ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  degli  artt.  3;  4,
comma 4;  5,  comma  5;  e  7,  comma  1,  lettera  d),  del  decreto
legislativo 6  marzo  2017,  n.  40  (Istituzione  e  disciplina  del
servizio civile universale, a norma dell'art. 8 della legge 6  giugno
2016, n. 106), promossi con ricorsi  della  Regione  Veneto  e  della
Regione Lombardia, notificati, rispettivamente, il 1°- 8 giugno e  il
1° giugno 2017, depositati in cancelleria il primo il  7  giugno,  il
secondo il 9 giugno 2017, iscritti rispettivamente ai nn. 43 e 44 del
registro ricorsi 2017 e pubblicati  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica nn. 28 e 29, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del  3  luglio  il  Giudice  relatore
Giuliano Amato; 
    uditi gli avvocati Ezio  Zanon  e  Luigi  Manzi  per  la  Regione
Veneto, Maria Lucia Tamborino per la Regione Lombardia  e  l'avvocato
dello Stato Leonello Mariani per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso spedito per la notificazione il 1° giugno 2017  e
successivamente depositato il 7 giugno 2017  (reg.  ric.  n.  43  del
2017), la Regione Veneto ha promosso, in riferimento agli artt.  117,
terzo e quarto comma, 119, primo comma,  e  120  della  Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 4, comma  4;  5,
comma 5; e 7, comma 1, lettera d), del decreto  legislativo  6  marzo
2017, n. 40 (Istituzione e disciplina del servizio civile universale,
a norma dell'art. 8 della legge 6 giugno 2016, n. 106). 
    1.1.- Premette la parte ricorrente  che  il  servizio  civile  e'
sorto quale forma di difesa non armata dello Stato,  alternativa  del
servizio militare di leva,  quando  questo  rappresentava  un  dovere
civile obbligatorio per il cittadino ai sensi dell'art. 52 Cost. 
    Il legame dell'istituto del servizio civile con la  difesa  dello
Stato, tuttavia, si sarebbe attenuato con la sospensione  della  leva
obbligatoria.  Come  chiarito  da  questa  Corte  (e'  richiamata  in
particolare la sentenza n. 119 del 2015), infatti, il servizio civile
e' ora un istituto  volontario,  al  quale  si  accede  per  pubblico
concorso,  che  consente  di  realizzare  i  doveri  inderogabili  di
solidarieta' e di rendersi utili alla propria  comunita'.  Lo  stesso
concetto di difesa  della  Patria,  d'altronde,  avrebbe  subito  una
significativa  evoluzione,  comprendendo  anche  attivita'  d'impegno
sociale non armato, che si traducono  nella  prestazione  di  servizi
rientranti  nella  solidarieta'  e  nella  cooperazione   a   livello
nazionale ed internazionale. 
    Ne consegue, pertanto, che sebbene  la  disciplina  del  servizio
civile possa essere ascritta alla competenza esclusiva statale di cui
all'art. 117, secondo comma, lettera d), Cost.,  cio'  «non  comporta
pero' che ogni aspetto  dell'attivita'  dei  cittadini  che  svolgono
detto  servizio  ricada  nella  competenza  statale.   Vi   rientrano
certamente gli aspetti  organizzativi  e  procedurali  del  servizio.
Questo,  in  concreto,  comporta  lo  svolgimento  di  attivita'  che
investono i piu' diversi ambiti materiali, come l'assistenza sociale,
la tutela dell'ambiente, la protezione civile: attivita' che, per gli
aspetti di rilevanza pubblicistica, restano soggette alla  disciplina
dettata dall'ente rispettivamente competente, e dunque, se del  caso,
alla legislazione regionale o alla normativa degli enti locali, fatte
salve le  sole  specificita'  direttamente  connesse  alla  struttura
organizzativa del servizio e alle regole previste  per  l'accesso  ad
esso» (sentenza n. 228 del 2004). 
    1.2.- Cio' premesso, sarebbe in primo luogo illegittimo l'art. 4,
comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017, per violazione degli  artt.  117,
terzo e quarto comma, e 120 Cost. 
    1.2.1.- Ai sensi dell'art. 4  del  d.lgs.  n.  40  del  2017,  la
programmazione relativa alle attivita' del servizio civile universale
e' realizzata attraverso un  piano  triennale,  articolato  in  piani
annuali, che definisce gli obbiettivi e  gli  indirizzi  generali  in
materia,  programma  gli  interventi  e  ne  individua  gli  standard
qualitativi. Il comma 4, in particolare, prevede  che  i  piani  sono
predisposti «dalla Presidenza del Consiglio dei ministri  sentite  le
amministrazioni competenti per i settori previsti dall'articolo  3  e
le regioni e sono approvati con decreto del Presidente del  Consiglio
dei ministri, previo parere della Consulta nazionale per il  servizio
civile universale e della Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano». 
    Nel caso di specie non potrebbe farsi ricorso al  criterio  della
prevalenza, poiche' il dovere di difesa (anche se non  armata)  della
Patria non sarebbe il preponderante riferimento costituzionale di  un
istituto che, dal punto  di  vista  operativo,  atterrebbe  ad  altre
materie. Al piu',  il  criterio  di  prevalenza  opererebbe  per  gli
aspetti strettamente  organizzativi  e  procedimentali  del  sistema,
nonche' per quelli attinenti all'accesso al servizio civile,  ma  non
riguardo allo svolgimento e alla programmazione  delle  attivita'  in
cui il servizio si concreta. 
    A fronte  dell'intreccio  tra  competenze  statali  e  regionali,
invece, le norme  impugnate  prevedrebbero  "a  monte"  una  generica
consultazione delle Regioni,  a  "valle"  un  semplice  parere  della
Conferenza Stato-Regioni. Conseguentemente, incidendo sulle  funzioni
amministrative e legislative regionali, tali  disposizioni  sarebbero
lesive del riparto di competenze delineato dalla Costituzione  e  del
principio di leale collaborazione, che «deve in ogni caso permeare di
se' i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie e  che  puo'
ritenersi congruamente attuato mediante  la  previsione  dell'intesa»
(sentenza n. 21 del 2016). 
    1.3.- In secondo luogo, l'art. 5, comma 5, del d.lgs. n.  40  del
2017 lederebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 120 Cost. 
    1.3.1.-  La  disposizione  impugnata  prevede  che  i   programmi
d'intervento di servizio civile «sono presentati da soggetti iscritti
all'albo  degli  enti   di   servizio   civile   universale,   previa
pubblicazione di un avviso pubblico, e  sono  valutati  ed  approvati
dalla Presidenza del Consiglio dei ministri,  con  il  coinvolgimento
delle  regioni  interessate  e  nei   limiti   della   programmazione
finanziaria prevista all'articolo 24». 
    Il «programma d'intervento»,  ai  sensi  dell'art.  1,  comma  2,
lettera a), del d.lgs. n. 40 del  2017,  e'  il  «documento  proposto
dagli  enti  iscritti  all'albo  degli  enti   di   servizio   civile
universale, contenente un insieme organico di  progetti  di  servizio
civile universale coordinati tra loro e finalizzati ad intervenire in
uno  o  piu'  settori,  anche  aventi  ad  oggetto  specifiche   aree
territoriali». I programmi, a loro volta, si articolano in  specifici
progetti. Ai sensi del successivo art. 5, comma 6, qualora riguardino
«specifiche aree territoriali  di  una  singola  regione  o  di  piu'
regioni limitrofe, i  programmi  sono  valutati  ed  approvati  dalla
Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  d'intesa  con  le  regioni
interessate». 
    Dunque, salvo il caso di  specifiche  aree  territoriali  di  una
singola Regione o di piu' Regioni limitrofe, i programmi d'intervento
sono  approvati  dal  Consiglio  dei   ministri   con   un   generico
coinvolgimento regionale. 
    In virtu' del gia' ricordato intreccio di  competenze  statali  e
regionali, invece, sarebbe da ritenersi sempre  necessaria  l'intesa,
sia al fine del  rispetto  delle  attribuzioni  regionali,  sia  come
corretta forma di raccordo tra l'azione del Governo  e  quella  delle
Regioni. 
    1.4.- Da ultimo, secondo la Regione  Veneto  sarebbe  illegittimo
l'art. 7, comma l, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017,  in  quanto
lesivo dell'art. 119, primo comma, Cost. 
    1.4.1.- Siffatta disposizione stabilisce che le  Regioni  attuano
«programmi di servizio civile universale con risorse proprie presso i
soggetti  accreditati  all'albo  degli  enti   di   servizio   civile
universale, previa approvazione della Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri, consistente nella verifica  del  rispetto  dei  principi  e
delle finalita' del servizio civile universale  di  cui  al  presente
decreto». 
    L'approvazione si concretizzerebbe  in  una  sorta  di  controllo
preventivo (o al limite  di  vigilanza)  da  esercitare  su  soggetti
autonomi, quali le Regioni, relativamente a  funzioni  di  competenza
propria, attuate con provvedimenti interamente finanziati con risorse
proprie. L'approvazione da parte dello  Stato,  per  quanto  limitata
alla verifica  del  rispetto  dei  principi  e  delle  finalita'  del
servizio  civile  universale,   dunque,   sarebbe   autoritativa   ed
unilaterale, senza  alcuna  forma  di  accordo  con  le  Regioni,  in
violazione dell'autonomia di spesa di cui all'art. 119, primo  comma,
Cost. 
    2.- Con ricorso notificato il 1° giugno  2017  e  successivamente
depositato il 9 giugno 2017 (reg. ric. n. 44 del  2017),  la  Regione
Lombardia ha promosso, in  riferimento  agli  artt.  97,  114,  primo
comma, 117, 118, primo e  terzo  comma,  119,  primo  comma,  e  120,
secondo  comma,  Cost.  e  al  principio  di  leale   collaborazione,
questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 3; 4, comma 4; e
7, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017. 
    2.1.- Premette la Regione ricorrente che il servizio civile nasce
quale istituto sostitutivo dell'obbligo di leva, che trova quindi  il
suo riferimento nell'art. 52 Cost. (sentenza n. 164 del 1985). 
