome uno dello stesso tipo.  A  questo  fine,  la
parte istante riferisce di aver percepito, sin  da  quando  aveva  14
anni, un'identita' maschile, anche facendosi chiamare con un nome del
genere, e di essersi gia' sottoposta a trattamento con  testosterone,
nonche' a mastectomia bilaterale e isterectomia. 
    Nel giudizio da cui proviene l'ordinanza iscritta al n.  211  del
r.o. 2015, la parte attrice, di sesso anagrafico maschile, chiede che
risulti quale genere quello  femminile  e  quale  prenome  uno  dello
stesso tipo, evidenziando di aver percepito da anni  un'identita'  di
genere femminile,  con  la  quale  si  presenta  anche  nell'ambiente
sociale, di avere avviato una terapia  ormonale  e  di  non  ritenere
necessario alcun  intervento  chirurgico.  Solo  in  via  di  estremo
subordine, e' richiesta la relativa autorizzazione. 
    2.1.- In entrambi i giudizi, il Tribunale rimettente ritiene  che
il  tenore  letterale  della  disposizione   censurata   escluda   la
possibilita' di ottenere la rettificazione dell'attribuzione di sesso
anche  in  assenza  della  modificazione  chirurgica  dei   caratteri
sessuali primari, vale a dire l'apparato genitale, in base al  quale,
al momento della nascita, si individua il sesso della persona. 
    E' ben vero - osserva il giudice a quo - che l'art. 31, comma  4,
del decreto legislativo  1°  settembre  2011,  n.  150  (Disposizioni
complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e
semplificazione dei  procedimenti  civili  di  cognizione,  ai  sensi
dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69),  stabilendo  che
«[q]uando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da
realizzare mediante trattamento medico-chirurgico,  il  tribunale  lo
autorizza con sentenza passata in giudicato»,  sembrerebbe  prevedere
che il trattamento medico-chirurgico sia solo eventuale, come farebbe
intendere la locuzione «quando risulta necessario». 
    In entrambe le ordinanze di rimessione, il Tribunale ritiene  che
cio'  non  significhi  che  la  rettificazione   sia   ottenibile   a
prescindere dall'adeguamento dei caratteri sessuali primari, ma  solo
che possano esservi casi concreti nei quali  gli  stessi  siano  gia'
modificati (ad esempio, per un intervento gia' praticato all'estero o
per ragioni congenite). 
    Se  cosi'  non  fosse  -  rilevano  i   rimettenti   -   non   si
comprenderebbe l'espressione «a seguito di intervenute  modificazioni
dei suoi caratteri sessuali», di cui all'art. 1, comma 1, della legge
n. 164 del 1982. Infatti, ove il legislatore avesse inteso consentire
la rettificazione dell'attribuzione di sesso a  prescindere  da  tale
modificazione, ad essa non  avrebbe  fatto  alcun  riferimento  nella
parte  finale  della  disposizione  in  esame.  Sarebbe   necessaria,
pertanto, la piena corrispondenza tra  gli  organi  sessuali  primari
della persona che chiede la rettificazione e la sua  nuova  identita'
sessuale. 
    Nella ordinanza n. 174 del r.o. 2015 si osserva, altresi', che la
lettera dell'art. 1, comma 1, non precisa in cosa debbano  consistere
le modificazioni dei caratteri sessuali necessarie  per  ottenere  la
rettificazione, sicche', secondo il giudice a quo,  l'interprete  non
potrebbe effettuare alcuna distinzione circa tali modificazioni. 
    Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata richiederebbe
interventi non solo "demolitivi", ma anche "ricostruttivi",  al  fine
di rendere la conformazione anatomica della persona il piu' possibile
corrispondente   a   quella   del   diverso   sesso   da   attribuire
anagraficamente. 
    In entrambi i casi oggetto dei giudizi  a  quibus,  il  Tribunale
adito dovrebbe rigettare la domanda di  rettificazione,  non  essendo
soddisfatto tale requisito; nell'ordinanza n. 211  si  riferisce,  in
particolare, che la parte istante  non  si  e'  sottoposta  ad  alcun
intervento chirurgico, ma solo alla terapia ormonale, mentre nel caso
di cui all'ordinanza n. 174 sono stati eseguiti interventi chirurgici
di tipo demolitivo, ma non quelli ricostruttivi. 
    Di  qui,  la  rilevanza  della  questione  di   costituzionalita'
dell'art. 1, comma 1, della legge n. 164 del 1982, nella parte in cui
subordina la rettificazione di attribuzione di sesso alle intervenute
modificazioni dei caratteri sessuali della persona istante, dovendosi
interpretare la norma nel senso che  essa  impone  modificazioni  sia
demolitive, sia ricostruttive. 
    2.2.- Quanto alla non  manifesta  infondatezza,  in  entrambe  le
ordinanze di rimessione, il Tribunale rimettente ritiene che l'inciso
«a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali»,
di cui all'art. 1, comma 1, della legge n. 164 del 1982, si ponga  in
contrasto con  gli  artt.  2,  3,  32  e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 8 della CEDU. 
