ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  152  delle
disposizioni di attuazione  del  codice  di  procedura  civile,  come
modificato dall'art. 38, comma 1, lettera b), n. 2, del decreto-legge
6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, nella  legge  15  luglio
2011,  n.  111,  promosso  dalla  Corte  d'appello  di   Torino   nel
procedimento  vertente  tra  l'Istituto  nazionale  della  previdenza
sociale (INPS) e M. L., nella qualita' di genitore del minore  M.  D.
D. A., con ordinanza del  6  marzo  2015,  iscritta  al  n.  203  del
registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  dell'INPS,  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del  26  settembre  2017  il  Giudice
relatore Giulio Prosperetti; 
    uditi l'avvocato Luigi Caliulo  per  l'INPS  e  l'avvocato  dello
Stato  Giammario  Rocchitta  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 6 marzo 2015 la Corte d'appello di  Torino,
sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
dell'ultimo periodo dell'art. 152 delle  disposizioni  di  attuazione
del codice di procedura civile, come modificato dall'art.  38,  comma
1, lettera  b),  n.  2,  del  decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98
(Disposizioni   urgenti   per   la   stabilizzazione    finanziaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio  2011,  n.  111,
che,  nei  giudizi  per  prestazioni  previdenziali,  sanziona,   con
l'inammissibilita' del ricorso, l'omessa indicazione del valore della
prestazione  dedotta  in  giudizio,  il  cui  importo   deve   essere
specificato nelle conclusioni dell'atto introduttivo. 
    2.- Il giudice rimettente premette che e' stato sottoposto al suo
esame l'appello, proposto dall'Istituto  nazionale  della  previdenza
sociale (INPS), avverso la  decisione  di  primo  grado  con  cui  il
Tribunale di Torino ha  riconosciuto  il  diritto  alla  pensione  di
reversibilita' dell'ascendente in  favore  del  nipote,  ancorche'  i
genitori non fossero totalmente privi di reddito. 
    In particolare, il giudice a quo espone che la decisione e' stata
assunta nell'ambito di  un  giudizio  proposto  dalla  madre  per  la
condanna dell'INPS al ripristino della reversibilita', in favore  del
figlio, del trattamento pensionistico spettante al nonno materno che,
in  vita,  aveva  provveduto  al  mantenimento  del  nipote  con  lui
convivente, nonche'  per  la  declaratoria  di  illegittimita'  della
contestuale richiesta  di  ripetizione  di  indebito,  formulata  dal
medesimo ente, avente ad oggetto i ratei di pensione erogati  dal  1°
settembre 2009 al 30 giugno 2012, pari ad euro 31.232,77. 
    3.- Avverso tale decisione, prosegue il rimettente,  ha  proposto
appello l'INPS, eccependo, in via preliminare, l'inammissibilita' del
ricorso di primo grado per mancato rispetto della previsione  di  cui
all'art.  152  disp.  att.  cod.  proc.  civ.,   che,   a   pena   di
inammissibilita', prescrive di indicare  nell'atto  introduttivo  del
giudizio il valore della prestazione richiesta. 
    Su tale eccezione si e' soffermato  il  Collegio  rimettente  che
dubita della compatibilita' costituzionale dell'art. 152  disp.  att.
cod. proc. civ. per contrasto con gli artt. 3  e  117,  primo  comma,
della  Costituzione,  in  relazione  all'art.  6,  comma   1,   della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata
e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU),  poiche'  la
sanzione dell'inammissibilita' del ricorso costituirebbe una reazione
sproporzionata ed irragionevole, rispetto all'obiettivo avuto di mira
dal  legislatore,   di   evitare,   nei   giudizi   per   prestazioni
previdenziali,  le  liquidazioni  di  spese  processuali  esorbitanti
rispetto al valore della controversia. 
    In particolare, la Corte d'appello osserva che l'art.  152  disp.
att. cod. proc. civ., vincola il giudice ad  una  liquidazione  delle
spese di lite non superiore al valore del capitale ed e' a tale  fine
che si impone alla parte di  rendere  la  dichiarazione  relativa  al
valore  della   prestazione.   La   sanzione   dell'inammissibilita',
comminabile in caso di inadempimento a tale  obbligo,  determinerebbe
il venir meno  della  potestas  iudicandi  del  giudice,  rilevabile,
d'ufficio o su  eccezione  di  parte,  in  ogni  stato  e  grado  del
procedimento, tuttavia  la  gravita'  della  sanzione  la  renderebbe
manifestamente irragionevole in relazione allo scopo  perseguito.  La
manifesta irragionevolezza della previsione  censurata,  prosegue  il
rimettente, sarebbe resa ancor piu' evidente in casi, come quelli del
giudizio a quo, in cui  la  liquidazione  delle  spese  sia  avvenuta
correttamente. 
