ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  93-ter,
comma 1-bis, della legge 16 febbraio 1913,  n.  89  (Sull'ordinamento
del notariato e degli archivi notarili), come introdotto dall'art. 1,
comma 495, lettera c), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio
di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2018  e  bilancio
pluriennale per il triennio 2018-2020), e dell'art. 8, comma 2, della
legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della  concorrenza
e del mercato), promosso dal Collegio  dell'Autorita'  garante  della
concorrenza e del mercato, nel procedimento avviato nei confronti del
Consiglio notarile di  Milano,  con  ordinanza  del  3  maggio  2018,
iscritta al n. 86 del registro  ordinanze  2018  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  24,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2018. 
    Visti gli atti di costituzione di R. G., del  Centro  Istruttorie
spa - CISPA, di P. D.M., del Consiglio notarile  di  Milano,  nonche'
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio  dei  ministri  e
del Consiglio nazionale del notariato; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  4  dicembre  2018  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio; 
    uditi gli avvocati Beniamino Caravita di  Toritto,  Gian  Michele
Roberti e Andrea  Saccucci  per  P.  D.M.,  Massimo  Luciani  per  il
Consiglio  nazionale  del  notariato,  Barbara  Randazzo  e   Gustavo
Olivieri per R. G., Claudio Tesauro per il Centro Istruttorie  spa  -
CISPA, Fabio Cintioli e Anselmo Barone per il Consiglio  notarile  di
Milano, e gli  avvocati  dello  Stato  Gabriella  Palmieri  e  Sergio
Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Collegio dell'Autorita' garante della  concorrenza  e  del
mercato (AGCM) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41  e  117,
primo comma, della Costituzione - quest'ultimo in relazione  all'art.
106, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione  europea
(TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di  Lisbona  del  13
dicembre 2007, ratificato  dalla  legge  2  agosto  2008,  n.  130  -
questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  93-ter,  comma
1-bis, della legge 16 febbraio  1913,  n.  89  (Sull'ordinamento  del
notariato e degli archivi notarili),  come  introdotto  dall'art.  1,
comma 495, lettera c), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio
di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2018  e  bilancio
pluriennale per il triennio 2018-2020), e dell'art. 8, comma 2, della
legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della  concorrenza
e del mercato). 
    1.1.- Il rimettente espone in punto di fatto che: 
    - in  data  11  gennaio  2017  l'AGCM  (d'ora  in  avanti  anche:
Autorita'  o  Autorita'  garante)  aveva  avviato   un   procedimento
istruttorio nei confronti del Consiglio notarile di Milano (d'ora  in
avanti anche: CNM), volto ad accertare la  sussistenza  di  un'intesa
restrittiva della concorrenza, in violazione dell'art. 2 della  legge
n. 287 del 1990 (d'ora in avanti anche: legge antitrust),  realizzata
attraverso: a) richieste a  tutti  i  notai  del  distretto  di  dati
«concorrenzialmente» sensibili, al fine di fare emergere le posizioni
di preminenza economica; b) iniziative disciplinari nei confronti dei
notai  maggiormente   produttivi   ed   economicamente   performanti,
accompagnate da un'attivita' segnaletica volta a dare risalto a  tali
iniziative; 
    - in data 21 febbraio 2018 gli uffici  istruttori  dell'Autorita'
avevano trasmesso alle parti del procedimento la comunicazione  delle
risultanze istruttorie (d'ora in avanti anche: CRI), con cui  avevano
contestato al CNM di avere posto in essere delle condotte  idonee  ad
inibire ai notai del distretto  (e  in  particolare,  a  quelli  piu'
performanti)  l'acquisizione  di   elevate   quantita'   di   lavoro,
ricorrendo alla leva prezzo e/o a modalita'  innovative  di  offerta,
condotte consistite, in  particolare:  a)  nella  richiesta  di  dati
sensibili sotto il profilo antitrust, avendo il CNM adottato nel 2014
e nel 2016 un sistema di monitoraggio a  tappeto  sull'attivita'  dei
singoli  notai,  volto  ad   acquisire   informazioni   sempre   piu'
dettagliate  sul  loro  comportamento  economico  (numero   di   atti
stipulati, copia delle  fatture,  spese  di  gestione,  dettaglio  di
svariate voci  di  costo,  fatturato  complessivo,  etc.);  b)  nella
mappatura dei notai  monitorati,  avendo  il  CNM  elaborato  i  dati
acquisiti al fine di  porre  in  rilievo  aspetti  concorrenzialmente
sensibili  (tra  gli  altri,  tabelle  evidenzianti  i   livelli   di
«sperequazione»  tra  il  numero  di  atti  redatti  dai  notai   del
distretto; «tabelle excell» contenenti informazioni sui  ricavi,  sui
costi     e     sull'organizzazione      dell'attivita';      «indice
Fatturato/Repertorio» da  cui  emergeva  il  rapporto  tra  i  prezzi
mediamente praticati dai singoli notai  e  la  tariffa  repertoriale;
«Grafico  dispersione  fatturato»  indicante  il  fatturato  di  ogni
notaio, con evidenza di quelli piu' elevati; c) nel  diffuso  risalto
(relazioni annuali, giornate  di  studio,  audizioni,  eccetera)  del
messaggio che occorreva «evitare sperequazioni»  nella  distribuzione
del lavoro, evidenziando le ripercussioni negative per  la  categoria
derivanti  dalla  concorrenza  tra  colleghi  (condannando  i   «c.d.
attifici»  e  le   «politiche   tariffarie   molto,   molto,   molto,
aggressive»); 
    - alla difesa  del  CNM,  incentrata  sulla  funzionalita'  delle
condotte contestate all'esercizio dei suoi poteri-doveri di vigilanza
e disciplinari,  gli  uffici  istruttori  avevano  replicato  che  le
condotte  medesime,  in  realta',  oltre   ad   essere   carenti   di
proporzionalita' e  necessarieta',  erano  finalizzate  a  realizzare
intenti anticompetitivi; 
    - a  circa  un  anno  dall'avvio  dell'istruttoria  e  a  ridosso
dell'invio alle parti della CRI, la legge 27 dicembre  2017,  n.  205
(Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2018  e
bilancio pluriennale per  il  triennio  2018-2020)  aveva  introdotto
nella legge n. 89 del 1913 (d'ora in  avanti  anche  legge  notarile)
l'art. 93-ter, comma 1-bis, secondo  cui  «Agli  atti  funzionali  al
promovimento del procedimento disciplinare si applica l'art. 8, comma
2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287»;  in  forza  di  tale  ultima
norma,  «Le  disposizioni  di  cui  ai  precedenti  articoli  non  si
applicano alle imprese che, per disposizioni di legge, esercitano  la
gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in
regime di  monopolio  sul  mercato,  per  tutto  quanto  strettamente
connesso all'adempimento degli specifici compiti loro affidati»; 
    - nella CRI si sosteneva: 1) che la  norma  sopravvenuta  non  e'
applicabile ratione temporis alle condotte oggetto  di  accertamento;
2) in ogni caso, essa va interpretata in senso  costituzionalmente  e
comunitariamente orientato: l'art. 106, paragrafo 2, TFUE, secondo la
costante giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea,
limiterebbe l'applicazione delle norme  antitrust  alle  condotte  di
imprese incaricate dalla legge della gestione di servizi di interesse
economico  generale  (d'ora  in  avanti  anche:  SIEG)  solo  in  via
eccezionale e una volta superato il test di proporzionalita', con  la
conseguenza che non sarebbe possibile sottrarre  in  via  generale  e
astratta un intero segmento di attivita' dall'ambito di  applicazione
della disciplina antitrust; 3) in  caso  di  diversa  interpretazione
della norma sopravvenuta, l'Autorita' garante sarebbe tenuta alla sua
disapplicazione per contrarieta' agli artt. 101 e  106,  TFUE,  letti
congiuntamente all'art. 4,  paragrafo  3,  del  Trattato  sull'Unione
europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio  1992,  entrato  in
vigore il 1° novembre 1993, e al Protocollo n. 27 sul mercato interno
e la concorrenza, allegato al Trattato di Lisbona entrato  in  vigore
il 1° dicembre 2009, che conferma l'art. 3, lettera g), del  Trattato
CE; 
    - il CNM aveva invece fatto leva sulla disposizione in esame  per
porre la questione  preliminare  dell'incompetenza  dell'Autorita'  a
giudicare  le  condotte  oggetto  di  istruttoria,  dal  momento  che
l'esercizio  del  potere-dovere   di   vigilanza   sarebbe   funzione
pubblicistica sottratta all'applicazione della  normativa  antitrust;
la norma sopravvenuta, poi, sarebbe applicabile al caso di specie, in
virtu' del principio tempus regit actum, essendo stata introdotta  ad
istruttoria in corso; essa, inoltre, non farebbe  che  codificare  un
principio immanente nell'ordinamento, gia' affermato dalla  Corte  di
cassazione (si cita la  sentenza  della  sezione  seconda  civile,  5
maggio 2016, n. 9041) e poi ribadito dalla Corte d'appello di  Milano
(si cita la sentenza della sezione prima, 6 aprile 2018), secondo cui
il  consiglio  notarile  che  assume  l'iniziativa  del  procedimento
disciplinare espleta un SIEG ed e' percio' esente dall'applicabilita'
delle norme antitrust, ai sensi dell'art. 8, comma 2, della legge  n.
287 del 1990. 
    1.2.- Cio' premesso in punto di fatto, il rimettente riferisce di
essersi  «lungamente  interrogato»  sulla  propria  legittimazione  a
sollevare   questione   di   legittimita'   costituzionale   in   via
incidentale. 
    Rammenta il Collegio  che,  ai  sensi  dell'art.  1  della  legge
costituzionale  9  febbraio  1948,  n.  1  (Norme  sui   giudizi   di
legittimita' costituzionale e  sulle  garanzie  d'indipendenza  della
Corte costituzionale) e dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87
(Norme  sulla  costituzione   e   sul   funzionamento   della   Corte
costituzionale),  i  presupposti  perche'  possa   essere   sollevata
questione  di  legittimita'  costituzionale  sono  che   essa   venga
formulata da un «giudice» nell'ambito di un «giudizio». 
    Tali  condizioni  -  prosegue  il   rimettente   -   sono   state
interpretate sin dalle prime pronunce della Corte costituzionale  (si
citano le sentenze n. 129 del  1957  e  n.  4  del  1956)  «in  senso
estensivo», non ravvisandosi la figura del giudice nei soli  titolari
degli organi di giurisdizione ordinaria e speciale, ne' richiedendosi
che il giudizio sia solo quello che si  svolge  davanti  ai  suddetti
organi. 
    La giurisprudenza  della  Corte  costituzionale,  cioe',  avrebbe
messo in luce come il sindacato «non abbia a esplicarsi in  astratto,
ma in relazione a concrete situazioni di fatto, alle quali  siano  da
applicare norme di dubbia costituzionalita'», da parte di organi che,
«sebbene estranei alla  organizzazione  della  giurisdizione»,  siano
investiti di «funzioni giudicanti per l'obiettiva applicazione  della
legge» e «siano all'uopo posti in posizione super partes».  La  ratio
di fondo di tale indirizzo giurisprudenziale starebbe nella «esigenza
di ammettere al sindacato della Corte costituzionale leggi che,  come
nella fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero, per  altra
via, ad essa sottoposte». 
