ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  19  della
legge della Regione siciliana 29 settembre 2016, n. 20  (Disposizioni
per favorire l'economia. Disposizioni varie), promosso dal Presidente
del Consiglio dei ministri con ricorso notificato  il  6-14  dicembre
2016, depositato in cancelleria il 14 dicembre 2016 ed iscritto al n.
78 del registro ricorsi 2016. 
    Udito nella udienza pubblica  del  10  ottobre  2017  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    udito l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 6-14 dicembre 2016,  depositato  il
14 dicembre 2016 ed iscritto al n. 78 del registro ricorsi  2016,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato  l'art.  19  della
legge della Regione siciliana 29 settembre 2016, n. 20  (Disposizioni
per favorire l'economia. Disposizioni varie). 
    La disposizione - rubricata «Disposizioni in materia di  denuncia
dei pozzi» - stabilisce  che  «[i]l  termine  finale  previsto  dalle
disposizioni di cui al primo periodo  dell'articolo  10  del  decreto
legislativo 12 luglio 1993, n. 275 recepito con modifiche dalla legge
regionale 15 marzo 1994, n. 5 e' differito al 31 dicembre 2017». 
    L'art. 10, comma 1, primo periodo,  del  decreto  legislativo  12
luglio 1993, n. 275 (Riordino in  materia  di  concessione  di  acque
pubbliche), richiamato dalla norma impugnata, dispone  che  «tutti  i
pozzi esistenti, a qualunque uso adibiti, ancorche'  non  utilizzati,
sono denunciati  dai  proprietari,  possessori  o  utilizzatori  alla
regione o provincia autonoma nonche' alla  provincia  competente  per
territorio, entro dodici mesi dalla data di  entrata  in  vigore  del
presente decreto legislativo». 
    Questo termine per la denuncia dei pozzi e' stato successivamente
differito piu' volte dal legislatore statale, e segnatamente ad opera
dapprima dell'art. 14 del decreto-legge 8 agosto 1994, n. 507 (Misure
urgenti in materia di dighe), convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 21 ottobre 1994, n. 584, poi dell'art. 28 della legge 30 aprile
1999, n. 136 (Norme per il  sostegno  ed  il  rilancio  dell'edilizia
residenziale  pubblica  e  per  interventi  in  materia  di  opere  a
carattere ambientale), e quindi dell'art. 2  della  legge  17  agosto
1999, n. 290 (Proroga di termini nel settore  agricolo).  Da  ultimo,
l'art. 96, comma 7, del decreto-legislativo 3  aprile  2006,  n.  152
(Norme in materia ambientale), ha stabilito che: «[i]  termini  [...]
per la presentazione delle denunce dei pozzi a norma dell'articolo 10
del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275, sono prorogati al  31
dicembre 2007». 
    Secondo  il  Governo,  la  Regione  siciliana,  introducendo  una
disciplina difforme da quella nazionale  che  prevede  quale  termine
ultimo per la  denuncia  dei  pozzi  il  31  dicembre  2007,  avrebbe
ecceduto i limiti della propria competenza statutaria. 
    L'art. 14, lettera i), del regio decreto  legislativo  15  maggio
1946, n. 455 (Approvazione dello statuto  della  Regione  siciliana),
convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2,  riconosce
alla Regione siciliana potesta' legislativa esclusiva in  materia  di
«acque pubbliche, in quanto non siano oggetto di opere  pubbliche  di
interesse nazionale». Questa attribuzione  normativa,  tuttavia,  non
potrebbe essere esercitata in violazione  delle  «norme  fondamentali
delle riforme  economico-sociali  della  Repubblica»,  tra  le  quali
andrebbe ricompreso lo stesso art. 10 del d.lgs.  n.  275  del  1993.
Quest'ultima disposizione costituirebbe infatti  espressione  di  uno
standard di tutela ambientale da applicare in modo uniforme su  tutto
il territorio  nazionale  ai  sensi  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera s),  della  Costituzione.  Del  resto,  in  applicazione  dei
principi generali in tema  di  gerarchia  delle  fonti,  non  sarebbe
consentito  al  legislatore  regionale  di   prorogare   un   termine
prescritto in un decreto legislativo. 