    Tale correttezza sarebbe desumibile dall'assenza di uno specifico
motivo di gravame relativo al capo  della  sentenza  di  liquidazione
delle  spese;  tuttavia,   una   volta   verificata   la   violazione
dell'obbligo  di  legge,  sarebbe  precluso   al   giudice   valutare
l'incidenza dell'omissione iniziale rispetto al fine dichiarato dalla
legge, a nulla rilevando  che  il  limite  legale  alla  liquidazione
giudiziale sia stato rispettato in concreto. 
    4.- Il rigore letterale della norma, secondo la Corte  d'appello,
non   potrebbe   essere   superato   accedendo    all'interpretazione
"costituzionalmente  orientata"  suggerita   dall'appellata,   ovvero
mediante l'applicazione analogica della previsione di cui al  secondo
comma dell'art. 445-bis cod. proc. civ., poiche', nelle  controversie
in materia di previdenza e assistenza  obbligatoria  a  cui  esso  si
riferisce, il previo esperimento dell'accertamento tecnico preventivo
integrerebbe una condizione di procedibilita' della domanda e non una
condizione di ammissibilita' di essa, di cui all'art. 152 disp.  att.
cod. proc. civ. 
    5.- A parere del Collegio rimettente, neppure  sarebbe  possibile
disapplicare la sanzione dell'inammissibilita' quando il valore della
prestazione  richiesta  emerga  dal  contesto  complessivo  dell'atto
introduttivo, poiche' la dizione letterale della norma  richiederebbe
in modo non equivoco la dichiarazione esplicita e,  conseguentemente,
il  giudice  non  potrebbe  sottrarsi  da  una  pronuncia  in   rito,
ancorche', come nella specie,  l'eccezione  sia  stata  sollevata  in
secondo grado e il gravame  non  abbia  specificamente  investito  la
liquidazione  delle  spese,  da  ritenersi   pertanto   correttamente
eseguita. 
    6.-  La  sproporzione  tra  il  mezzo  (l'inammissibilita'  della
domanda) ed il risultato (il contenimento  della  liquidazione  delle
spese  giudiziali),  determinato  dalla   gravita'   della   sanzione
prescritta, secondo il giudice a quo, non solo sarebbe irragionevole,
ma verrebbe in contrasto con  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 6, comma 1,  CEDU,  che  consente  le  limitazioni
all'accesso alla tutela giurisdizionale per motivi  formali  solo  se
proporzionate allo scopo perseguito. 
    La sproporzione sarebbe resa ancor piu'  evidente  in  casi  come
quello di  specie,  sia  perche'  una  nuova  iniziativa  giudiziaria
sarebbe  minacciata  dal  maturarsi  di  termini  di  prescrizione  e
decadenza di un  diritto  che  il  giudice  di  prime  cure  ha  gia'
riconosciuto, sia perche' l'oggetto del giudizio e' costituito  dalla
richiesta di erogazione di una  prestazione  previdenziale  ricadente
nell'alveo di protezione dell'art. 38 Cost. 
    7.- In punto di rilevanza, la  Corte  d'appello  rappresenta  che
l'esame dell'eccezione  di  inammissibilita'  non  sarebbe  precluso,
essendo essa rilevabile anche di ufficio, in ogni stato e  grado  del
procedimento, e che, poiche' l'attrice non ha reso  la  dichiarazione
nell'atto introduttivo, solo l'eliminazione della  sanzione  potrebbe
consentire un esame nel merito della fondatezza della pretesa vantata
e gia' affermata dal Tribunale di Torino. 
    8.- Nel giudizio di legittimita' costituzionale si e'  costituito
l'INPS deducendo l'implausibilita' della motivazione in  ordine  alla
rilevanza della questione, non potendo la Corte d'appello desumere la
correttezza della liquidazione delle spese di lite dall'assenza di un
motivo specifico di gravame. 
    Nel merito,  secondo  l'Istituto  previdenziale,  la  scelta  del
legislatore sarebbe espressione della sua discrezionalita' e con essa
sarebbe stato effettuato un corretto bilanciamento tra l'interesse ad
impedire gli abusi del processo e quello alla tutela giurisdizionale. 
