ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 31, comma
1, e 34, commi 3 e 4, della legge della Regione  Veneto  30  dicembre
2016, n. 30 (Collegato alla  legge  di  stabilita'  regionale  2017),
promosso dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  con  ricorso
notificato il 28 febbraio-2 marzo 2017, depositato in cancelleria  il
7 marzo  2017,  iscritto  al  n.  28  del  registro  ricorsi  2017  e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  18,  prima
serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udito nella udienza pubblica del  20  febbraio  2018  il  Giudice
relatore Marta Cartabia; 
    uditi l'avvocato dello Stato Chiarina Aiello  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e gli avvocati Ezio Zanon e  Andrea  Manzi
per la Regione Veneto. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Con  ricorso  notificato  il  28  febbraio-2  marzo  2017  e
depositato in cancelleria il successivo 7 marzo (reg. ric. n. 28  del
2017), il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha  impugnato,  tra  gli
altri, gli artt. 31, comma 1, e 34, commi 3 e 4,  della  legge  della
Regione Veneto 30 dicembre 2016,  n.  30  (Collegato  alla  legge  di
stabilita' regionale 2017). 
    1.1.- L'art. 31, comma 1, della legge  regionale  impugnata,  che
sostituisce l'art. 40 della legge della Regione Veneto  14  settembre
1994, n. 55 (Norme sull'assetto programmatorio, contabile, gestionale
e di controllo delle unita' locali socio sanitarie  e  delle  aziende
ospedaliere in attuazione del decreto legislativo 30  dicembre  1992,
n. 502 "Riordino della disciplina in materia sanitaria",  cosi'  come
modificato dal decreto legislativo  7  dicembre  1993,  n.  517),  e'
denunciato in relazione alla  disciplina  dei  rimborsi  delle  spese
sostenute  dai  componenti  del  collegio  sindacale  delle   aziende
sanitarie locali  (ASL),  nella  legislazione  della  Regione  Veneto
denominate aziende ULSS, nella parte in cui dispone  che:  «Non  sono
previsti rimborsi per spese di vitto, alloggio e di  viaggio  per  il
trasferimento tra la residenza o domicilio del componente e  la  sede
legale dell'Azienda sanitaria». Il  ricorrente,  pur  ammettendo  che
tale previsione e' volta alla  riduzione  dei  costi  degli  apparati
amministrativi e al contenimento delle spese  per  missioni,  ritiene
che essa contrasti con l'art. 117, terzo comma,  della  Costituzione,
«segnatamente nella parte relativa  alla  materia  del  coordinamento
della finanza pubblica, ravvisandosi,  nella  sostanza,  elementi  di
disarmonia con  la  normativa  statale  in  materia  di  vigilanza  e
controllo sulla spesa pubblica». 
    Premette   il   ricorrente   che   generalmente   il    Ministero
dell'economia e delle finanze designa quale proprio rappresentante in
seno ai collegi sindacali delle aziende sanitarie locali  un  proprio
dirigente e che  il  compito  di  vigilanza  e  controllo  sui  conti
pubblici, esercitato dal  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze
anche mediante l'operato dei propri rappresentanti in seno ai collegi
di revisione e sindacali delle amministrazioni pubbliche, e' regolato
dall'art.  16  della  legge  31  dicembre  2009,  n.  196  (Legge  di
contabilita' e finanza pubblica). Inoltre, ai sensi dell'art.  2  del
decreto legislativo 30 giugno 2011, n. 123 (Riforma dei controlli  di
regolarita' amministrativa e contabile e potenziamento dell'attivita'
di analisi e valutazione della spesa, a norma dell'articolo 49  della
legge 31  dicembre  2009,  n.  196),  sono  attribuiti  al  Ministero
dell'economia e delle finanze compiti  di  controllo  di  regolarita'
amministrativa e contabile, anche mediante l'attivita' dei collegi di
revisione e sindacali,  al  fine  di  assicurare  la  legittimita'  e
proficuita' della spesa. Ancora, ai sensi dell'art. 20  dello  stesso
d.lgs. n. 123 del 2011, i  medesimi  collegi  provvedono  agli  altri
compiti  a  essi  demandati  dalla  normativa  vigente,  compreso  il
monitoraggio della spesa pubblica. 
    Secondo l'Avvocatura generale  dello  Stato,  la  compresenza  di
componenti statali  e  regionali  nei  collegi  sindacali  delle  ASL
«costituisce un essenziale meccanismo  di  coordinamento  finanziario
nel campo della spesa sanitaria e ne rappresenta quindi un  principio
fondamentale»,  principio  che  sarebbe  violato  dalla  disposizione
regionale impugnata, la  quale  comprometterebbe  irrazionalmente  il
funzionamento  dei  collegi  sindacali  delle  aziende  ULSS  venete.
L'assenza di rimborsi per le spese di trasferta tra  la  residenza  o
domicilio del componente e la sede legale dell'azienda ULSS, infatti,
non  consentirebbe  ai  componenti   dei   loro   collegi   sindacali
l'assolvimento della  primaria  funzione  di  controllo  della  spesa
pubblica, metterebbe  in  pericolo  l'autonomia  delle  attivita'  di
vigilanza  con  particolare  riguardo  ai  componenti  fuori  sede  e
ostacolerebbe l'adempimento dell'obbligo di partecipazione a tutte le
attivita' di verifica pianificate dallo stesso organo  di  controllo,
potendo pregiudicare il  principio  di  collegialita'.  Pertanto,  il
contingentamento  delle  spese,  cosi'  come  regolato  nella   legge
regionale, non solo comprometterebbe le funzioni di controllo in capo
al Ministero dell'economia e delle finanze  -  anche  alla  luce  del
fatto che, laddove il rappresentante sia un dirigente del  Ministero,
egli sarebbe soggetto al regime retributivo della onnicomprensivita',
per cui non sarebbe destinatario neppure  della  indennita'  prevista
dalla stessa legge regionale per i  componenti  del  collegio  -,  ma
limiterebbe anche l'attivita' connessa ai doveri e  alle  conseguenti
responsabilita' in capo ai collegi sindacali in tutti  quei  casi  in
cui le amministrazioni, titolari del potere di designazione,  optino,
in base a valutazioni discrezionali, per un  componente  sindaco  non
residente nel luogo in cui ha sede l'ente. 
