ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt.  5,  comma
2, 24 e 25 del decreto del Presidente della  Repubblica  14  novembre
2002, n. 313, recante «Testo unico delle disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe  delle
sanzioni amministrative dipendenti da reato e  dei  relativi  carichi
pendenti (Testo A)», promossi dal Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale ordinario di Firenze  con  ordinanza  del  18  novembre
2016, dal Tribunale ordinario di Palermo con ordinanza del  19  marzo
2018 e dal Tribunale ordinario di Genova con due ordinanze del  20  e
27 marzo  2018,  iscritte  rispettivamente  al  n.  47  del  registro
ordinanze 2017 e ai nn. 91, 117 e 118 del registro ordinanze  2018  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  14,  prima
serie speciale, dell'anno 2017 e nn. 25 e 37, prima  serie  speciale,
dell'anno 2018. 
    Visti l'atto di costituzione di F. C. e gli  atti  di  intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella udienza pubblica del 6 novembre  e  nella  camera  di
consiglio del 7 novembre 2018 il Giudice relatore Francesco Vigano'; 
    udito l'avvocato Barbara Baroni per F. C. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 18 novembre 2016 (r.o. n. 47 del 2017),  il
Giudice per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale  ordinario  di
Firenze ha sollevato questioni di legittimita'  costituzionale  degli
artt. 24 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre
2002, n. 313, recante «Testo unico delle disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe  delle
sanzioni amministrative dipendenti da reato e  dei  relativi  carichi
pendenti  (Testo  A)»  (d'ora  in   poi,   anche:   t.u.   casellario
giudiziale), nel testo anteriore alle modifiche, non ancora efficaci,
recate dal decreto legislativo 2 ottobre 2018, n.  122  (Disposizioni
per la revisione  della  disciplina  del  casellario  giudiziale,  in
attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 18 e  19,  della
legge 23 giugno 2017,  n.  103),  in  riferimento  al  «principio  di
eguaglianza e conseguentemente di ragionevolezza» di cui  all'art.  3
della Costituzione,  nella  parte  in  cui  «non  prevedono  che  nel
certificato generale del  casellario  giudiziale  e  nel  certificato
penale chiesto dall'interessato non siano riportate le  ordinanze  di
sospensione  del  processo  emesse  ai  sensi  dell'art.   464-quater
c.p.p.». 
    Il giudice a  quo,  dopo  aver  premesso  di  essere  chiamato  a
pronunciarsi, ai sensi dell'art. 464-septies del codice di  procedura
penale, sull'esito della messa alla prova dell'imputato, ritiene  che
la questione sia rilevante,  dal  momento  che  la  disciplina  sopra
richiamata  si  applicherebbe  nel  caso  di  specie  nei   confronti
dell'imputato. 
    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  della  questione,  il
giudice a quo evidenzia come la mancata inclusione,  da  parte  delle
disposizioni censurate, delle ordinanze di sospensione  del  processo
con messa alla prova tra quelle la cui menzione  deve  essere  omessa
nei certificati richiesti dai  privati  determini  una  irragionevole
disparita'  di  trattamento  rispetto   a   «quanto   stabilito   dal
legislatore  per  percorsi  processuali  che   pure   addivengono   a
provvedimenti definitori non radicalmente diversi», come la  sentenza
pronunciata su richiesta delle parti  ai  sensi  dell'art.  445  cod.
proc. pen. o il decreto penale  di  condanna  (art.  460  cod.  proc.
pen.). Con particolare riferimento a quest'ultimo  provvedimento,  il
giudice a quo sottolinea  la  maggiore  meritevolezza  del  beneficio
della non menzione nel certificato del casellario giudiziale per chi,
anziche' prestare mera acquiescenza  a  un  decreto  penale,  si  sia
«attivato in un comportamento di utilita' sociale che  gli  vale  una
sentenza di estinzione del reato ai sensi dell'art. 464-septies  cod.
proc. pen.». 