    Il giudice a quo, dopo avere premesso  che  ogni  persona  ha  un
sesso «anagrafico» attribuitole al momento della nascita in base a un
esame morfologico, ritiene che in alcuni casi non vi sia  coincidenza
tra il sesso anagrafico e quello «biologico». In tali casi, il  sesso
attribuito  diverrebbe  una  mera  finzione,  perche'  la  componente
psicologica si discosta dal dato biologico. 
    Quando cio' avviene,  si  manifestano  le  molteplici  componenti
della  sessualita'  umana,  la  quale  e'   al   contempo   genetica,
fenotipica, endocrina, psicologica, culturale e sociale.  Si  osserva
che il dato fondamentale non e' piu' il sesso biologico o anagrafico,
ma il genere, definito quale «variabile socio-culturale», vale a dire
«qualita' della persona in base alla quale della stessa si puo'  dire
che e'  maschile  o  femminile».  Laddove  vi  sia  una  «percezione»
soggettiva di non coincidenza tra il genere assegnato alla nascita  e
il genere cui la persona acquista la consapevolezza  di  appartenere,
tale mutamento opera sul piano dell'identita' di genere. 
    D'altra  parte,  l'imposizione  di  un  determinato   trattamento
medico, sia ormonale, sia di riassegnazione chirurgica dei  caratteri
sessuali  (d'ora  in  avanti:  RCS),  costituirebbe  una   grave   ed
inammissibile  limitazione  del  diritto  all'identita'  di   genere.
Infatti, per  il  raggiungimento  del  benessere  psico-fisico  della
persona e' richiesta la rettificazione di attribuzione  di  sesso,  e
non la riassegnazione sessuale sul  piano  anatomico,  la  quale  non
sempre e' voluta dalla persona. 
    In altra prospettiva, il Tribunale ordinario  di  Trento  osserva
che, al fine di identificare una persona come uomo o  donna,  non  si
procede ad un esame della sua  conformazione  anatomica  -  atto  che
costituirebbe  una  grave  intromissione  nella  vita  privata  della
persona - bensi' dei suoi documenti. Ne  deriva  che  il  trattamento
clinico non  influirebbe  sul  riconoscimento  sociale  nella  stessa
misura nella quale vi contribuisce, invece, il mutamento anagrafico. 
    Evidenzia il rimettente che sia il trattamento ormonale,  sia  la
RCS, sono notoriamente molto rischiosi per la salute  ed,  in  alcuni
casi, le condizioni di salute potrebbero sconsigliare  ogni  tipo  di
intervento chirurgico e,  pertanto,  la  rettificazione  non  sarebbe
ottenibile, se non a discapito della propria salute. 
    Il giudice a quo richiama l'art. 8 della CEDU, il quale  sancisce
il diritto al rispetto della  vita  privata  e  familiare  in  cui  -
secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo -
rientra a pieno titolo il diritto all'identita'. 
    Viene, poi, rilevato come la stessa  Corte  costituzionale  abbia
ricondotto nell'alveo dei  diritti  inviolabili  di  cui  all'art.  2
Cost., sia «il diritto di realizzare, nella  vita  di  relazione,  la
propria  identita'  sessuale,  da  ritenere  aspetto  e  fattore   di
svolgimento  della  personalita'»,  che  gli   altri   membri   della
collettivita' sono tenuti a riconoscere «per dovere  di  solidarieta'
sociale» (sentenza n. 161 del 1985); sia  il  diritto  alla  liberta'
sessuale, poiche', «[e]ssendo la  sessualita'  uno  degli  essenziali
modi di espressione della  persona  umana,  il  diritto  di  disporne
liberamente e' senza dubbio un diritto soggettivo assoluto» (sentenza
n. 561 del 1987). Pertanto, l'art.  2  Cost.,  come  l'art.  8  CEDU,
riconosce e tutela il diritto all'identita' di genere, nel senso  che
- ritiene il rimettente - ogni persona ha il diritto di scegliere  la
propria identita' sessuale, a prescindere dal dato biologico. 
    La disposizione censurata  si  porrebbe  in  contrasto  con  tali
principi, in quanto - pur riconoscendo il diritto  della  persona  di
scegliere  la  propria  identita'  sessuale   -   ne   subordinerebbe
l'esercizio alla modificazione dei  caratteri  sessuali  primari,  da
realizzare attraverso un intervento chirurgico. L'imposizione di tale
requisito sarebbe tale da pregiudicare l'esercizio del diritto, tanto
da vanificarlo. 
    La previsione normativa in esame sarebbe, altresi', in  conflitto
con gli artt. 3 e 32 Cost., poiche', per l'esercizio  di  un  diritto
fondamentale, si imporrebbe un trattamento chirurgico non pertinente,
ne'  necessario.  Sarebbe   cosi'   vanificato,   o   comunque   reso
eccessivamente  gravoso,  l'esercizio  del   diritto   alla   propria
identita' sessuale. L'art. 8  CEDU  e  l'art.  2  Cost.  tutelano  la
ricongiunzione dell'individuo con il proprio genere, quale  risultato
del procedimento di rettificazione; la  modificazione  dei  caratteri
sessuali primari non sempre e' necessaria  ed  anzi,  alla  luce  dei
diritti in questione, la persona deve avere il diritto di rifiutarla.