    Con l'istituzione del servizio civile universale  -  disciplinato
dalla legge 6 marzo 2001, n.  64  (Istituzione  del  servizio  civile
nazionale) e dal decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina
del Servizio civile nazionale a norma  dell'articolo  2  della  L.  6
marzo 2001, n. 64) - convivevano, in una prima  fase,  due  forme  di
servizio civile: obbligatoria per  gli  obiettori  di  coscienza,  su
adesione volontaria per le giovani donne. La sospensione  della  leva
obbligatoria a decorrere dal 1° gennaio 2005, prevista dalla legge 23
agosto 2004, n. 226 (Sospensione anticipata del servizio obbligatorio
di leva e disciplina dei volontari di  truppa  in  ferma  prefissata,
nonche' delega al Governo per il  conseguente  coordinamento  con  la
normativa di settore), ha dato inizio ad una  seconda  fase,  con  la
partecipazione al servizio civile nazionale di tutti  i  giovani,  di
entrambi i sessi, tramite adesione volontaria. 
    La base costituzionale del servizio civile, quindi,  non  sarebbe
piu' il solo art. 52 Cost., ma anche l'art. 2 Cost., con  riferimento
ai doveri di solidarieta' (sono richiamate le  sentenze  n.  119  del
2015, n. 309 del 2013, n. 431 del 2005 e n. 228 del 2004). 
    Da cio' conseguirebbe che, sebbene  la  disciplina  del  servizio
civile nazionale possa  essere  ascritta  alla  competenza  esclusiva
statale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera d),  Cost.,  cio'
non riguarderebbe  ogni  aspetto  dell'attivita'  dei  cittadini  che
svolgono detto servizio. 
    2.2.- La Regione Lombardia impugna, in  primo  luogo,  l'art.  4,
comma 4, del d.lgs. n. 40 del  2017,  congiuntamente  con  l'art.  3,
tenuto  conto  che  quest'ultimo   ne   delimiterebbe   l'ambito   di
operativita', indicando i settori di intervento dei piani,  attinenti
anche a competenze  regionali  (come  per  l'assistenza  sociale,  ad
esempio). Il contenuto dell'art. 4, comma 4,  sarebbe  poi  replicato
all'art. 7, comma  l,  lettera  a),  e,  dunque,  l'accoglimento  del
ricorso dovrebbe avere effetti anche su quest'ultima disposizione. 
    2.2.1.- L'illegittimita' delle disposizioni impugnate deriverebbe
dalla mancata previsione dello strumento dell'intesa sul  decreto  di
approvazione dei piani. 
    Il principio di  leale  collaborazione,  infatti,  sarebbe  stato
declinato nella giurisprudenza costituzionale gia' in epoca risalente
(sono richiamate le sentenze n. 8 del 1985 e n. 219 del 1984),  negli
ambiti  ove  vi  siano  aree  di  sovrapposizione  tra  competenze  e
interessi, trovando una rafforzata conferma nel nuovo testo dell'art.
114 Cost., teso a porre sullo  stesso  piano  i  diversi  livelli  di
governo (in tal senso viene richiamata la sentenza n. 31 del 2006). 
    La  giurisprudenza  costituzionale,  specie   nella   «perdurante
assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari  e  piu'
in generale dei procedimenti legislativi» (sentenza n. 278 del 2010),
avrebbe valorizzato lo  strumento  dell'intesa  (sono  richiamate  le
sentenze n. 251, n. 21, n. 7 e n. l del 2016, n. 88 del 2014, n.  297
e n. 163 del 2012). Il  sistema  delle  conferenze,  in  particolare,
sarebbe «il principale strumento che consente alle Regioni  di  avere
un  ruolo  nella  determinazione  del  contenuto   di   taluni   atti
legislativi statali che incidono su materie di competenza  regionale»
e «[u]na delle sedi piu' qualificate  per  l'elaborazione  di  regole
destinate ad  integrare  il  parametro  della  leale  collaborazione»
(sentenza n. 401 del 2007). 
    Inoltre, dovrebbe considerarsi che l'art. 118, terzo comma, Cost.
prevede forme di coordinamento fra Stato e Regioni in talune  materie
di competenza legislativa esclusiva  dello  Stato  («immigrazione»  e
«ordine  pubblico  e  sicurezza»),  nonche'   forme   di   intesa   e
coordinamento  nella  «tutela  dei  beni  culturali».  Tali   materie
sarebbero ricomprese nei settori d'intervento  previsti  dall'art.  3
del  d.lgs.  n.  40  del  2017  (in  particolare,  l'assistenza,   il
patrimonio storico, artistico e culturale, la promozione  della  pace
tra i popoli, la promozione e la tutela dei diritti umani). 
    Neppure il criterio della prevalenza  dissolverebbe  i  dubbi  di
legittimita' della legge statale. L'art. 120, secondo  comma,  Cost.,
infatti,  assocerebbe  il  principio  di  leale   collaborazione   al
principio di sussidiarieta' (e' richiamata la  sentenza  n.  213  del
2006) e,  dunque,  la  "chiamata"  delle  funzioni  amministrative  e
legislative a livello statale, giustificata da esigenze di  esercizio
unitario, non potrebbe prescindere dal raggiungimento dell'intesa (ex
plurimis, sono richiamate le sentenze n. 383 del 2005, n. 6 del  2004
e n. 303  del  2003).  In  particolare,  si  tratterebbe  dell'intesa
"forte" (e' richiamata  la  sentenza  n.  207  del  1996),  che  deve
prevedere idonee procedure per consentire reiterate trattative  volte
a superare le divergenze, al cui eventuale  esito  negativo  potrebbe
essere rimessa al Governo una  decisione  unilaterale  (ex  plurimis,
vengono richiamate le sentenze n. 33 del 2011, n. 121 del 2010  e  n.
339 del 2005). 
    2.3.- Altresi' illegittimo sarebbe l'art. 7, comma l, lettera d),
del d.lgs. n. 40 del 2017,  recante  l'approvazione  da  parte  della
Presidenza del Consiglio dei ministri sui programmi  d'intervento  di
servizio civile attuati con risorse regionali. 
    2.3.1.-   Tale    disposizione    delineerebbe    un    improprio
subprocedimento, al di fuori di quanto previsto dall'art. 8, comma l,
lettera d), della legge 6 giugno 2016, n. 106 (Delega al Governo  per
la  riforma  del  Terzo  settore,  dell'impresa  sociale  e  per   la
disciplina del servizio civile  universale),  manifestando  cosi'  la
volonta' governativa di esercitare  un  controllo  finanziario  e  di
merito sui programmi regionali di servizio civile. 
    La  disciplina  incorrerebbe  proprio  in  quelle  illegittimita'
costituzionali da cui questa Corte aveva ritenuto indenne  il  d.lgs.
n. 77 del 2002 (sentenza n. 431 del 2005), poiche' in  tal  caso  era
assicurato il coinvolgimento delle Regioni e delle Province  autonome
nell'esercizio delle funzioni  amministrative  relative  al  servizio
civile nazionale, attraverso una pluralita' di strumenti. 
    Sarebbe cosi' violato il principio di  attribuzione,  poiche'  la
potesta'  legislativa  esclusiva  dello  Stato   non   potrebbe   mai
estendersi oltre i limiti  indicati  nell'art.  117,  secondo  comma,
Cost., rientrando  nella  potesta'  residuale  regionale  quanto  non
esplicitamente incluso nella competenza dello Stato (e' richiamata la
sentenza n. 261 del 2011). 
    La disposizione  impugnata  lederebbe  anche  l'art.  118  Cost.,
poiche'  l'intervento  legislativo   pregiudicherebbe   la   concreta
operativita' delle  amministrazioni  comunali,  anche  per  cio'  che
attiene all'esercizio delle  funzioni  amministrative  di  competenza
regionale, in violazione altresi' del  principio  di  buon  andamento
dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost. 
    Infine, verrebbe leso il principio di autonomia  della  spesa  ex
art. 119, primo comma,  Cost.  (tra  le  altre,  sono  richiamate  le
sentenze n. 64 del 2016, n. 77 del 2015 e n. 417 del 2005).  Infatti,
«il grado e la rilevanza costituzionale dell'autonomia politica della
Regione si misura anche sul  terreno  della  sottrazione  dei  propri
organi e dei propri uffici ad un generale potere di  sorveglianza  da
parte del Governo, analogo a quello che spetta invece  nei  confronti
degli enti appartenenti al plesso  organizzativo  statale,  ai  sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.» (sentenza n. 219 del
2013). L'autonomia costituzionale del sistema regionale e l'interesse
unitario alla sana gestione amministrativa e  finanziaria  dovrebbero
essere pur sempre contemperati tra loro  (come  nel  controllo  sulla
gestione  operato  dalla  Corte  dei  conti,  riguardo  al  quale  e'
richiamata la sentenza n. 29 del 1995).  La  disposizione  impugnata,
invece, affiderebbe al Governo l'esercizio di un potere  di  verifica
in danno delle Regioni e delle Province autonome, anche nel  caso  in
cui non sussista alcuno squilibrio finanziario, neppure  nei  singoli
settori d'intervento oggetto di disciplina. Cio' eccederebbe i limiti
propri dei principi di coordinamento della finanza pubblica,  poiche'
riserverebbe all'apparato ministeriale un compito improprio, in danno
dell'autonomia regionale, nonche' in difetto di proporzionalita'  tra
il mezzo impiegato ed il fine perseguito, in violazione del principio
di buona amministrazione. 
    3.- Con due atti depositati rispettivamente il 14 e il 19  luglio
2017, di contenuto parzialmente analogo, si e' costituito in entrambi
i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni promosse dalle ricorrenti siano dichiarate inammissibili  e
comunque non fondate. 