    Il   soggetto   interessato   a   conseguire    la    prestazione
previdenziale, infatti,  potrebbe  sempre  dare  avvio  ad  un  nuovo
procedimento,  poiche'  la  declaratoria  di   inammissibilita'   non
precluderebbe la riproposizione dell'azione giudiziaria. 
    9.- Nel giudizio di legittimita' costituzionale si e'  costituito
il   Presidente   del   Consiglio   dei    ministri,    rappresentato
dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha dedotto che  gli  ultimi
due periodi dell'art. 152  disp.  att.  cod.  proc.  civ.,  sarebbero
funzionalmente  collegati  ed  entrambi  diretti  ad  evitare   l'uso
strumentale del processo previdenziale solo per lucrare le  spese  di
lite. 
    Il primo periodo della norma, infatti, vincola il giudice  a  non
liquidare, per le spese di lite, un importo superiore al valore della
prestazione  dedotta  in  giudizio  e  il  secondo,  che  costituisce
l'oggetto della questione di legittimita' costituzionale,  impone,  a
tal  fine,  di  indicare  nell'atto  introduttivo  il  valore   della
prestazione richiesta, a pena di inammissibilita'. 
    Secondo la difesa erariale,  il  legame  funzionale  tra  le  due
disposizioni autorizzerebbe una lettura teleologica di esse, per  cui
la sanzione dell'inammissibilita' non sarebbe applicabile  quando  il
valore della prestazione richiesta emerga dal contesto del ricorso, a
prescindere da una dichiarazione esplicita, e lo  scopo  della  norma
sia raggiungibile. 
    A maggior ragione, prosegue l'Avvocatura, l'inammissibilita'  non
potrebbe essere dichiarata quando,  come  nel  giudizio  a  quo,  sia
indubitabile la correttezza della liquidazione delle spese  in  primo
grado, determinandosi, di conseguenza, l'irrilevanza della  questione
di legittimita' costituzionale prospettata. 
    In   ogni   caso,   la   difesa    erariale    rappresenta    che
l'inapplicabilita'  dell'art  152  disp.   att.   cod.   proc.   civ.
deriverebbe dal fatto che il ricorso introduttivo conteneva anche  la
domanda  di  declaratoria  di  illegittimita'  della   richiesta   di
ripetizione di quanto gia' versato al minore tra il 1° settembre 2009
e il 30 giungo 2012, per un importo esattamente quantificato in  euro
31.232,77. 
    Quali ulteriori profili di  inammissibilita'  l'Avvocatura  dello
Stato  segnala  il  difetto  di  motivazione   circa   il   carattere
irragionevole e sproporzionato della sanzione, che sarebbe scrutinato
solo con riferimento agli effetti prodotti nel giudizio d'appello, in
cui e' stato accertato che le  spese  non  sono  state  liquidate  in
eccedenza, nonche' la mancata sperimentazione  di  un'interpretazione
costituzionalmente  compatibile,  che  consenta  al  giudice  di  non
applicare la sanzione quando possa trarre dall'atto elementi idonei a
definire l'esatto valore della controversia. 
    10.- Nel merito la  difesa  erariale  ha  dedotto  l'infondatezza
della questione, con riferimento ad  entrambi  i  parametri  evocati,
poiche' la limitazione all'accesso  alla  tutela  giurisdizionale  in
materia   previdenziale   sarebbe   proporzionata   all'esigenza   di
deflazione del contenzioso bagatellare, anche al fine  di  assicurare
il buon andamento della gestione dell'INPS e  la  ragionevole  durata
dei processi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte di appello di Torino, sezione lavoro,  dubita  della
legittimita' costituzionale dell'ultimo periodo dell'art.  152  delle
disposizioni di attuazione  del  codice  di  procedura  civile,  come
modificato dall'art. 38, comma 1, lettera b), n. 2, del decreto-legge
6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, nella  legge  15  luglio
2011, n. 111 che, nei giudizi previdenziali, al fine di vincolare  il
giudice a liquidare le spese nei limiti di valore  della  prestazione
dedotta, prescrive alla parte di indicare il  suddetto  valore  nelle
conclusioni del ricorso introduttivo. 