Non sarebbe, pertanto, ne' ragionevole, ne' logico,  condizionare  il
riconoscimento del diritto  ad  un  incommensurabile  prezzo  per  la
salute della persona. 
    Il Tribunale rimettente e' consapevole che, laddove la  questione
fosse accolta, l'esame esteriore della  persona  sarebbe  inidoneo  a
rilevare il suo sesso. Cio', tuttavia, non potrebbe suscitare  alcuna
perplessita', perche' in un paese civile l'identita'  sessuale  viene
accertata tramite i documenti  di  identita',  e  non  per  mezzo  di
un'ispezione corporale. 
    In entrambe le ordinanze di rimessione, il giudice a quo  osserva
come tali  concetti  siano  stati  ribaditi  nella  «Risoluzione  del
Parlamento europeo del 12 marzo  2015  sulla  relazione  annuale  sui
diritti umani e la democrazia nel mondo nel  2013  e  sulla  politica
dell'Unione  europea  in  materia».  In  particolare,  il  Parlamento
europeo ha invitato la Commissione e l'Organizzazione mondiale  della
sanita' (OMS)  ad  eliminare  i  disturbi  dell'identita'  di  genere
dall'elenco  dei  disturbi  mentali  e  comportamentali,  auspicando,
altresi',  l'intensificazione  degli  sforzi  per  porre  fine   alla
patologizzazione delle identita' transgender; inoltre, ha accolto con
favore il crescente sostegno politico per la  messa  al  bando  della
sterilizzazione, quale requisito per il riconoscimento giuridico  del
genere, come espresso dal relatore speciale delle Nazioni Unite sulla
tortura,  condividendo  l'impostazione  secondo  cui  tali  requisiti
dovrebbero essere trattati  e  perseguiti  come  una  violazione  del
diritto  all'integrita'  fisica,  nonche'  della  salute  sessuale  e
riproduttiva e dei relativi diritti. 
    3.- Nei giudizi innanzi alla Corte si sono  costituite  le  parti
ricorrenti nei guidizi principali,  chiedendo  che,  in  accoglimento
della questione sollevata dal  Tribunale  ordinario  di  Trento,  sia
dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale   della   disposizione
censurata. 
    3.1.- Nell'atto di costituzione depositato nel giudizio  iscritto
al r.o. n. 174 del 2015, e' richiamata, in primo luogo,  la  sentenza
della Corte di cassazione, sezione prima civile, 20 luglio  2015,  n.
15138. 
    Tale  pronuncia  ha  escluso,  anche  in  sede  d'interpretazione
logica, che la considerazione sistematica degli artt.  l  e  3  della
legge n. 162 del 1984 imponga la  preventiva  demolizione  (totale  o
parziale) dei caratteri sessuali anatomici primari per poter accedere
al riconoscimento anagrafico dell'altro genere. Secondo la  Corte  di
cassazione, una lettura conforme a  Costituzione  della  disposizione
censurata  porta  a  riconoscere  il  diritto   alla   rettificazione
anagrafica, purche' risulti accertato, anche  attraverso  l'opportuna
documentazione medico-psicologica, «lo svolgimento di un processo  di
acquisizione dell'identita' di genere "serio e univoco  nel  percorso
scelto" e "compiuto nell'approdo finale"». 
    Tale soluzione  sarebbe  comunque  satisfattiva  degli  interessi
della  parte  deducente,  che,  pur  chiedendo  l'accoglimento  della
questione sollevata dal rimettente,  auspica  che  le  argomentazioni
della Corte di cassazione siano condivise da  questa  Corte.  In  via
subordinata, chiede l'accoglimento della  questione  di  legittimita'
costituzionale, per tutti i profili segnalati dal rimettente. 
    La previsione che la rettificazione  dell'attribuzione  di  sesso
possa avvenire solamente all'esito di  un  intervento  chirurgico  di
cosiddetta  normoconformazione   dei   caratteri   sessuali   primari
rappresenterebbe, infatti, un'irragionevole compressione del  diritto
alla propria identita' sessuale, in violazione degli artt.  2,  32  e
117, primo comma, Cost. e dell'art. 8  CEDU.  Cio'  si  rifletterebbe
anche nel pregiudizio dell'interesse  pubblico  alla  «chiarezza  dei
rapporti sociali» e alla «certezza dei rapporti giuridici». 
    Pur non essendo  piu'  considerato  clinicamente  un  «disturbo»,
cioe' una condizione patologica, il transessualismo  potrebbe  essere
affrontato  attraverso  un  «percorso   di   scoperta   e   mutamento
dell'identita' di genere», in cui la persona e' aiutata a raggiungere
e conservare  il  proprio  stato  di  salute.  La  previsione  di  un
intervento chirurgico per il trattamento della "disforia  di  genere"
risulta  irragionevole  e  in  contrasto  con  l'art.  32  Cost.   E'
richiamata la giurisprudenza costituzionale,  secondo  la  quale  «la
pratica dell'arte medica si fonda sulle acquisizioni  scientifiche  e
sperimentali, che sono in continua evoluzione» e pertanto «la  regola
di fondo in questa materia e'  costituita  dalla  autonomia  e  dalla
responsabilita' del medico che, sempre con il consenso del  paziente,
opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle  conoscenze
a disposizione» (sono citate le sentenze n. 282 del 2002, n. 338  del
2003 e n. 151 del 2009). 