    Il giudice a quo e' consapevole che i  due  tertia  comparationis
individuati hanno ad oggetto «procedimenti definitori [...]  ritenuti
meritevoli dal legislatore che ha previsto delle premialita', tra  le
quali la non iscrizione del provvedimento definitorio sul certificato
del casellario giudiziale richiesto dall'interessato». Tuttavia, egli
ritiene  incompatibile  con  il  principio  di  eguaglianza  che   il
beneficio  della  non  menzione  sia  negato  proprio   rispetto   al
provvedimento di messa alla prova, il quale, tra i  tre  considerati,
e' quello che, perseguendo uno scopo parimenti  deflattivo,  «prevede
una condotta attiva dell'imputato in lavori socialmente utili, in  un
percorso  di  sensibilita'  e  di  recupero  sociale  tutt'altro  che
indispensabile negli altri due procedimenti considerati». 
    1.1.- Con atto depositato il 26 aprile 2017,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la
questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile
o, comunque, infondata. 
    L'Avvocatura generale dello  Stato  eccepisce  anzitutto  che  il
giudizio a quo e'  destinato  a  concludersi  con  una  pronuncia  di
estinzione del reato, stante  l'esito  favorevole  della  messa  alla
prova, senza che le disposizioni censurate possano trovare  in  alcun
modo applicazione  in  quella  sede,  tali  disposizioni  concernendo
piuttosto una fase procedimentale successiva; dal  che  l'irrilevanza
delle questioni proposte. 
    Nel merito, l'Avvocatura generale dello  Stato  osserva  che  «la
scelta delle decisioni giurisdizionali da riportare nei certificati a
richiesta dell'interessato rientra nella piena  discrezionalita'  del
Legislatore», come gia' affermato in  passato  da  questa  Corte  con
sentenza n. 223  del  1994,  e  che  tale  discrezionalita'  incontri
l'unico limite della manifesta irragionevolezza, nel caso  di  specie
non ravvisabile. 
    2.- Con ordinanza del 19 marzo 2018 (r.o. n.  91  del  2018),  il
Tribunale ordinario  di  Palermo,  in  composizione  monocratica,  ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale degli artt.  24  e
25 del d.P.R. n. 313 del 2002, nel testo  anteriore  alle  modifiche,
non  ancora  efficaci,  recate  dal  d.lgs.  n.  122  del  2018,   in
riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui non prevedono
che  nel  certificato  generale  del  casellario  giudiziale  e   nel
certificato  penale  chiesto  dall'interessato  non  siano  riportate
l'ordinanza di sospensione del processo  emessa  ai  sensi  dell'art.
464-quater cod. proc. pen. e la sentenza  che  dichiara  l'estinzione
del reato ai sensi dell'art. 464-septies cod. proc. pen. 
    Il giudice a quo e' chiamato a  pronunciarsi  nell'ambito  di  un
procedimento  di  esecuzione  instaurato  da  un  soggetto  nei   cui
confronti era stata pronunciata, all'esito positivo della messa  alla
prova,  sentenza  di  estinzione  del  reato   ai   sensi   dell'art.
464-septies cod. proc. pen., al fine  di  ottenere  la  cancellazione
delle  iscrizioni  di  entrambi  i  provvedimenti   dai   certificati
richiesti dai privati. 
    Quanto alla rilevanza  delle  questioni,  il  giudice  rimettente
ritiene di «essere chiamato ad esercitare  una  effettiva  e  attuale
potestas decidendi proprio in  relazione  alle  norme  sospettate  di
incostituzionalita'»,  posto  che,  ove  la  questione  non   venisse
prospettata, egli dovrebbe respingere l'istanza della  parte,  stante
il tenore letterale delle disposizioni impugnate che non contemplano,
tra le eccezioni alle iscrizioni nel  casellario  da  riportarsi  nei
certificati a richiesta dell'interessato,  i  provvedimenti  relativi
alla messa alla prova. Ne' sarebbe possibile, ad avviso del giudice a
quo, «addivenire a una interpretazione conforme, a meno di non cedere
ad una  manipolazione  additiva  delle  previsioni  relative  a  casi
analoghi espressamente contemplati fra le  "eccezioni"  previste  dai
due articoli». 