    Alla stregua di  queste  coordinate,  il  rimettente  ritiene  di
potere  essere  ricondotto  al  novero  dei  soggetti  legittimati  a
sollevare questione di legittimita' costituzionale, e cio' anche  ove
si ritenga preferibile l'indirizzo secondo cui devono  ricorrere  sia
l'elemento  soggettivo  (il  giudice)  che   quello   oggettivo   (il
giudizio). 
    1.2.1.-  Sotto  il  profilo  soggettivo  e  in  primo  luogo,  la
composizione dell'Autorita' garante sarebbe  tale  da  porla  in  una
posizione di indipendenza e  neutralita',  sottraendola  a  qualsiasi
condizionamento esterno. L'art. 10 della legge antitrust prevede  che
i componenti dell'Autorita' sono  nominati  d'intesa  dai  Presidenti
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica  tra  persone
di  notoria  indipendenza  e  funzionalita',  e  tanto   diversamente
rispetto ad altre autorita' indipendenti, i cui membri sono in  tutto
o in parte di nomina governativa. 
    La durata limitata del  mandato  (sette  anni  non  rinnovabili),
l'inamovibilita' e il regime di incompatibilita' costituirebbero,  in
secondo  luogo,  elementi  importanti  ai  fini  dell'indipendenza  e
terzieta' dell'Autorita' garante. La prima impedirebbe  comportamenti
opportunistici finalizzati ad ottenere una nuova  nomina;  il  regime
d'incompatibilita', invece, garantirebbe che i componenti  non  siano
portatori di interessi diversi rispetto a quelli chiamati a  tutelare
nell'esercizio del mandato. 
    1.2.2.- Andrebbe  poi  evidenziato  che  l'AGCM  e'  un'autorita'
amministrativa indipendente rientrante nel genus delle  autorita'  di
garanzia,  svolgenti  funzioni  analoghe  a  quelle  giurisdizionali,
perche' consistenti nella riconduzione di atti e fatti all'ambito  di
fattispecie astratte previste dalla legge antitrust,  con  esclusione
di qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine giuridico. 
    Nell'esercizio della funzione di tutela  della  concorrenza,  che
rappresenta il nucleo centrale della  sua  attivita',  l'Autorita'  -
prosegue il rimettente - non sceglie (pondera) tra una pluralita'  di
interessi concorrenti (a differenza della pubblica amministrazione in
senso classico, che, pur in modo imparziale, e' tenuta  a  bilanciare
contrapposti interessi pubblici e privati), ma si limita, al pari  di
un  giudice,  ad  applicare  la  legge  al  caso  concreto.   L'agire
dell'Autorita', infatti, non e' caratterizzato da profili di  vera  e
propria discrezionalita' amministrativa, potendosi al piu'  ravvisare
una discrezionalita' tecnica nell'applicazione di  regole  di  natura
economica. 
    1.2.3.-  La  funzione  in  questione,  inoltre,  avrebbe   sicura
rilevanza costituzionale,  posto  che  la  libera  concorrenza  e  il
corretto funzionamento del mercato sono valori riconducibili all'art.
41 della Costituzione. 
    1.2.4.- Andrebbe ancora considerato che, a  differenza  di  altre
autorita' indipendenti, l'AGCM non regola e controlla  uno  specifico
settore economico, ne' persegue  fini  ulteriori  rispetto  a  quello
generale di tutela  della  concorrenza.  Tale  funzione  di  garanzia
spiegherebbe il suo ruolo di terzieta', al pari del giudice. 
    1.2.5.-  Altro  elemento  che   deporrebbe   per   il   carattere
giurisdizionale delle funzioni svolte dall'Autorita' sarebbe  l'ampio
spazio che nei procedimenti sanzionatori viene dato ai  principi  del
contraddittorio e della parita' delle  armi,  di  chiara  derivazione
processuale. 
    In  tali  procedimenti,  oltre  al  contraddittorio  documentale,
sarebbe garantito anche quello orale, sia all'inizio dell'istruttoria
che, ai sensi dell'art. 14 della legge  antitrust,  prima  della  sua
conclusione. Piu' in particolare, nel corso  del  procedimento  volto
all'irrogazione della sanzione, non solo sarebbe previsto  un  esteso
accesso ai documenti e al fascicolo della  «accusa»,  ma  l'autorita'
inquirente (gli uffici) sarebbe tenuta (attraverso l'invio della CRI)
a comunicare alla «difesa» (il sottoposto a procedura  sanzionatoria)
tutte le prove a carico e discarico,  sollecitando  sulle  stesse  il
contraddittorio in  un'audizione  davanti  all'organo  decidente  (il
Collegio). 
    La possibilita' di difendersi dalle contestazioni mosse nel corso
di un'audizione orale renderebbe il procedimento antitrust rispettoso
dei  requisiti  previsti  dall'art.  6  della  Convenzione   per   la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848:  proprio  la  mancanza  di
tale possibilita' avrebbe per contro indotto  la  Corte  europea  dei
diritti  dell'uomo  a  ritenere  che  il  procedimento  sanzionatorio
davanti alla  Commissione  nazionale  per  le  societa'  e  la  borsa
(CONSOB) non soddisfacesse tutte le esigenze dell'art. 6 (si cita  la
sentenza della Corte EDU,  seconda  sezione,  4  marzo  2014,  Grande
Stevens e altri contro Italia). 
    1.2.6.- Ancora,  in  base  all'art.  15  della  legge  antitrust,
l'Autorita', analogamente al  giudice  ordinario,  potrebbe  disporre
l'inibitoria di  alcuni  comportamenti,  intimando  alle  imprese  di
cessare  l'infrazione  e  condannandole  al  pagamento  di   sanzioni
pecuniarie, «il tutto  con  decisione  che,  ove  non  impugnata,  e'
suscettibile di produrre effetti analoghi a quelli del giudicato». 
    1.2.7.- Vi sarebbe, poi, un'adeguata separazione tra  gli  uffici
che  svolgono  l'attivita'  istruttoria  e  di   formulazione   delle
contestazioni e il Collegio  competente  ad  assumere  le  decisioni:
secondo il  regolamento  di  organizzazione,  infatti,  i  primi  non
dipenderebbero  dal  secondo  ma   dal   Segretario   generale,   che
sovrintende al loro funzionamento. Tale separazione non sarebbe  solo
organizzativa, ma inciderebbe sulle funzioni esercitate:  gli  uffici
istruttori effettuano le indagini, i cui risultanti  sono  illustrati
nella CRI, atto notificato alle parti del procedimento, su  cui  esse
possono difendersi in forma scritta e nel corso dell'audizione  orale
davanti al Collegio, in contraddittorio con gli uffici medesimi. 
    Spetterebbe invece unicamente al Collegio il potere  di  decidere
sull'esistenza  dell'illecito  e  sull'irrogazione  delle   eventuali
sanzioni, senza essere in alcun modo vincolato dalla  proposta  degli
uffici. Andrebbe osservato, in tal senso, che sulla CRI il  Collegio,
nella fase di invio alle parti, esprime unicamente una valutazione di
non  manifesta  infondatezza,  restando  poi  libero  di   rigettare,
modificare o recepire le proposte ivi formulate. 
    La funzione esercitata dall'Autorita'  in  sede  di  applicazione
della legge antitrust presenterebbe, dunque, «i  connotati  necessari
per essere assimilata ad una funzione  giurisdizionale,  traducendosi
in un'attivita' volta esclusivamente a  garantire,  in  posizione  di
neutralita' e di imparzialita', la  riconducibilita'  delle  condotte
delle imprese nell'ambito della legge, al solo fine  di  tutelare  un
diritto  oggettivo  (quello  della  concorrenza)   avente   rilevanza
generale». 
    1.2.8.-  Vi  sarebbe,  peraltro,   una   ulteriore   e   decisiva
considerazione che militerebbe in  favore  della  legittimazione  del
rimettente, vale a  dire  la  circostanza  che,  in  caso  contrario,
l'ipotesi controversa sarebbe esclusa dal possibile  sindacato  della
Corte costituzionale. 
    Ricorrerebbero,  infatti,  nel  caso  di  specie  «una  serie  di
elementi che mostrano come l'accesso al sindacato della Corte sarebbe
reso poco agevole, ponendosi la necessita' di arricchire i meccanismi
di introduzione delle questioni di legittimita' costituzionale». 
    La norma sopravvenuta, nell'interpretazione fatta propria dal CNM
e avallata dalla Corte d'appello di  Milano  con  l'ordinanza  del  6
aprile  2018,  escluderebbe  ex  ante  e  in  assenza  di   qualsiasi
valutazione circa  la  concreta  finalita'  perseguita  dai  consigli
notarili l'applicabilita' delle disposizioni  in  materia  di  tutela
della  concorrenza,  con  la  conseguenza  che  l'Autorita'  dovrebbe
chiudere il procedimento e dichiararsi incompetente. 
    Cio'  avrebbe  l'effetto  di  rendere  «estremamente   difficile»
l'accesso  al  sindacato  della  Corte:  infatti,   ove   non   fosse
riconosciuta la legittimazione  dell'Autorita',  la  possibilita'  di
sottoporre  la  norma  al  sindacato  di  costituzionalita'   sarebbe
«rimessa solo alla eventuale iniziativa  giurisdizionale,  del  tutto
discrezionale, del soggetto privato segnalante,  peraltro  parte  non
necessaria del procedimento». 
    L'AGCM, dunque, dovrebbe essere ritenuta legittimata a  sollevare
la questione, in  considerazione  della  «esigenza  di  ammettere  al
sindacato  della  Corte   costituzionale   leggi   che   [...]   piu'
difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa sottoposte» (si cita
la sentenza di questa Corte n. 181 del 2015)  e  della  finalita'  di
evitare che nell'ordinamento vi siano «zone franche» dal controllo di
costituzionalita'. 
    L'AGCM, cioe', dovrebbe ritenersi operare come giudice nel  corso
di un processo, «ai limitati fini» dell'art. 1 della legge n.  1  del
1948 e dell'art. 3 della legge n. 87 del 1953 (si citano le  sentenze
n. 181 del 2015 e n. 226 del 1976). 
    1.3.- In punto  di  rilevanza,  il  rimettente  osserva,  in  via
preliminare, che, secondo la consolidata giurisprudenza  nazionale  e
comunitaria, sono soggette al diritto antritrust anche le professioni
regolamentate, comprese quelle notarili. Altrettanto pacifico sarebbe
che i consigli notarili, in quanto enti  rappresentativi  di  imprese
che offrono sul mercato in modo indipendente e stabile i loro servizi
professionali,  costituiscono   associazioni   d'imprese   ai   sensi
dell'art. 2, comma 1, della legge  antitrust.  Piu'  precisamente,  i
consigli sarebbero organi di regolamentazione di una professione,  il
cui esercizio costituisce un'attivita' economica, e quindi  sarebbero
nella condizione di «regolare e orientare l'attivita' degli  iscritti
nell'offerta delle proprie prestazioni professionali incidendo  sugli
aspetti economici della medesima» (si cita la sentenza della Corte di
giustizia dell'Unione europea, 18 luglio  2013,  in  causa  C-136/12,
Consiglio nazionale dei geologi e Autorita' garante della concorrenza
e del mercato). 