    1.2.- In relazione all'art. 34, commi 3 e  4,  della  legge  reg.
Veneto n. 30 del 2016, che modifica la legge della Regione Veneto  16
agosto 2002, n. 22 (Autorizzazione e accreditamento  delle  strutture
sanitarie, socio-sanitarie e  sociali)  nel  senso  di  escludere  la
competenza del Comune sulle autorizzazioni alla  realizzazione  degli
ospedali di comunita',  delle  unita'  riabilitative  territoriali  e
degli hospice, e di demandare alla Giunta regionale tale  competenza,
il ricorrente denuncia  innanzitutto  la  violazione  dell'art.  117,
terzo comma, Cost. per il contrasto con il principio fondamentale  in
materia di «tutela della salute» posto dall'art. 8-ter, comma 3,  del
decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.  502  (Riordino   della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della  legge
23 ottobre 1992, n. 421). Tale disposizione statale,  coordinando  le
competenze istituzionali dei Comuni con la  programmazione  sanitaria
regionale, porrebbe il principio secondo cui la  finalita'  sanitaria
di  una  costruzione  non  puo'  privare  il  Comune  del  potere  di
verificarne la compatibilita' urbanistica e di rilasciare il permesso
di costruire (si richiama la sentenza n. 132 del 2013).  Inoltre,  la
norma regionale che affida a un organo della  Regione  il  potere  di
autorizzare la realizzazione dei tre tipi di strutture sociosanitarie
in questione comporterebbe una violazione delle prerogative  comunali
sia  ai  sensi  dell'art.  118,  secondo  comma,  Cost.,  perche'  la
competenza al rilascio dei permessi di costruire, quando le strutture
sociosanitarie sono realizzate da soggetti privati, e' attribuita  al
Comune direttamente dalla legge statale; sia ai sensi dell'art.  118,
primo   comma,   Cost.,   perche'   comunque   la   norma   regionale
contrasterebbe con il principio di sussidiarieta' e  di  adeguatezza.
Il carattere specifico delle tre descritte strutture  sanitarie,  che
debbono essere necessariamente  di  dimensioni  ridotte  proprio  per
assicurare ai particolari malati che ne abbisognano un'assistenza  di
tipo protetto, ma  non  ospedaliero,  comporterebbe  infatti  che  le
valutazioni edilizie e urbanistiche a esse  relative  siano  espresse
dall'ente  ordinariamente  competente,  cioe'  dal  Comune;   e   che
l'intervento regionale si  limiti,  quindi,  al  coordinamento  delle
decisioni del  Comune  con  la  programmazione  sanitaria  regionale,
attraverso la verifica di  compatibilita'  sanitaria  prevista  dalla
norma statale interposta di cui all'art. 8-ter, comma 3,  del  d.lgs.
n. 502 del 1992. 
    2.- Con atto depositato in data 6 aprile 2017 si e' costituita in
giudizio  la  Regione  Veneto,  chiedendo   che   la   questione   di
legittimita' costituzionale relativa  all'art.  31,  comma  1,  della
legge regionale impugnata sia dichiarata inammissibile  e,  comunque,
non fondata, e che la questione relativa all'art. 34, commi  3  e  4,
della medesima legge regionale sia dichiarata non fondata. 
    2.1.- Quanto alla questione di  costituzionalita'  dell'art.  31,
comma 1, la difesa della Regione osserva che dalla lettura del motivo
di impugnazione non e' possibile evincere quale sia il  principio  di
coordinamento  della  finanza  pubblica  che  sarebbe  violato  dalla
disposizione  di   legge   regionale,   il   che   farebbe   ritenere
l'impugnazione inammissibile, prima ancora che infondata, per la  sua
intima contraddittorieta'  e  per  l'inconferenza  del  parametro  di
costituzionalita' richiamato. Neanche il riferimento alla compresenza
di componenti statali e  regionali  nei  collegi  sindacali  potrebbe
servire  a  motivare  la  violazione  dei  principi  in  materia   di
«coordinamento della  finanza  pubblica»,  perche'  tale  compresenza
rappresenterebbe  piuttosto  una  misura  di  natura   organizzativa.
Peraltro la disposizione della legge regionale avrebbe una  finalita'
di riduzione  della  spesa  pubblica  che  si  porrebbe  in  perfetta
assonanza con le molteplici e costanti richieste legislative  che  in
tal senso lo Stato impone alle Regioni. Ne' tale  misura  apparirebbe
irragionevole, prevedendo essa una mera riduzione dei rimborsi spesa,
senza che cio' incida in alcun modo  sulla  concreta  esercitabilita'
dell'attivita' da parte  dei  componenti  del  collegio.  D'altronde,
occorrerebbe tenere presente a tale riguardo che l'art. 3, comma  13,
del d.lgs. n. 502 del 1992, che costituirebbe principio  fondamentale
della legislazione statale, prevede che l'indennita' annua  spettante
ai componenti del collegio sindacale sia commisurata agli  emolumenti
spettanti al direttore generale dell'unita' sanitaria locale e che il
d.P.C.m. 19 luglio 1992 (recte: 1995), n.  502  (Regolamento  recante
norme  sul  contratto   del   direttore   generale,   del   direttore
amministrativo e  del  direttore  sanitario  delle  unita'  sanitarie
locali e  delle  aziende  ospedaliere),  relativo  al  contratto  del
direttore generale delle suddette unita' sanitarie  locali,  dispone,
all'art. l, comma 5, che  il  trattamento  economico  e'  comprensivo
delle spese sostenute per gli spostamenti dal luogo di  residenza  al
luogo di svolgimento delle  funzioni.  Quindi,  considerato  che  con
l'art. 31 della legge  impugnata  la  Regione  Veneto  ha  provveduto
semplicemente ad adeguare la propria normativa a  quella  statale  in
materia di collegi sindacali delle ASL  e  che  tale  normativa,  per
quanto concerne la determinazione degli  emolumenti,  opera  espresso
rinvio  alla  disciplina  dettata  per  i  direttori  generali,  tale
adeguamento non potrebbe non  conformarsi  a  tale  disciplina  anche
sotto  tale  aspetto.  La  doglianza  sarebbe  dunque  non   fondata,
sembrando diretta piu' a salvaguardare gli interessi remunerativi del
personale del Ministero dell'economia e delle finanze che l'interesse
pubblico a che l'esercizio delle funzioni pubbliche sia improntato  a
parametri di efficienza ed economicita'. 