    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni  con
riguardo all'art. 3 Cost., il giudice a quo richiama l'ordinanza  del
18 novembre del 2016 del Giudice  per  le  indagini  preliminari  del
Tribunale di Firenze (r.o. n. 47 del 2017) sulle stesse disposizioni,
ribadendo  l'irragionevolezza  di  una  disposizione  che  impone  la
menzione nei certificati del casellario di vicende  giudiziarie  meno
gravi di altre per le quali e' invece prevista la  non  menzione.  Un
ulteriore motivo di irragionevolezza e' ravvisato rispetto al diverso
e  piu'  favorevole  trattamento  riservato  ai   provvedimenti   che
dichiarano la non punibilita' ai sensi dell'art. 131-bis  del  codice
penale,  anch'essi  esclusi  dalla  menzione  nei   certificati   del
casellario giudiziale. Dinanzi a fatti  di  identico  disvalore,  ben
potrebbe infatti il giudice applicare la  causa  di  non  punibilita'
della particolare  tenuita'  del  fatto,  cosi'  come  accogliere  la
richiesta di messa alla prova. Cio' perche' «l'area  di  applicazione
dei due istituti - prima nella legge e poi nella prassi -  appare  in
gran parte coincidente». Di qui  l'irragionevolezza  consistente  nel
riservare  un  trattamento  deteriore,  rispetto  alla  menzione  nei
certificati  del  casellario,  all'ipotesi  in  cui  l'imputato,  per
ottenere   l'estinzione   del   reato,   si   impegna   in   condotte
risocializzatrici. 
    Rispetto poi all'art. 27 Cost., il  giudice  a  quo  ritiene  che
l'iscrizione dei provvedimenti relativi  alla  messa  alla  prova  in
relazione a un reato dichiarato  estinto  per  esito  positivo  della
messa alla  prova  farebbe  permanere  «l'onta  legata  al  trascorso
giudiziale   [...]   cosi'   vanificando   la   positiva   esperienza
risocializzatrice»   del   soggetto   interessato.    Cio'    perche'
«l'ingiustizia delle conseguenze legate alle  proprie  azioni  e'  di
ostacolo  alla  funzione  rieducatrice  alla  quale  e'   finalizzato
l'intervento statuale per  il  tramite  della  sanzione  penale,  con
considerazioni che devono essere estese  anche  agli  effetti  penali
della non-condanna in discorso». 
    2.1.- Con atto depositato il 10 luglio 2018,  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio   dei   ministri,   assistito   e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  che  la  questione
venga   dichiarata   infondata   alla    luce    di    una    lettura
costituzionalmente orientata delle disposizioni impugnate. 
    L'Avvocatura generale dello Stato, in  particolare,  ritiene  che
l'ipotesi di estinzione del reato in esito a  messa  alla  prova  sia
assimilabile a quella dell'estinzione del reato in esito  al  periodo
di sospensione condizionale della pena, in assenza di commissione  di
delitti  o  contravvenzioni  della  stessa  indole  e   in   presenza
dell'adempimento degli obblighi imposti da  parte  del  condannato  a
pena condizionalmente sospesa, ai sensi dell'art. 167,  primo  comma,
cod. pen.; ipotesi, quest'ultima, la cui non menzione nei certificati
richiesti dal privato e' espressamente prevista dalle disposizioni in
questa sede censurate.  Secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato
sarebbe, dunque, «il genus dell'estinzione del reato che  "eccepisce"
all'iscrizione, indipendentemente dalla sua species». 
    A sostegno di tale prospettazione,  l'Avvocatura  generale  dello
Stato richiama la giurisprudenza con la quale la Corte di  Cassazione
ha  ritenuto  applicabile  il  beneficio  della  non   menzione   nei
certificati del casellario anche all'ipotesi  di  applicazione  della
pena su richiesta delle parti di cui  all'art.  444,  comma  1,  cod.
proc. pen. (cosiddetto patteggiamento allargato), la cui introduzione
e' sopravvenuta allo stesso t.u. casellario giudiziale. 
    Ben avrebbe potuto, pertanto, il  giudice  a  quo  ricondurre  la
fattispecie a quella prevista espressamente nella richiamata  lettera
b) (estinzione del reato ai sensi dell'art. 167,  primo  comma,  cod.
pen.) e accogliere l'istanza del ricorrente. 