    La norma censurata avrebbe introdotto un «contesto di incertezza»
in ordine alla competenza dell'Autorita' ad esercitare i suoi  poteri
avverso le condotte dei consigli notarili, che, benche' adottate  nel
formale contesto dell'attivita' di vigilanza, non ne  condividano  le
finalita' di tutela di interessi pubblici e che, in quanto  incidenti
sulle attivita' economiche dei notai, «sono suscettibili di  rilevare
ai sensi di tale legge». 
    In particolare, la questione  sarebbe  rilevante  ai  fini  della
decisione da adottare nel  procedimento  a  quo,  poiche'  dalla  sua
soluzione dipenderebbe la stessa possibilita' che il Collegio esamini
il  merito  della  fattispecie,  possibilita'  esclusa  alla  stregua
dell'interpretazione fatta propria dal CNM e dalla Corte d'appello di
Milano. 
    1.4.- In punto di non manifesta infondatezza, il Collegio ritiene
che le norme censurate, la' dove sottraggono un  intero  segmento  di
attivita'  all'applicazione  della  legge  antitrust   sarebbero   in
contrasto con  l'art.  3  Cost.,  per  violazione  del  principio  di
ragionevolezza, e con l'art. 41 Cost. 
    «Per effetto» dell'art. 93-ter,  comma  1-bis,  infatti,  sarebbe
«sacrificato  il  nucleo  essenziale  delle  regole  in  materia   di
concorrenza e, per tale via, della liberta' di  iniziativa  economica
privata di cui all'art. 41 della Costituzione, senza  che  sia  stato
effettuato alcun bilanciamento tra principi e  diritti  fondamentali,
secondo criteri di proporzionalita' e ragionevolezza. Il  legislatore
ha, in  particolare,  predisposto  uno  strumento  assolutamente  non
proporzionato rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare, con  il
risultato di creare un contesto in cui non sussiste alcun  equilibrio
tra interessi  diversi,  ma  solo  l'inaccettabile  sacrificio  della
liberta' di iniziativa economica privata». 
    Cio' assumerebbe  ancora  piu'  rilievo,  ove  si  consideri  che
l'Autorita'  e  la  Commissione  europea  non  hanno  mai  contestato
l'esercizio della funzione disciplinare dei consigli notarili e degli
ordini professionali, essendosi sempre limitate  a  verificare,  caso
per caso, se tale  esercizio  non  avesse  esorbitato  dalle  sottese
finalita'   pubblicistiche,   risultando   non   necessario   e   non
proporzionato rispetto al loro conseguimento. 
    La misura introdotta dall'art. 93-ter, comma 1-bis,  invece,  non
sarebbe necessaria ne' proporzionata rispetto alla finalita' pubblica
perseguita, che potrebbe, per contro, essere soddisfatta mediante una
valutazione  da  svolgersi  caso  per  caso  sulla   riconducibilita'
dell'attivita' dei  consigli  notarili  alla  funzione  di  vigilanza
esclusa dalla normativa antitrust. 
    Infine, le norme censurate contrasterebbero con l'art. 117, primo
comma, Cost., in relazione all'art.  106,  paragrafo  2,  TFUE,  che,
secondo la  giurisprudenza  comunitaria,  ammetterebbe  deroghe  alle
disposizioni in  materia  di  concorrenza  solo  ove  necessarie  per
garantire  l'adempimento  della  specifica  missione  affidata   alle
imprese incaricate della  gestione  dei  SIEG,  richiedendo  che  sia
effettuato  un  test  di  proporzionalita':  il  diritto  comunitario
escluderebbe la possibilita' di sottrarre in via generale ed astratta
un intero settore di  attivita'  dall'ambito  di  applicazione  delle
norme antitrust. 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
eccependo l'inammissibilita' delle questioni sollevate per difetto di
legittimazione del rimettente. 
    2.1.- Rammenta il Presidente del Consiglio dei ministri  che,  in
base alla consolidata giurisprudenza della  Corte,  le  questioni  di
legittimita' costituzionale sono ammissibili allorche'  promanino  da
un «giudice» nel corso di un «giudizio». 
    Nonostante  non  manchino,  specie  nella   giurisprudenza   piu'
risalente, letture non restrittive dei due  requisiti,  la  Corte  si
sarebbe  progressivamente  attestata  su  una  interpretazione   piu'
rigorosa, specie in riferimento alla loro necessaria compresenza  (si
cita la sentenza n. 164 del 2008). 
    Nella fattispecie in esame difetterebbero entrambi. 
    2.1.1.- Il Collegio dell'Autorita', in  primo  luogo,  nonostante
sia indiscutibile che la legge  assicuri  al  Presidente  e  ai  suoi
componenti una particolare e qualificata indipendenza, non sarebbe un
giudice e neppure un organo assimilabile ad un giudice  «ai  limitati
fini»   della   proposizione   della   questione   di    legittimita'
costituzionale. 
    Se e' vero - prosegue la difesa dello Stato - che  l'indipendenza
costituisce attributo necessario dei giudici, non  e'  men  vero  che
nelle organizzazioni statuali evolute tale  condizione  non  inerisce
esclusivamente alla giurisdizione, ma appartiene anche alle autorita'
amministrative indipendenti. 
    Tratto essenziale della giurisdizione e' invece l'imparzialita' o
terzieta', ossia la condizione di  separatezza  nei  confronti  delle
parti del procedimento e di indifferenza rispetto agli  interessi  in
gioco. Secondo l'interveniente, tale requisito nel caso del  Collegio
dell'Autorita' «e' visibilmente da escludere». 
    In  primo  luogo  e  sul  piano  strutturale,  la  condizione  di
terzieta'  non  potrebbe  ravvisarsi  in  ragione  del  «rapporto  di
dipendenza funzionale dall'organo decidente di una  delle  parti  del
procedimento» (gli  uffici  istruttori),  non  essendo  evidentemente
sufficiente a influire in maniera determinante su  tale  rapporto  il
diaframma  costituito  dalla  previsione  che  al  funzionamento  dei
servizi e degli uffici debba sovraintendere il  Segretario  generale,
poiche' questi ne risponde al Presidente. 
    In secondo luogo e sul piano funzionale, ai  sensi  dell'art.  6,
comma 1, del d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217 (Regolamento recante norme
in materia di  procedure  istruttorie  di  competenza  dell'Autorita'
garante  della  concorrenza  e   del   mercato),   e'   il   Collegio
dell'Autorita' che dispone l'avvio dell'istruttoria. 
    Ancora, sarebbe il Collegio che, ai sensi dell'art. 14, comma  1,
del d.P.R. n. 217 del 1998, verificata la non manifesta  infondatezza
delle proposte formulate dagli uffici, autorizza  l'invio  della  CRI
alle  imprese.  Tale  delibazione  sommaria  -  «in  se'  forse   non
incompatibile» con il successivo esercizio di funzioni  giudicanti  -
avverrebbe  in  via  del  tutto  officiosa,  senza  le  garanzie  del
contraddittorio proprie di un processo giurisdizionale. 
    Sarebbe poi dirimente la considerazione che l'Autorita' e'  parte
del giudizio di impugnazione delle proprie decisioni, mentre, ove  si
accedesse alla prospettiva contenuta nell'ordinanza di rimessione, la
qualita' di parte andrebbe riconosciuta agli uffici istruttori. 
    Tale ultima caratteristica - prosegue il Presidente del Consiglio
dei ministri  -  e'  chiaramente  incompatibile  con  l'esercizio  di
funzioni giurisdizionali ed e' propria degli  organi  amministrativi,
essendo l'acquisto della qualita' di parte processuale riservata, per
definizione,  ai  portatori  di   un   interesse   sostanziale   (non
coincidente   con   quello   meramente   fattuale   di   un    organo
giurisdizionale a vedere confermati i suoi provvedimenti). 
    Osserva l'interveniente che  tale  argomento  e'  stato  ritenuto
decisivo  dalla  Corte  di  giustizia   per   riconoscere   carattere
giurisdizionale al Consiglio nazionale forense italiano (si  cita  la
sentenza della Grande sezione,  17  luglio  2014,  in  cause  riunite
C-58/13 e C-59/13, Torresi). 
    Andrebbe poi richiamato anche l'orientamento della  CGUE  che  ha
negato la legittimazione a sollevare questione pregiudiziale ai sensi
dell'art. 267 TFUE all'autorita'  garante  della  concorrenza  greca,
sulla  base  di  argomenti  estensibili  al  caso   di   specie   (in
particolare, in ragione  della  dipendenza  funzionale  degli  uffici
istruttori  dal  Presidente  dell'organo  e  della  possibilita'  che
l'autorita' nazionale venga spogliata del procedimento da parte della
Commissione europea). 
    2.1.2.- In disparte la carenza del requisito soggettivo,  sarebbe
poi da escludere anche l'assimilazione del procedimento antitrust  ad
un «giudizio». 
    In sintesi, sarebbe evidente  che,  sul  piano  delle  forme,  il
procedimento,    pur    garantendo    la    massima    partecipazione
dell'interessato,  si  mantiene  nei  confini  di   un   modello   di
contraddittorio di tipo bilaterale, analogo a quello, necessariamente
«rinforzato»,  che  contraddistingue  i  procedimenti  amministrativi
volti  all'accertamento  degli  illeciti  e  all'applicazione   delle
conseguenti sanzioni. 
    Il  procedimento,  soprattutto,  non  si  concluderebbe  con   un
provvedimento suscettibile di costituire giudicato. La  definitivita'
conseguente  alla  mancata  impugnazione,  pur   presentando   alcune
caratteristiche  comuni  al  giudicato  (l'incontestabilita'   e   la
preclusione di un bis in idem procedimentale), non  sarebbe  ad  esso
equiparabile, ove si rifletta sulla possibilita' di  annullamento  in
autotutela  che  pacificamente  caratterizza  anche  i  provvedimenti
dell'AGCM o di disapplicazione dell'atto  da  parte  del  giudice  in
relazione all'oggetto dedotto in un diverso giudizio (facolta' invece
preclusa nel caso delle sentenze passate in giudicato dall'art.  2909
del codice civile). 
    Tali  caratteristiche  dei  provvedimenti  dell'Autorita',  lungi
dall'essere smentite, sarebbero confermate dal regime introdotto  dal
decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 3 (Attuazione della direttiva
2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del  26  novembre
2014, relativa a determinate norme che  regolano  le  azioni  per  il
risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per  violazioni
delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e
dell'Unione europea), se e' vero che, al fine di conferire  efficacia
vincolante,   nei   giudizi   risarcitori,    ad    alcuni    aspetti
dell'accertamento contenuto in un provvedimento definitivo  dell'AGCM
che abbia rilevato l'esistenza di un cartello anticoncorrenziale o di
un abuso di posizione dominante, e' stata necessaria  una  previsione
espressa ed eccezionale (che,  quindi,  confermerebbe,  relativamente
agli altri aspetti, che il  provvedimento  non  puo'  fare  stato  in
giudizio). 
    Infine, non vi sarebbe alcuna evidenza dell'esigenza  di  evitare
zone franche dal controllo di costituzionalita', essendo  chiaro  che
un eventuale arresto procedimentale motivato  con  la  sopravvenienza
della  norma  censurata  puo'   essere   impugnato   da   uno   degli
intervenienti e, in  particolare,  dal  notaio  segnalante,  che  nel
conseguente  giudizio  amministrativo  ben   potrebbe   fare   valere
eventuali profili di illegittimita' costituzionale. 