    L'imposizione dell'intervento  chirurgico  di  normoconformazione
rappresenterebbe, quindi, un'illegittima ingerenza del legislatore in
un  ambito  che   deve   essere   lasciato   all'autonomia   e   alla
responsabilita' del professionista sanitario, al quale  l'ordinamento
demanda la scelta del trattamento medico e psicologico piu' opportuno
per assistere la persona nella transizione di genere. 
    Al  riguardo,   e'   richiamata   la   sentenza   del   Tribunale
costituzionale federale tedesco, l° Sen.,  11  gennaio  2011,  l  BvR
3295/07, che ha ritenuto che «la decisione sulla giustificabilita'  e
opportunita' clinica di un cambio di sesso deve  essere  presa  sulla
base di una diagnosi medica individuale; percio' il  legislatore,  al
fine della prova della permanente  esistenza  della  transessualita',
pone un requisito eccessivo, che non considera in maniera sufficiente
i diritti fondamentali che devono essere protetti». 
    Del pari fondata sarebbe  la  censura  riferita  alla  violazione
dell'art. 8 della CEDU. 
    Secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, infatti,  il
diritto  all'identita'  di  genere   rientra   nell'ambito   protetto
dall'art.  8  della   Convenzione;   pertanto,   il   rifiuto   della
riattribuzione di sesso, cosi' come l'imposizione di  un  trattamento
chirurgico di normoconformazione, costituirebbero «ingerenza  di  una
pubblica autorita' nell'esercizio di tale diritto». 
    La non necessita' del trattamento chirurgico  sarebbe  dimostrata
anche da numerosi atti adottati nell'ambito del Consiglio d'Europa. A
tal proposito, e' richiamata  la  Raccomandazione  CM/Rec(2010)5  del
Comitato  dei  Ministri  agli  Stati  membri  sulle  misure  volte  a
combattere la discriminazione fondata  sull'orientamento  sessuale  o
sull'identita' di genere, adottata il 31 marzo  2010;  la  Resolution
1728  (2010)  dell'Assemblea  parlamentare  del  Consiglio  d'Europa,
concernente «Discrimination on the basis of  sexual  orientation  and
gender identity», nonche' il rapporto del Commissario per  i  diritti
dell'uomo del Consiglio d'Europa del dicembre 2011. 
    Non  vi  sarebbero,  d'altra  parte,  interessi   meritevoli   di
considerazione che ostino a che la  correzione  dell'attribuzione  di
sesso possa avvenire anche senza il preventivo intervento  chirurgico
di normoconformazione dei caratteri sessuali primari. 
    Pur essendo necessario che l'ordinamento giuridico salvaguardi la
sicurezza e la certezza dei rapporti  giuridici  e  non  consenta  la
rettificazione dei dati anagrafici per  un  mero  capriccio  e  senza
un'adeguata  verifica,  siffatte  esigenze  sarebbero   adeguatamente
soddisfatte dalla circostanza che l'intero procedimento e'  garantito
dalle competenze dei professionisti sanitari  e  comunque  presieduto
dall'autorita' giudiziaria, la quale, ove ne ravvisi  la  necessita',
puo' procedere a «rigorosi accertamenti tecnici in sede giudiziale». 
    3.2.- Nel successivo atto di costituzione nel  giudizio  iscritto
al  r.o.  n.  211  del  2015,  cosi'  come  nelle  ulteriori  memorie
depositate  in  prossimita'  dell'udienza  da   entrambe   le   parti
costituite, si sottolinea l'importanza della sopravvenuta sentenza di
questa Corte n. 221  del  2015.  Sono,  peraltro,  richiamate  alcune
successive pronunce della giurisprudenza di merito, le  quali  -  nel
ritenere tuttora necessaria l'intervenuta modificazione dei caratteri
sessuali secondari - non avrebbero pienamente recepito le indicazioni
interpretative offerte dalla citata  pronuncia.  Cio'  imporrebbe  un
intervento chiarificatore da  parte  di  questa  Corte,  al  fine  di
evitare che si perpetui l'effetto incostituzionale  gia'  evidenziato
nella pronuncia richiamata. 
    Ad  avviso  delle  parti  costituite,  alla  luce  dei   principi
affermati  nella  sentenza  n.  221   del   2015,   l'interpretazione
costituzionalmente  orientata   della   legge   n.   164   del   1982
consentirebbe  al  giudice  di  rilevare   il   completamento   della
transizione laddove la persona interessata abbia gia'  esercitato  in
maniera definitiva il proprio diritto  all'identita'  di  genere  (ad
esempio, manifestando la propria  condizione  nella  famiglia,  nella
rete  degli  affetti,  nel  luogo  di  lavoro,  nelle  formazioni  di
partecipazione  politica  e  sociale),  ancorche'  senza   interventi
farmacologici o chirurgici sui caratteri sessuali secondari. 
    In ossequio ai principi affermati dalla sentenza n. 221 del 2015,
l'accertamento giudiziale ai sensi dell'art. 31 del d.lgs. n. 150 del
2011 dovrebbe essere preordinato esclusivamente alla  verifica  della
serieta' dell'intento di transizione di genere, quale  manifestazione
del diritto all'autodeterminazione della  persona  umana,  nell'alveo
del quale e' stata ricondotta la questione in esame. 