    2.2.- Quanto all'art.  34,  la  Regione  Veneto  ritiene  che  il
principio fondamentale  ricavabile  dall'art.  8-ter,  comma  3,  del
d.lgs.   n.   502   del   1992,   norma   statale   interposta,   sia
l'obbligatorieta' di una duplice valutazione, di natura urbanistica e
di  programmazione  sanitaria,  per  la  realizzazione  di  strutture
sanitarie e sociosanitarie, a salvaguardia degli interessi  superiori
afferenti alla tutela della salute (si richiama la sentenza n. 59 del
2015),  ma  non  una  riserva  assoluta  di  competenza  al  rilascio
dell'autorizzazione in capo ai Comuni  territorialmente  interessati.
D'altronde, l'art. 7, comma 1, della legge regionale n. 22  del  2002
gia'  prevede  una  avocazione  in  capo  alla  Regione  del   potere
autorizzatorio, sia sotto il profilo sanitario sia con riguardo  agli
aspetti di conformita' urbanistico-edilizia,  laddove  si  tratti  di
«strutture della Regione, di  enti  o  aziende  da  essa  dipendenti,
oppure  dalla  stessa  finanziate,  anche  parzialmente»,  e   questa
avocazione non ha mai sollevato dubbi di legittimita' costituzionale.
Inoltre, la scelta del legislatore regionale  risulterebbe  non  solo
ragionevole, ma in perfetta sintonia con la necessita' di allocare la
competenza autorizzatoria in capo al soggetto pubblico  competente  a
tutelare gli interessi pubblici secondo il loro  dimensionamento.  La
disposizione regionale impugnata, infatti, non attribuirebbe in  capo
alla Giunta regionale una  potesta'  autorizzatoria  generalizzata  e
onnicomprensiva,  ma  prevedrebbe  invece  che,  con  riferimento   a
strutture   sanitarie   e   sociosanitarie   aventi   una   rilevanza
extracomunale e una notevole incidenza su ambiti  territoriali  anche
di rilevante ampiezza,  la  competenza  a  provvedere  in  ordine  al
rilascio  della   autorizzazione   alla   costruzione,   ampliamento,
trasformazione, trasferimento della struttura sia concentrata in capo
alla Regione. 
    D'altronde, l'attribuzione  della  potesta'  autorizzatoria  alla
Regione  non  comporterebbe   una   compressione   delle   competenze
regolatorie   urbanistiche   ed   edilizie   comunali,   in    quanto
l'autorizzazione a  realizzare  le  suddette  strutture  sanitarie  e
sociosanitarie non potrebbe derogare alle  prescrizioni  urbanistiche
ed edilizie del territorio interessato, ma  costituirebbe  unicamente
esercizio di un  potere  vincolato  di  accertamento  di  conformita'
urbanistica  ed  edilizia.  Il  che  deporrebbe   anche   in   ordine
all'utilita' di tale regime di concentrazione amministrativa, che  si
porrebbe in una posizione servente rispetto al fondamentale canone di
buon andamento dell'agire pubblico e di snellezza nell'esercizio  dei
pubblici poteri che interferiscono con  l'esercizio  di  attivita'  e
servizi da parte  dei  privati.  Queste  considerazioni,  secondo  la
difesa della Regione Veneto, eliminerebbero anche l'ulteriore  dubbio
di legittimita' costituzionale sollevato in  relazione  all'art.  118
Cost., in quanto sarebbero proprio  i  canoni  di  sussidiarieta'  ed
adeguatezza, insieme al principio di buon andamento di  cui  all'art.
97  Cost.,  a  giustificare  la  previsione  della  legge   regionale
impugnata. 
    3.- In prossimita' dell'udienza, in  data  30  gennaio  2018,  ha
depositato  memoria  la  sola  difesa  regionale,  svolgendo   alcune
ulteriori argomentazioni in relazione ad  entrambe  le  questioni  in
esame. 
    3.1.-  Quanto  all'art.  31,  comma  1,  della  legge   regionale
impugnata, la difesa regionale ribadisce che tale disposizione non si
pone in  contrasto  con  la  normativa  statale  in  materia,  ma  al
contrario asseconda i molteplici e  costanti  interventi  legislativi
statali diretti a realizzare  risparmi  di  spesa.  Inoltre,  non  si
potrebbe ritenere pregiudicata la funzione di controllo, dato che per
la determinazione degli emolumenti lo stesso articolo opera  espresso
rinvio alla disciplina dettata per i direttori generali, fissando una
indennita' che supera  i  16.000  euro  annui  e  che  dunque  appare
sufficiente a rimborsare le eventuali spese sostenute  per  le  poche
occasioni nelle quali e' necessaria la presenza  dei  componenti  del
collegio. La difesa regionale insiste poi nel dire che  «il  rimborso
spese viene reclamato  in  ragione  di  non  pertinenti  funzioni  di
vigilanza ministeriali e  non  di  quelle  esercitate  nell'interesse
delle singole Aziende sanitarie, come lo sono i compiti del  collegio
sindacale, che e' organo dell'Azienda». 