    3.- Con atto depositato nella cancelleria di questa  Corte  il  2
luglio 2018, si  e'  costituito  il  Consiglio  notarile  di  Milano,
eccependo  l'inammissibilita'  e  non  fondatezza   delle   questioni
sollevate. 
    3.1.- Dopo avere riassunto i fatti di causa, il CNM ha  eccepito,
in primo luogo,  l'inammissibilita'  per  difetto  di  legittimazione
dell'AGCM, mancando sia il  requisito  soggettivo  (il  provenire  la
questione da un giudice) che quello oggettivo  (l'essere  stata  essa
sollevata nel corso di un giudizio). 
    3.1.1.- Dal punto di vista soggettivo,  l'Autorita'  garante,  in
quanto     autorita'     amministrativa     indipendente,     sarebbe
un'amministrazione e le sue caratteristiche d'indipendenza, comuni ad
altre  autorita',  non  sarebbero  sufficienti  a  qualificarla  come
giudice speciale,  in  caso  contrario  dovendosi  ravvisare  la  sua
illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 102 Cost. 
    3.1.1.1.- La diversita' tra AGCM e giudici  ordinari  e  speciali
sarebbe dimostrata anche dal fatto che la prima, oltre alla  funzione
di accertamento degli illeciti  concorrenziali,  svolge  anche  altre
funzioni,  sicuramente  estranee  alla  giurisdizione,  quali  quelle
amministrative   di   regolazione   (in   tema   di   operazione   di
concentrazione    ed     accettazione     di     impegni),     quelle
amministrativo-consultive (di  advocacy,  previste  dagli  artt.  21,
21-bis  e  22  della  legge  antitrust)  ed  altre  sanzionatorie   e
pacificamente amministrative,  come  la  repressione  delle  pratiche
commerciali scorrette di cui agli artt. 19  e  seguenti  del  decreto
legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice  del  consumo,  a  norma
dell'articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229). 
    3.1.1.2.- Il CNM rammenta,  poi,  che  gli  atti  dell'AGCM  sono
impugnabili  davanti   al   giudice   amministrativo   in   sede   di
giurisdizione esclusiva ai sensi dell'art. 133, comma 1, lettera  l),
dell'Allegato 1  (Codice  del  processo  amministrativo)  al  decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44  della
legge 18 giugno 2009,  n.  69,  recante  delega  al  governo  per  il
riordino del processo amministrativo), ed infatti  nella  prassi  gli
atti  sanzionatori  sono  sempre  impugnati  davanti   al   Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio. 
    Il legislatore, inoltre, con l'art. 21-bis della legge n. 287 del
1990, introdotto dall'art. 35, comma 1, del decreto-legge 6  dicembre
2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, lungi dal riconoscere  all'AGCM
la qualita' di giudice, le avrebbe attribuito quella opposta di parte
processuale per l'impugnazione davanti al giudice  amministrativo  di
atti amministrativi in contrasto con la tutela della concorrenza  (in
tal modo l'Autorita', solitamente operante quale parte resistente nel
processo   amministrativo,   assumerebbe   anche   la   qualita'   di
ricorrente). 
    3.1.1.3.-  Il  CNM  aggiunge  che  le  procedure  di  nomina  dei
componenti le autorita' indipendenti sono profondamente  diverse  dai
sistemi di reclutamento nei ruoli della magistratura,  sia  ordinaria
che speciale. 
    Il sistema di nomina congiunta da parte dei Presidenti di  Senato
e Camera era stato scelto nel  1990  in  ragione  di  una  convezione
costituzionale vigente  durante  il  periodo  storico  che  si  suole
definire  «Prima  Repubblica»,  che   assegnava   una   carica   alla
maggioranza  e  l'altra  all'opposizione,  in   modo   da   garantire
l'indipendenza   dall'indirizzo    politico    governativo.    Questa
convenzione era tuttavia venuta meno negli anni  successivi,  il  che
aveva suscitato un dibattito anche  sulla  idoneita'  del  metodo  di
nomina del Presidente e dei componenti dell'Autorita'  ad  assicurare
il livello di indipendenza richiesto dalla legge. 
    Ne',  ancora,  risulta  che  al  Presidente   e   ai   componenti
dell'Autorita'  garante  siano  assicurate  specifiche  garanzie   di
inamovibilita', che in ogni caso non sarebbero parificabili a  quelle
di rango costituzionale proprie della  magistratura  ordinaria  e  di
quelle speciali. 
    3.1.1.4.- Contrariamente a  quanto  sostenuto  nell'ordinanza  di
rimessione, l'AGCM non potrebbe  essere  considerata  terza  rispetto
alla contestazione mossa dai suoi uffici. 
    In primo luogo, il Segretario generale e' nominato «su  proposta»
del Presidente e ad esso risponde del  funzionamento  dei  servizi  e
degli uffici (art. 11, comma 5, della legge n. 287 del 1990), e  tale
«raccordo istituzionale» legherebbe uffici e Collegio in una  «unita'
soggettiva indiscutibile». 
    In secondo luogo, il Collegio dell'Autorita', lungi  dal  restare
estraneo  al  procedimento,  ne   sarebbe   continuo   «protagonista,
orientandone lo sviluppo»: l'avvio dell'istruttoria, atto  ampiamente
motivato e  recante  quindi  una  prima  inclinazione  decisoria,  e'
infatti di competenza del Collegio, che e'  poi  chiamato,  ai  sensi
dell'art. 14, comma 1, del d.P.R. n. 217 del 1998, ad effettuare  una
valutazione  di  non  manifesta  infondatezza  della  bozza  di   CRI
sottoposta dagli uffici. 
    In terzo luogo, l'ordinamento delle carriere, le  promozioni,  le
assegnazioni di incarichi, inclusi quelli dirigenziali, e gli assetti
organizzativi sarebbero tutti rimessi ad  altrettante  decisioni  del
Collegio. 
    3.1.1.5.- Il contraddittorio che si svolge innanzi  all'Autorita'
sarebbe di tipo bilaterale, analogo a quello che  caratterizza  altri
procedimenti volti all'accertamento di un illecito amministrativo  ed
all'irrogazione di una sanzione pecuniaria: da  una  parte  l'AGCM  e
dall'altra le imprese, che gia' nell'atto di avvio sono incolpate  di
un abuso di posizione dominante o della partecipazione ad una  intesa
anticoncorrenziale. Potrebbero esservi anche altre  parti  private  o
pubbliche, in qualita' di segnalanti o interventori, ma la  garanzia,
anche nei loro confronti, della parita' delle armi non modificherebbe
il carattere bilaterale del contraddittorio. 
    3.1.2.- Il CNM  affronta,  quindi,  il  profilo  oggettivo  della
questione,  ossia  se  sia  possibile  considerare  il   procedimento
antitrust come un «giudizio». 
    3.1.2.1.-  La  risposta  positiva  del  rimettente  non   sarebbe
condivisibile, come dimostrato dal fatto che  la  stessa  AGCM,  dopo
avere negato che il suo agire sia caratterizzato da profili di vera e
propria discrezionalita' amministrativa, ammette che si puo' al  piu'
«ravvisare  una   discrezionalita'   di   tipo   tecnico,   derivante
dall'applicazione di regole tecniche di natura economica». 
    La  funzione  esercitata  dall'Autorita'  garante   sarebbe,   in
realta', una funzione  di  vigilanza  e  sanzionatoria  di  carattere
amministrativo. La discrezionalita'  tecnica,  ovvero  l'adozione  di
valutazioni  complesse  ed  opinabili,  si  sostanzierebbe   in   una
operazione definita dalla giurisprudenza  amministrativa  di  «doppia
contestualizzazione»:  dapprima,  l'Autorita'   elabora   un   regola
specifica discendente dal  precetto,  di  contenuto  generale,  degli
artt. 101 o 102 TFUE o degli artt. 2 o 3 della legge n. 287 del 1990,
e solo dopo verifica se quella regola  specifica,  dedotta  grazie  a
nozioni non giuridiche ma prevalentemente economiche, sia applicabile
al caso concreto. 
    3.1.2.2.- Nemmeno - prosegue il CNM - sarebbe esatto  negare  che
l'AGCM faccia ponderazione e bilanciamento di  interessi  pubblici  e
privati:  la  configurazione  dell'illecito   dipende   anche   dalla
concorrente  valutazione  di  situazioni  come  gli   interessi   dei
consumatori, le conseguenze sul mercato, il  rapporto  tra  decisione
dell'Autorita' e consumer welfare. 
    Emblematico di tali valutazioni discrezionali sarebbe  il  potere
dell'Autorita' di autorizzare, per  un  periodo  limitato  di  tempo,
intese o categorie di intese vietate ai sensi dell'art. 2 della legge
antitrust, quando esse diano luogo a miglioramenti  nelle  condizioni
di offerta sul mercato, miglioramenti che possono  consistere  in  un
aumento della produzione, della sua qualita' o della distribuzione o,
piu'  genericamente,  nel  progresso  tecnologico   in   favore   dei
consumatori, tenendo presente anche la necessita' di assicurare  alle
imprese la concorrenzialita' sul piano internazionale (art.  4  della
legge antitrust). 
    3.1.2.3.- Che non si tratti  di  mera  applicazione  della  legge
risulterebbe  anche  dal  meccanismo  di  funzionamento  del  network
istituito dal Regolamento  (CE)  n.  1/2003  del  Consiglio,  del  16
dicembre 2002, concernente l'applicazione delle regole di concorrenza
di cui agli artt. 81 e 82 del Trattato (CE), network cui e' conferito
il compito di dare applicazione diretta agli artt. 101 e 102  TFUE  e
di cui anche AGCM e' parte. 
    Tale rete di autorita' a tutela della concorrenza -  prosegue  il
CNM - e' infatti guidata dalla Commissione  europea,  la  quale,  pur
tenendo   conto   di   tutte   le   particolarita'   dell'ordinamento
comunitario, e' un organo non giurisdizionale,  e  all'interno  della
rete  si  discute  spesso  della  elaborazione  di  politiche   della
concorrenza e di selezione degli obiettivi da raggiungere, il che  e'
incompatibile con l'attivita' giurisdizionale. 
    3.1.2.4.- Il CNM osserva, ancora,  che  il  rimettente  cerca  di
avvalorare  la  tesi  della  natura  giurisdizionale  delle  funzioni
svolte, sottolineando la diversita' tra funzione di  regolazione  dei
mercati (operante ex ante) e  di  vigilanza  antitrust  (operante  ex
post). 
    Tale distinzione, ormai «classica»,  sarebbe  tuttavia  «alquanto
sottile»,  come  dimostrato  dalla  vicinanza  tra  la  funzione   di
vigilanza  e   quella   di   autorizzazione   delle   operazioni   di
concentrazione, pure rimessa all'Autorita' e  implicante  -  come  e'
pacifico - poteri regolatori, nonche'  dall'istituto  della  chiusura
dei procedimenti  sanzionatori  mediante  l'accoglimento  di  impegni
dell'impresa  (art.  14-ter  della  legge  antitrust),  ove  pure  la
complessa valutazione discrezionale sulla «idoneita'»  degli  impegni
medesimi darebbe luogo ad una funzione sostanzialmente regolatoria. 