    3.- Con ordinanza del 20 marzo 2018 (r.o. n. 117  del  2018),  il
Tribunale ordinario di Genova ha sollevato questioni di  legittimita'
costituzionale degli artt. 5, comma 2, e 24 del  d.P.R.  n.  313  del
2002, nel testo anteriore alle modifiche, non ancora efficaci, recate
dal d.lgs. n. 122 del 2018, con riferimento agli artt. 3 e 27  Cost.:
la prima disposizione nella parte in cui non  prevede  l'eliminazione
dal casellario  giudiziale  dell'iscrizione  dell'ordinanza  che,  ai
sensi dell'art. 464-quater cod. proc. pen.,  dispone  la  sospensione
del processo per messa alla prova, allorche' il  procedimento  penale
venga concluso con sentenza che dichiara  l'estinzione  del  reato  a
seguito di esito positivo della messa alla prova; e l'art.  24  nella
parte in cui non prevede, tra i provvedimenti che non  devono  essere
riportati  nel  certificato  generale   del   casellario   giudiziale
richiesto dall'interessato, la sentenza che dichiara l'estinzione del
reato per esito positivo della messa alla prova. 
    Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a pronunciarsi,  in
sede di esecuzione, su un ricorso proposto da  un  soggetto  nei  cui
confronti e' stata emessa una sentenza di estinzione  del  reato  per
esito positivo della messa alla prova, ex art. 464-septies cod. proc.
pen.  Il  ricorrente  chiedeva,  in  particolare,  la   cancellazione
dell'iscrizione tanto dell'ordinanza che aveva sospeso il processo ai
sensi dell'art. 464-bis cod.  proc.  pen.,  quanto  della  successiva
sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato. 
    Dopo avere evidenziato la rilevanza della questione - posto  che,
in assenza dell'intervento caducatorio richiesto a questa  Corte,  il
ricorso dovrebbe essere respinto -, il giudice osserva, con  riguardo
al principio d'eguaglianza, che l'art. 24 del d.P.R. n. 313 del  2002
dispone la non menzione nel certificato del  casellario  a  richiesta
dell'interessato  di  una  serie  di  provvedimenti   -   quali,   in
particolare, la sentenza di  applicazione  della  pena  su  richiesta
delle parti e i decreti penali di condanna -  relativi  a  situazioni
ben piu' gravi di quella della messa alla prova con  esito  positivo,
nella quale non viene neppure emessa una sentenza di condanna. 
    Con riguardo poi alla funzione rieducativa  della  pena,  di  cui
all'art. 27, comma terzo, Cost., il Tribunale rimettente osserva  che
il soggetto, che pure ha beneficiato con esito positivo  della  messa
alla prova, non solo non verrebbe agevolato nel proprio  percorso  di
reinserimento sociale, ma addirittura  finirebbe  per  essere  «quasi
pregiudicato dalla menzione sia dell'ordinanza che della sentenza  in
oggetto, riguardante peraltro  un  reato  estinto»,  con  particolare
riguardo al rischio che tale menzione  possa  influire  negativamente
sulle sue prospettive lavorative. 
    3.1.- Con atto depositato il 26 settembre 2018, si e'  costituita
la parte privata C. F. a mezzo del proprio difensore,  rilevando,  in
riferimento  all'art.  5,  comma  2  del  d.P.R.  n.  313  del  2002,
l'irragionevolezza del mantenimento dell'iscrizione dell'ordinanza di
sospensione con messa alla prova, posto che il procedimento penale in
questione si chiude una volta intervenuta la sentenza  di  estinzione
del reato. Tale irragionevolezza  sarebbe  aggravata  dal  fatto  che
detta iscrizione permane anche in caso di  revoca  dell'ordinanza  di
sospensione. 
    In riferimento all'art. 24 del d.P.R. n. 313 del 2002,  la  parte
privata ha sostanzialmente  ribadito  le  argomentazioni  svolte  dal
giudice  rimettente  con  riguardo  a   entrambi   i   parametri   di
costituzionalita' da questi evocati. 