    3.1.- Premette la difesa statale che  nel  disegno  di  cui  alla
legge n. 64 del 2001 e al d.lgs. n. 77 del 2002, dal punto  di  vista
organizzativo, il servizio civile si era  articolato  su  un  livello
centrale, facente capo all'Ufficio nazionale per il servizio  civile,
e su  una  pluralita'  di  livelli  periferici,  ciascuno  dei  quali
afferente ad una distinta Regione o Provincia  autonoma.  All'Ufficio
nazionale spettavano l'organizzazione, l'attuazione, lo  svolgimento,
la programmazione, l'indirizzo, il coordinamento ed il controllo  del
servizio.  Le  Regioni  e  le  Province  autonome,  invece,  curavano
l'attuazione  degli  interventi  secondo  le  rispettive  competenze,
esprimendo, attraverso la Conferenza  Stato-Regioni,  un  parere  sul
piano d'intervento formulato annualmente dall'Ufficio nazionale. 
    Le criticita' manifestatesi in ordine  alla  realizzazione  degli
interventi avrebbero indotto il legislatore a superare  tale  modello
organizzativo, con la previsione di  una  programmazione  unitaria  e
coordinata degli  interventi,  sebbene  aperta  al  contributo  delle
autonomie  locali,  nonche'  di  un  unico  sistema  di  valutazione,
monitoraggio e controllo,  in  grado  di  assicurare  omogeneita'  di
trattamento e d'intervento su tutto il territorio nazionale. 
    3.2.- Venendo alle singole questioni, secondo la  difesa  statale
sarebbero in primo  luogo  inammissibili,  e  comunque  non  fondate,
quelle promosse da entrambe le ricorrenti riguardo all'art. 4,  comma
4, del d.lgs. n. 40 del 2017 (in connessione con l'art. 3 nel ricorso
della Regione Lombardia). 
    3.2.1.- In  via  preliminare,  l'inammissibilita'  delle  censure
deriverebbe dalla mancata contestuale impugnazione  dell'art.  6  del
d.lgs. n. 40 del 2017, che,  in  attuazione  dell'art.  8,  comma  1,
lettera d), della  legge  n.  106  del  2016,  radica  in  capo  alla
Presidenza del Consiglio dei ministri il  potere  di  programmazione,
organizzazione e attuazione del servizio civile universale, di cui la
predisposizione e l'approvazione dei piani sarebbero espressione. 
    3.2.2.- Nel merito,  l'art.  3,  recante  tra  l'altro  una  mera
elencazione descrittiva delle materie, e l'art. 4 del  d.lgs.  n.  40
del 2017 non comporterebbero  alcuna  sovrapposizione  di  competenze
statali e regionali, rientrando il  servizio  civile  universale,  in
applicazione del criterio della prevalenza,  nel  concetto  ampio  di
difesa della Patria. 
    Il  coinvolgimento  dei  diversi  livelli  di  governo,  inoltre,
sarebbe assicurato attraverso una pluralita' di  strumenti,  tali  da
delineare un sistema conforme ai principi dettati gia' dalla sentenza
n. 228 del 2004. Il principio di  leale  collaborazione,  d'altronde,
sarebbe pur sempre caratterizzato da una naturale  elasticita'  nelle
sue varie declinazioni (e' richiamata in particolare la  sentenza  n.
31 del 2006), in modo che il grado di  coinvolgimento  delle  Regioni
sia adeguato e proporzionato. 
    Rispetto alla previgente normativa, anzi, il  d.lgs.  n.  40  del
2017 conterrebbe  una  significativa  apertura  nei  confronti  delle
Regioni,  consultate  sia  nella  predisposizione  dei   piani,   sia
nell'approvazione   degli   stessi,   potendo   cosi'   rappresentare
adeguatamente ed efficacemente i fabbisogni dei rispettivi  territori
nei vari settori di intervento e di concorrere all'individuazione dei
programmi e degli strumenti piu' idonei a  soddisfarli,  in  coerenza
con  le  politiche  settoriali.  Il  vincolo  che  scaturisce   dalla
programmazione generale, d'altronde, sarebbe talmente ampio, elastico
e di indirizzo da non  poter  costituire  un  vulnus  della  potesta'
legislativa regionale. 
    Pretendere che la  cooperazione  e  la  leale  collaborazione  si
attuino nella forma dell'intesa, addirittura dell'intesa forte di cui
all'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131  (Disposizioni
per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L. Cost.  18
ottobre 2001, n. 3), significherebbe "degradare" il  servizio  civile
universale a materia oggetto  di  competenza  concorrente.  Cosa  ben
diversa, invece, sarebbe il servizio civile volontario organizzato  a
livello  locale,  che  risponderebbe,  invece,  a  finalita'  che  si
esauriscono in  prestazioni  personali  effettuate  spontaneamente  a
favore di altri individui o della collettivita', estranee alla difesa
della Patria (e' richiamata la sentenza n. 309 del 2013). 
    3.2.3.- Con specifico riferimento  alle  censure  promosse  dalla
Regione Lombardia,  non  fondate  sarebbero  le  doglianze  mosse  in
relazione all'art. 118, terzo comma, Cost. 
    Le materie dell'immigrazione e della tutela  dei  beni  culturali
non figurerebbero, infatti, tra i settori di intervento nei quali  si
realizzano le finalita' del servizio civile universale. 
    Quand'anche, con evidente forzatura del  dato  letterale,  le  si
volesse ricondurre alle lettere g) (promozione e tutela  dei  diritti
umani) e d) (patrimonio storico, artistico e culturale)  dell'art.  3
del d.lgs. n. 40 del 2017, non  sarebbe  comunque  leso  l'art.  118,
terzo comma,  Cost.,  che  si  limiterebbe  a  prescrivere  forme  di
coordinamento e d'intesa, senza pero' imporre l'adozione  dell'uno  o
dell'altro   strumento.   Spetterebbe   alla   discrezionalita'   del
legislatore  statale,  dunque,   la   scelta   della   modalita'   di
coinvolgimento piu' opportuna a realizzare un armonico  coordinamento
e contemperamento degli interessi statali e regionali  coinvolti.  E,
sebbene questa Corte  abbia  sempre  piu'  valorizzato  l'intesa  (e'
citata la sentenza n. 251 del 2016), quest'ultima non sarebbe l'unico
strumento attraverso il quale si realizzerebbe la collaborazione  fra
i diversi livelli di governo. 
    3.3.- Per quanto concerne la questione relativa all'art. 5, comma
5, del d.lgs. n. 40 del 2017, promossa dalla Regione Veneto,  secondo
l'Avvocatura generale dello Stato la ricorrente  incorrerebbe  in  un
evidente errore d'impostazione. 
    Il  principio  di   leale   collaborazione,   infatti,   potrebbe
articolarsi  in  differenti  gradi  di  coinvolgimento  regionale,  a
seconda del livello di  programmazione  in  cui  la  codeterminazione
della decisione deve concretizzarsi. 
    Piu' il livello di programmazione e' generale  e  rispondente  ad
esigenze di coordinamento unitario e uniforme su tutto il  territorio
nazionale  del  servizio  civile,  piu'  il  coinvolgimento  dovrebbe
realizzarsi attraverso  forme  di  codeterminazione  della  decisione
elastiche  (quali  l'interpello,  le  consultazioni,  gli  scambi  di
informazioni  o  il   parere).   In   questo   senso,   l'espressione
«coinvolgimento delle regioni» dovrebbe  essere  letta  come  formula
ampia e onnicomprensiva delle diverse e  flessibili  fasi  dialogiche
tra Stato e Regioni. In  particolare,  tale  coinvolgimento  dovrebbe
intendersi quale  partecipazione  al  processo  di  approvazione  dei
programmi,  cosi'  che  il  sistema  garantisca   che   le   esigenze
territoriali di  ciascuna  Regione  siano  coerentemente  oggetto  di
valutazione ed apprezzamento qualificato. 
    Quando, invece, il livello di programmazione e' piu' specifico  e
riguarda un ambito territoriale limitato, il coinvolgimento regionale
dovrebbe realizzarsi nella forma dell'intesa, come previsto dall'art.
5, comma 6, del d.lgs. n. 40 del 2017 per i programmi  di  intervento
che riguardano specifiche aree territoriali di una singola Regione  o
di piu' Regioni limitrofe. 
    Il legislatore delegato, dunque, avrebbe adottato una gradualita'
degli  strumenti  di  leale  collaborazione,  rapportata  al  livello
d'interesse coinvolto (sono richiamate le sentenze n. 213 e n. 63 del
2006, n. 467 e n. 50 del 2005), pur nell'affermata centralita'  dello
Stato nelle materie di sua competenza  esclusiva  (e'  richiamata  in
particolare la sentenza n. 31 del 2006). 
    3.4.- Da  ultimo,  in  riferimento  alle  questioni  promosse  da
entrambe le ricorrenti riguardo all'art. 7, comma 1, lettera d),  del
d.lgs. n. 40 del 2017, le stesse sarebbero inammissibili  e  comunque
non fondate. 
    3.4.1.- L'inammissibilita' delle  censure  regionali  deriverebbe
dalla mancata contestuale impugnazione  dell'art.  5,  comma  9,  del
medesimo d.lgs., recante una norma d'identico tenore. 
    3.4.2.- Nel merito, la verifica del rispetto dei principi e delle
finalita' del servizio  civile  universale  atterrebbe  senza  dubbio
all'organizzazione del servizio civile, di competenza esclusiva dello
Stato. Si tratterebbe, infatti, di profili tesi  ad  assicurare  quel
coordinamento, strumentale all'esercizio unitario della funzione, che
giustifica l'attribuzione allo Stato dei  poteri  di  programmazione,
organizzazione,  accreditamento  e  controllo  del  servizio   civile
universale (e' richiamata in  particolare  la  sentenza  n.  431  del
2005). Inoltre, l'approvazione non si risolverebbe  in  un  controllo
ne' finanziario, ne' di merito. Lo Stato, infatti, non svolgerebbe un
sindacato sulle modalita' di allocazione ed  utilizzo  delle  risorse
finanziarie regionali o  sul  contenuto  dei  programmi,  se  non  al
limitato fine  di  verificarne  la  coerenza  con  i  principi  e  le
finalita' del servizio civile universale. Il provvedimento statale di
approvazione, dunque,  non  costituirebbe  un  atto  autoritativo  ed
unilaterale di controllo, ne' un'autorizzazione di spesa, ma un  mero
atto di coordinamento, anche al fine di evitare abusi  e  distorsioni
del sistema. 