    3.1.2.5.- Aggiunge il Consiglio notarile di Milano  che  la  gia'
illustrata carenza di terzieta' dell'Autorita' concorre a spiegare la
mancanza non  solo  del  requisito  soggettivo  ma  anche  di  quello
oggettivo. 
    Non  sarebbe  comprensibile  su  quali  basi  l'Autorita'   possa
assimilare l'effetto dei suoi provvedimenti a quelli di un giudicato:
il provvedimento sanzionatorio e'  un  atto  amministrativo,  la  cui
definitivita' per mancata impugnazione produce effetti ben diversi da
quelli discendenti dal giudicato. 
    La stessa AGCM, peraltro, nella  prassi,  riterrebbe  applicabile
alle sue decisioni l'istituto del ritiro in autotutela decisoria. 
    La circostanza che  l'art.  7  del  d.lgs.  n.  3  del  2017,  in
applicazione dell'art. 9 della direttiva 104/2014/UE  del  Parlamento
europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate
norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno  ai  sensi
del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni  del  diritto
della concorrenza degli Stati membri  e  dell'Unione  europea,  abbia
introdotto un eccezionale effetto vincolante - solo ad alcuni fini  e
con certi  limiti  -  del  provvedimento  sanzionatorio  in  seno  al
giudizio civile risarcitorio, sarebbe la conferma ulteriore che  esso
non ha la forza del giudicato. 
    3.1.2.6.-   Mancherebbe,   ancora,   l'esigenza   di    sostenere
un'interpretazione estensiva della legittimazione ad adire  la  Corte
costituzionale, perche' non vi sarebbe il rischio di zone franche dal
controllo di costituzionalita'. 
    Ove  la   Corte   negasse   la   legittimazione   dell'Autorita',
quest'ultima dovrebbe  applicare  la  norma  censurata  ed  escludere
l'esistenza di un illecito; cio' non impedirebbe alle  parti  private
intervenute nel procedimento di  impugnare  il  provvedimento  finale
davanti al TAR Lazio,  cui  si  potrebbe  chiedere  di  sollevare  la
questione di legittimita' costituzionale. 
    Inoltre, i soggetti interessati potrebbero anche adire il giudice
civile per chiedere il risarcimento di eventuali danni e, in ipotesi,
per fare valere l'invalidita' di atti derivanti da quelli  funzionali
all'esercizio dell'attivita' di vigilanza a fini disciplinari:  cosi'
ancora una volta si schiuderebbe un giudizio nel quale la valutazione
di non manifesta infondatezza «verrebbe compiuta da un vero giudice a
quo». 
    La  situazione  prospettata  dall'ordinanza  di  rimessione,  per
contro, creerebbe una sorta di inedito potere di impugnazione diretta
della legge davanti alla Corte costituzionale da parte di un soggetto
che e' invece destinato ad essere fisiologicamente parte nel giudizio
che si svolge dopo la decisione di sua competenza. 
    3.1.2.7.- Aggiunge il CNM  che  la  stessa  Corte  di  giustizia,
chiamata  a  valutare   la   legittimazione   a   promuovere   rinvio
pregiudiziale dell'autorita' garante della concorrenza e del  mercato
greca, si e' pronunziata negativamente, escludendo la possibilita' di
qualificarla come organo giurisdizionale (si cita la sentenza del  31
maggio 2015, in causa 53/03, Synetairismos  Farmakopoion  Aitolias  &
Akarnanias (Syfait) e altri). 
    3.2.-  Il  Consiglio  notarile  di   Milano   ha   poi   eccepito
l'inammissibilita' per difetto di motivazione sulla  rilevanza  della
questione. 
    Essa  potrebbe  dirsi   rilevante,   solo   ove   l'AGCM   avesse
esplicitamente  ritenuto  che  la  condotta  del  medesimo  Consiglio
rientrasse  nella  fattispecie  della  delibera  di  associazione  di
imprese restrittiva della concorrenza. In altri termini,  secondo  il
CNM, prima di sollevare questione di legittimita' costituzionale,  il
rimettente avrebbe dovuto spiegare perche' non vi erano altre ragioni
per ritenere insussistente l'illecito atte ad escludere la rilevanza. 
    3.3.- Nel merito, secondo il Consiglio  notarile  di  Milano,  la
censura di violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione
all'art. 106, paragrafo 2, TFUE, e' infondata. 
    Osserva il CNM che il parametro interposto contempla  una  deroga
alle regole di concorrenza poste dai  Trattati  per  le  imprese  che
operino, su incarico dello Stato, in settori di  interesse  economico
generale,  purche':  a)  le  norme   sulla   concorrenza   ostacolino
l'adempimento della missione  affidata  e  b)  la  restrizione  della
concorrenza realizzata per effetto della deroga  non  comprometta  lo
sviluppo degli scambi in misura contraria agli interessi dell'Unione. 
    In relazione all'art. 93-ter, comma 1-bis, della legge  notarile,
sussisterebbero  tutte  le  condizioni   richieste   dall'art.   106,
paragrafo 2, TFUE, avente pacificamente efficacia diretta,  affinche'
possa  operare  il  regime  derogatorio  ivi  previsto:  i   consigli
notarili, infatti, svolgono, per espressa  attribuzione  dello  Stato
(operata con la legge n. 89 del 1913), servizi di interesse generale,
in quanto nell'esercizio dei poteri  di  vigilanza  «non  regolano  i
servizi offerti dai notai sul mercato, ma,  con  prerogative  tipiche
dei pubblici poteri, adempiono, in sostanza, a una  funzione  sociale
fondata sul principio di solidarieta'». 
    Secondo il  CNM,  le  regole  della  concorrenza,  se  applicate,
comprometterebbero l'adempimento della missione pubblica affidata dal
legislatore ai consigli, perche'  consentirebbero  agli  iscritti  di
vanificare l'attivita' di  vigilanza  propedeutica  all'instaurazione
dei procedimenti  disciplinari  semplicemente  assumendo  l'idoneita'
dell'esercizio  dei  poteri  consiliari  a  restringere  -  sia  pure
indirettamente - la liberta' professionale degli iscritti. Del  pari,
proprio come accaduto nel caso di specie, la possibilita' di invocare
un riesame,  «sotto  la  lente  della  disciplina  antitrust»,  delle
decisioni rese dagli organi giurisdizionali competenti a pronunciarsi
sui  procedimenti  disciplinari  notarili,  finanche  se  definitive,
porrebbe in discussione le fondamenta  del  sistema  della  giustizia
disciplinare. 
    D'altra parte - rammenta il CNM - ancora prima  dell'introduzione
dell'art. 93-ter,  comma  1-bis,  i  consigli  notarili,  secondo  la
giurisprudenza  anche  di  legittimita',  nell'esercizio  dei  poteri
funzionali al promovimento del procedimento disciplinare, risultavano
esentati dall'applicazione della normativa antitrust. 
    La Corte di cassazione, in particolare, era gia' giunta  per  via
interpretativa all'approdo cristallizzato dal legislatore  del  2017,
il quale si sarebbe  dunque  limitato  a  introdurre  «una  norma  di
interpretazione autentica di una disposizione gia' vigente». 
    Per le ragioni sopra esposte, dunque, sarebbe infondata  la  tesi
dell'AGCM secondo cui l'art. 93-ter, comma 1-bis, e' in contrasto con
l'art. 106, paragrafo 2, TFUE. 
    Il rischio di abusi da parte dei consigli,  ossia  l'eventualita'
dell'esercizio del potere di vigilanza per il perseguimento  di  fini
diversi  rispetto  allo  scopo   istituzionale,   oltre   ad   essere
irrilevante  ai  fini  della  prospettazione   della   questione   di
legittimita' costituzionale, sarebbe scongiurato dall'esistenza nella
legge notarile di un adeguato sistema di controllo giurisdizionale. 
    3.4.- La censura di violazione degli artt. 3 e 41  Cost.  sarebbe
inammissibile per difetto di motivazione. 
    Il rimettente, in particolare, si sarebbe limitato ad  affermare,
con  riferimento  all'art.  3  Cost.,  che  il  legislatore   avrebbe
predisposto uno strumento non proporzionato alla  finalita'  pubblica
perseguita, sacrificando ingiustamente ed arbitrariamente la liberta'
d'iniziativa economica. 
    Al di la' di tale tautologica affermazione,  l'AGCM  non  avrebbe
fornito un'adeguata illustrazione delle  ragioni  per  cui  la  norma
recata dall'art.  93-ter,  comma  1-bis,  sarebbe  arbitraria  e  non
proporzionata,  ne'  avrebbe  esperito  il  necessario  tentativo  di
interpretazione  costituzionalmente  conforme,  il  che,   parimenti,
renderebbe la questione inammissibile. 
    3.4.1.- La censura sarebbe in ogni caso non fondata. 
    Afferma  il  Consiglio  notarile  di  Milano  che,   secondo   la
giurisprudenza della Corte costituzionale, la liberta' di concorrenza
non  riceve  dall'ordinamento  una   protezione   assoluta,   essendo
suscettibile di  limitazioni  giustificate  da  ragioni  di  utilita'
sociale (art. 41, secondo comma, Cost.) e da fini sociali  (art.  41,
terzo comma, Cost.), a condizione che tali limitazioni siano conformi
al principio di ragionevolezza, sub specie di non arbitrarieta' e non
palese incongruita'. 
    Alla  luce  di  tali  principi,  la  scelta  del  legislatore  di
sottrarre all'applicazione della legge  n.  287  del  1990  gli  atti
funzionali al  promovimento  del  procedimento  disciplinare  sarebbe
costituzionalmente legittima. 
    I consigli  notarili,  infatti,  hanno  il  potere  di  vigilanza
sull'osservanza, da parte dei notai, delle disposizioni di legge e di
deontologia, nonche' il potere di promuovere l'azione disciplinare, e
tali funzioni consiliari hanno una precisa  rilevanza  pubblicistica,
essendo preordinate a garantire il perseguimento dei fini  sociali  o
di utilita' sociale connessi all'adempimento del munus di notaio:  la
serieta' e  certezza  dei  traffici  giuridici,  la  prevenzione  del
contenzioso tra le parti  e  tra  le  parti  ed  i  terzi  in  ordine
all'assetto dei rapporti giuridici risultanti dagli atti  rogati,  il
controllo sulla legalita' degli atti, sulla situazione  soggettiva  e
sulla volonta' dei paciscenti. 
    La  garanzia  di  tali  interessi  generali  della  collettivita'
esigerebbe  che  i  consigli  siano  liberi  di  compiere  ogni  atto
funzionale  al  promovimento  del  procedimento  disciplinare   senza
sottostare all'applicazione della normativa antitrust. 
    Quanto, poi, alla  «non  palese  incongruita'»  della  disciplina
censurata, il CNM rammenta che:  1)  la  sottrazione  alla  normativa
antitrust vale solo per gli atti strettamente connessi  all'esercizio
della funzione disciplinare; 2)  la  giurisprudenza  ritiene  che  la
stretta connessione non si configuri ove le imprese  affidatarie  dei
SIEG   deviino   dallo   scopo   istituzionale;   3)   il   controllo
giurisdizionale sugli atti del consiglio e'  pieno  ed  esteso  anche
agli atti propedeutici all'esercizio del  potere  disciplinare  -  in
particolare a quelli adottati ai  sensi  degli  artt.  93,  93-bis  e
93-ter  della  legge  notarile  -  ed  e'  per  cio'  solo  idoneo  a
scongiurare il rischio di abusi o sviamenti di potere. 