    4.- Con ordinanza del 27 marzo 2018 (r.o. n. 118  del  2018),  il
Tribunale ordinario di Genova ha sollevato questioni di  legittimita'
costituzionale degli artt. 24 e 25 del d.P.R. n. 313  del  2012,  nel
testo anteriore alle  modifiche,  non  ancora  efficaci,  recate  dal
d.lgs. n. 122 del 2018, per violazione degli  artt.  3  e  27  Cost.,
articolando argomentazioni, in punto di non  manifesta  infondatezza,
che ricalcano quelle della gia' menzionata  ordinanza  del  20  marzo
2018 sollevata dallo stesso ufficio  giudiziario  (r.o.  n.  117  del
2018). Rispetto al contrasto tra le disposizioni impugnate e l'art. 3
Cost., il giudice a quo evidenzia, altresi', l'ulteriore  profilo  di
disparita' di trattamento tra l'obbligo di menzionare i provvedimenti
relativi alla messa alla prova nei certificati richiesti dai  privati
e la non menzione delle sentenze di condanna per le quali il  giudice
abbia espressamente disposto tale beneficio ai  sensi  dell'art.  175
cod. pen. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con quattro ordinanze di contenuto analogo, il Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale ordinario di Firenze e i Tribunali
ordinari di Palermo e di Genova hanno sollevato, in riferimento  agli
artt.  3  e  27,  comma  terzo,  della  Costituzione,  questioni   di
legittimita' costituzionale degli artt.  24  e  25  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, recante  «Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari  in  materia  di
casellario giudiziale,  di  anagrafe  delle  sanzioni  amministrative
dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti (Testo A)» (d'ora
in poi, anche: t.u. casellario giudiziale), nel testo anteriore  alle
modifiche, non ancora efficaci,  recate  dal  decreto  legislativo  2
ottobre 2018, n. 122 (Disposizioni per la revisione della  disciplina
del  casellario  giudiziale,  in  attuazione  della  delega  di   cui
all'articolo 1, commi 18 e 19, della legge 23 giugno 2017,  n.  103),
nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale  e  nel
certificato penale del casellario giudiziale chiesti dall'interessato
non siano riportate le ordinanze di sospensione del  processo  emesse
ai sensi dell'art. 464-quater del codice di  procedura  penale  e  le
sentenze di estinzione del reato per esito positivo della messa  alla
prova, ex art. 464-septies cod. proc. pen. 
    Il solo Tribunale ordinario di Genova, nell'ordinanza iscritta al
r.o. n. 117 del 2018,  solleva  altresi'  questioni  di  legittimita'
costituzionale, con riferimento agli  artt.  3  e  27,  terzo  comma,
Cost., dell'art. 5, comma 2, del medesimo t.u. casellario giudiziale. 
    2.- Preliminarmente, considerata  la  stretta  connessione  delle
questioni sottoposte all'esame di  questa  Corte,  i  giudizi  devono
essere riunti per una decisione congiunta. 
    3.- Con riguardo alla questione sollevata dal GIP  del  Tribunale
di Firenze (r.o. n. 47 del 2017), l'Avvocatura generale  dello  Stato
eccepisce la sua irrilevanza nel giudizio a quo, che appare destinato
a concludersi  con  pronuncia  di  estinzione  del  reato  per  esito
favorevole  della  messa  alla  prova,  senza  che  le   disposizioni
censurate possano trovare in alcun modo applicazione  in  tale  sede,
tali  disposizioni  concernendo  piuttosto  una  fase  procedimentale
successiva. 
    L'eccezione e' fondata. 
    Come gia' questa Corte ha avuto modo di chiarire in altra vicenda
analoga, nel giudizio di cognizione il giudice «non  puo'  in  nessun
caso ritenersi investito della applicazione di una  disciplina  [...]
come quella relativa alle iscrizioni nel casellario  giudiziale»,  le
cui  questioni  «potranno  [...]  venire  in  discorso   e   assumere
correlativa rilevanza soltanto in executivis» (ordinanza n.  414  del
2000). Ai sensi dell'art. 40 del t.u. casellario giudiziale, infatti,
spetta  soltanto  al   giudice   dell'esecuzione,   in   composizione
monocratica,   pronunciarsi   «[s]ulle   questioni   concernenti   le
iscrizioni e i certificati del casellario giudiziale  e  dei  carichi
pendenti». 