    Le Regioni, d'altronde, non potrebbero pretendere  che  sia  loro
riservato un trattamento diverso da quello previsto, in via generale,
per tutti gli altri soggetti,  pubblici  e  privati,  legittimati  ad
attivare progetti di servizio autofinanziati.  Tutti  i  progetti  di
servizio civile universale, infatti, quale che  sia  la  fonte  e  la
modalita'  di  finanziamento,  dovrebbero  essere  rispettosi   della
normativa statale di riferimento e  coerenti  con  i  principi  e  le
finalita' da questa indicati. 
    In questa prospettiva, la verifica demandata alla Presidenza  del
Consiglio dei ministri risulterebbe essenziale. In primo  luogo,  per
ragioni di carattere giuridico-formale, perche'  in  sua  assenza  la
qualificazione  dell'intervento  proposto  verrebbe   in   definitiva
lasciata  all'esclusiva  valutazione   del   soggetto   promotore   e
finanziatore. In secondo luogo, per altrettanto evidenti  ragioni  di
ordine  organizzativo-funzionale,  tenuto  conto  che  anche  per   i
progetti autofinanziati gli adempimenti  amministrativi  rimarrebbero
in capo  all'amministrazione  statale  (pubblicazione  del  bando  di
selezione dei volontari, stipula dei relativi  contratti,  erogazione
dell'assegno mensile, controlli, monitoraggi e verifiche ispettive). 
    3.4.3.- Con specifico riferimento alle  doglianze  della  Regione
Lombardia,  non  si  comprenderebbe  la  ragione  per  la  quale   la
disposizione impugnata violerebbe anche l'art. 118 Cost, dal  momento
che  l'attrazione  alla  competenza   statale   delle   funzioni   si
giustificherebbe proprio in ragione di  quell'esigenza  di  esercizio
unitario dei compiti postulata dal carattere nazionale ed  universale
del servizio civile 
    Del tutto oscuro sarebbe il riferimento operato agli artt.  97  e
118 Cost. per dimostrare la compressione dell'esercizio  di  funzioni
amministrative di spettanza regionale, nonche'  il  pregiudizio  alla
concreta operativita' delle amministrazioni comunali. Le affermazioni
sarebbero caratterizzare da un'assoluta apoditticita' e  genericita',
mere petizioni di principio prive di qualsiasi aggancio  testuale  e,
soprattutto,   di   qualsiasi   indicazione   circa    le    funzioni
amministrative in questione. 
    4.- In prossimita' dell'udienza del 17 aprile  2018  entrambe  le
Regioni hanno presentato memorie. 
    4.1.- Con riferimento alle questioni relative all'art.  4,  comma
4, del d.lgs. n. 40 del 2017, le ricorrenti ritengono non fondate  le
eccezioni  d'inammissibilita'  dedotte  dalla  difesa   statale.   In
particolare, la mancata  contestuale  impugnazione  dell'art.  6  del
d.lgs. n. 40 del 2017  sarebbe  del  tutto  irrilevante,  venendo  in
contestazione non l'attribuzione alla Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri  della  funzione  di  programmazione  ivi  prevista  in  via
generale,  ma  l'assenza  di  un  adeguato  coinvolgimento  regionale
nell'approvazione   dei   piani.   Pertanto,   sarebbe   proprio   la
disposizione impugnata, che prevede a tal fine il mero  parere  della
Conferenza Stato-Regioni, a determinare la lesione delle  prerogative
regionali. 
    4.1.1.- La  Regione  Veneto  specifica,  inoltre,  che  non  ogni
attivita' solidaristica potrebbe essere  ricondotta  al  concetto  di
«difesa  non  armata»  della  Patria,  la  quale  dovrebbe   comunque
riferirsi ad una potenziale aggressione  esterna  o  interna.  Non  a
caso, l'art. 3 del d.lgs.  n.  40  del  2017  prevedrebbe  solo  alla
lettera g) la difesa non armata come settore d'intervento in  cui  si
realizzano le finalita' del servizio civile universale, mentre  tutte
le altre attivita' sarebbero elencate e previste in modo  distinto  e
difficilmente potrebbero essere qualificate come attivita' difensive.
Per  tali  profili,  pertanto,  il  fondamento  costituzionale  della
disciplina in esame sarebbero i valori di solidarieta' di uguaglianza
e di sviluppo della persona umana, e non l'art. 52 Cost. 
    4.1.2.-  La  Regione  Lombardia  sottolinea,   infine,   che   le
argomentazioni della difesa statale, in ogni caso, non  supererebbero
le eccezioni proposte dalla ricorrente, in  quanto  i  riferimenti  a
«immigrazione» e «tutela dei beni culturali»,  di  cui  all'art.  118
Cost., non dovrebbero essere letti come "materie", ma come "servizi",
che rientrerebbero nelle lettere g) e d) dell'art. 3 del d.lgs. n. 40
del 2017. Inoltre,  l'art.  118  Cost.  si  riferirebbe  a  forme  di
coordinamento ed intesa e non a un mero coinvolgimento  rimesso  alla
discrezionalita' del legislatore statale. 
    4.2.- Riguardo alla questione concernente l'art. 5, comma 5,  del
d.lgs. n. 40 del 2017,  secondo  la  Regione  Veneto  il  legislatore
statale  avrebbe  previsto  una  differenza   tra   un   livello   di
programmazione generale e un livello di programmazione locale,  senza
che pero' a cio' sia collegato un differente grado di  dettaglio  dei
programmi.  Conseguentemente,  anche   la   programmazione   generale
potrebbe essere di estremo  dettaglio,  con  la  necessita',  quindi,
dell'intesa, alla luce del principio di leale collaborazione. 
    L'argomentazione della difesa statale potrebbe essere convincente
solo se la legislazione  prevedesse  piani  d'intervento  generali  a
maglie larghe e piani d'intervento d'area  di  dettaglio.  Invece,  i
piani d'intervento generali potrebbero riguardare anche  una  singola
Regione e, pertanto, non vi sarebbe motivo alcuno di  non  richiedere
anche per essi l'intesa con la stessa. 
    4.3.- Infine, in relazione alle questioni  riferite  all'art.  7,
comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017, secondo  entrambe  le
ricorrenti l'eccezione d'inammissibilita' per la mancata  contestuale
impugnazione  dell'art.  5,   comma   9,   tra   l'altro   priva   di
argomentazione, sarebbe non  fondata,  perche'  non  si  vedrebbe  il
motivo per cui tale mancata impugnazione possa  portare  di  per  se'
all'inammissibilita' della questione. Inoltre, l'art. 5, comma 9, non
solo opererebbe in via residuale, ma  non  farebbe  riferimento  alle
Regioni,  indicando  tra  i  destinatari  gli  «altri  enti  pubblici
territoriali». 
    4.3.1.- La Regione Veneto sottolinea che il d.lgs. n. 40 del 2017
non individuerebbe in modo esplicito ne' i criteri, ne' le  finalita'
del controllo attribuito alla Presidenza del Consiglio dei  ministri,
che, dunque, dovrebbero essere desunti dalla legge delega. I  criteri
ivi  indicati,  pero',  sarebbero  necessariamente  generali  e   non
potrebbero assumere il ruolo  di  parametro  di  riferimento  per  la
valutazione dei programmi regionali,  per  la  loro  non  sufficiente
determinatezza.  Un  controllo  fondato  su  parametri  cosi'  vaghi,
pertanto,  rappresenterebbe  un'evidente  lesione  dell'autonomia  di
spesa della Regione. 
    5.- Anche la difesa statale ha presentato  ulteriori  memorie  in
cui, oltre a ribadire le conclusioni gia' illustrate nei due atti  di
costituzione, ha eccepito  un  ulteriore  motivo  d'inammissibilita',
relativo a tutte le censure promosse dalle ricorrenti. 
    5.1.- La Conferenza unificata,  in  data  24  novembre  2016,  ha
espresso, ai sensi dell'art. 1, comma 4, della legge n. 106 del 2016,
parere favorevole sullo schema del d.lgs. n. 40 del 2017, con  talune
proposte emendative,  riferite  anche  alle  disposizioni  impugnate,
accolte dal Governo. Dal  processo  verbale  della  relativa  seduta,
inoltre, non risulterebbe alcuna manifestazione di dissenso da  parte
delle Regioni ricorrenti. 
    Pertanto, si sarebbe  determinata  l'acquiescenza  delle  Regioni
rispetto   al   contenuto   del   decreto,   con    la    conseguente
inammissibilita'  dell'impugnativa.  Infatti,  la  giurisprudenza  di
questa  Corte,  a  detta  della  difesa  statale,  sarebbe  da  tempo
orientata nel senso di  ritenere  inammissibili  i  ricorsi  proposti
avverso atti alla cui formazione i ricorrenti abbiano contribuito con
il proprio assenso (e' richiamata sentenza n. 507 del 2002). Solo  la
manifestazione esplicita  del  dissenso,  anteriore  all'approvazione
della normativa oggetto di concertazione e puntualmente  documentato,
renderebbe  ammissibile  un'impugnativa,  da  parte   della   Regione
dissenziente, dell'atto  normativo,  nel  testo  poi  definitivamente
approvato (viene citata la sentenza n. 275 del 2011). 
    6.- All'udienza del 17 aprile  2018,  su  istanza  della  Regione
Veneto accolta dalle altre parti, e' stato disposto il  rinvio  della
discussione  di  entrambi  i  giudizi,  successivamente  fissata  per
l'udienza del 3 luglio  2018.  Tale  rinvio  trovava  giustificazione
nell'entrata in vigore del decreto legislativo 13 aprile 2018, n.  43
(Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 6 marzo
2017, n. 40, concernente:  «Istituzione  e  disciplina  del  servizio
civile universale, a norma dell'articolo 8 della legge 6 giugno 2016,
n. 106»), recante interventi correttivi al d.lgs. n. 40 del 2017. 