    4.- Con atto depositato nella cancelleria di questa  Corte  il  3
luglio 2018, si e' costituito il notaio  P.  D.M.  (d'ora  in  avanti
anche: notaio segnalante o segnalante), aderendo alle  argomentazioni
esposte  dal  rimettente  e  concludendo  per  la   declaratoria   di
illegittimita' costituzionale delle norme censurate. 
    4.1.- Il notaio P. D.M. ha in  primo  luogo  fatto  presente,  in
punto  di  fatto,  di  avere   assunto   nel   procedimento   innanzi
all'Autorita' il ruolo di «segnalante»  e  che  l'art.  93-ter  della
legge notarile e' stato introdotto -  «dichiaratamente  su  pressione
degli organi professionali» - proprio in  pendenza  del  procedimento
istruttorio avviato nei confronti del CNM, a seguito del suo esposto. 
    4.2.- Dopo avere dettagliatamente ricostruito  lo  svolgersi  del
procedimento a quo, il  notaio  segnalante  si  e'  soffermato  sulla
legittimazione dell'AGCM a sollevare in via incidentale questione  di
legittimita' costituzionale. 
    4.2.1.-   Come   sottolineato   dal    rimettente,    la    Corte
costituzionale, muovendo dalla ratio  che  informa  il  sindacato  di
legittimita'  costituzionale  in  via   incidentale,   avrebbe   dato
un'interpretazione estensiva dei requisiti di  accesso,  arrivando  a
ritenere che «per aversi giudizio a quo e' sufficiente  che  sussista
esercizio di funzioni giudicanti per l'obiettiva  applicazione  della
legge da parte di soggetti, pure  estranei  all'organizzazione  della
giurisdizione,  posti  in  posizione  super  partes»  (si  citano  le
sentenze n. 387 del 1996, n. 226 del 1976 e n. 83 del 1966). 
    Coerentemente con tali coordinate, la Corte avrebbe  riconosciuto
la  legittimazione  ad  alcuni  soggetti  «ai  limitati  fini»  della
proposizione   della   questione    incidentale    di    legittimita'
costituzionale, come, ad esempio, nel caso delle sezioni di controllo
della Corte dei conti nell'esercizio della funzione amministrativa di
controllo preventivo sugli atti del governo (si citano le sentenze n.
384 del 1991 e n. 226 del 1976) e nel caso del collegio arbitrale (si
cita la sentenza n. 376 del 2001). 
    4.2.2.- Cosi' ricostruita la figura del giudice  a  quo,  sarebbe
evidente come l'AGCM «possa pienamente rientrare entro  il  perimetro
tracciato dalla giurisprudenza costituzionale». 
    4.2.2.1.- In primo luogo  non  potrebbe  dubitarsi  della  natura
imparziale e indipendente dell'Autorita', come rilevato dalla  stessa
Corte  costituzionale  con  riferimento  anche  ad  altre   autorita'
amministrative indipendenti (si citano le sentenze n. 41 del 2013, n.
482 e n. 57 del 1995) e come  evincibile  dall'art.  10  della  legge
antitrust, secondo cui «L'Autorita' opera in piena  autonomia  e  con
indipendenza di giudizio e di valutazione». 
    Sarebbe  evidente,  poi,  l'estraneita'  dell'AGCM  rispetto   al
circuito  Parlamento-  Governo-Pubblica  amministrazione,  comprovata
dalla circostanza che i  suoi  componenti  sono  scelti  da  soggetti
istituzionali terzi e per un periodo di tempo che  eccede  la  durata
dell'organo politico  che  detiene  il  potere  di  nomina.  Andrebbe
altresi'  considerato  che  i  membri  dell'Autorita'  «non   possono
esercitare, a pena di decadenza, alcuna attivita' professionale o  di
consulenza, ne' possono essere amministratori o  dipendenti  di  enti
pubblici o privati, ne' ricoprire altri uffici pubblici di  qualsiasi
natura. I dipendenti statali sono collocati fuori ruolo per  l'intera
durata del mandato» (art. 10, comma 3, della legge antitrust). 
    4.2.2.2.- Non potrebbe sostenersi, poi, che l'AGCM sia  priva  di
un sufficiente grado di indipendenza interna, da intendersi nel senso
della separazione tra funzione istruttoria e  decisoria,  poiche'  ai
sensi dell'art.  11  della  legge  antitrust,  il  funzionamento  dei
servizi e degli uffici e' affidato al Segretario generale,  il  quale
e' nominato, su proposta del Presidente, dal Ministro dello  sviluppo
economico, ovvero da un soggetto  diverso  rispetto  a  Presidente  e
membri del Collegio. 
    Ai medesimi uffici - prosegue il segnalante -  e'  attribuito  lo
svolgimento dell'istruzione del procedimento: essi,  in  particolare,
procedono all'avvio dell'istruttoria e allo svolgimento di  tutte  le
attivita' ad essa funzionali (come ad  esempio  le  ispezioni),  e  a
conclusione della medesima trasmettono  al  Collegio  la  CRI,  sulla
quale esso si limita a formulare una  valutazione  di  non  manifesta
infondatezza; in caso di esito negativo di tale  ultima  valutazione,
si apre innanzi al Collegio  la  fase  decisoria,  caratterizzata  da
tutte le garanzie del  contraddittorio  proprie  di  un  procedimento
giurisdizionale. 
    4.2.3.- Viste le  funzioni  esercitate  dall'AGCM,  non  potrebbe
negarsi la  sua  natura  paragiurisdizionale:  l'Autorita',  infatti,
sarebbe  chiamata  a  valutare,  da  una  posizione  di   sostanziale
equidistanza dai  diversi  interessi  portati  alla  sua  attenzione,
fattispecie concrete alla luce  di  parametri  fissati  dalla  legge,
secondo il sillogismo proprio dell'attivita' giurisdizionale, e  tale
valutazione sarebbe svolta senza dare alcuna prevalenza all'interesse
pubblico, diversamente da quanto accade nello schema  classico  della
comparazione degli interessi in  cui  si  sostanzia  l'operato  della
pubblica amministrazione. 
    L'esito  dell'accertamento  demandato  all'Autorita',   poi,   si
estrinsecherebbe in un provvedimento dal carattere decisorio relativo
ad una specifica situazione giuridica soggettiva, idoneo ad acquisire
definitivita' ove non impugnato. 
    4.2.4.- Le attribuzioni  dell'Autorita'  si  situerebbero  in  un
«ambiente di sicuro spessore costituzionale». 
    Osserva il notaio segnalante come sia la stessa legge  istitutiva
dell'AGCM a chiarire che la disciplina della concorrenza  si  esplica
«in  attuazione  dell'art.  41  Cost.  e  a  tutela  del  diritto  di
iniziativa economica»: in considerazione delle  funzioni  esercitate,
l'AGCM dovrebbe essere considerato il principale garante del  diritto
costituzionalmente tutelato ad una iniziativa economica libera. 
    Il  fondamento  costituzionale  dell'Autorita',   poi,   andrebbe
rinvenuto soprattutto negli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., nella
parte in cui impongono il rispetto degli obblighi  discendenti  dalla
partecipazione dell'Italia all'Unione europea. 
    E' nel «testo sostanzialmente costituzionale», costituito dai tre
blocchi del TUE, del TFUE e  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata
a  Strasburgo  il  12  dicembre  2007,  che   andrebbe   rintracciato
l'effettivo fondamento delle Autorita' indipendenti. 
    4.2.5.- Secondo il notaio P. D.M., la Corte europea  dei  diritti
dell'uomo avrebbe affermato che  la  procedura  dinanzi  all'AGCM  e'
rispettosa dei requisiti prescritti  dall'art.  6  CEDU,  atteso  che
l'Autorita' puo' qualificarsi come  un  «tribunale»  indipendente  ed
imparziale ai sensi della  menzionata  disposizione  convenzionale  e
posto,  altresi',  che  i  relativi  procedimenti,  svolgendosi   nel
rigoroso  rispetto  del  principio  del  contraddittorio,  soddisfano
pienamente le esigenze di equita' processuale ivi sancite (si cita la
sentenza  della  Corte  EDU,  sezione  seconda,  27  settembre  2011,
Menarini Diagnostics srl contro Italia). 
    In particolare, ai fini del giudizio convenzionale, le  procedure
di nomina del Presidente e dei componenti  del  Collegio,  la  durata
settennale del  mandato  (non  rinnovabile),  l'inamovibilita'  e  le
ipotesi di incompatibilita' sarebbero  indici  incontrovertibili  del
carattere indipendente dell'Autorita'. 
    Da un punto di vista oggettivo,  la  netta  separazione  -  tanto
organizzativa quanto funzionale - esistente tra gli uffici istruttori
e il Collegio, ovvero l'organo chiamato ad assumere le  decisioni,  e
l'assenza di vincolativita' delle proposte formulate dai primi  nella
CRI escluderebbero ogni carenza di imparzialita' oggettiva. 
    Dal punto di  vista  procedurale,  la  facolta'  riconosciuta  al
sottoposto al procedimento antitrust di replicare alle argomentazioni
e deduzioni dell'accusa, di conoscere tutte le prove a suo  carico  e
discarico e di chiedere la fissazione di un'audizione  orale  dinanzi
al  Collegio  assicurerebbero  il  diritto  al  contraddittorio   sia
documentale sia orale e il rispetto del principio della parita' delle
armi (si cita, a contrario, Corte EDU, sezione seconda, 4 marzo 2014,
Grande Stevens e altri contro Italia). 
    4.2.6.-  Il  segnalante,  pur  consapevole  dell'autonomia  delle
nozioni di organo giurisdizionale accolte dalla Corte  costituzionale
e dalla Corte di giustizia,  ritiene  rilevante  la  circostanza  che
l'AGCM possieda tutti i  requisiti  prescritti  dalla  giurisprudenza
della seconda per potersi qualificare come organo giurisdizionale  ai
sensi dell'art. 267 TFUE. 
    Ne'  potrebbero  rilevare,  in  senso   contrario,   la   stretta
collaborazione intercorrente tra l'AGCM e la Commissione europea e la
possibilita' che, ai sensi dell'art. 11, n. 6, del  Regolamento  (CE)
n. 1/2003, la prima sia privata della sua competenza in favore  della
seconda, avendo l'Autorita' agito nel caso di  specie  esclusivamente
sulla base della normativa nazionale. 