    3.2.- In relazione all'art. 34 la Regione da un lato insiste  per
una declaratoria di non fondatezza della questione, dato che la norma
statale  interposta  porrebbe   il   principio   dell'obbligatorieta'
dell'autorizzazione all'esercizio delle attivita' sanitarie,  ma  non
prevedrebbe affatto una riserva assoluta di  competenza  in  capo  ai
Comuni territorialmente interessati alla realizzazione  di  strutture
sanitarie e sociosanitarie; e dall'altro lato pone per la prima volta
una   eccezione   di   inammissibilita'    della    questione    «per
indeterminatezza dell'impugnazione». Il ricorso statale, infatti, non
avrebbe correttamente  individuato  il  parametro  costituzionale  di
riferimento, perche' la disposizione impugnata riguarderebbe  non  la
«tutela  della  salute»  ma  la  diversa  materia  del  «governo  del
territorio», nel cui  ambito  non  sarebbe  nemmeno  rinvenibile  una
riserva assoluta e inderogabile di competenza  a  favore  dei  Comuni
quanto al rilascio di un'autorizzazione edificatoria o urbanistica in
generale; ne' potrebbe sanare  tale  vizio  il  generico  riferimento
all'art. 118 Cost., privo dell'indicazione dei parametri  legislativi
che dimostrino l'attribuzione ai Comuni di una  competenza  esclusiva
al rilascio dei permessi di costruire. Inoltre,  rimarrebbe  «intonsa
nella norma la competenza del sindaco  al  rilascio  del  permesso  a
costruire anche alla luce della circostanza che pur avendo la Regione
una competenza  concorrente  in  materia  urbanistica  essa  dovrebbe
comunque far uso di norme o procedure in variante  urbanistica  o  di
verifica della conformita'  urbanistica  delle  edificande  strutture
sanitarie,  cosa  che  la  disposizione  in  esame  ne'  il  contesto
normativo prevedono». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il  ricorso  indicato  in  epigrafe,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello  Stato,  ha  promosso,  tra  le  altre,  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 31, comma 1, e 34, commi 3  e
4,  della  legge  della  Regione  Veneto  30  dicembre  2016,  n.  30
(Collegato  alla  legge  di  stabilita'  regionale  2017),  ritenendo
violati gli artt. 117, terzo comma, e 118,  primo  e  secondo  comma,
della Costituzione. Resta riservata a separate pronunce la  decisione
delle ulteriori questioni di legittimita' costituzionale promosse dal
ricorrente. 
    2.- L'art. 31, comma 1, della citata legge regionale  n.  30  del
2016, nel sostituire l'art. 40 della legge della  Regione  Veneto  14
settembre 1994, n. 55 (Norme sull'assetto programmatorio,  contabile,
gestionale e di controllo delle unita' locali socio sanitarie e delle
aziende ospedaliere in attuazione del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502 "Riordino della disciplina in materia sanitaria",  cosi'
come modificato dal decreto legislativo 7  dicembre  1993,  n.  517),
disciplina la composizione e le funzioni del collegio sindacale delle
aziende sanitarie locali  (ASL),  nella  legislazione  della  Regione
Veneto denominate aziende ULSS,  e  detta  le  regole  relative  alla
indennita' dei suoi componenti e al  rimborso  delle  spese  da  loro
sostenute in ragione  dell'incarico.  La  disposizione  e'  impugnata
nella parte relativa alla disciplina  dei  rimborsi  delle  spese  di
trasferta, la' dove essa dispone che per  i  componenti  dei  collegi
sindacali delle aziende ULSS «[n]on sono previsti rimborsi per  spese
di vitto, alloggio e di viaggio per il trasferimento tra la residenza
o domicilio del componente e la sede legale dell'Azienda sanitaria». 
    La difesa dello Stato denuncia la violazione da parte della norma
impugnata dei principi fondamentali della legislazione statale  nella
materia del «coordinamento della finanza pubblica»  di  cui  all'art.
117,  terzo  comma,  Cost.  Secondo  il  ricorrente,  costituirebbero
principi fondamentali della materia le previsioni della legge statale
che attribuiscono  al  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  i
compiti  di  vigilanza  e  monitoraggio  sui  conti  pubblici   anche
attraverso la presenza di un proprio rappresentante  nei  collegi  di
revisione e sindacali delle amministrazioni pubbliche, come  previsto
dall'art.  16  della  legge  31  dicembre  2009,  n.  196  (Legge  di
contabilita' e finanza pubblica) e dagli artt. 2  e  20  del  decreto
legislativo  30  giugno  2011,  n.  123  (Riforma  dei  controlli  di
regolarita' amministrativa e contabile e potenziamento dell'attivita'
di analisi e valutazione della spesa, a norma dell'articolo 49  della
legge  31  dicembre  2009,  n.  196),  con  la  conseguenza  che   la
compresenza di componenti statali e regionali nei  collegi  sindacali
delle ASL rappresenterebbe un «essenziale meccanismo di coordinamento
finanziario nel campo della spesa sanitaria». 
    Tali  principi  fondamentali  sarebbero   violati   dalla   norma
regionale  impugnata  che,  vietando  il  rimborso  delle  spese   di
trasferta  sostenute  dai  componenti  dei  collegi  sindacali  delle
aziende  ULSS  per  raggiungere  la  sede   delle   aziende   stesse,
ostacolerebbe  la  partecipazione  dei   componenti   designati   dal
Ministero dell'economia e delle finanze, che di solito sono dirigenti
dello Stato con  sede  a  Roma,  e  di  conseguenza  comprometterebbe
irrazionalmente   il   funzionamento   dei   collegi   sindacali    e
l'assolvimento della loro funzione di controllo sulla spesa pubblica.
Inoltre, la disposizione  regionale  impedirebbe  ai  componenti  del
collegio sindacale di assolvere all'obbligo di partecipare a tutte le
attivita' di verifica pianificate dallo stesso organo  di  controllo,
potendo far venire meno il principio  di  collegialita'.  E  cio'  in
tutti quei casi in cui l'amministrazione statale, titolare del potere
di designazione, opti, in base a valutazioni  discrezionali,  per  un
componente sindaco non residente nel luogo in cui ha sede l'ente. 
    3.-   Deve   innanzitutto   essere   respinta   l'eccezione    di
inammissibilita'  formulata  dalla  difesa  regionale  per  l'«intima
contraddittorieta'»   e    l'«inconferenza»    del    parametro    di
costituzionalita' invocato. 
    Il ricorso statale, infatti, come sopra si e' riferito,  richiama
esplicitamente i principi fondamentali della  materia  «coordinamento
della finanza pubblica» che reputa  violati  e  in  particolare  cita
l'art. 16 della legge n. 196 del 2009 e gli artt. 2 e 20  del  d.lgs.
123 del 2011. Tanto  basta  ad  assolvere  all'onere  di  motivazione
dell'atto introduttivo del giudizio di costituzionalita'. Attiene poi
al merito della questione stabilire se tali previsioni statali  siano
tali da impedire alle Regioni di modulare la disciplina dei  rimborsi
delle spese di trasferta dei componenti dei collegi  sindacali  delle
ASL nel modo previsto dalla disposizione regionale impugnata. 