    7.- In prossimita' dell'udienza del 3 luglio 2018 tutte le  parti
hanno presentato memorie. 
    7.1.- La Regione  Lombardia,  oltre  a  ribadire  le  conclusioni
rassegnate nel ricorso introduttivo, ha replicato alle argomentazioni
della difesa statale, nonche' preso in considerazione le  innovazioni
introdotte dal d.lgs. n. 43 del 2018 che, in ogni caso,  lascerebbero
impregiudicate le censure relative all'art. 7, comma 1, lettera d). 
    7.1.1.- La parte ricorrente sottolinea, in primo  luogo,  che  le
modifiche apportate, rispettivamente, dagli artt. 2 e 3 del d.lgs. n.
43 del 2018 all'art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del  2017,  nonche'
all'art. 7, comma 1, lettera a), non muterebbero  la  sostanza  delle
disposizioni  impugnate.  Il   legislatore   statale,   infatti,   ha
introdotto l'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni  -  ai  sensi
dell'art.  3,  comma  3,  del  decreto  legislativo  28  agosto  1997
(Definizione  ed  ampliamento  delle  attribuzioni  della  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per  le  materie  ed  i
compiti di interesse comune  delle  regioni,  delle  province  e  dei
comuni, con la Conferenza Stato - citta' ed autonomie locali)  -  sul
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per  l'approvazione
dei piani di servizio civile universale.  Tuttavia,  qualora  non  si
raggiunga  l'intesa,  il  Consiglio  dei   ministri   puo'   comunque
provvedere con deliberazione motivata. 
    La nuova formulazione dell'art. 4, comma 4, dunque,  non  avrebbe
carattere  satisfattivo,   poiche'   consentirebbe   il   superamento
unilaterale del dissenso regionale per il raggiungimento dell'intesa,
mentre sarebbe  stato  necessario  prevedere  un'intesa  forte.  Cio'
contrasterebbe altresi' con l'esigenza di unitarieta' che, in  quanto
espressione dell'art. 118, primo comma, Cost., sarebbe il  fondamento
della chiamata in  sussidiarieta'  e,  conseguentemente,  dell'intesa
stessa (sul punto si richiama la sentenza n. 121 del 2010). 
    Inoltre, il Governo non avrebbe dato alcun elemento che  comprovi
la mancata applicazione delle disposizioni impugnate,  mentre,  anzi,
vi sarebbe stata una prima  fase  sperimentale  di  esecuzione  delle
stesse (di cui all'avviso della Presidenza del Consiglio dei ministri
- Dipartimento della gioventu' e del servizio civile nazionale del  3
agosto 2017). 
    Non si determinerebbero, in definitiva, le  condizioni  richieste
dalla giurisprudenza costituzionale perche' debba  essere  dichiarata
la cessazione della materia del contendere (sul punto sono richiamate
le sentenze n. 246, n. 228, n. 218 e n. 187 del 2013  e  n.  300  del
2012)  e  la  questione  dovrebbe  essere  trasferita   sulla   nuova
formulazione dell'art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017 (vengono
richiamate le sentenze n. 219 del 2013 e n. 162 del 2007). 
    7.1.2.-  La  Regione  Lombardia,  in  secondo   luogo,   contesta
l'eccezione d'inammissibilita' dell'Avvocatura generale dello  Stato,
per intervenuta acquiescenza alla luce del parere favorevole espresso
dalla Conferenza  unificata  sullo  schema  del  decreto  legislativo
impugnato. 
    Le pronunce richiamate dalla difesa statale a  sostegno  di  tale
tesi, adottate da questa Corte in sede di conflitto di  attribuzione,
non sarebbero  pertinenti,  in  quanto  relative  al  perfezionamento
d'intese, che si sostanziano in una  paritaria  codeterminazione  del
contenuto dei provvedimenti da adottare (ex plurimis, sono richiamate
le sentenze n. 121 del 2010, n. 21  del  2006  e  n.  27  del  2004).
Questione del tutto differente,  invece,  sarebbe  l'espressione  del
parere sugli schemi di provvedimenti legislativi,  che  mai  potrebbe
assumere quel carattere negoziale proprio degli atti d'intesa. 
    7.2.- Anche la Regione Veneto, oltre a ribadire le argomentazioni
di  cui  al  ricorso  introduttivo,  ha  replicato   alle   eccezioni
d'inammissibilita'  sollevate  dalla  difesa  statale,   argomentando
altresi' riguardo alle innovazioni introdotte dal d.lgs.  n.  43  del
2018. 
    7.2.1.- Siffatte innovazioni  non  sarebbero  satisfattive  delle
ragioni espresse nel ricorso. 
    Il legislatore statale, infatti, avrebbe previsto una mera intesa
debole,  mentre  sarebbe  stato  necessario  stabilire  strumenti  di
cooperazione con  meccanismi  per  il  superamento  delle  divergenze
basati sulla reiterazione delle trattative o su  specifici  strumenti
di mediazione,  senza  la  possibilita'  dell'assunzione  unilaterale
dell'atto  da  parte  dell'autorita'  centrale  in  caso  di  mancato
raggiungimento dell'intesa entro un determinato periodo di tempo  (ex
plurimis, sono richiamate le sentenze n. 239 del  2013,  n.  179  del
2012, n. 165 del 2011 e n. 378 del 2005). 
    Dunque,  sarebbero  sostanzialmente  rimaste  immutate,  sia   la
lesione alle competenze regionali lamentate con l'originario ricorso,
sia l'essenza della norma impugnata, che contemplerebbe  comunque  la
possibilita' di una decisione unilaterale su  materie  di  competenza
anche regionale. Pertanto, dovrebbe disporsi il  trasferimento  della
questione di legittimita' costituzionale dall'art. 4,  comma  4,  del
d.lgs. n.  40  del  2017,  dalla  sua  versione  originale  a  quella
novellata (da ultimo, e' richiamata la sentenza n. 44 del 2018). 
    7.2.2.-    Inoltre,    non    sarebbe     fondata     l'eccezione
d'inammissibilita' sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato per
intervenuta acquiescenza. 
    Com'e' noto, infatti, nel processo costituzionale non  troverebbe
applicazione tale istituto, per cui la circostanza  che  in  sede  di
Conferenza unificata sia stato dato un parere favorevole allo  schema
di decreto legislativo non precluderebbe la possibilita' di  proporre
successivamente  ricorso  avverso  il  medesimo  (tra  le  tante,  si
richiamano le sentenze n. 187 e n. 165 del 2011, n. 40 del  2010,  n.
98 del 2007, n. 74 del 2001 e n. 20 del 2000). 
    7.3.- L'Avvocatura generale dello Stato, oltre a dar conto  delle
vicende successive alla proposizione dei ricorsi,  ha  insistito  nel
rigetto degli stessi, ribadendo le eccezioni d'inammissibilita' e  le
ragioni di non fondatezza argomentate nell'atto di costituzione. 
    7.3.1.- In particolare,  troverebbe  conferma  l'inammissibilita'
delle censure regionali relative all'art. 4, comma 4, del  d.lgs.  n.
40  del  2017,  in  quanto  il  potere  statale  di   programmazione,
organizzazione e attuazione del servizio civile universale, di cui al
successivo art. 6, non sarebbe stato  oggetto  di  censura  da  parte
delle ricorrenti. Inoltre,  tale  potere  sarebbe  disciplinato  gia'
dall'art. 8, comma 1, lettera d), della legge n. 106 del 2016, che si
limiterebbe a prevedere un generico  coinvolgimento  regionale  nella
sola fase di realizzazione dei programmi da  parte  di  enti  locali,
altri enti pubblici territoriali ed enti del terzo settore.  Siffatta
disposizione  della  legge  di  delega  non  sarebbe  stata   oggetto
d'impugnazione da parte  delle  Regioni,  con  conseguente  ulteriore
ragione d'inammissibilita' dei ricorsi. 
    7.3.2.- Con riferimento alle novita' introdotte dal d.lgs. n.  43
del 2018, la difesa statale sottolinea che le stesse comporterebbero,
in relazione alle censure promosse nei confronti dell'art.  4,  comma
4, del d.lgs. n. 40 del 2017, la totale cessazione della materia  del
contendere, poiche' per l'approvazione dei piani  e'  ora  necessaria
l'intesa con la Conferenza Stato-Regioni. 
    La competenza  legislativa  esclusiva  dello  Stato  in  materia,
inoltre, renderebbe del tutto coerente il richiamo all'intesa ex art.
3 del decreto legislativo 28 agosto  1997,  n.  281  (Definizione  ed
ampliamento delle attribuzioni  della  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
Bolzano ed unificazione, per le materie ed  i  compiti  di  interesse
comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la  Conferenza
Stato-citta' ed autonomie locali), tenuto conto, tra l'altro, che  la
stessa distinzione tra intesa debole e intesa forte non avrebbe  piu'
ragione di esistere. Come  sottolineato  da  questa  Corte,  infatti,
anche per le intese di cui all'art. 3 del  d.lgs.  n.  281  del  1997
sarebbero comunque previsti meccanismi di superamento  del  dissenso,
sostanzialmente basati sulla necessita' di una pregnante e stringente
motivazione.  Eventuali  difetti  di  questa  motivazione   e   della
dialettica ad essa sottesi, semmai, potrebbero  essere  fatti  valere
dalle Regioni nelle sedi appropriate, anche in sede di  giudizio  sui
conflitti d'attribuzione (sul punto e' richiamata la  sentenza  n.  1
del 2016). 
    Ricorrerebbero,   quindi,   i   presupposti    richiesti    dalla
giurisprudenza costituzionale per la  cessazione  della  materia  del
contendere (viene richiamata, da ultimo, la sentenza n. 59 del 2017),
ossia il carattere satisfattivo  delle  modifiche  legislative  e  la
mancata  applicazione  delle  disposizioni  impugnate   (circostanza,
quest'ultima, documentata dall'amministrazione competente). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Veneto (reg. ric. n. 43 del  2017)  e  la  Regione
Lombardia  (reg.  ric.  n.  44  del  2017)  hanno  impugnato  diverse
disposizioni del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40 (Istituzione
e disciplina del servizio civile  universale,  a  norma  dell'art.  8
della legge 6 giugno 2016, n. 106). 