    Sotto altro profilo - prosegue il ricorrente - la norma regionale
impugnata si porrebbe in contrasto anche con la direttiva 23  ottobre
2000, n. 2000/60/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
che istituisce un quadro  per  l'azione  comunitaria  in  materia  di
acque), e in particolare con gli obiettivi ambientali  ivi  enunciati
nei «considerando» numeri 1, 11, 25, 53, e nell'art. 1, paragrafo  1,
lettera b), con conseguente violazione degli artt. 11  e  117,  primo
comma, Cost. 
    Da  ultimo,  il  Governo  sostiene  che  la   proroga   regionale
censurata, palesando un ritardo di moltissimi anni  nell'applicazione
della normativa nazionale citata, si configurerebbe come una sorta di
"condono" generalizzato sulle  attivita'  di  estrazione  dell'acqua,
che,  nel  frattempo,   sarebbero   state   effettuate   in   maniera
incontrollata, con potenziali  danni  al  buon  regime  delle  acque.
Inoltre, dall'applicazione della previsione  impugnata  deriverebbero
anche pregiudizi per la finanza pubblica, tenuto conto che l'art.  10
del d.lgs. n. 275 del 1993 collega all'omessa denuncia  «la  sanzione
amministrativa del pagamento di una somma da lire duecentomila a lire
unmilioneduecentomila», prevedendo altresi' che «il pozzo puo' essere
sottoposto a sequestro ed e' comunque soggetto a chiusura a spese del
trasgressore  allorche'  divenga  definitivo  il  provvedimento   che
applica la sanzione». 
    2.- La Regione siciliana non si e' costituita in giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha   promosso
questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  19  della  legge
della Regione siciliana 29 settembre 2016, n.  20  (Disposizioni  per
favorire l'economia. Disposizioni varie),  per  violazione  dell'art.
14, lettera i), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n.  455
(Approvazione dello statuto della Regione siciliana),  convertito  in
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e degli artt.  11,  117,
primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    2.- Con il primo motivo di ricorso, il Governo  sostiene  che  la
Regione siciliana, avendo differito - dal  31  dicembre  2007  al  31
dicembre 2017 -  il  termine  per  la  denuncia  dei  pozzi  previsto
dall'art. 10, comma 1, primo  periodo,  del  decreto  legislativo  12
luglio 1993, n. 275 (Riordino in  materia  di  concessione  di  acque
pubbliche),  avrebbe  ecceduto  i  limiti  della  propria  competenza
statutaria.  Infatti,  la  pure  riconosciuta  competenza   esclusiva
regionale in materia di «acque pubbliche» sarebbe stata esercitata in
contrasto  con  una   delle   «norme   fondamentali   delle   riforme
economico-sociali  della  Repubblica»,  quale   sarebbe   la   citata
disposizione legislativa statale.  
    2.1.- Va premesso che l'art. 144 del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) - come gia' l'art. 1 della
legge 5 gennaio 1994, n.  36  (Disposizioni  in  materia  di  risorse
idriche) - dispone che «tutte le acque  superficiali  e  sotterranee,
ancorche' non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio  dello
Stato». L'assegnazione a terzi e la selezione degli impieghi ai quali
destinare  le  singole  acque  e'   disposta   mediante   concessione
(cosiddetta «di derivazione»). 
    Poiche' la diversione delle acque dal  loro  corso  naturale,  ai
fini  produttivi,  irrigui,  industriali  e  civili,  ne  modifica  i
caratteri fondamentali, il rilascio della concessione e'  subordinato
all'accertamento che la derivazione non pregiudichi il raggiungimento
degli  obiettivi  di  qualita'  e  che   venga   comunque   garantito
«l'equilibrio del bilancio idrico», secondo quanto previsto dall'art.
12-bis del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle
disposizioni  di  legge  sulle  acque  e  impianti  elettrici),  come
sostituito dall'art. 96 del d.lgs. n. 152 del 2006. I volumi di acqua
concessi devono altresi' essere  «commisurati  alle  possibilita'  di
risparmio,  riutilizzo  o   riciclo   delle   risorse».   L'autorita'
concedente deve  inoltre  tenere  conto  della  pianificazione  dello
sfruttamento della risorsa idrica, imperniato  sui  piani  di  tutela
delle acque (art.  121  del  d.lgs.  n.  152  del  2006),  di  bacino
distrettuale (art. 65 del d.lgs. n. 152 del 2006) e di gestione (art.