    3.- Va poi dichiarata l'inammissibilita', per totale  carenza  di
motivazione sulla non  manifesta  infondatezza,  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 2, del t.u. casellario
giudiziale sollevate dal Tribunale di Genova (r.o. n. 117 del  2018),
nella  parte  in  cui   la   disposizione   censurata   non   prevede
l'eliminazione    dal    casellario    giudiziale     dell'iscrizione
dell'ordinanza che, ai sensi dell'art. 464-quater  cod.  proc.  pen.,
dispone la sospensione del processo per messa alla  prova,  allorche'
il procedimento penale  venga  concluso  con  sentenza  che  dichiara
l'estinzione del reato a seguito dell'esito positivo della messa alla
prova. Sebbene, infatti, il  giudice  rimettente  faccia  oggetto  di
censura sia tale disposizione sia quella di cui all'art. 24 del  t.u.
casellario   giudiziale,   la   motivazione   sulla   non   manifesta
infondatezza e' riferita esclusivamente al citato art. 24. 
    4.- In via ancora preliminare, occorre dare atto che, nelle  more
del presente giudizio, e' sopravvenuto il gia' citato d.lgs.  n.  122
del 2018, con cui il Governo ha provveduto a riformare, tra  l'altro,
anche le disposizioni oggetto delle censure formulate nelle ordinanze
dei giudici a quibus. 
    Oltre a rendere esplicito, all'art.  1,  comma  1,  l'obbligo  di
iscrivere nel casellario giudiziale  -  accanto  alle  ordinanze  che
sospendono il processo e concedono  la  messa  alla  prova  ai  sensi
dell'art.  464-quater  cod.  proc.  pen.  -  anche  le  sentenze  che
dichiarano estinto il reato in seguito all'esito positivo della messa
alla prova ai sensi dell'art. 464-septies cod. proc. pen., la novella
fa confluire in un unico documento i certificati  generale  e  penale
del casellario giudiziale, rilasciati a  richiesta  dell'interessato,
previsti dalla previgente normativa (art. 4, comma 1, lettera b);  e,
per quanto qui piu' direttamente rileva, esclude la menzione in  tale
certificato unico di entrambi i provvedimenti  concernenti  la  messa
alla prova (art. 4, comma 1, lettera b, n. 5, che aggiunge le lettere
m-bis e m-ter all'elenco contenuto nell'art. 24, comma  1,  del  t.u.
casellario giudiziale). 
    L'esclusione della menzione di tali provvedimenti nel certificato
del casellario giudiziale a richiesta  dell'interessato  persegue  lo
scopo  di  superare  i  dubbi  di  costituzionalita'  relativi   alla
disciplina   previgente.   Si   legge,   infatti,   nella   relazione
illustrativa al d.lgs.  n.  122  del  2018,  in  riferimento  ai  due
menzionati provvedimenti sulla messa alla prova, che la decisione «di
razionalizzare  il  sistema  delle  iscrizioni   e   dell'oscuramento
parziale di  tali  indicazioni  nelle  certificazioni  rilasciate  su
richiesta dell'interessato» e' stata ispirata  proprio  dall'esigenza
di superare  le  «irragionevoli  disparita'  di  trattamento  e  [la]
violazione del principio rieducativo della pena  gia'  denunciate  da
piu' autorita' giurisdizionali alla Corte costituzionale». 
    La sopravvenuta modifica legislativa,  tuttavia,  non  impone  la
restituzione  degli  atti  ai  giudici   remittenti,   essendo   essa
ininfluente nei giudizi a quibus. Il decreto legislativo n.  122  del
2018 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  italiana
del 26 ottobre 2018, n. 250, Supplemento ordinario n.  50),  infatti,
prevede che le disposizioni in esso contenute  «acquistano  efficacia
decorso un anno dalla data della  sua  pubblicazione  nella  Gazzetta
Ufficiale» (art. 7). 
    5.- Nel merito, le questioni di legittimita' costituzionale degli
artt. 24, comma 1, e 25, comma 1,  t.u.  casellario  giudiziale,  nel
testo anteriore alle  modifiche,  non  ancora  efficaci,  recate  dal
d.lgs. n. 122 del 2018, sono fondate. 