    Ad avviso delle parti costituite, pertanto, tale accertamento non
potrebbe debordare nell'onere  di  sottoporsi  a  verifiche  tecniche
(siano esse mediche,  psichiatriche,  etc.)  potenzialmente  invasive
della sfera privata della parte interessata, cosi'  da  reintrodurre,
in sede processuale, quell'obbligo di  sottoposizione  a  trattamenti
(medici o anche solo psicologici) che sarebbero stati  esclusi  dalla
pronuncia richiamata.  Viceversa,  la  verifica  giudiziale  dovrebbe
prendere le mosse dall'identita' personale dell'interessato  e  dalla
sua estrinsecazione in quegli aspetti psicologici, comportamentali  e
fisici che contribuiscono a comporre l'identita' di genere. 
    3.3.- Nel giudizio iscritto al r.o. n. 174 del  2015,  la  difesa
della parte costituita  ha  parzialmente  modificato,  nella  propria
memoria,  le  conclusioni  rassegnate  nell'atto   di   costituzione,
richiedendo, in via principale, una declaratoria di  non  fondatezza,
basata sul  riconoscimento  espresso  che  l'accertamento  giudiziale
previsto  dalla  disposizione  censurata  abbia   esclusivamente   la
funzione  di  verificare  la  serieta',  la  irreversibilita'  e   la
definitivita'  della   transizione   di   genere,   ancorche'   senza
modificazione  chirurgica  o  farmacologica  dei  caratteri  sessuali
primari o secondari. 
    In via subordinata, chiede che  sia  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge  n.  164  del  1982,
«nella parte in cui subordina la rettificazione dell'attribuzione  di
sesso alla intervenuta modificazione dei caratteri  sessuali  primari
della persona istante, mediante intervento  chirurgico  demolitivo  e
ricostruttivo». 
    3.3.1.- Nel giudizio iscritto al r.o. n. 211 del 2015,  la  parte
costituita  richiede,  in  via  principale,  che  la   questione   di
legittimita' costituzionale sia dichiarata manifestamente  infondata,
attraverso il riconoscimento che l'accertamento giudiziale puo' avere
solo due funzioni: a) riscontro  delle  modalita'  con  le  quali  e'
intervenuto il cambiamento; b)  verifica  della  definitivita'  della
volonta' del cambiamento di identita' di genere. 
    In via subordinata, chiede che  sia  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge  n.  164  del  1982,
«nella parte in cui subordina la rettificazione  di  attribuzione  di
sesso alla intervenuta modificazione  dei  caratteri  sessuali  della
persona istante». 
    4.- Nei giudizi innanzi alla Corte, e' intervenuto il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile o comunque non fondata. 
    4.1.-   L'interveniente   ha   eccepito,    in    primo    luogo,
l'inammissibilita' della questione, poiche' il giudice rimettente non
avrebbe   verificato   la    possibilita'    di    un'interpretazione
costituzionalmente orientata della normativa  censurata,  anche  alla
luce dell'art. 3 della  citata  legge  n.  164  del  1982,  il  quale
prevedeva che «Il tribunale, quando risulta necessario un adeguamento
dei   caratteri   sessuali   da   realizzare   mediante   trattamento
medico-chirurgico,  lo  autorizza  con  sentenza.  In  tal  caso   il
tribunale, accertata la effettuazione  del  trattamento  autorizzato,
dispone la rettificazione in camera di consiglio». 
    Osserva  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  che,  prima  delle
ordinanze di rimessione, l'art. 3 e'  stato  abrogato  dall'art.  34,
comma 39, lett. c), del  d.lgs.  n.  150  del  2011,  ancorche'  esso
continui  ad  applicarsi  alle  controversie   pendenti   alla   data
dell'entrata in vigore dello stesso decreto (art. 36,  comma  2,  del
d.lgs. n. 150 del 2011). 
    In ogni caso, la giurisprudenza di merito avrebbe gia'  da  tempo
offerto un'interpretazione costituzionalmente  orientata,  affermando
che,  ai  fini  dell'accoglimento  della  domanda  di  rettificazione
dell'attribuzione del sesso, non e' sempre necessario  un  preventivo
intervento  medico-chirurgico  per  la  modificazione  dei  caratteri
sessuali. 
    Tali argomenti sarebbero stati, in seguito, condivisi dalla Corte
di cassazione, la  quale,  nella  sentenza  n.  15138  del  2015,  ha
ritenuto  «del  tutto  coerente  con  i  principi  costituzionali   e
convenzionali un'interpretazione della legge n. 164 del 1982, artt. l
e  3,  che,  valorizzando  la  formula  normativa   "quando   risulti
necessario"  non  imponga  l'intervento  chirurgico  demolitorio  e/o
modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari». 
    La difesa dell'interveniente richiama, altresi', la  sentenza  n.
161 del 1985,  in  cui  questa  Corte,  pur  individuando  l'esigenza
fondamentale da  soddisfare  nel  «far  coincidere  il  soma  con  la
psiche», ha  ricondotto  la  ricomposizione  di  tale  equilibrio  al
conseguimento «di uno stato di benessere, in cui consiste la salute».