    4.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    4.1.- Questa Corte si e' gia'  occupata,  ad  altri  fini,  della
struttura organizzativa delle ASL e in particolare di quello che oggi
e' denominato «collegio sindacale», ricostruendone  la  storia  e  le
funzioni. In quella  occasione,  la  Corte  ha  osservato  che  nelle
aziende sanitarie locali al collegio  sindacale  «sono  assegnate  le
funzioni di controllo, che, in particolare, attengono  alla  verifica
dell'amministrazione dell'azienda sotto il  profilo  economico,  alla
vigilanza  sull'osservanza  della  legge  e  all'accertamento   della
regolare tenuta della contabilita'» (sentenza n. 390 del 2008). 
    L'organo di controllo, originariamente denominato  «collegio  dei
revisori» (art. 3, comma 13, del d.lgs. n. 502  del  1992)  e'  stato
riformato con il decreto legislativo 19 giugno 1999,  n.  229  (Norme
per la razionalizzazione del Servizio sanitario  nazionale,  a  norma
dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419), il quale ne ha
anche mutato il nome, trasformandolo in «collegio sindacale». 
    Quanto alla sua composizione, l'attuale art. 3-ter, comma 3,  del
d.lgs. n. 502 del 1992,  nel  testo  risultante  dalle  modifiche  da
ultimo introdotte dall'art. 1, comma 574,  della  legge  23  dicembre
2014, n. 190, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e  pluriennale  dello  Stato  (Legge  di  stabilita'  2015)»,
stabilisce che: «Il collegio sindacale dura in carica tre anni ed  e'
composto da tre membri, di cui uno  designato  dal  presidente  della
giunta regionale, uno dal Ministro dell'economia e  delle  finanze  e
uno dal Ministro della salute. I componenti  del  collegio  sindacale
sono scelti tra gli iscritti  nel  registro  dei  revisori  contabili
istituito  presso  il  Ministero  della  giustizia,  ovvero   tra   i
funzionari  del  Ministero  del  tesoro,   del   bilancio   e   della
programmazione economica che abbiano esercitato per almeno  tre  anni
le funzioni di  revisori  dei  conti  o  di  componenti  dei  collegi
sindacali». 
    Quanto al  trattamento  economico,  ai  sensi  del  comma  4  del
medesimo art. 3-ter, «i riferimenti contenuti nella normativa vigente
al collegio dei revisori delle  aziende  unita'  sanitarie  locali  e
delle  aziende  ospedaliere  si  intendono  applicabili  al  collegio
sindacale di cui al presente articolo». In forza di  tale  rinvio  si
applica, dunque, l'art. 3, comma 13, del medesimo d.lgs. n.  502  del
1992, che stabilisce che i componenti del collegio  percepiscono  una
indennita', fissata «in misura pari al 10 per cento degli  emolumenti
del direttore generale  dell'unita'  sanitaria  locale»,  mentre  «al
presidente del collegio compete una  maggiorazione  pari  al  20  per
cento dell'indennita' fissata per gli altri componenti». 
    4.2.- L'art. 40 della legge reg. Veneto n.  55  del  1994,  cosi'
come modificato dall'impugnato art. 31 della legge reg. Veneto n.  30
del 2016, nei commi da 1 a 4, non contestati nel  presente  giudizio,
ripete la disciplina statale sulla composizione e sulle funzioni  dei
collegi  sindacali,  nonche'  sulla  indennita'  spettante  ai   loro
componenti. 
    Il comma 5 del medesimo art. 40,  modificato  dalla  disposizione
oggetto di censura, aggiunge poi  che:  «I  componenti  del  Collegio
hanno diritto al rimborso delle sole spese vive  e  documentate,  per
effetto  del   loro   trasferimento   in   diverse   sedi   aziendali
nell'esercizio delle loro funzioni. Non sono  previsti  rimborsi  per
spese di vitto, alloggio e di viaggio per  il  trasferimento  tra  la
residenza o domicilio del componente e la  sede  legale  dell'Azienda
Sanitaria». 
    Sul punto dei rimborsi per le spese di  trasferta,  la  normativa
statale di riferimento e' silente, non  prevedendo  alcuna  specifica
disciplina per le spese di  missione  sostenute  dai  componenti  dei
collegi dei revisori dei conti  e  dei  collegi  sindacali  istituiti
presso le ASL o presso altri enti  e  organismi  pubblici.  Parimenti
silente era la legge regionale prima della entrata  in  vigore  della
disposizione impugnata. Dei rimborsi per le spese dei componenti  del
collegio sindacale non  si  occupa  neppure  la  legge  regionale  25
ottobre 2016,  n.  19  (Istituzione  dell'ente  di  governance  della
sanita' regionale veneta denominato "Azienda  per  il  governo  della
sanita' della Regione del Veneto - Azienda Zero". Disposizioni per la
individuazione dei nuovi ambiti territoriali delle Aziende ULSS),  di
poco precedente alla disposizione impugnata, che ha  dato  vita  alla
nuova Azienda Zero, a cui sono attribuite numerose funzioni  «per  la
razionalizzazione, l'integrazione  e  l'efficientamento  dei  servizi
sanitari,  socio-sanitari  e  tecnico-amministrativi   del   servizio
sanitario regionale» (art. 1 della legge reg. Veneto n. 16 del 2017),
anch'essa dotata di un proprio collegio sindacale, che  presenta  una
composizione identica a quella  dei  collegi  sindacali  delle  altre
aziende ULSS (art. 6, comma 1, della medesima legge regionale). 
    L'impugnato art. 31, comma 1,  dunque,  disciplina  le  spese  di
missione dei componenti del collegio  sindacale  nel  silenzio  della
normativa statale e non gia' in contrasto diretto con alcuno dei suoi
principi fondamentali. 
    4.3.- Quanto ai parametri interposti richiamati nel  ricorso  del
Presidente del Consiglio dei ministri - art. 16 della  legge  n.  196
del 2009 e artt. 2 e 20 del  d.lgs.  123  del  2011  -  essi  non  si
occupano delle spese di missione, ma riguardano la composizione e  le
funzioni  dei  collegi  sindacali,  richiedendo  la  presenza  di  un
rappresentante del Ministero dell'economia e delle  finanze  in  tali
organi, per lo svolgimento di tutte le attivita'  di  controllo  loro
attribuite dalla legge. 