    5.1.-  Va  anzitutto  esclusa  la  proposta  interpretativa  che,
nell'atto  di  intervento  relativo   all'ordinanza   del   Tribunale
ordinario di Palermo,  e'  stata  avanzata  dall'Avvocatura  generale
dello Stato al fine di superare  i  dubbi  di  costituzionalita'  che
concernono   le   disposizioni   censurate   attraverso   una    loro
interpretazione conforme; in  particolare,  va  esclusa  l'estensione
analogica ai provvedimenti sulla messa alla  prova  della  previsione
della non menzione, nei certificati del casellario giudiziale,  delle
condanne per reati estinti a norma dell'art. 167,  primo  comma,  del
codice penale (ossia per i reati dichiarati estinti una volta decorso
il periodo di sospensione  condizionale  della  pena  in  assenza  di
commissione di nuovi delitti o contravvenzioni della stessa indole, e
in presenza dell'adempimento degli obblighi imposti). 
    Infatti, le disposizioni relative al  contenuto  dei  certificati
del casellario  giudiziale,  oggetto  delle  censure  dei  giudici  a
quibus, sono articolate attorno a una regola generale  -  quella  per
cui tutti i provvedimenti iscritti nel casellario vanno riportati nei
certificati - assistita da una serie di puntuali deroghe (le  lettere
dalla a alla m dell'art. 24, comma 1, e dalla a alla o dell'art.  25,
comma  1,  del  t.u.  casellario   giudiziale),   che   costituiscono
altrettante eccezioni a tale regola generale. In omaggio al  criterio
ermeneutico di cui all'art. 14, secondo comma, delle Preleggi, queste
deroghe non possono che intendersi come tassative,  e  insuscettibili
pertanto  di  estensione  analogica,  tanto  piu'  a   fronte   delle
importanti differenze normative e concettuali tra gli istituti  della
sospensione condizionale della pena e della messa alla prova. 
    5.2.- Rispetto alle censure formulate  in  relazione  all'art.  3
Cost., occorre osservare come  l'implicito  obbligo  di  includere  i
provvedimenti relativi alla messa  alla  prova  nei  certificati  del
casellario  richiesti  da  privati  finisca  per  risolversi  in   un
trattamento  deteriore  dei  soggetti  che  beneficiano   di   questi
provvedimenti,  orientati  anche  a  una  finalita'  deflattiva   con
correlativi risvolti premiali per l'imputato, rispetto a coloro che -
aderendo  o  non  opponendosi  ad   altri   procedimenti,   come   il
patteggiamento o il decreto penale di condanna,  ispirati  essi  pure
alla medesima finalita' - beneficiano gia' oggi  della  non  menzione
dei relativi provvedimenti nei certificati richiesti dai privati. 
    Rispetto in particolare al patteggiamento,  questa  Corte  ha  in
effetti gia' avuto modo di qualificare il beneficio ex lege della non
menzione delle sentenze ex art. 444 e seguenti cod.  proc.  pen.  nel
certificato del casellario giudiziale come un incentivo finalizzato a
indurre «l'imputato a pervenire sollecitamente alla  definizione  del
processo» (sentenza n. 223 del 1994). Poiche'  tanto  la  messa  alla
prova quanto il patteggiamento costituiscono procedimenti «diretti ad
[assicurare all'imputato] un trattamento piu' vantaggioso  di  quello
del rito ordinario» (sentenza n. 91 del  2018),  non  e'  conforme  a
ragionevolezza che il beneficio della non menzione venga riconosciuto
ex lege a chi si  limiti  a  concordare  con  il  pubblico  ministero
l'applicazione di una pena sulla base di un provvedimento  equiparato
a una sentenza di condanna, salve le eccezioni previste  dalla  legge
(art. 445, comma 1-bis, cod. proc. pen.), e non  -  invece  -  a  chi
eviti  la  condanna  penale  attraverso  un  percorso  che   comporta
l'adempimento di una serie di obblighi risarcitori  e  riparatori  in
favore della persona offesa e della collettivita', per effetto di una
scelta  volontaria,  e  con  esiti   oggettivamente   e   agevolmente
verificabili: e cio' nella medesima ottica di  risocializzazione  cui
avrebbe dovuto tendere la pena, qualora il processo si fosse concluso
con una condanna. 