    4.3.- Nel merito, il segnalante osserva quanto segue: 
    - come sottolineato nell'ordinanza di rimessione, il principio di
ragionevolezza postula che  l'intervento  legislativo,  incidente  su
beni costituzionalmente protetti, quale  la  liberta'  di  iniziativa
economica privata, sia coerente rispetto all'obiettivo  perseguito  e
non comporti effetti ultronei e sproporzionati; 
    - nel caso di specie, l'irragionevolezza sarebbe evidente, da  un
lato, nel fatto che non e' ravvisabile alcun  obiettivo  collegamento
tra le finalita' assertivamente  perseguite  (la  tutela  dei  valori
deontologici) e il regime introdotto (una deroga  ex  lege,  volta  a
inibire, in toto ed a priori, l'applicazione delle norme antitrust ad
iniziative disciplinari di organi professionali); e, dall'altro,  nel
rilievo  che  l'effetto  prodotto  (il  sacrificio  di   un   «nucleo
essenziale delle regole in materia di concorrenza») sarebbe  ultroneo
rispetto alla finalita' perseguita; 
    - non vi sarebbe alcun conflitto fra disciplina concorrenziale  e
disciplina deontologica tale  da  richiedere  la  previsione  di  una
deroga volta a  preservare  l'ambito  disciplinare  da  una  supposta
invasione di campo da  parte  dell'autorita'  (europea  o  nazionale)
antitrust; 
    - al contrario, i due regimi, purche' correttamente interpretati,
coesisterebbero: l'azione disciplinare puo' esplicarsi in presenza di
effettive violazioni deontologiche, dando luogo all'irrogazione delle
relative  sanzioni,   mentre   l'intervento   antitrust   si   svolge
ogniqualvolta risulti che «in singoli casi [...] si sia verificato un
accordo concorrenziale poi tradottosi anche in forma di  uno  o  piu'
provvedimenti disciplinari»; 
    - quanto  all'asserita  violazione  dell'art.  117,  primo  comma
Cost.,  la  qualificazione  ex  lege   degli   atti   funzionali   al
promovimento dell'azione disciplinare come SIEG,  operata  dal  comma
1-bis dell'art. 93-ter, si porrebbe manifestamente al di fuori  della
consolidata interpretazione dell'art. 106, paragrafo 2, TFUE, operata
dalla Corte di giustizia, dal momento che gli atti  disciplinari  non
costituiscono una prestazione di beni o servizi su un mercato; che in
relazione ad essi non si riscontrano,  ovviamente,  market  failures;
che non vi e' stato uno specifico mandato ad hoc  per  l'assolvimento
del servizio; che, in ogni  caso,  anche  ad  ammettere  che  possano
ricorrere i presupposti per il conferimento di  un  SIEG,  la  deroga
prevista   dalla   citata   disposizione    comunitaria    imporrebbe
un'applicazione  restrittiva  coerente   con   rigorosi   canoni   di
necessita'  e  proporzionalita',  da  applicarsi  sulla  base  di  un
apposito accertamento in concreto. 
    4.4.- Per il caso in  cui  la  Corte  deneghi  la  legittimazione
dell'Autorita', il notaio P. D.M. ritiene  doveroso  svolgere  alcune
considerazioni. 
    Andrebbe verificato, in particolare, se la distonia fra il  comma
1-bis dell'art. 93-ter della legge notarile e l'art.  106,  paragrafo
2,  TFUE   non   possa   essere   risolta   mediante   ricorso   alla
interpretazione comunitariamente conforme ovvero alla disapplicazione
della norma interna confliggente con il parametro europeo. 
    Secondo  il  notaio  segnalante,  l'ordinanza  non   si   sarebbe
interrogata al riguardo, probabilmente perche' nell'istruttoria si e'
dedotta l'applicazione dell'art. 2 della legge antitrust e non  della
corrispondente norma europea (l'art. 101 TFUE). 
    Andrebbe tuttavia tracciata una distinzione tra l'istruttoria  in
cui la norma di legge e' stata invocata e la legge medesima: la prima
sarebbe vicenda di rilevanza locale soggetta al parametro  domestico,
mentre la seconda, proprio perche' destinata ad operare con  riguardo
a un numero indeterminato di ipotesi replicabili su scala  nazionale,
sarebbe suscettibile di  incidere,  anche  solo  potenzialmente,  sul
«commercio fra stati membri», presentando quindi i  tipici  connotati
di una fattispecie rilevante per le norme del Trattato. 
    Ne consegue che il  rimettente  avrebbe  potuto  tentare  la  via
dell'interpretazione conforme, ritenendo  che  la  qualificazione  di
SIEG  operata  dal  comma  1-bis  dell'art.  93-ter  non  valga   con
riferimento a quegli  atti  che,  in  esito  ad  un  accertamento  da
svolgersi caso per caso da parte dell'autorita'  antitrust,  rivelino
un  esercizio   strumentale   di   prerogative   (solo   formalmente)
disciplinari; ovvero, in alternativa, disapplicare la norma nazionale
contraria agli invocati parametri europei direttamente applicabili. 
    5.- Con atto depositato nella cancelleria di questa  Corte  il  3
luglio 2018,  si  e'  costituito  il  notaio  R.  G.,  aderendo  alle
argomentazioni esposte dall'Autorita' rimettente e concludendo per la
declaratoria di illegittimita' costituzionale delle norme censurate. 
    5.1.- In punto di fatto il notaio R. G. ha premesso: 
    - di esercitare la professione in Milano sin dal 1990 e di  avere
nel tempo attuato misure organizzative, anche  attraverso  l'utilizzo
strumenti informatici, allo scopo di  rendere  piu'  spedito  e  meno
costoso il ricorso alle procedure contrattuali previste  dalla  legge
e, in particolare, nel settore della «portabilita'» dei mutui; 
    - di avere ricevuto  negli  ultimi  anni  migliaia  di  atti,  in
particolare quietanze di surroga rilasciate dalla banca cedente  alla
banca cessionaria, cosi' diventando uno dei notai piu'  «performanti»
del distretto e sullo stesso piano nazionale; 
    - di avere subito irrituali iniziative disciplinari da parte  del
Consiglio  nazionale  del  notariato  (d'ora  innanzi  anche:  CNN  o
Consiglio nazionale), che aveva cercato di frenare la  sua  attivita'
con l'intento esplicito di promuovere una «perequazione» dei proventi
tra i  notai  del  distretto,  cioe'  con  uno  scopo  esplicitamente
anticoncorrenziale; 
    - di essere stato indotto dal palese intento persecutorio di tali
iniziative  ad  intervenire  nel  procedimento  a  quo  gia'  avviato
dall'AGCM nei confronti del CNN (su segnalazione di altro notaio  del
distretto del pari sottoposto a procedimento disciplinare) per intesa
restrittiva della concorrenza; 
    5.2.- Cio' premesso in punto di fatto,  il  notaio  interveniente
nel procedimento a quo ha aderito alla tesi del rimettente  circa  la
sua   legittimazione   a   sollevare   questione   di    legittimita'
costituzionale,  rammentando  come  la   Corte   costituzionale   sin
dall'inizio della sua attivita' abbia inteso in modo non  restrittivo
i requisiti del giudice e del giudizio, e cio' al fine di tutelare il
preminente interesse pubblico al rispetto della Costituzione. 
    Seguendo questa traiettoria, la Corte avrebbe dunque ammesso,  ad
esempio, la legittimazione degli arbitri, osservando che essi, pur se
estranei  alla  organizzazione  della  giurisdizione,  svolgono,   in
posizione  super  partes,  «funzioni   giudicanti   per   l'obiettiva
applicazione della legge» (si cita la sentenza n. 376 del 2001). 
    Anche nel caso di specie ricorrerebbe l'ipotesi di un organo,  di
per se' estraneo all'organizzazione della giurisdizione, investito di
funzioni  giudicanti  per  l'obiettiva  applicazione  della  legge  e
all'uopo posto in posizione super partes. 
    Anche in questo caso, inoltre, varrebbe  la  considerazione  che,
ove si negasse la  legittimazione  del  rimettente,  ne  risulterebbe
frustrata  «l'esigenza  di  ammettere  al   sindacato   della   Corte
costituzionale leggi che [...]  piu'  difficilmente  verrebbero,  per
altra via, ad essa sottoposte» (si cita la sentenza n. 226 del 1976). 
    Pur essendovi un'altra sede in cui  sollevare  la  questione  (il
giudizio di impugnazione avverso i provvedimenti  dell'AGCM),  negare
la legittimazione dell'Autorita' equivarrebbe, come  nel  caso  degli
arbitri,  a  precludere  la  tempestiva  soluzione  del   dubbio   di
costituzionalita' che investe, in radice, la norma  che  consente  di
instaurare  procedimenti  sanzionatori  nei  confronti  dei  consigli
notarili. 
    Inoltre, ove fosse negata la legittimazione, l'Autorita'  garante
non avrebbe altra scelta che  disapplicare  la  normativa  sospettata
d'incostituzionalita' sulla base delle norme europee, previo, se  del
caso, rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. 
    5.2.1.- L'AGCM, infatti, soddisferebbe i requisiti  che,  secondo
la giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, devono ricorrere per la
legittimazione al rinvio pregiudiziale. 
    La Corte di giustizia avrebbe gia' implicitamente riconosciuto la
legittimazione in capo ad autorita'  amministrative  indipendenti  di
altri Stati membri, anche aventi funzione di garanzia a tutela  della
concorrenza, come nel caso dell'autorita' spagnola. 
    Ove, viceversa, la Corte di giustizia ha negato la legittimazione
di un'autorita' amministrativa  indipendente,  lo  avrebbe  fatto  in
ragione delle carenze  dei  requisiti  necessari  alla  qualifica  di
«organo giurisdizionale» specifiche di  quell'autorita':  cosi',  nel
caso dell'autorita'  greca  per  la  concorrenza,  la  legittimazione
sarebbe stata negata per  le  insufficienti  garanzie  d'indipendenza
nella procedura di nomina dei suoi membri,  per  possibili  ingerenze
del potere esecutivo  e  per  l'assenza  di  una  chiara  separazione
funzionale  tra  gli  uffici  istruttori  e  quelli  decisori,  tutti
elementi non riscontrabili nel caso dell'AGCM. 
    Con riferimento a quest'ultima, andrebbe per contro  sottolineata
la chiara ed adeguata separazione organizzativa e funzionale tra  gli
uffici istruttori e il Collegio, poiche' i primi dipendono  (non  dal
secondo bensi') dal Segretario generale,  che  sovraintende  al  loro
funzionamento; nonche' la circostanza che il Collegio decide in piena
autonomia e indipendenza, senza alcuna soggezione o vincolo decisorio
rispetto alle risultanze istruttorie. 
    5.2.2.- La Corte EDU avrebbe avuto  modo  di  pronunciarsi  sulle
autorita' amministrative italiane in due casi. 
    Nel caso Menarini, avente ad oggetto una pretesa  violazione  del
diritto di accesso  al  giudice  in  riferimento  alla  giurisdizione
amministrativa, la Corte  si  sarebbe  occupata  solo  indirettamente
dell'AGCM, limitandosi ad un'apodittica affermazione che la  sanzione
pecuniaria contestata non era stata emessa «par un juge». 
    Al contrario, nel caso Grande Stevens, la Corte di Strasburgo  si
sarebbe occupata dei requisiti della CONSOB,  soffermandosi  funditus
sull'analisi  della  pertinente  normativa   e   valutando   le   sue
caratteristiche strutturali e di funzionamento. La Corte EDU  avrebbe
quindi escluso la natura di tribunale di quell'autorita', constatando
la violazione  del  principio  del  contraddittorio,  per  via  della
mancanza  di  comunicazione   delle   risultanze   istruttorie   agli
interessati e di un'udienza pubblica, nonche' l'assenza del requisito
dell'imparzialita',   in   ragione   della   inadeguata   separazione
organico-funzionale tra uffici istruttori e decisori. 