    Indubbiamente  le  richiamate  disposizioni   sono   idonee,   in
astratto, ad essere  qualificate  come  principi  fondamentali  della
materia «coordinamento della finanza pubblica»,  essendo  chiaramente
volte a garantire una complessiva  maggiore  efficienza  della  spesa
pubblica attraverso il monitoraggio costante da parte  del  Ministero
dell'Economia e delle Finanze su tutte le  amministrazioni  pubbliche
non  territoriali,  comprese  quelle  che,  occupandosi  di  sanita',
rappresentano  una  delle  maggiori  voci  di   spesa   regionale   e
dell'intero sistema. Infatti, secondo un costante orientamento  della
giurisprudenza  costituzionale,  la  materia   «coordinamento   della
finanza pubblica» «non puo' essere  limitata  alle  norme  aventi  lo
scopo di limitare la spesa,  ma  comprende  anche  quelle  aventi  la
funzione di "riorientare" la spesa pubblica [...] per una complessiva
maggiore efficienza del sistema»  (sentenza  n.  272  del  2015;  per
l'accoglimento di una simile concezione "virtuosa" del  coordinamento
della finanza pubblica: sentenze n. 273 del 2016, n. 160 del 2016, n.
69 del 2016, n. 38 del 2016, n. 205 del 2013, n. 8 del 2013). 
    Tuttavia, in concreto, non si ravvisa la violazione lamentata nel
ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, il  quale  ritiene
che le disposizioni impugnate, ponendo severi limiti ai rimborsi  per
le spese, ostacolino la partecipazione dei componenti  designati  dal
Ministero dell'economia e delle finanze, compromettendo  il  corretto
funzionamento dei collegi sindacali. 
    Vero e' che la normativa regionale impugnata penalizza in qualche
misura i componenti residenti o  domiciliati  fuori  sede.  Tuttavia,
cio'  non  implica  che  essa  impedisca  la  partecipazione  di   un
rappresentante ministeriale alle attivita' di controllo del  collegio
sindacale: sotto questo  profilo,  quindi,  essa  non  determina  una
violazione dei principi fondamentali del coordinamento della  finanza
pubblica invocati nel presente giudizio. Le  prevedibili  difficolta'
di fatto che, in mancanza del rimborso delle spese  di  trasferta  da
parte della Regione,  il  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze
potrebbe incontrare nell'acquisire la  disponibilita'  da  parte  dei
funzionari o  dirigenti  ministeriali  che  hanno  la  loro  sede  di
servizio nella capitale non compromettono di per se'  lo  svolgimento
delle indefettibili funzioni di vigilanza da parte del Governo. 
    Il «rappresentante del Ministero dell'economia  e  delle  finanze
nei collegi di revisione o sindacali delle amministrazioni pubbliche»
(art. 16 della legge n. 196 del 2009) non deve necessariamente essere
un funzionario o un dirigente del ministero, residente a Roma.  Anche
a non voler considerare la possibilita' che il Ministro qualifichi la
partecipazione dei propri funzionari o dirigenti ai collegi sindacali
delle ASL come adempimento di un loro dovere d'ufficio,  in  modo  da
accollarsi il rimborso delle spese di trasferta, egli potrebbe sempre
designare come suoi «rappresentanti» sia funzionari o  dirigenti  che
prestano servizio in una delle sedi territoriali del MEF, per i quali
il problema del rimborso delle spese di trasferta non  sussiste,  sia
revisori liberi professionisti residenti nelle vicinanze  della  sede
della ASL, nella stessa Regione o in altra adiacente. 
    Come si e' sopra ricordato, infatti, i requisiti  previsti  dalla
legge per svolgere le funzioni di componenti  dei  collegi  sindacali
delle ASL  sono,  alternativamente  e  senza  alcuna  indicazione  di
preferenza per l'una o per l'altra categoria, o quello  di  risultare
«iscritti nel registro dei revisori  contabili  istituito  presso  il
Ministero della giustizia», ovvero quello di essere  «funzionari  del
Ministero del tesoro, del bilancio e della  programmazione  economica
che abbiano esercitato per almeno tre anni le  funzioni  di  revisori
dei conti o di componenti dei collegi sindacali» (art.  3-ter,  comma
3, del d.lgs. n. 502 del 1992). 
    La normativa regionale impugnata,  pertanto,  non  pregiudica  la
presenza e la  partecipazione  dei  rappresentanti  ministeriali  nei
collegi sindacali delle aziende ULSS nella Regione Veneto e, percio',
non viola l'art. 117, terzo comma Cost., in riferimento  all'art.  16
della legge n. 196 del 2009 e agli artt. 2 e 20 del  d.lgs.  123  del
2011. 
    5.- L'art. 34, comma 3, della legge reg. Veneto n.  30  del  2016
dispone quanto segue: «Alla lettera b) del comma  1  dell'articolo  7
della legge regionale 16 agosto 2002, n.  22  dopo  le  parole:  "nei
rimanenti casi" sono inserite  le  seguenti:  "con  esclusione  degli
ospedali di comunita',  delle  unita'  riabilitative  territoriali  e
degli hospice"». 
    A seguito di questa modifica, il testo dell'art.  7  della  legge
della  Regione  Veneto  16  agosto  2002,  n.  22  (Autorizzazione  e
accreditamento delle strutture sanitarie, socio-sanitarie e  sociali)
risulta  il  seguente:   «1.   L'autorizzazione   alla   costruzione,
ampliamento,  trasformazione,  trasferimento  in  altra  sede   delle
strutture  pubbliche,  di  istituzioni  ed  organismi  a  scopo   non
lucrativo, nonche' delle strutture private, che  erogano  prestazioni
di assistenza residenziale extraospedaliera, a ciclo continuativo e/o
diurno di carattere estensivo o  intensivo,  ivi  compresi  i  centri
residenziali per tossicodipendenti e malati di AIDS,  e'  rilasciata:
a)  dalla  Regione,  in  conformita'  all'articolo  77  della   legge
regionale 27 giugno 1985, n. 61 e successive  modificazioni,  qualora
si tratti di strutture della Regione,  di  enti  o  aziende  da  essa
dipendenti, oppure dalla stessa finanziate,  anche  parzialmente;  b)
dal comune in cui avra' sede la struttura,  nei  rimanenti  casi  con
esclusione degli ospedali di comunita',  delle  unita'  riabilitative
territoriali e degli hospice. 2. Il rilascio delle autorizzazioni  di
cui al comma 1 avviene previa positiva valutazione della  rispondenza
alla programmazione socio-sanitaria  regionale  e  attuativa  locale,
definita in base al fabbisogno complessivo ed alla  localizzazione  e
distribuzione  territoriale  delle  strutture  presenti   in   ambito
regionale, anche al fine  di  meglio  garantire  l'accessibilita'  ai
servizi e valorizzare le aree di insediamento  prioritario  di  nuove
strutture. Nei casi di cui al comma 1,  lettera  b),  la  rispondenza
alla  programmazione  socio-sanitaria   e'   attestata   nel   parere
obbligatorio e vincolante rilasciato dal  dirigente  della  struttura
regionale competente». 