La nozione di identita' sessuale non  sarebbe,  quindi,  limitata  ai
caratteri sessuali  esterni,  potendo  essere  determinata  anche  da
elementi di carattere psicologico e sociale: ne deriva una concezione
dell'identita' sessuale, «come dato complessivo  della  personalita',
determinato da un insieme di fattori, dei quali deve essere agevolato
o  ricercato  l'equilibrio,  privilegiando  [...]  il  o  i   fattori
dominanti» (sentenza n. 161 del 1985). 
    L'Avvocatura generale dello Stato sottolinea come,  di  fronte  a
plurime soluzioni interpretative, allorche' su nessuna si sia formato
un diritto vivente, il giudice abbia  l'obbligo  di  scegliere  quale
interpretazione  intenda  seguire.  D'altra  parte,  la  ricerca   di
soluzioni  ermeneutiche  costituzionalmente  orientate  non  potrebbe
tradursi in una sorta di  "tutela".  Cio'  sarebbe  confermato  dalla
costante giurisprudenza  costituzionale,  che  ritiene  inammissibili
istanze volte  ad  ottenere  un  avallo  all'interpretazione  che  il
giudice a quo ritenga di dover dare, cosi'  rendendo  chiaro  un  uso
distorto dell'incidente  di  costituzionalita'  (sono  richiamate  le
ordinanze n. 28, n. 86, n. 114 e n. 299 del 2006). 
    In  entrambi  i  giudizi  in  esame,  ad  avviso  dell'Avvocatura
generale dello Stato, «gli atti andrebbero restituiti  al  giudice  a
quo per il riesame della rilevanza della questione». 
    4.2.- In prossimita' dell'udienza pubblica, l'Avvocatura generale
dello Stato ha depositato memorie nelle quali, dopo avere  richiamato
i principi affermati nella sentenza n. 221  del  2015,  ha  insistito
affinche' la questione sia dichiarata inammissibile e gli atti  siano
restituiti ai giudici a quibus per il riesame della rilevanza. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con due ordinanze di analogo tenore, il  Tribunale  ordinario
di Trento ha sollevato - in riferimento agli artt. 2, 3,  32  e  117,
primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 8
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con la legge 4  agosto  1955,  n.  848  -
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,  della
legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di  rettificazione  di
attribuzione di sesso). 
    Tale disposizione prevede che «La rettificazione si fa  in  forza
di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una
persona sesso diverso da quello  enunciato  nell'atto  di  nascita  a
seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali». 
    Ad avviso del giudice rimettente, la  disposizione  censurata  si
porrebbe in contrasto con gli artt. 2 e 117, primo comma,  Cost.,  in
relazione  all'art.  8  della  CEDU,  poiche'  la  previsione   della
necessita', ai fini della rettificazione anagrafica dell'attribuzione
di  sesso,  dell'intervenuta  modificazione  dei  caratteri  sessuali
attraverso trattamenti chirurgici altamente invasivi pregiudicherebbe
gravemente  l'esercizio  del  diritto   fondamentale   alla   propria
identita' di genere. 
    E', inoltre, denunciato il contrasto con gli artt. 3 e 32  Cost.,
per l'irragionevolezza insita nella subordinazione dell'esercizio  di
un diritto fondamentale, quale il diritto all'identita' sessuale,  al
requisito della sottoposizione della persona a  trattamenti  sanitari
(chirurgici o ormonali), estremamente invasivi e  pericolosi  per  la
salute. 
    1.1.- Nel dispositivo della prima  ordinanza  (r.o.  n.  174  del
2015)  e'  sollevata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, primo comma, della legge n. 164 del 1982 «nella parte in
cui  subordina  la  rettificazione  di  attribuzione  di  sesso  alla
intervenuta  modificazioni  dei  caratteri  sessuali  primari   della
persona  istante,  mediante  intervento   chirurgico   demolitivo   e
ricostruttivo». 
    Con la successiva ordinanza n. 211 del 2015, lo stesso  Tribunale
ordinario di Trento chiede a questa Corte di accogliere la  questione
di legittimita' costituzionale  della  medesima  disposizione  «nella
parte in cui subordina la rettificazione  di  attribuzione  di  sesso
alla intervenuta modificazione dei caratteri sessuali  della  persona
istante». 
    2.-  In  considerazione  della  sostanziale   coincidenza   delle
questioni sollevate  dal  Tribunale  rimettente,  i  giudizi  possono
essere riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi. 
    3.-  In  via  preliminare,  va  rilevato   che   l'eccezione   di
inammissibilita'  della  questione  di  legittimita'  costituzionale,
proposta dall'Avvocatura generale dello Stato, e' infondata. 
    3.1.- Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato la questione
sarebbe inammissibile,  in  quanto  il  giudice  a  quo  non  avrebbe
adeguatamente  verificato  la  possibilita'   di   un'interpretazione
costituzionalmente orientata della disposizione censurata. 
    3.2.- Il Tribunale ordinario di Trento ritiene,  in  particolare,
che il tenore letterale dell'art. 1, comma 1, della legge n. 164  del
1982  escluda  la  possibilita'   di   ottenere   la   rettificazione
dell'attribuzione di sesso,  anche  in  assenza  della  modificazione
chirurgica dei caratteri sessuali primari,  vale  a  dire  l'apparato
genitale, in base al quale, al momento della nascita, si individua il
sesso della persona. 