    L'adempimento e' richiesto a pena di inammissibilita' del ricorso
e, secondo il giudice rimettente, la norma sarebbe in  contrasto  con
gli artt. 3 e 117, primo  comma,  della  Costituzione,  in  relazione
all'art. 6, comma  1,  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848 (CEDU),  poiche'  la  sanzione  dell'inammissibilita'  sarebbe
manifestamente  irragionevole  e  sproporzionata  rispetto  al  fine,
perseguito dal legislatore, di  garantire  una  congrua  liquidazione
delle spese giudiziali, in  relazione  al  valore  della  prestazione
richiesta. 
    Secondo  il  giudice   a   quo,   la   dichiarazione   prescritta
costituirebbe un presupposto  processuale  della  domanda  e  la  sua
mancanza priverebbe il giudice della potestas  judicandi,  rilevabile
d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, ne' la  lettera  della
norma, che  impone  una  dichiarazione  esplicita,  autorizzerebbe  a
desumere il valore della prestazione  dal  contesto  complessivo  del
ricorso. 
    L'obbligo dichiarativo si tradurrebbe, quindi, in una limitazione
formale all'accesso  alla  tutela  giurisdizionale,  irragionevole  e
ingiustificata rispetto  al  fine  di  contenimento  delle  spese  e,
quindi, in contrasto con l'art. 3  Cost.  e  con  l'art.  117,  primo
comma, Cost. in relazione all'art. 6, comma 1, CEDU. 
    2.- L'Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale  (INPS)  ha
eccepito l'inammissibilita' del giudizio per difetto  di  motivazione
sulla  rilevanza  poiche'  la  Corte  d'appello  avrebbe  desunto  la
correttezza della liquidazione delle spese giudiziali dall'assenza di
motivi di gravame specifici sul punto,  quando,  invece,  proprio  la
mancanza della dichiarazione di valore della prestazione  dedotta  in
giudizio priverebbe l'interprete di  riscontri  fattuali  concreti  e
cio' al fine  di  stabilire  che  la  liquidazione  delle  spese  sia
avvenuta nel rispetto del limite di valore  stabilito  dall'art.  152
disp. att. cod. proc. civ. 
    L'eccezione non e' fondata poiche' dalla  lettura  dell'ordinanza
emerge che il rimettente censura la previsione  dell'inammissibilita'
in ragione della sua gravita' e della non emendabilita' a  fronte  di
un inadempimento meramente formale, quale  la  mancata  dichiarazione
del valore della causa nell'atto introduttivo. 
    Il riferimento all'avvenuto raggiungimento dello scopo  normativo
e', a ben vedere, solo rafforzativo delle censure di irragionevolezza
e sproporzione tra mezzo e fine e, infatti, la pronuncia invocata  e'
di ablazione secca  della  previsione  normativa,  poiche'  la  Corte
d'appello mira all'eliminazione della sanzione che presidia il limite
legale alla liquidazione delle spese nei giudizi previdenziali. 
    3.- L'Avvocatura generale dello Stato ha dedotto  il  difetto  di
rilevanza della questione perche' l'art. 152 disp.  att.  cod.  proc.
civ. non sarebbe applicabile nel giudizio principale, il  difetto  di
motivazione dell'ordinanza in relazione all'irragionevolezza  e  alla
sproporzione della norma censurata nonche' il mancato esperimento  di
una lettura costituzionalmente conforme. 
    4.-  Il  difetto  di  rilevanza,  secondo  la  difesa   erariale,
deriverebbe dalla  lettura  sistematica  e  teologicamente  orientata
della  norma  che,  in  considerazione  del   fine   perseguito   dal
legislatore, porterebbe ad  escluderne  l'applicazione  quando,  come
avvenuto nella specie, sia stato accertato, in concreto, che non sono
state liquidate spese di valore superiore a quello della  prestazione
dedotta. 
    Il   giudice   rimettente,   pero',   ha   fornito    sufficienti
argomentazioni in base alle quali ha ritenuto  applicabile  la  norma
censurata al giudizio incidentale, dando conto del fatto che il  dato
letterale dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ  non  consentirebbe
di desumere il valore della prestazione dal contesto del ricorso,  in
difetto di una dichiarazione espressa, e ha individuato nell'avvenuto
raggiungimento dello scopo della norma un argomento aggiuntivo  della
sua  irragionevolezza  e  non  un  motivo  che  ne   giustifichi   la
disapplicazione. 
    Il presupposto interpretativo da cui muove il giudice rimettente,
fondato  sulla  lettera  della  norma,  non  risulta   manifestamente
implausibile  (sentenza  n.   13   del   2016)   e   l'eccezione   di
inammissibilita' risulta pertanto infondata. 