    Inoltre,  mentre  per  la  generalita'   dei   casi   esiste   la
possibilita' di beneficiare della non  menzione  della  condanna  nei
certificati qualora si sia ottenuta la riabilitazione (art. 24, comma
1, lettera d e art. 25, comma  1,  lettera  d,  del  t.u.  casellario
giudiziale), nel caso dei  provvedimenti  relativi  alla  messa  alla
prova la riabilitazione e' per definizione esclusa,  non  trattandosi
di  condanne.  Il   che   costituisce   un   ulteriore   profilo   di
irragionevolezza ingenerato dalla disciplina censurata. 
    5.3.- Fondate sono, altresi', le questioni sollevate in relazione
all'art. 27, terzo comma, Cost. 
    Come affermato da una recente sentenza delle Sezioni unite  dalla
Corte di cassazione, gia' citata in senso  adesivo  da  questa  Corte
(sentenza n. 91 del 2018), la sospensione del procedimento con  messa
alla prova costituisce «istituto che persegue scopi specialpreventivi
in  una  fase  anticipata,  in  cui  viene  "infranta"  la   sequenza
cognizione-esecuzione della  pena,  in  funzione  del  raggiungimento
della risocializzazione del soggetto (Corte  di  cassazione,  sezioni
unite, sentenza 31 marzo 2016, n. 36272)». In tale ottica, l'istituto
- al quale va riconosciuta una  dimensione  processuale  e,  assieme,
sostanziale - costituisce parte integrante del sistema  sanzionatorio
penale, condividendo con il patteggiamento la  base  consensuale  del
procedimento e del trattamento che ne  consegue  (cosi',  ancora,  la
sentenza n. 91 del 2018). L'istituto non puo', pertanto,  che  essere
attratto dal finalismo rieducativo, che l'art. 27, terzo comma, Cost.
ascrive all'intero sistema sanzionatorio penale. 
    La menzione dei provvedimenti concernenti la messa alla prova nei
certificati richiesti dai  privati  appare,  tuttavia,  disfunzionale
rispetto a tale obiettivo, costituzionalmente  imposto.  La  menzione
relativa risulta, anzi, suscettibile di risolversi in un ostacolo  al
reinserimento sociale del soggetto che abbia ottenuto, e poi concluso
con successo, la messa alla prova, creandogli - in particolare - piu'
che  prevedibili  difficolta'  nell'accesso  a   nuove   opportunita'
lavorative, senza che cio' possa ritenersi  giustificato  da  ragioni
plausibili di tutela di controinteressi costituzionalmente rilevanti,
dal momento che l'esigenza di garantire che la messa alla  prova  non
sia concessa piu' di una volta (art. 168-bis, comma 4, cod. pen.)  e'
gia'  adeguatamente  soddisfatta  dall'obbligo  di   iscrizione   dei
menzionati  provvedimenti  sulla  messa  alla  prova  e  della   loro
indicazione nel certificato "ad  uso  del  giudice"  (rispettivamente
artt. 3, comma 1, lettera i-bis, e 21, comma 1, del  t.u.  casellario
giudiziale). 
    Non v'e'  invece  alcuna  ragione  plausibile  perche'  si  debba
menzionare anche sui certificati richiesti  dai  privati  -  con  gli
effetti pregiudizievoli di cui si e' detto, a carico di  un  soggetto
che la Costituzione  pur  vuole  sia  presunto  innocente  sino  alla
condanna definitiva - un provvedimento  interinale  come  l'ordinanza
che dispone la messa alla prova, destinata comunque a essere travolta
da un provvedimento successivo (la sentenza che dichiara l'estinzione
del reato, nella normalita' dei casi; ovvero l'ordinanza che  dispone
la prosecuzione del processo, laddove la messa alla prova abbia avuto
esito negativo). 
    D'altra parte, una volta che il  processo  si  sia  concluso  con
l'estinzione del reato per effetto dell'esito  positivo  della  messa
alla prova, la menzione  della  vicenda  processuale  ormai  definita
contrasterebbe con la ratio della stessa dichiarazione di  estinzione
del reato, che comporta  normalmente  l'esclusione  di  ogni  effetto
pregiudizievole - anche in termini reputazionali - a carico di  colui
al quale il fatto di reato sia stato in precedenza ascritto.