    Il rimettente e' consapevole che l'art. 31, comma 4, del  decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari  al
codice di procedura civile in materia di riduzione e  semplificazione
dei procedimenti civili di  cognizione,  ai  sensi  dell'articolo  54
della legge  18  giugno  2009,  n.  69)  sembrerebbe  qualificare  il
trattamento  medico-chirurgico  come   eventuale,   ai   fini   della
rettificazione dell'attribuzione di sesso. A  suo  avviso,  tuttavia,
cio' non  significa  che  la  stessa  sia  ottenibile  a  prescindere
dall'adeguamento dei caratteri sessuali primari, bensi' soltanto  che
possano esservi  casi  concreti  nei  quali  gli  stessi  siano  gia'
modificati (ad esempio, per un intervento gia' praticato  all'estero,
ovvero per ragioni congenite). 
    3.3.-  Al  riguardo,   va   ribadito   quanto   affermato   dalla
giurisprudenza  costituzionale,  laddove  ha   ritenuto   che   «[l]a
possibilita' di  un'ulteriore  interpretazione  alternativa,  che  il
giudice a quo non ha ritenuto di  fare  propria,  non  riveste  alcun
significativo rilievo ai fini del rispetto delle regole del  processo
costituzionale,  in  quanto  la  verifica  dell'esistenza   e   della
legittimita' di  tale  ulteriore  interpretazione  e'  questione  che
attiene al merito della controversia, e non alla sua  ammissibilita'»
(sentenza n. 221 del 2015, in  riferimento  alla  medesima  eccezione
sollevata in analogo giudizio; nello  stesso  senso,  da  ultimo,  le
sentenze n. 42 del 2017, n. 240, n. 219, n. 95, n. 45 del 2016  e  n.
262 del 2015). 
    4.- Nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 1, della legge n. 164 del 1982 non e' fondata. 
    4.1.- La possibilita' di  un'interpretazione  della  disposizione
censurata,  rispettosa  dei  valori  costituzionali  di  liberta'   e
dignita' della persona umana, e' stata individuata e valorizzata  sia
dalla giurisprudenza di legittimita', sia da quella costituzionale. 
    Questa Corte ha, da tempo, riconosciuto che «[l]a  legge  n.  164
del 1982 si colloca [...] nell'alveo di  una  civilta'  giuridica  in
evoluzione, sempre piu' attenta ai valori, di  liberta'  e  dignita',
della persona umana, che ricerca  e  tutela  anche  nelle  situazioni
minoritarie ed anomale» (sentenza n. 161 del 1985). 
    In questo ordine di idee si e'  posta  la  Corte  di  cassazione,
sezione prima civile, nella sentenza del 20 luglio  2015,  n.  15138,
nella quale e' stata condivisa un'interpretazione  costituzionalmente
orientata, e conforme alla giurisprudenza  della  CEDU,  dell'art.  1
della legge n. 164 del 1982, nonche'  del  successivo  art.  3  della
medesima legge, attualmente confluito  nell'art.  31,  comma  4,  del
d.lgs. n. 150 del 2011. In questa pronuncia, la  Corte  nomofilattica
ha ritenuto che, per ottenere la rettificazione dell'attribuzione  di
sesso  nei  registri  dello  stato  civile,  non   sia   obbligatorio
l'intervento chirurgico  demolitorio  o  modificativo  dei  caratteri
sessuali anatomici primari. 
    Invero, si  e'  riconosciuto  che  l'acquisizione  di  una  nuova
identita'  di  genere  possa  essere  il  risultato  di  un  processo
individuale che non postula la necessita' di tale intervento, purche'
la serieta' ed  univocita'  del  percorso  scelto  e  la  compiutezza
dell'approdo finale siano oggetto di accertamento  anche  tecnico  in
sede giudiziale. 
    4.2.- Piu'  recentemente,  con  la  sentenza  n.  221  del  2015,
successiva ad entrambe le ordinanze di rimessione,  questa  Corte  ha
riconosciuto che la disposizione censurata «costituisce l'approdo  di
un'evoluzione culturale ed ordinamentale volta al riconoscimento  del
diritto  all'identita'  di  genere  quale  elemento  costitutivo  del
diritto  all'identita'   personale,   rientrante   a   pieno   titolo
nell'ambito dei diritti fondamentali della persona (art.  2  Cost.  e
art. 8 della CEDU)». 
    Alla luce di tale evoluzione, che e' al tempo stesso culturale  e
ordinamentale, questa Corte ha, quindi, affermato che «la mancanza di
un riferimento testuale alle modalita' (chirurgiche, ormonali, ovvero
conseguenti ad una situazione  congenita),  attraverso  le  quali  si
realizzi la modificazione, porta ad escludere la necessita', ai  fini
dell'accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, del
trattamento chirurgico, il quale costituisce solo una delle possibili
tecniche per realizzare l'adeguamento dei caratteri  sessuali.  [...]