    In particolare, entrambe le Regioni censurano l'art. 4, comma 4 -
la Regione Lombardia in connessione con l'art. 3 - e l'art. 7,  comma
1, lettera d), mentre la sola Regione Veneto impugna l'art. 5,  comma
5, del d.lgs. n. 40 del 2017. 
    2.-  In  considerazione  della  parziale  identita'  delle  norme
denunciate e delle censure proposte,  i  due  giudizi  devono  essere
riuniti per essere trattati  congiuntamente  e  decisi  con  un'unica
pronuncia. 
    3.-  Un  primo  gruppo  di  censure,  promosse  da  entrambe   le
ricorrenti, concerne l'art. 4, comma 4, del d.lgs. n.  40  del  2017,
ove si prevede che l'attivita' di programmazione del servizio  civile
universale  e'  predisposta  «dalla  Presidenza  del  Consiglio   dei
ministri sentite le amministrazioni competenti per i settori previsti
dall'articolo 3 e  le  regioni  e  sono  approvati  con  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere  della  Consulta
nazionale per  il  servizio  civile  universale  e  della  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano». 
    La  sola  Regione  Lombardia   censura   tale   disposizione   in
connessione con l'art. 3, che individua i settori di  intervento  nei
quali si realizzano le finalita' del servizio civile universale. 
    3.1.-  Secondo  la  Regione  Veneto,  la  disposizione  impugnata
sarebbe lesiva degli artt. 117, terzo e quarto  comma,  e  120  della
Costituzione. Infatti, a fronte delle  forme  d'intesa  previste  nel
caso di attivita' dove sono particolarmente intrecciati i compiti dei
vari  livelli  di  governo,  si   stabilirebbe   una   modalita'   di
programmazione   del   servizio   civile   universale   decisa    con
l'acquisizione di un semplice parere della Conferenza  Stato-Regioni,
preceduta da una generica consultazione delle Regioni. 
    3.2.- La Regione Lombardia, invece, asserisce che gli artt. 3 e 4
del d.lgs.  n.  40  del  2017  violerebbero  il  principio  di  leale
collaborazione di cui agli artt.  114,  primo  comma,  e  118,  terzo
comma, Cost., il principio di attribuzione di cui all'art. 117  Cost.
e il principio di sussidiarieta', come declinato all'art. 118,  primo
comma, e all'art. 120, secondo comma,  Cost.  Anche  per  tale  parte
ricorrente, in settori che rientrerebbero chiaramente  in  ambiti  di
competenza  legislativa  e  amministrativa  delle  Regioni,   sarebbe
necessaria l'intesa in Conferenza Stato-Regioni sulla programmazione. 
    4.- La sola Regione Veneto censura l'art. 5, comma 5, del  d.lgs.
n. 40 del 2017, in forza del quale i programmi  di  intervento  «sono
presentati da soggetti  iscritti  all'albo  degli  enti  di  servizio
civile universale, previa pubblicazione di un avviso pubblico, e sono
valutati ed approvati dalla Presidenza del  Consiglio  dei  ministri,
con il coinvolgimento delle regioni interessate e  nei  limiti  della
programmazione finanziaria prevista all'articolo 24». 
    Tale disposizione lederebbe gli artt. 117, terzo e quarto  comma,
e 120 Cost., poiche', in virtu' dell'intreccio di competenze, sarebbe
da ritenersi necessaria un'intesa, sia al  fine  del  rispetto  delle
attribuzioni regionali, sia  come  corretta  forma  di  raccordo  tra
l'azione del Governo e quella delle Regioni. 
    5.- Da ultimo, entrambe le ricorrenti impugnano l'art.  7,  comma
1, lettera d), del d.lgs. n. 40 del 2017. Ivi, e'  stabilito  che  le
Regioni «attuano programmi di servizio civile universale con  risorse
proprie presso i soggetti accreditati all'albo degli enti di servizio
civile universale, previa approvazione della Presidenza del Consiglio
dei ministri, consistente nella verifica del rispetto dei principi  e
delle finalita' del servizio civile universale  di  cui  al  presente
decreto.». 
    5.1.-  La  Regione  Veneto  ritiene  tale   disposizione   lesiva
dell'art. 119,  primo  comma,  Cost.,  in  quanto  l'approvazione  si
concretizzerebbe  in  una  sorta  atto   di   controllo   preventivo,
autoritativo ed unilaterale, senza alcuna forma  di  accordo  con  le
Regioni, relativamente  a  funzioni  di  competenza  delle  stesse  e
attuate con provvedimenti interamente finanziati con risorse proprie. 
    5.2.- Secondo la Regione Lombardia, invece, sarebbero  violati  i
principi di buona amministrazione, proporzionalita' e ragionevolezza,
di cui all'art. 97 Cost., incidendo sul principio di attribuzione  ex
art. 117 Cost., e il principio di autonomia finanziaria di  spesa  di
cui  all'art.  119,  primo  comma,  Cost.  L'approvazione,   infatti,
costituirebbe un improprio e illegittimo subprocedimento  all'interno
del procedimento regionale, espressione della volonta' governativa di
esercitare  un  controllo  finanziario  e  di  merito  dei  programmi
regionali di servizio civile. 
    6.- Prima di  esaminare  le  singole  questioni  deve  rigettarsi
l'eccezione  d'inammissibilita'  sollevata  dalla   difesa   statale,
relativa a tutte le censure promosse dalle  Regioni  ricorrenti,  per
intervenuta acquiescenza,  desumibile  dal  parere  favorevole  sullo
schema del d.lgs. n. 40 del 2017 espresso dalla Conferenza unificata. 
    Com'e'  noto,  infatti,  l'istituto  dell'acquiescenza   non   e'
applicabile  nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via
principale (ex plurimis, sentenze n. 169 del 2017, n. 231  del  2016,
n. 215 e n. 124 del 2015, n. 139 del 2013, n. 71 del 2012  e  n.  187
del 2011). 
    7.- Cio' premesso, possono essere prese  in  esame  le  questioni
promosse da entrambe le ricorrenti in relazione all'art. 4, comma  4,
del  d.lgs.  n.  40  del  2017,  dalla  sola  Regione  Lombardia   in
connessione con l'art. 3. 
    7.1.- In via preliminare, devono essere esaminate le sopravvenute
modifiche all'art.  4,  comma  4,  di  cui  all'art.  2  del  decreto
legislativo  13  aprile  2018,  n.  43  (Disposizioni  integrative  e
correttive al decreto legislativo 6 marzo 2017, n.  40,  concernente:
«Istituzione e disciplina del servizio  civile  universale,  a  norma
dell'articolo 8 della legge 6 giugno 2016, n. 106»). 
    7.1.1.- Tali modifiche, in primo  luogo,  non  possono  ritenersi
idonee a determinare la cessazione della materia del contendere. 
    Com'e'  noto,  a  tal  fine  sono  necessarie   la   sopravvenuta
abrogazione  o  modificazione  delle   norme   censurate   in   senso
satisfattivo della  pretesa  avanzata  con  il  ricorso,  nonche'  la
mancata  applicazione,  medio  tempore,  delle   norme   abrogate   o
modificate (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2018, n. 59 del 2017,  n.
246, n. 228 e n. 187 del 2013). 
    Se la seconda delle condizioni indicate potrebbe dirsi realizzata
-  poiche',  come  confermato  dalla  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri  -  Dipartimento  della  gioventu'  e  del  servizio  civile
nazionale, la prima fase sperimentale non  ha  comportato  l'adozione
dei piani - le modifiche introdotte dal d.lgs. n.  43  del  2018  non
possono ritenersi satisfattive delle ragioni delle ricorrenti. 
    L'art. 4, comma 4, del d.lgs. n.  40  del  2017,  infatti,  viene
censurato  non  tanto  per  la  previsione  del  mero  parere   della
Conferenza Stato-Regioni sul decreto di adozione  dei  piani,  quanto
per la mancata previsione dell'intesa  "forte"  di  cui  all'art.  8,
comma 6,  della  legge  5  giugno  2003,  n.  131  (Disposizioni  per
l'adeguamento dell'ordinamento della  Repubblica  alla  L.  Cost.  18
ottobre 2001, n. 3). La novella legislativa,  invece,  ha  introdotto
l'intesa ex art. 3, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto  1997,
n.  281  (Definizione  ed  ampliamento   delle   attribuzioni   della
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie
ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e  dei
comuni, con la Conferenza Stato-citta'  ed  autonomie  locali),  che,
decorso il termine ivi previsto, puo' essere  superata  con  delibera
motivata del Consiglio dei ministri. 
    7.1.2.-  Cio'  precisato,  non  puo'   ritenersi   possibile   il
trasferimento delle questioni sulla nuova formulazione  dell'art.  4,
comma 4. 
    Com'e' noto, «la questione di legittimita' deve essere trasferita
quando la disposizione impugnata sia stata modificata  marginalmente,
senza  che  ne  sia  conseguita  l'alterazione  della   sua   portata
precettiva (sentenze n. 30 e n.193 del 2012). Il  trasferimento  deve
invece escludersi se,  a  seguito  della  modifica,  la  disposizione
risulti dotata "di un contenuto radicalmente innovativo rispetto alla
norma originaria" (sentenza n. 219 del 2013); nel qual caso la  nuova
disposizione  va  impugnata  con  autonomo  ricorso,  senza  che  sia
possibile il trasferimento che altrimenti "supplirebbe impropriamente
all'onere di impugnazione" (sentenze n. 40 del 2016, n. 17 del  2015,
n. 138 del 2014 e n. 300 del 2012; nello stesso senso, sentenza n. 32
del 2012)» (sentenza n. 44 del 2018). 
    E' indubbio che l'intesa, debole o  forte  che  sia,  costituisce
comunque un atto radicalmente diverso dal  parere.  Nel  primo  caso,
infatti, la Conferenza Stato-Regioni partecipa alla  definizione  del
contenuto dell'atto; nel secondo caso, invece, svolge un  mero  ruolo
consultivo in relazione ad un contenuto predeterminato  da  un  altro
soggetto. 