117 del d.lgs. n. 152 del 2016). 
    L'art. 10 del d.lgs. n. 275 del 1993 - evocato dal Governo  quale
norma interposta - e' stato introdotto  nell'ambito  di  un  generale
intervento di riordino delle concessioni di acque  pubbliche,  avente
la finalita' di riconsiderare complessivamente gli equilibri tra  gli
usi dell'acqua, tenuto conto della moltiplicazione delle  estrazioni,
anche abusive. 
    In particolare, l'obbligo di denuncia dei pozzi  rientra  tra  le
misure poste a salvaguardia e difesa della  "quantita'"  delle  acque
esistenti in ciascun distretto idrografico,  in  modo  da  assicurare
l'equilibrio fra la disponibilita' delle risorse idriche reperibili e
i fabbisogni per gli usi diversificati della risorsa stessa. Infatti,
per  predisporre  adeguatamente  il  piano  di  tutela  e  assicurare
l'equilibrio del bilancio  idrico,  le  autorita'  concedenti  devono
poter procedere al censimento di tutte le utilizzazioni in  atto  nel
medesimo corpo idrico. 
    2.2.- Secondo la giurisprudenza costituzionale,  le  disposizioni
in materia di tutela delle acque  -  contenute  principalmente  nella
parte III del d.lgs. n. 152 del 2006, intitolata «Norme in materia di
difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque
dall'inquinamento  e  di  gestione  delle  risorse  idriche»  e,   in
particolare, nella sua sezione  II  intitolata  «Tutela  delle  acque
dall'inquinamento» - sono riconducibili alla  materia  della  «tutela
dell'ambiente»,  attribuita  alla  competenza  legislativa  esclusiva
dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.
Si tratta, infatti, «di disposizioni aventi finalita' di  prevenzione
e  riduzione  dell'inquinamento,   risanamento   dei   corpi   idrici
inquinati, miglioramento dello stato delle  acque,  perseguimento  di
usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, mantenimento  della
capacita' naturale  di  autodepurazione  dei  corpi  idrici  e  della
capacita'  di  sostenere  comunita'  animali  e  vegetali   ampie   e
diversificate, mitigazione degli effetti delle  inondazioni  e  della
siccita', protezione e miglioramento  dello  stato  degli  ecosistemi
acquatici, degli ecosistemi terrestri e delle zone umide direttamente
dipendenti dagli ecosistemi acquatici sotto il profilo del fabbisogno
idrico. Sono scopi  che  attengono  direttamente  alla  tutela  delle
condizioni intrinseche dei corpi idrici  e  che  mirano  a  garantire
determinati livelli qualitativi e quantitativi delle acque» (sentenza
n. 254 del 2009; in senso analogo, sentenza n. 246 del 2009). 
    Con riguardo al riparto delle attribuzioni  tra  lo  Stato  e  le
regioni e le province autonome in materia  ambientale,  va  ricordato
che la normativa statale riconducibile alla  materia  trasversale  di
cui all'art. 117, comma 2, lettera  s),  Cost.  e'  applicabile  alle
regioni speciali e alle province autonome «solo laddove  non  entrino
in gioco le competenze riconosciute dalla normativa  statutaria  agli
enti ad  autonomia  differenziata:  in  tal  caso,  lo  scrutinio  di
legittimita' costituzionale  deve  confrontarsi  con  il  complessivo
assetto normativo delineato dagli statuti di autonomia (sentenze n 98
del 2017, n. 210 del 2014, n. 151  del  2011  e  n.  378  del  2007)»
(sentenza n. 212 del 2017). Solamente in quanto  la  materia  «tutela
dell'ambiente»  non  sia  contemplata  negli  statuti  di  autonomia,
dunque, gli oggetti che non rientrano nelle specifiche  e  delimitate
attribuzioni delle regioni ad autonomia speciale e province  autonome
«rifluiscono nella competenza generale  dello  Stato  nella  suddetta
materia, la quale implica in primo luogo  la  conservazione  uniforme
dell'ambiente naturale, mediante precise disposizioni di salvaguardia
non derogabili in alcuna parte del territorio nazionale» (sentenza n.