    5.- La difesa  erariale  ha  eccepito,  inoltre,  il  difetto  di
motivazione   dell'ordinanza   poiche'   essa   avrebbe   argomentato
l'irragionevolezza    e    la     sproporzione     della     sanzione
dell'inammissibilita' solo in relazione  all'avvenuto  raggiungimento
dello  scopo  della  norma  nel  giudizio  incidentale,   mentre   ha
denunciato l'illegittimita' costituzionale della norma in riferimento
a tutti gli effetti derivabili dall'art. 152 disp.  att.  cod.  proc.
civ. 
    L'eccezione non merita accoglimento perche' il giudice a quo  ha,
invece,  individuato   i   motivi   dell'irragionevolezza   e   della
sproporzione, non solo nell'avvenuto raggiungimento dello  scopo  nel
giudizio  incidentale,  ma  in  generale   nella   gravita'   e   non
emendabilita' della sanzione prescritta, a fronte di un inadempimento
formale, la  cui  mancanza  costringerebbe  la  parte  ad  una  nuova
iniziativa giudiziaria, con possibili gravose conseguenze  in  ordine
al maturarsi della decadenza e della  prescrizione,  con  conseguente
incisione del principio  costituzionale  di  ragionevole  durata  del
processo. 
    6.- Quanto, infine, al mancato esperimento di  un'interpretazione
costituzionalmente compatibile della norma censurata,  contrariamente
a quanto sostenuto dalla difesa erariale, essa e' stata motivatamente
esclusa dal rimettente e l'eccezione va respinta. 
    La Corte d'appello ha ritenuto che  «il  tenore  letterale  della
norma ne comporta un'applicazione obbligata in tutti i casi in cui la
parte non abbia assolto all'obbligo di legge», senza possibilita'  di
attribuire ad essa un significato diverso  da  quello  sospettato  di
illegittimita'. 
    La    difesa    erariale    ha    suggerito    un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  secondo  cui  si  potrebbe   escludere
l'applicazione della disposizione  nel  caso  in  cui  sia  possibile
desumere il valore della causa dal  contesto  complessivo  dell'atto.
Tuttavia tale interpretazione contrasta con il  dato  letterale,  che
richiede l'espressa  quantificazione  del  valore  nelle  conclusioni
dell'atto introduttivo; pertanto il presupposto interpretativo da cui
muove il rimettente e' corretto. 
    7.- Nel merito la questione e' fondata. 
    L'ultimo capoverso  dell'art  152  disp.  att.  cod.  proc.  civ,
inserito  dall'art.  38  del  decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98
(Disposizioni   urgenti   per   la   stabilizzazione    finanziaria),
convertito, con modificazioni, in  legge  15  luglio  2011,  n.  111,
prevede  che  «A  tale  fine  la  parte   ricorrente,   a   pena   di
inammissibilita'  di  ricorso,  formula  apposita  dichiarazione  del
valore  della  prestazione  dedotta  in   giudizio,   quantificandone
l'importo nelle conclusioni dell'atto introduttivo». 
    Nel giudizio di costituzionalita' e' in  discussione  l'eccessiva
gravosita' della sanzione dell'inammissibilita', che integrerebbe una
penalizzazione irragionevole e sproporzionata, a fronte di un mancato
adempimento di rilevanza meramente formale, ed eccedente rispetto  al
fine perseguito dal legislatore. 
    8.- Il controllo di costituzionalita', vertendosi in  materia  di
istituti processuali, per la cui conformazione il legislatore gode di
ampia discrezionalita', deve limitarsi a riscontrare se sia  stato  o
meno  superato  il  limite   della   manifesta   irragionevolezza   o
arbitrarieta' delle scelte compiute (ex plurimis, sentenze n. 17  del
2011, n. 229 e n. 50 del 2010, n. 221 del 2008; ordinanza n. 141  del
2001). Tale riscontro va  operato  attraverso  la  verifica  «che  il
bilanciamento degli interessi costituzionalmente  rilevanti  non  sia
stato realizzato con modalita' tali da determinare il sacrificio o la
compressione  di  uno  di  essi  in  misura  eccessiva   e   pertanto
incompatibile con  il  dettato  costituzionale.  Tale  giudizio  deve
svolgersi «attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei
mezzi   prescelti   dal   legislatore   nella    sua    insindacabile
discrezionalita' rispetto alle esigenze  obiettive  da  soddisfare  o
alle finalita' che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze
e delle limitazioni concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130  del
1988)» (sentenza n. 71 del 2015). 