    L'art. 34, comma 4,  della  medesima  legge  regionale  impugnata
dispone inoltre che: «Dopo il comma 2  dell'articolo  7  della  legge
regionale 16 agosto 2002, n. 22 e'  aggiunto  il  seguente:  "2  bis.
L'autorizzazione  alla  costruzione,   ampliamento,   trasformazione,
trasferimento in altra sede degli ospedali di comunita', delle unita'
riabilitative territoriali e degli hospice richiesta  da  istituzioni
ed organismi a scopo non lucrativo, nonche' da strutture  private  e'
rilasciata dalla Giunta regionale, sentita la competente  Commissione
consiliare, fatto salvo quanto disposto  dall'articolo  2,  comma  1,
lettera g), n. 7, della legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19"». 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri censura l'art. 34, commi
3 e 4, della legge reg. Veneto n. 30 del 2016,  ritenendo  che  esso,
modificando la legge  reg.  Veneto  n.  22  del  2002  nel  senso  di
escludere la competenza del Comune dai procedimenti di autorizzazione
alla  realizzazione  degli  ospedali  di  comunita',   delle   unita'
riabilitative territoriali e  degli  hospice,  e  di  demandare  alla
Giunta regionale tale competenza,  violi  l'art.  117,  terzo  comma,
Cost., non  rispettando  il  principio  fondamentale  in  materia  di
«tutela della salute» di cui all'art. 8-ter, comma 3, del  d.lgs.  n.
502 del  1992.  Secondo  il  richiamato  principio  fondamentale,  la
finalita' sanitaria di una costruzione non puo' privare il Comune del
potere di verificarne la compatibilita' urbanistica e  di  rilasciare
il permesso  di  costruire;  sicche',  la  disposizione  oggetto  del
presente giudizio lederebbe le  prerogative  comunali  sia  ai  sensi
dell'art.  118,  secondo  comma,  Cost.,  perche'  la  competenza  al
rilascio   dei   permessi   di   costruire,   quando   le   strutture
sociosanitarie sono realizzate da soggetti privati, e' attribuita  al
Comune direttamente dalla legge statale; sia ai sensi dell'art.  118,
primo   comma,   Cost.,   perche'   comunque   la   norma   regionale
contrasterebbe con il principio di sussidiarieta' e di adeguatezza. 
    6.- Non puo' essere accolta l'eccezione di inammissibilita'  «per
indeterminatezza dell'impugnazione» proposta dalla  difesa  regionale
nella memoria depositata nell'imminenza dell'udienza pubblica. 
    Il  ricorso  statale,  infatti,  ha  chiaramente   dedotto   come
parametri della sollevata questione di costituzionalita' l'art.  117,
terzo comma, Cost. in riferimento alla materia  della  «tutela  della
salute», indicando specificamente l'art. 8-ter, comma 3,  del  d.lgs.
n. 502 del 1992 quale parametro interposto,  e  l'art.  118,  secondo
comma, Cost., rilevando che e' la legge statale ad avere conferito ai
Comuni la funzione amministrativa di cui  si  discute,  e  lamentando
altresi' una violazione dei principi di sussidiarieta' e  adeguatezza
di cui al primo comma del  medesimo  art.  118  Cost.  L'impugnazione
identifica con chiarezza oggetto, parametri e profili della questione
portata all'esame di questa  Corte.  Tanto  basta  per  consentire  a
questa Corte l'esame nel merito della questione prospettata. 
    7.- La questione e' fondata  in  relazione  all'art.  117,  terzo
comma, Cost. 
    La disposizione statale invocata dal  ricorrente  come  norma  di
principio e' l'art. 8-ter, comma 3,  del  d.lgs.  n.  502  del  1992,
rubricato  «Autorizzazioni  alla   realizzazione   di   strutture   e
all'esercizio di attivita'  sanitarie  e  sociosanitarie»,  il  quale
prevede  che:  «Per  la  realizzazione  di  strutture   sanitarie   e
socio-sanitarie il comune acquisisce,  nell'esercizio  delle  proprie
competenze in materia di autorizzazioni e concessioni di cui all'art.
4  del  decreto-legge  5  ottobre  1993,  n.  398,  convertito,   con
modificazioni, dalla legge 4  dicembre  1993,  n.  493  e  successive
modificazioni, la verifica di compatibilita' del  progetto  da  parte
della regione. Tale verifica e' effettuata in rapporto al  fabbisogno
complessivo  e  alla  localizzazione  territoriale  delle   strutture
presenti in ambito regionale,  anche  al  fine  di  meglio  garantire
l'accessibilita' ai servizi e valorizzare  le  aree  di  insediamento
prioritario di nuove strutture». 
    Le competenze comunali cui si  riferisce  testualmente  la  norma
statale - quelle cioe' «in materia di autorizzazioni  e  concessioni»
di cui all'art. 4 della legge n. 493 del 1993,  rubricato  «Procedure
per il rilascio delle concessioni edilizie» - sono in  realta'  tutte
le competenze relative al  permesso  di  costruire,  comprese  quelle
riguardanti la segnalazione certificata di inizio di attivita',  oggi
disciplinate dal d.P.R. 6 giugno 2001,  n.  380  (Testo  unico  delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), che ha
espressamente abrogato l'art. 4 della legge n.  493  del  1993  (art.
136, comma 1, lettera h), distribuendone poi  il  contenuto  in  vari
suoi articoli. 