387 del 2008, nonche', analogamente, sentenze n. 288 del  2012  e  n.
151 del 2011). 
    Anche  nell'odierno  giudizio  di   legittimita'   costituzionale
vengono in evidenza le competenze  spettanti  statutariamente  a  una
regione ad autonomia speciale. 
    Nell'enumerare le materie sulle quali  la  Regione  siciliana  ha
potesta' legislativa  esclusiva  l'art.  14  dello  statuto  speciale
menziona esplicitamente le «acque  pubbliche,  in  quanto  non  siano
oggetto di opere  pubbliche  di  interesse  nazionale»  (lettera  i).
Questa Corte ha precisato che la previsione e' da riferire alla  sola
disciplina demaniale del bene idrico e marittimo, «come si desume sia
dal dato  letterale,  che  significativamente  considera  l'acqua  in
quanto oggetto di opera  pubblica,  sia  dal  dato  di  contesto  del
collegamento con la  norma  statutaria,  che  dispone  l'appartenenza
delle acque pubbliche al demanio  regionale,  con  l'eccezione  delle
acque che interessano la difesa e i servizi  di  carattere  nazionale
(art. 32)» e sulla base di queste considerazioni e' stata  ricondotta
alla competenza legislativa residuale, e non primaria, della  Regione
siciliana la disciplina del servizio idrico integrato (sentenza n. 93
del 2017).  Su  queste  stesse  basi,  deve  invece  ricondursi  alla
competenza legislativa primaria di cui alla lettera i)  dell'art.  14
dello statuto, la regolazione degli usi sostenibili e durevoli  delle
risorse  idriche  da  parte  dei  soggetti  interessati,  in   quanto
disciplina demaniale dell'acqua, considerata qui come vero e  proprio
"bene"  (da  tutelare)  anziche'  in  funzione  del   "servizio"   da
assicurare tramite essa alla collettivita'. 
    Queste conclusioni non  comportano  tuttavia  che  la  menzionata
competenza primaria possa esplicarsi senza alcun  limite.  Lo  stesso
art.  14  dello  statuto  precisa  che  l'Assemblea  siciliana   deve
esercitare la potesta' legislativa esclusiva «nei limiti delle  leggi
costituzionali dello Stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e
industriali deliberate dalla Costituente del popolo  italiano»  e  la
formula e' stata costantemente intesa da questa Corte  come  richiamo
al  rispetto   dei   «limiti   derivanti   dalle   norme   di   rango
costituzionale,  dai  principi  generali  dell'ordinamento  giuridico
statale, dalle norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali
della Repubblica nonche' dagli obblighi internazionali» (sentenza 265
del 2013; nello stesso senso anche le sentenze n. 263 del 2016, n. 11
del 2012, n. 189 del 2007, n. 314 del 2003, n. 4 del 2000, n. 153 del
1995). 
    E' noto che, proprio in  applicazione  del  limite  delle  «norme
fondamentali delle grandi riforme economico-sociali», questa Corte ha
piu' volte preteso dalle  regioni  speciali  (e  dalle  due  province
autonome)  il  rispetto  di  prescrizioni  legislative   statali   di
carattere generale incidenti su materie assoggettate dagli statuti al
regime della competenza legislativa piena o primaria. In particolare,
e' stato affermato che il legislatore statale conserva «il potere  di
vincolare la potesta' legislativa  primaria  della  regione  speciale
attraverso  l'emanazione  di  leggi   qualificabili   come   "riforme
economico-sociali": e cio' anche  sulla  base  [...]  del  titolo  di
competenza   legislativa   nella   materia   "tutela   dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali", di cui all'art.  117,  secondo
comma, lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto della tutela
del paesaggio quanto della tutela dei beni  ambientali  o  culturali;
con la conseguenza che le norme  fondamentali  contenute  negli  atti
legislativi statali emanati in tale materia  potranno  continuare  ad
imporsi al necessario rispetto» degli enti ad autonomia differenziata
nell'esercizio delle proprie competenze (sentenza  n.  51  del  2006;
nello stesso senso, sentenze n. 212 del 2017, n. 233 del 2010, n. 164
del 2009, n. 536 del 2002). 