    Da  cio'  si  desume  l'insussistenza  dei  presupposti  per   il
trasferimento della  questione  sulla  disposizione  sopravvenuta  e,
pertanto, lo scrutinio di costituzionalita'  deve  essere  effettuato
sul testo originario dell'art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2017. 
    7.2.- Sempre in via preliminare, la difesa  statale  ha  eccepito
l'inammissibilita' delle censure regionali per la mancata contestuale
impugnazione dell'art. 6 del d.gs. n. 40 del  2017,  che  attribuisce
alla Presidenza del Consiglio dei ministri la competenza  in  materia
di programmazione, organizzazione e attuazione  del  servizio  civile
universale. Si tratterebbe,  inoltre,  di  una  disposizione  il  cui
contenuto sarebbe gia' indicato dall'art. 8,  comma  l,  lettera  d),
della legge 6 giugno 2016, n. 106 (Delega al Governo per  la  riforma
del Terzo settore, dell'impresa  sociale  e  per  la  disciplina  del
servizio civile universale),  ove  chiaramente  si  attribuisce  allo
Stato la competenza  in  materia  di  programmazione,  prevedendo  un
intervento delle Regioni solo per la realizzazione dei programmi, tra
l'altro nella forma di un generico coinvolgimento. Tale  disposizione
di delega non sarebbe stata al tempo impugnata dalle ricorrenti. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Le ricorrenti, infatti, non contestano l'attribuzione allo  Stato
della potesta'  di  programmazione  in  materia  di  servizio  civile
nazionale. Oggetto di censura, invece, e' la mancata previsione di un
adeguato coinvolgimento regionale sul decreto di adozione dei  piani,
poiche'  per  tali  profili  la  programmazione  interferirebbe   con
competenze delle Regioni. 
    Correttamente, pertanto, e' stato impugnato il solo art. 4, comma
4, che, nel declinare le modalita'  in  cui  la  programmazione  deve
esercitarsi, lederebbe,  a  detta  delle  ricorrenti,  le  competenze
regionali e il principio di leale  collaborazione,  di  per  se'  non
violati  dalla  mera   attribuzione   allo   Stato   delle   funzioni
programmatorie, bensi' dalle modalita' di esercizio delle stesse. 
    7.3.- Nel merito le questioni non sono fondate. 
    7.3.1.- Le disposizioni oggetto di  censura  disciplinano  taluni
aspetti organizzativi e procedurali del  servizio  civile  nazionale,
che devono essere  ricondotti  alla  potesta'  esclusiva  statale  in
materia di «difesa» ai sensi dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera
d), Cost. 
    Come gia' affermato da questa Corte,  infatti,  l'art.  52  Cost.
configura  la  difesa  della  Patria  come  sacro  dovere,   che   ha
un'estensione piu' ampia dell'obbligo di prestare servizio  militare.
Si tratta di un dovere che si collega intimamente e indissolubilmente
all'appartenenza alla  comunita'  nazionale  e  trascende  lo  stesso
dovere del servizio militare. 
    Da cio' derivano,  pertanto,  la  possibilita'  e  l'utilita'  di
adempiere ad esso anche  attraverso  adeguate  attivita'  di  impegno
sociale non armato (sentenza n. 164 del 1985). Si tratta di attivita'
che corroborano  il  tessuto  connettivo  della  societa',  con  cio'
rafforzando il senso  di  appartenenza  alla  comunita'  nazionale  e
realizzando in tal modo una difesa della Patria non meno pregnante di
quella propria del servizio militare (sentenza n. 119 del 2015). 
    Il legame tra gli artt. 52 e 2 Cost.,  riconosciuto  anche  dalle
parti ricorrenti, costituiva una caratteristica del  servizio  civile
gia' quando lo stesso era disciplinato quale  alternativa  alla  leva
obbligatoria. La sospensione di quest'ultima,  pur  configurando  ora
tale servizio quale frutto di una scelta volontaria, non muta ne'  la
natura, ne' le finalita' dell'istituto. 
    La volontarieta',  che  caratterizza  ormai  lo  stesso  servizio
militare, riguarda, d'altronde, solo la scelta iniziale, in quanto il
rapporto e' poi definito da una dettagliata disciplina dei diritti  e
dei doveri, «che permette di  configurare  il  servizio  civile  come
autonomo istituto giuridico in cui prevale  la  dimensione  pubblica,
oggettiva e organizzativa. D'altra parte, il dovere di  difendere  la
Patria deve essere letto alla  luce  del  principio  di  solidarieta'
espresso  nell'art.  2  della  Costituzione,   le   cui   virtualita'
trascendono l'area degli "obblighi normativamente imposti", chiamando
la persona ad agire non solo per imposizione  di  una  autorita',  ma
anche per libera e spontanea espressione  della  profonda  socialita'
che caratterizza la persona stessa.» (sentenza n. 228 del 2004). 
    7.3.2.- Alla luce di tale ricostruzione, pertanto, la  disciplina
del servizio civile nazionale, anche di quello di natura  volontaria,
non puo' che rientrare nella competenza  statale  prevista  dall'art.
117,  secondo  comma,  lettera  d),  Cost.,  ove  si   riserva   alla
legislazione  esclusiva  dello  Stato  non  solo  la  materia  «forze
armate», ma anche la  «difesa»,  che,  come  sottolineato,  comprende
altresi' forme di difesa "civile", concorrenti con la difesa "armata"
della Patria (sentenze n. 119 del 2015 e n. 228 del 2004). 
    Come gia' affermato da questa  Corte,  nella  potesta'  esclusiva
dello Stato rientrano gli aspetti  organizzativi  e  procedurali  del
servizio, mentre quelli concernenti i vari settori materiali  restano
soggetti alla disciplina dettata dall'ente rispettivamente competente
(sentenze n. 431 del 2005 e n. 228 del 2004). 
    La legge regionale, dunque,  puo'  senz'altro  intervenire  negli
ambiti  di  propria  competenza,  nel  rispetto  pero'  delle   linee
d'indirizzo e coordinamento tracciate  a  livello  centrale  e  delle
norme di produzione statale recanti le caratteristiche  uniformi  per
tutti i progetti di servizio  civile  nazionale,  non  potendosi  mai
rovesciare  il  rapporto  logico-giuridico  che  esiste  tra  le  due
legislazioni (sentenza n. 309 del 2013). 
    Quanto  affermato,  nondimeno,  non  esclude  che,  al  fine   di
assicurare  la  partecipazione  dei  diversi   livelli   di   governo
coinvolti, l'esercizio delle funzioni ammnistrative sia improntato al
rispetto del principio di leale collaborazione (sentenza  n.  58  del
2007). Le esigenze di una  disciplina  unitaria,  d'altronde,  in  un
ordinamento a struttura regionalista  fondato  sui  principi  di  cui
all'art. 5 Cost., non possono  ignorare  la  tutela  delle  autonomie
territoriali,  attraverso  strumenti  idonei   a   fornire   risposte
pragmatiche e sufficientemente flessibili, specie nei casi nei  quali
lo  Stato,  pur   nell'esercizio   di   sue   competenze   esclusive,
interferisce con materie attribuite alle Regioni (sentenza n. 61  del
2018). 
    7.3.3.- Cio' precisato, l'art.  4  del  d.lgs.  n.  40  del  2017
disciplina  la  programmazione  del   servizio   civile   universale,
realizzata con un piano triennale, articolato  per  piani  annuali  e
attuato attraverso  gli  specifici  programmi  d'intervento  proposti
dagli enti di servizio civile universale. 
    Attraverso  i  piani,  tenuto  conto  del   contesto   nazionale,
internazionale, delle specificita' delle  aree  geografiche  e  delle
risorse  disponibili,  sono  definiti  gli  obiettivi  generali   del
servizio  civile,  gli  interventi,  con  l'indicazione   di   quelli
prioritari, nonche' i relativi standard qualitativi.  Gli  interventi
possono riguardare i vari settori previsti dall'art. 3  del  medesimo
d.lgs. n. 40 del 2017, che attengono ad ambiti diversi, di competenza
statale e regionale. Ai sensi dell'impugnato art. 4, comma 4 -  nella
sua  formulazione  originaria  -  i  piani  sono  predisposti   dalla
Presidenza del Consiglio dei ministri, con  il  coinvolgimento  delle
Regioni, e approvati con decreto del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, sentita la Conferenza Stato-Regioni. 
    Tale disciplina puo' essere senz'altro  ricondotta  agli  aspetti
organizzativi  e  procedurali  del  servizio  civile  universale,  di
competenza  esclusiva  dello  Stato,  in  quanto  tesa  a   garantire
l'unitarieta' del servizio. 
    La funzione di programmazione  -  allocata  in  capo  allo  Stato
(nella specie all'Ufficio nazionale per il servizio civile) gia'  dal
decreto legislativo 5 aprile 2002, n.  77  (Disciplina  del  Servizio
civile nazionale a norma dell'articolo 2 della L. 6  marzo  2001,  n.
64)  -  risulta  coessenziale  alla  realizzazione  degli   obiettivi
generali e delle finalita' del servizio civile universale. La  natura
"nazionale" del servizio, infatti,  rende  necessaria  l'attribuzione
allo Stato del potere di dettare le linee generali sugli  interventi,
indicando quelli prioritari, e  di  disciplinare  le  caratteristiche
minime che gli stessi interventi debbano avere. L'attuazione da parte
delle Regioni, d'altronde, deve pur  sempre  avvenire  «nel  rispetto
delle linee di programmazione, indirizzo e coordinamento tracciate  a
livello centrale» (sentenza n. 431 del 2005). 
    Dunque,  in  virtu'   dell'ascrizione   della   disciplina   alla
competenza esclusiva statale, non vi e' alcuna  lesione  del  riparto
costituzionale  di   competenze.   L'incidenza   sulle   attribuzioni
regionali, invece, e' una conseguenza della stessa natura del  titolo
d'intervento dello Stato, non dell'allocazione in capo a quest'ultimo
di funzioni amministrative in  materie  di  potesta'  delle  Regioni,
senza che possa cosi' configurarsi una violazione dell'art. 118 Cost.