    D'altra parte, il principio che identifica nel Comune il soggetto
competente in materia di permessi urbanistici ed edilizi  si  applica
anche alle strutture regolate dalla legge regionale impugnata,  posto
che il comma 1 del medesimo art. 8-ter del d.lgs.  n.  502  del  1992
chiarisce che:  «La  realizzazione  di  strutture  e  l'esercizio  di
attivita'   sanitarie   e   socio-sanitarie   sono   subordinate   ad
autorizzazione. Tali autorizzazioni si applicano alla costruzione  di
nuove strutture, all'adattamento di strutture gia' esistenti  e  alla
loro diversa utilizzazione,  all'ampliamento  o  alla  trasformazione
nonche' al trasferimento in altra sede di strutture gia' autorizzate,
con riferimento alle seguenti tipologie:  a)  strutture  che  erogano
prestazioni in regime di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo  o
diurno per acuti; [...] c) strutture sanitarie e socio-sanitarie  che
erogano prestazioni in regime residenziale, a  ciclo  continuativo  o
diurno». Alle strutture di cui  alla  lettera  a),  infatti,  possono
ascriversi gli hospice, che nella normativa statale  e  regionale,  a
partire dal decreto-legge 28 dicembre 1998, n. 450 (Disposizioni  per
assicurare interventi  urgenti  di  attuazione  del  Piano  sanitario
nazionale 1998-2000), convertito, con modificazioni, nella  legge  26
febbraio 1999, n. 39, art. 1, fino alla legge della Regione Veneto 19
marzo 2009, n. 7  (Disposizioni  per  garantire  cure  palliative  ai
malati in stato di inguaribilita'  avanzata  o  a  fine  vita  e  per
sostenere la lotta al dolore), art. 5, sono definite  come  strutture
dedicate all'assistenza palliativa e di supporto prioritariamente per
i  pazienti  affetti  da  patologia  neoplastica   terminale.   Nelle
strutture di cui alla lettera c), invece,  si  possono  ricomprendere
gli ospedali di comunita' e le unita' riabilitative territoriali, che
il piano socio-sanitario della Regione Veneto approvato con la  legge
regionale 29 giugno 2012, n. 23 (Norme in materia  di  programmazione
socio sanitaria e approvazione del  Piano  socio-sanitario  regionale
2012-2016)  qualifica,  in  armonia  con  la  normativa  statale   di
riferimento,  come  «strutture  di  ricovero  intermedie»,  e   cioe'
«strutture di ricovero temporaneo in grado di accogliere  i  pazienti
per  i  quali  non  sia  prefigurabile  un  percorso  di   assistenza
domiciliare e risulti improprio  il  ricorso  all'ospedalizzazione  e
all'istituzionalizzazione». 
    Non vi e' alcun dubbio peraltro, ne' le parti lo contestano,  che
l'art. 8-ter, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992 preveda che per  la
realizzazione di strutture sanitarie e socio-sanitarie  siano  sempre
necessari due tipi di  valutazioni:  una  valutazione  relativa  alla
conformita' urbanistico-edilizia  dell'opera  e  una  valutazione  di
politica sanitaria (la  «verifica  di  compatibilita'»  del  progetto
rispetto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale
delle strutture). 
    Entrambe le parti, inoltre, ritengono che la disposizione statale
abbia la natura di norma di principio in  materia  di  «tutela  della
salute». 
    Cio' che e' posto in discussione dalla difesa regionale e' che il
richiamato art. 8-ter, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992 riservi in
via assoluta al Comune la competenza a svolgere le valutazioni  sulla
conformita'  urbanistico-edilizia  dell'opera.  Se   si   accogliesse
l'interpretazione  della  disposizione  statale   prospettata   dalla
Regione resistente, la norma  regionale  impugnata  sfuggirebbe  alla
censura di costituzionalita', posto che essa prevede entrambi i  tipi
di valutazione - urbanistico-edilizia e di politica sanitaria - anche
se, nel caso degli hospice,  degli  ospedali  di  comunita'  e  delle
unita' riabilitative territoriali concentra  entrambe  in  capo  alla
Regione. 
    Questa Corte ritiene invece che l'art. 8-ter, comma 3, del d.lgs.
n. 502 del 1992  contenga  un  principio  diverso,  che  richiede  di
mantenere una duplicita' di valutazioni da parte  di  due  differenti
organi pubblici - il Comune per  le  valutazioni  urbanistiche  e  la
Regione per quelle di politica sanitaria -  e  che  solo  a  fini  di
semplificazione delle procedure  e  per  evitare  inutili  aggravi  a
carico degli amministrati fa confluire le due valutazioni in un unico
atto finale, facente capo al Comune. In particolare, la norma statale
esige che la Regione  effettui  la  verifica  di  compatibilita'  del
progetto della struttura sanitaria in relazione  alla  programmazione
sanitaria e la metta a disposizione del Comune, al quale  poi  spetta
la valutazione del  progetto  rispetto  agli  strumenti  urbanistici,
nell'esercizio di una funzione  amministrativa,  quella  relativa  al
rilascio dei titoli abilitativi, che appartiene al nucleo di funzioni
intimamente  connesso  al  riconoscimento  dell'autonomia   dell'ente
comunale (per analoghe affermazioni si vedano le sentenze n.  67  del
2016 e n. 387 del 2007). 
    Anche   la   giurisprudenza   amministrativa   conferma    questa
interpretazione quando afferma che la  «verifica  di  compatibilita'»
del progetto di realizzazione o ampliamento  di  strutture  sanitarie
compiuta dalla Regione introduce un subprocedimento  nell'ambito  del
complesso procedimento comunale per  il  rilascio  della  concessione
edilizia, e precisa che l'inserimento di tale subprocedimento fa  si'
che si verifichi nello stesso atto comunale la  sintesi,  espressione
di due  poteri  amministrativi  diversi,  della  qualita'  di  titolo
edilizio  in  senso  proprio  e  di  autorizzazione  regionale   alla
realizzazione (Consiglio di Stato, terza sezione, sentenza 29 gennaio
2013, n. 550; Consiglio di Stato, quinta sezione, sentenza 15 ottobre
2009, n. 6324; e cio' vale anche nel caso di fattispecie quali la DIA
o la SCIA, come affermato dal  Consiglio  di  Stato,  terza  sezione,
sentenza 30 gennaio 2012, n. 445 e, piu' recentemente, da TAR Napoli,
sentenza 3 luglio 2017, n. 3575). 
    La  norma   regionale   impugnata,   al   contrario,   eliminando
l'intervento comunale, rompe la necessaria dualita' e fa confluire in
un unico momento e in un unico soggetto due  valutazioni  che  devono
restare distinte. Deve pertanto esserne  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Restano assorbite le ulteriori censure.