Il ricorso  alla  modificazione  chirurgica  dei  caratteri  sessuali
risulta, quindi, autorizzabile in funzione di  garanzia  del  diritto
alla salute, ossia laddove lo stesso  sia  volto  a  consentire  alla
persona  di  raggiungere  uno  stabile  equilibrio  psicofisico,   in
particolare in quei  casi  nei  quali  la  divergenza  tra  il  sesso
anatomico  e  la  psicosessualita'  sia  tale   da   determinare   un
atteggiamento conflittuale e  di  rifiuto  della  propria  morfologia
anatomica. La prevalenza della  tutela  della  salute  dell'individuo
sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico, porta  a
ritenere  il  trattamento  chirurgico  non  quale  prerequisito   per
accedere al procedimento di rettificazione  -  come  prospettato  dal
rimettente -, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di
un pieno benessere psicofisico». 
    La  possibilita'   di   un'interpretazione   della   disposizione
censurata compatibile con i valori costituzionali  porta  al  rigetto
della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  1,
nella parte in cui subordina la  rettificazione  di  attribuzione  di
sesso alle intervenute modificazioni dei caratteri sessuali. 
    5.-  Nell'affermazione  del  valore  nomofilattico  della  scelta
ermeneutica operata in questo senso dalla  Corte  di  cassazione  va,
pertanto, individuata la soluzione delle  incertezze  interpretative,
peraltro del tutto  isolate,  richiamate  dalla  difesa  delle  parti
private. 
    5.1.- La riconfermata validita' di tale interpretazione  esclude,
altresi', il  fondamento  delle  ulteriori  istanze  formulate,  solo
implicitamente, nell'ordinanza iscritta al n. 211 del  r.o.  2015  ed
espressamente nelle difese delle parti costituite. 
    In  particolare  -  ancorche'  le   argomentazioni   svolte   dal
rimettente    vertano    esclusivamente    sulla    non    necessita'
dell'intervento chirurgico ai fini della rettifica  anagrafica  -  il
petitum formulato nel dispositivo di detta ordinanza  e'  volto  alla
caducazione della previsione relativa alle intervenute  modificazioni
dei caratteri sessuali della parte istante. Con  cio'  il  rimettente
appare invocare un intervento piu' ampio di quello  illustrato  nelle
proprie motivazioni, in quanto volto ad escludere la previsione della
necessita' delle stesse modificazioni, quali che siano  le  modalita'
(chirurgiche, ormonali o congenite) attraverso  le  quali  le  stesse
siano intervenute. 
    In questa stessa prospettiva, la difesa delle  parti  costituite,
nelle memorie successive alla sentenza n. 221 del 2015 - della  quale
riconosce il  carattere  satisfattivo  delle  precedenti  istanze  di
tutela - auspica che dagli accertamenti  giudiziali  prodromici  alla
rettifica anagrafica sia esclusa, in via generale, la  sottoposizione
della  parte  istante  a  esami  medici  o  psicologici,  in   quanto
potenzialmente  invasivi  della  sfera  privata.  Tali   accertamenti
dovrebbero  vertere  esclusivamente  sulla  estrinsecazione   sociale
dell'identita' personale e sugli aspetti psichici, comportamentali  e
fisici che contribuiscono a comporre l'identita' di genere. 
    5.2.- Alla luce dei principi affermati nella sentenza n. 221  del
2015, va ribadito che l'interpretazione  costituzionalmente  adeguata
della legge n. 164  del  1982  consente  di  escludere  il  requisito
dell'intervento chirurgico di normoconformazione. E tuttavia cio' non
esclude affatto, ma anzi avvalora, la necessita' di  un  accertamento
rigoroso non solo della serieta' e univocita' dell'intento, ma  anche
dell'intervenuta  oggettiva  transizione  dell'identita'  di  genere,
emersa nel percorso seguito dalla persona interessata;  percorso  che
corrobora e rafforza l'intento cosi' manifestato. Pertanto, in  linea
di continuita' con i principi di cui  alla  richiamata  sentenza,  va
escluso  che  il  solo  elemento   volontaristico   possa   rivestire
prioritario o  esclusivo  rilievo  ai  fini  dell'accertamento  della
transizione. 
    In coerenza con quanto affermato nella  sentenza  richiamata,  va
ancora  una  volta  rilevato  come  l'aspirazione  del  singolo  alla
corrispondenza del sesso attribuitogli nei  registri  anagrafici,  al
momento della nascita, con quello soggettivamente percepito e vissuto
costituisca senz'altro  espressione  del  diritto  al  riconoscimento
dell'identita' di genere. Nel sistema della legge n.  164  del  1982,
cio'  si  realizza  attraverso   un   procedimento   giudiziale   che
garantisce, al contempo, sia il diritto del  singolo  individuo,  sia
quelle esigenze di certezza delle relazioni giuridiche,  sulle  quali
si fonda il rilievo dei registri anagrafici. 
    Il ragionevole punto di equilibrio tra le molteplici  istanze  di
garanzia e' stato, infatti, individuato affidando al  giudice,  nella
valutazione delle insopprimibili peculiarita' di  ciascun  individuo,
il compito di accertare  la  natura  e  l'entita'  delle  intervenute
modificazioni dei caratteri sessuali, che  concorrono  a  determinare
l'identita' personale e di genere.