Non sussiste, infatti, quella chiara  sovrapposizione  di  competenze
che richiede che gli  interventi  statali  siano  concertati  con  le
Regioni attraverso il coinvolgimento delle stesse  in  sede  d'intesa
(sentenza n. 61 del 2018). 
    Il legislatore statale, nondimeno, tenuto conto che il  principio
di leale collaborazione permea l'ordinamento nel suo  complesso  (tra
le tante, sentenze n. 21 del 2016 e n.  50  del  2008),  ha  comunque
previsto varie forme di partecipazione delle Regioni. Il d.lgs. n. 40
del 2017, infatti, stabilisce un coinvolgimento  regionale  su  tutti
gli aspetti della  programmazione,  ivi  compresi  gli  standard  dei
programmi e dei progetti,  sia  nella  fase  di  predisposizione  dei
piani, sia in quella di approvazione degli stessi. Rispetto al d.lgs.
n. 77 del  2002,  che  prevedeva  solo  un  parere  della  Conferenza
Stato-Regioni sulla determinazione delle caratteristiche dei progetti
di servizio civile (art. 6, comma 1)  e  sulla  programmazione  delle
risorse (art. 4, comma 1), anzi, la disciplina in  esame  costituisce
un deciso avanzamento nel senso del coinvolgimento regionale. 
    Si tratta di strumenti di partecipazione  adeguati  e  rispettosi
del principio di  leale  collaborazione  (tra  l'altro  ulteriormente
rafforzati in seguito alle modifiche di  cui  al  d.lgs.  n.  43  del
2018). Un eccessivo dettaglio dei piani  e  dei  programmi,  tale  da
interferire con la programmazione regionale nelle materie in  cui  il
servizio civile si realizza, semmai,  potrebbe  comportare  un  vizio
degli stessi atti amministrativi con cui detti piani  sono  adottati,
per il mancato rispetto dei criteri individuati dallo stesso art.  4,
comma 4. 
    8.- Anche le questioni promosse dalla Regione Veneto in relazione
all'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 40 del 2017 non sono fondate. 
    8.1.- L'art. 5 disciplina la  valutazione  e  l'approvazione  dei
programmi  di  intervento,  articolati  in  progetti  presentati  dai
soggetti iscritti all'albo degli enti di servizio civile  universale.
Non c'e' dubbio che in tal caso le competenze  regionali  necessitano
uno spazio maggiore rispetto alla  disciplina  delle  linee  generali
della programmazione, in quanto la realizzazione  dei  progetti  puo'
incidere direttamente su attivita' di competenza delle Regioni e  sui
relativi territori. 
    Il d.lgs. n. 77 del 2002 prevedeva, a tal proposito,  un  sistema
articolato  in   base   all'attinenza   territoriale   dei   progetti
d'intervento. L'art. 6, infatti, attribuiva all'Ufficio nazionale per
il servizio civile,  sentite  le  Regioni  e  le  Province  autonome,
l'esame  e  l'approvazione  dei  progetti  di  rilevanza   nazionale,
presentati da enti e  amministrazioni  nazionali.  Per  gli  enti  ed
organizzazioni che svolgevano attivita' nell'ambito delle  competenze
regionali  e  sul  relativo  territorio,  invece,  la  valutazione  e
l'approvazione dei progetti spettavano  alle  Regioni,  che  dovevano
comunque comunicare i progetti approvati all'Ufficio nazionale per il
nulla  osta.  Sulla  conformita'  di  tale  sistema  al  riparto   di
competenze  costituzionali  questa  Corte  ha  gia'  avuto  modo   di
pronunciarsi con la sentenza n. 228 del 2004. 
    Il d.lgs. n. 40 del 2017 accentra nella Presidenza del  Consiglio
dei  ministri  la  valutazione  di  tutti  i  progetti,  senza  pero'
sacrificare l'autonomia regionale. Quando il  progetto  riguarda  una
specifica Regione o piu' Regioni limitrofe,  infatti,  l'approvazione
non puo' prescindere dall'intesa con queste ultime (art. 5, comma 6).
Per i progetti che, invece, hanno un impatto che eccede  i  territori
di specifiche Regioni,  spetta  alla  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri  il  compito,   sia   di   effettuare   la   valutazione   e
l'approvazione  degli  stessi   nei   limiti   della   programmazione
finanziaria prevista, sia di indentificare, in relazione ai caratteri
degli stessi progetti, le forme piu'  appropriate  di  coinvolgimento
delle Regioni (art.  5,  comma  5).  Dunque,  non  rileva  la  natura
nazionale o regionale dell'ente  che  presenta  il  progetto,  bensi'
l'impatto territoriale di quest'ultimo. 
    La disciplina di cui all'impugnato art. 5, comma 5, rientra nella
potesta' esclusiva statale, in quanto ha ad oggetto la valutazione di
programmi  e  progetti  che  eccedono  le  specificita'  dei  singoli
territori, che devono essere  necessariamente  valutati  e  approvati
dallo Stato, poiche' si tratta degli strumenti attraverso i quali  si
realizzano in concreto gli obiettivi del servizio civile  universale.
Il   coinvolgimento   regionale,   comunque   salvaguardato,   potra'
realizzarsi nelle forme piu' opportune in relazione alla specificita'
degli interventi, con l'eventuale possibilita' per le Regioni di  far
valere  l'illegittimita'  dello  strumento   prescelto   quando   non
adeguato. 
    9.- Da  ultimo,  debbono  esaminarsi  le  questioni  promosse  da
entrambe le ricorrenti riguardo all'art. 7, comma 1, lettera d),  del
d.lgs. n. 40 del 2017. 
    9.1.- In  via  preliminare,  deve  essere  rigettata  l'eccezione
d'inammissibilita',  sollevata  dalla  difesa  statale  riguardo   ad
entrambi i ricorsi, in virtu' della mancata impugnazione del comma  9
dell'art. 5 del d.lgs. n. 40 del 2017, che individua in via  generale
i soggetti legittimati ad attuare - con risorse proprie - i programmi
di servizio civile. Si tratta, in particolare, delle  amministrazioni
pubbliche, degli enti locali, degli altri enti pubblici  territoriali
e degli enti del terzo  settore.  Il  successivo  art.  7,  comma  1,
lettera d), prevede tale possibilita' con specifico riferimento  alle
Regioni. 
    A prescindere dalla dubbia applicabilita' dell'art. 5,  comma  9,
alle Regioni, che non sono ivi esplicitamente menzionate, la  mancata
impugnazione dello stesso non costituisce,  di  per  se',  un  motivo
d'inammissibilita'. Infatti,  l'art.  7,  comma  1,  lettera  d),  e'
comunque astrattamente idoneo a ledere le prerogative regionali e  il
risultato di un eventuale accoglimento della questione, anzi, sarebbe
anche quello di chiarire  la  non  applicazione  alle  Regioni  dello
stesso  art.  5,  comma   9,   confermando   cosi'   la   sussistenza
dell'interesse a ricorrere. 
    9.2.- Nel merito le questioni non sono fondate. 
    9.2.1.- L'art. 24 del d.lgs. n. 40 del 2017, nel disciplinare  il
fondo per il servizio civile nazionale, prevede che  lo  stanziamento
delle relative risorse, da destinare all'attuazione degli  interventi
di  servizio  civile  universale,  sia  oggetto  di   una   specifica
programmazione, attraverso un documento  approvato  dalla  Presidenza
del Consiglio dei ministri, sentita, tra  gli  altri,  la  Conferenza
Stato-Regioni. 
    L'art. 7, comma 1, lettera d), qui  impugnato,  attribuisce  alle
Regioni la possibilita' di  dare  attuazione,  con  risorse  proprie,
dunque al di fuori  della  programmazione  di  cui  all'art.  24,  ai
programmi di servizio civile universale. Tuttavia, tale attuazione e'
subordinata  all'approvazione  della  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri, consistente nella verifica  del  rispetto  dei  principi  e
delle finalita' del servizio civile universale. 
    L'approvazione  prevista  dalla  disposizione  impugnata  attiene
precipuamente all'organizzazione del servizio civile, espressione  di
quei  poteri  di  programmazione,  organizzazione,  accreditamento  e
controllo del servizio civile  universale  attribuiti  alla  potesta'
esclusiva statale, senza che possa  configurarsi  una  lesione  delle
competenze regionali. 
    D'altronde, sebbene avvenga con risorse  regionali,  l'attuazione
dei progetti di servizio civile universale  deve  pur  sempre  essere
coerente con la normativa statale di riferimento e con i  principi  e
le finalita' da questa indicati. Per tali aspetti, pertanto, il ruolo
delle  Regioni  non  puo'  essere  diverso  da  quello  delle   altre
amministrazioni. 
    L'intervento  dello  Stato,  quindi,  costituisce  un   atto   di
coordinamento amministrativo, limitato alla verifica del rispetto dei
principi e delle finalita' del servizio  civile  universale,  che  in
alcun modo e' idoneo a ledere le competenze amministrative regionali.
Esso,  inoltre,  non  si  configura  come  un  controllo  di   merito
sull'attuazione dei programmi, ne' come un controllo finanziario, non
introducendo alcun vincolo all'autonomia finanziaria delle Regioni di
cui all'art. 119 Cost. 
    Si tratta, in definitiva, del  potere  di  valutare  la  coerenza
degli interventi con quanto previsto dai piani approvati ai sensi del
precedente art. 4, allo stesso modo di quanto avviene per i  progetti
valutati nell'ambito delle risorse previste dal successivo  art.  24,
ai sensi dell'art. 5, comma 5.  La  qual  cosa  non  potrebbe  essere
diversamente, trattandosi, come gia' sottolineato, di  interventi  di
servizio civile nazionale, che devono comunque essere  conformi  agli
obiettivi e agli indirizzi generali in  materia  di  servizio  civile
universale, nonche' agli standard qualitativi. E'  su  tali  criteri,
dunque, che si basa la verifica attribuita  allo  Stato  in  sede  di
approvazione.