    9.- L'ultima parte dell'art. 152  disp.  att.  cod.  proc.  civ.,
oggetto di censura, deve essere letta congiuntamente alla  previsione
del capoverso  immediatamente  precedente,  introdotto  dall'art.  52
della legge 18 giugno 2009,  n.  69  (Disposizioni  per  lo  sviluppo
economico, la semplificazione, la competitivita' nonche'  in  materia
di processo civile), che stabilisce che il giudice, nei  giudizi  per
prestazioni previdenziali, non puo' liquidare  spese,  competenze  ed
onorari superiori al valore della prestazione dedotta in giudizio. 
    La stretta correlazione che lega i due periodi e' esplicita e  la
ratio  sottesa  al  complessivo  intervento  normativo  va  ricercata
nell'esigenza di evitare l'utilizzo  abusivo  del  processo  che,  in
materia  previdenziale,  veniva  spesso  instaurato  per   soddisfare
pretese di valore economico irrisorio, al solo fine di conseguire  le
spese di lite. 
    Nella  relazione  di  accompagnamento  al  disegno  di  legge  di
conversione del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.  98  (Disposizioni
urgenti  per  la  stabilizzazione  finanziaria)  si   chiarisce   che
l'obbligo di dichiarare il valore della prestazione ha  lo  scopo  di
commisurare a tale valore il limite massimo alla  liquidazione  delle
spese processuali (gia' introdotto  dalla  legge  n.  69  del  2009),
intendendosi cosi' «scoraggiare fenomeni  elusivi  consistenti  nella
prassi di non quantificare il petitum, limitandosi  a  richiedere  un
accertamento generico ovvero indicando valori  generici  o  richieste
non sufficientemente quantificate» ed evidentemente pretestuose. 
    Entrambe le disposizioni esaminate, dunque, mirano a deflazionare
il contenzioso bagatellare, ma quella che prevede di non liquidare le
spese in misura superiore al «valore  della  prestazione  dedotta  in
giudizio» e' di per se' sola gia' idonea a perseguire  pienamente  lo
scopo. 
    In particolare, essa e' chiamata ad  operare  nel  momento  della
liquidazione delle spese, normalmente coincidente  con  la  fine  del
giudizio, quando il giudice  conosce  il  valore  della  prestazione.
Pertanto egli  non  avra'  bisogno  della  quantificazione  contenuta
nell'atto introduttivo, ma sara' sottoposto al vincolo derivante  dal
limite legale imposto alla liquidazione. 
    L'effetto deflattivo a cui mira il suddetto limite e',  comunque,
conseguito  ed  e'  idoneo  a  scoraggiare  l'instaurarsi   di   liti
pretestuose. 
    L'obiettivo  di  evitare  la  strumentalizzazione  del  processo,
attraverso la sanzione di  inammissibilita',  va  bilanciato  con  la
garanzia  dell'accesso  alla  tutela  giurisdizionale  e  della   sua
effettivita'. 
    Seppure,  infatti,  la  declaratoria  di   inammissibilita'   non
precluda la riproposizione dell'azione giudiziaria, essa  si  traduce
comunque in un aggravio per la parte, che dovra' ricominciare ex novo
il giudizio. 
    Pertanto,     le      conseguenze      sfavorevoli      derivanti
dall'inammissibilita'    non    sono     adeguatamente     bilanciate
dall'interesse  ad  evitare  l'abuso  del  processo   che   e'   gia'
efficacemente realizzato dalla disciplina introdotta dalla novella di
cui all'art. 52 della legge n. 69 del 2009. 
    L'eccessiva gravita' della  sanzione  e  delle  sue  conseguenze,
rispetto  al  fine  perseguito,  comporta,   quindi,   la   manifesta
irragionevolezza dell'art. 152 disp. att.  cod.  proc.  civ.,  ultimo
periodo, il quale prevede che «A tale fine  la  parte  ricorrente,  a
pena di inammissibilita' di ricorso, formula  apposita  dichiarazione
del valore della prestazione  dedotta  in  giudizio,  quantificandone
l'importo nelle conclusioni dell'atto introduttivo». 
    10.- L'altro motivo di censura, dedotto con riferimento  all'art.
117, primo comma, Cost. in relazione all'art. 6, comma 1, CEDU, resta
assorbito dall'esito della decisione.