    2.3.- La disciplina statale in materia di tutela delle acque deve
essere ascritta all'area delle riforme economico-sociali, sia per  il
suo «contenuto riformatore», sia per la sua «attinenza  a  settori  o
beni della vita economico-sociale di rilevante importanza»  (sentenza
n. 323 del 1998). 
    In un primo senso, infatti, si deve osservare che a partire dalla
legge n. 36 del 1994 sino al d.lgs. n. 152 del 2006,  il  legislatore
statale ha seguito un approccio innovativo e globale alla regolazione
della  materia,  orientato  non  solo   alla   diretta   salvaguardia
dell'acqua in quanto tale, ma al governo  della  risorsa  idrica  con
l'obiettivo di assicurarne un uso sostenibile, equilibrato,  equo  ed
integrato, ai fini della piu' generale tutela dell'ambiente  e  degli
ecosistemi ad essa correlati. 
    Sotto  il  secondo  aspetto,  rileva  l'importanza  vitale  della
risorsa idrica, essenziale sia  per  il  consumo  umano  che  per  la
funzione di ausilio alla vita di tutte le specie animali e vegetali. 
    L'indicazione dei criteri generali per un  corretto  e  razionale
uso dell'acqua risponde dunque a  un  interesse  unitario  che  esige
un'attuazione uniforme su tutto il territorio nazionale e non tollera
discipline differenziate nelle sue diverse parti. Le istanze  oggetto
di dialettica e di bilanciamento nelle  scelte  ad  essa  relative  -
fabbisogno idrico,  tutela  dei  corpi  idrici  e  degli  ecosistemi,
biodiversita', necessita' produttive dell'economia "idrodipendente" -
non  possono  infatti  che   essere   ponderate   unitariamente   con
un'operazione che solo il legislatore statale puo' compiere. 
    In  questo  contesto  devono  essere  qualificate   come   «norme
fondamentali   delle   riforme   economico-sociali»   non   solo   le
disposizioni statali direttamente espressive  del  descritto  modello
regolatorio in tema di tutela delle acque, ma  anche  le  previsioni,
solo apparentemente di dettaglio, che siano collegate alle  prime  da
un rapporto di coessenzialita' o di necessaria  integrazione.  Ed  e'
proprio cio' che accade nel caso in esame, in cui  la  norma  statale
che impone la denuncia dei pozzi in uso riveste  importanza  decisiva
per  la  tutela  quantitativa  della  risorsa   idrica   e   per   la
pianificazione della sua utilizzazione. 
    Si deve quindi concludere che il legislatore  statale,  adottando
l'art. 10 del d.lgs. n. 275 del 1993, ha esercitato  un  potere  che,
per il contenuto e la  funzione  di  norma  fondamentale  di  riforma
economico-sociale  della  disposizione  emanata,  vincola  anche   la
potesta' legislativa primaria della Regione siciliana in  materia  di
acque pubbliche. 
    2.4.- Si puo' aggiungere che, in concreto,  la  proroga  disposta
con  la  norma  di  legge   regionale   impugnata,   consentendo   la
prosecuzione di prelievi incontrollati della risorsa  idrica  per  un
ulteriore lungo  periodo  di  tempo,  interferisce  con  il  corretto
funzionamento   degli   strumenti    pianificatori,    autorizzatori,
sanzionatori, di vigilanza e controllo, e compromette le azioni volte
al risanamento dei corpi idrici.  Come  osservato  dalla  difesa  del
ricorrente,   inoltre,   il   differimento   del   termine   equivale
all'introduzione di una surrettizia e generalizzata forma di  condono
delle estrazioni  abusive  perpetrate  -  in  elusione  finanche  dei
dispositivi di misurazione delle portate delle acque emunte  previsti
all'art. 95 del d.lgs. n. 152 del 2006 - sul territorio siciliano nel
corso di un intero decennio, vanificando l'azione di controllo  e  di
repressione delle autorita' preposte, con il  rischio  di  alimentare
ulteriormente il fenomeno dell'abusivismo. 
    3.- Alla luce delle considerazioni svolte,  l'impugnato  art.  19
della legge regionale siciliana n. 20 del 2016 deve essere dichiarato
illegittimo in quanto incompatibile con  una  norma  fondamentale  di
riforma economico-sociale dello Stato. 
    Le residue doglianze formulate dal ricorrente restano assorbite.