    Tutti questi elementi, invece, ricorrerebbero nel caso dell'AGCM,
che pertanto  andrebbe  qualificata  come  tribunale  anche  ai  fini
dell'applicazione dell'art. 6 CEDU. 
    5.3.- Nel merito, il notaio R. G.  premette  che  l'art.  93-ter,
comma 1-bis, della  legge  notarile  e'  frutto  di  tre  emendamenti
identici, proposti da vari deputati di partiti diversi ed opposti, al
disegno della legge di bilancio 2018: si tratterebbe, palesemente, di
una di quelle «intrusioni» nelle leggi finanziarie e di bilancio  che
nulla  hanno  a  che  fare  con  l'oggetto  del  progetto  di  legge,
espressione della cattiva e diffusa prassi parlamentare volta  a  far
passare disposizioni eterogenee frutto di interessi  particolaristici
attraverso l'iter privilegiato che hanno le leggi annuali in  materia
di finanza pubblica. 
    Cio' premesso, il notaio R. G. osserva che, secondo  alcuni,  con
la disposizione  censurata  il  legislatore  si  sarebbe  limitato  a
sancire in via di interpretazione autentica il significato  dell'art.
8, comma 2, della legge antitrust, quale gia' chiarito dalla Corte di
cassazione con la sentenza 5 maggio 2016, n.  9041,  secondo  cui  il
consiglio  notarile,  nell'esercizio  della  funzione   disciplinare,
esercita un SIEG, restando percio' esente  dall'applicabilita'  delle
norme antitrust. 
    In quell'occasione la Cassazione avrebbe ritenuto che  la  deroga
all'operativita' delle disposizioni a tutela  della  concorrenza  sia
ravvisabile  solo   per   i   comportamenti   strettamente   connessi
all'adempimento  degli  specifici  compiti  affidati   al   consiglio
notarile. 
    La norma  censurata  pretenderebbe,  invece,  di  estendere  tale
esenzione  a  tutti  gli  «atti  funzionali   al   promovimento   del
procedimento disciplinare», cioe' a tutte le attivita' intese  a  tal
fine,  anche  quando,  come  nel  caso  di  specie,  si   tratti   di
un'attivita' conoscitiva chiaramente intesa a limitare la concorrenza
e di procedimenti disciplinari strumentalmente  avviati  allo  stesso
fine. 
    5.3.1.- La deroga introdotta dal  comma  1-bis  dell'art.  93-ter
della legge notarile,  secondo  il  notaio  R.  G.,  si  porrebbe  in
frontale contrasto con l'art. 106, paragrafo 2, TFUE e,  per  il  suo
tramite, con l'art. 117, primo comma, Cost. 
    Ai sensi dell'art. 106, paragrafo 2, TFUE, le imprese  incaricate
della gestione di SIEG - come gli organi del  notariato  -  o  aventi
carattere di  monopolio  fiscale  «sono  sottoposte  alle  norme  dei
Trattati, e in particolare alle regole di concorrenza», sia pure «nei
limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti  all'adempimento,
in linea di  diritto  e  di  fatto,  della  specifica  missione  loro
affidata». 
    La  norma  recata   dall'art.   l06,   paragrafo   2,   TFUE   (e
parallelamente quella dell'art. 8, comma 2, della legge  n.  287  del
1990, che  costituisce  trasposizione  della  prima  nell'ordinamento
nazionale), in quanto avente natura derogatoria rispetto a quelle dei
Trattati poste a tutela della concorrenza, non  potrebbe  che  essere
interpretata in senso restrittivo, come confermato dalla  consolidata
giurisprudenza della Corte di giustizia:  le  attivita'  contrastanti
con  la  disciplina  antitrust   dovrebbero   non   soltanto   essere
astrattamente riconducibili ai  compiti  istituzionali  di  interesse
pubblico assegnati alle imprese esercenti un SIEG, ma anche risultare
concretamente indispensabili allo svolgimento di quei compiti  e  non
eccedere quanto necessario a quel fine. 
    5.3.2.- Sul piano dei parametri interni, secondo il notaio  R.G.,
le norme censurate violano gli artt. 3 e 41 Cost. 
    Quest'ultimo, garantendo  la  liberta'  di  iniziativa  economica
privata (di cui il mercato concorrenziale costituisce una condizione)
e la  utilita'  sociale  (di  cui,  a  sua  volta,  la  tutela  della
concorrenza e' un profilo), esigerebbe che le eccezioni  alla  regola
della concorrenza siano limitate ai casi  in  cui  sia  concretamente
necessario assicurare lo svolgimento di funzioni e il soddisfacimento
di finalita' di pubblico interesse. 
    Nella specie, al contrario, la norma impugnata  escluderebbe,  in
astratto e a priori, gli atti degli  organi  notarili  dal  controllo
sulla osservanza delle regole concorrenziali. 
    Quanto all'art. 3 Cost.,  andrebbe  rammentato  quanto  affermato
dalla Corte costituzionale,  secondo  cui  le  esigenze  di  utilita'
sociale vanno bilanciate con la concorrenza ed e' necessario  che  la
loro  individuazione  non  sia  arbitraria  e  che  esse  non   siano
perseguite mediante misure palesemente incongrue (si cita la sentenza
n. 270 del 2010). 
    6.- Con atto depositato nella cancelleria di questa  Corte  il  3
luglio 2018, si e' costituito  il  Centro  Istruttorie  spa  (CISPA),
aderendo alle  argomentazioni  esposte  dall'Autorita'  rimettente  e
concludendo per  la  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale
delle norme censurate. 
    6.1.- Il CISPA, premesso di essere intervenuto  nel  procedimento
sanzionatorio avviato dall'Antitrust nei confronti del CNM su notizia
del notaio segnalante, ha dedotto  che  la  portata  oggettiva  delle
norme censurate dall'AGCM e' stata ivi oggetto di ampia discussione. 
    Da un lato,  l'Autorita'  riterrebbe  che  la  deroga  in  esame,
rettamente interpretata, non sottragga in  via  generale  e  astratta
un'intera  categoria  di  atti  dall'ambito  di  applicazione   della
disciplina antitrust, ma consenta  di  limitarne  l'applicazione  nei
soli  casi  eccezionali   in   cui   le   condotte   aventi   effetti
anticoncorrenziali siano strettamente necessarie e  proporzionate  al
raggiungimento dell'obiettivo di interesse generale da perseguire. 
    Dall'altro, secondo il CNM,  le  norme  in  questione  dovrebbero
essere interpretate nel senso che, ogniqualvolta i consigli  notarili
agiscono in adempimento del potere-dovere di  vigilanza  disciplinare
loro affidato dalla legge, essi sarebbero sottratti  all'applicazione
della normativa  antitrust,  e  cio'  a  prescindere  dalla  concreta
analisi circa la necessita' e proporzionalita' delle  condotte  poste
in essere al raggiungimento delle finalita' di interesse generale che
i consigli sono chiamati a perseguire. 
    6.2.-  Il  CISPA,  dopo  avere  premesso  che   per   consolidata
giurisprudenza europea e nazionale  le  professioni  regolamentate  -
incluse quelle notarili - sono soggette all'applicazione del  diritto
antitrust anche nel caso in cui  perseguano  obiettivi  di  interesse
generale, deduce che la deroga oggetto di esame non  potrebbe  essere
utilizzata per garantire tout court, e senza valutazioni da compiersi
caso per caso, una esenzione di un  intero  settore  economico  dalla
applicazione della normativa antitrust. 
    L'art. 8, comma 2, della legge n. 287 del 1990 - trasponendo  nel
nostro  ordinamento  l'art.  106  TFUE  -  prevederebbe  dei   limiti
all'applicazione della disciplina antitrust per le imprese  esercenti
SIEG, solo ed esclusivamente per tutto quanto  strettamente  connesso
all'adempimento dei compiti ad esse affidati, e tale disposizione, in
quanto  derogatoria  rispetto  al  generale   divieto   di   condotte
anticoncorrenziali,  andrebbe  interpretata,  coerentemente  con   la
giurisprudenza della Corte  di  giustizia,  in  maniera  restrittiva,
verificando  con  rigore  la   necessita'   e   la   proporzionalita'
dell'esenzione per il  raggiungimento  delle  finalita'  di  pubblico
interesse. 
    Qualora, per contro, si accogliesse  l'interpretazione  estensiva
patrocinata  dal  CNM,  l'Autorita'  non  sarebbe  mai  competente  a
conoscere  delle  condotte  tenute  dai  consigli  notarili  in  sede
disciplinare, con la conseguenza che basterebbe celare  comportamenti
anticoncorrenziali con la veste  formale  di  atti  del  procedimento
disciplinare   al   fine   di   ottenere   la   completa    immunita'
dall'applicazione della disciplina antitrust. 
    6.3.- L'interpretazione fornita dal  CNM  sarebbe  in  insanabile
contrasto  con  l'art.  41  Cost.,   che   garantisce   la   liberta'
dell'iniziativa economica privata, che trova  nella  normativa  sulla
concorrenza una delle sue articolazioni fondamentali. 
    Nella sentenza n. 270 del 2010 la  Corte  costituzionale  avrebbe
chiarito come il legislatore nel bilanciamento tra  la  tutela  della
concorrenza  e  gli  altri  interessi  rilevanti  sia   chiamato   ad
assicurare la coerenza con i principi dell'ordinamento europeo e,  in
particolare, con il  Protocollo  n.  27  sul  mercato  interno  e  la
concorrenza, allegato al Trattato di Lisbona entrato in vigore il  1°
dicembre 2009, che conferma l'art. 3, lettera g, del Trattato CE,  in
forza del quale «il mercato interno ai sensi dell'art. 3 del Trattato
dell'Unione  europea  comprende  un  sistema  che  assicura  che   la
concorrenza non sia falsata». 
    In tale contesto, qualsiasi misura del legislatore nazionale  che
rechi pregiudizio  al  sistema  concorrenziale  del  mercato  interno
avrebbe natura derogatoria ed eccezionale, e in quanto tale  dovrebbe
essere l'unico mezzo in grado di garantire al giusto la tutela  degli
altri interessi costituzionali coinvolti. 
    6.4.- Nell'interpretazione offerta dal CNM le norme  oggetto  del
giudizio di costituzionalita' violerebbero anche l'art. 3 Cost.,  per
contrasto  con  il  principio  di  ragionevolezza:   esse,   infatti,
imporrebbero  il  sacrificio  della  concorrenza  in  assenza  di  un
ragionevole e proporzionato  bilanciamento  tra  principi  e  diritti
fondamentali. 
    6.5.- Le norme censurate, poi, nell'interpretazione  offerta  dal
CNM, violerebbero anche l'art. 117, primo comma, Cost., ponendosi  in
netto contrasto sia con l'art. 101  TFUE,  che  prevede  il  generale
divieto di intese restrittive che possano pregiudicare  il  commercio
tra Stati membri, sia con l'art. 106, paragrafo 2, TFUE, che, secondo
la Corte  di  giustizia,  impone  di  verificare  caso  per  caso  la
proporzionalita' dell'esenzione dalla normativa antitrust  in  favore
delle imprese affidatarie di SIEG. 
    7.- Con atto depositato nella cancelleria di questa  Corte  il  3
luglio 2018, e' intervenuto il  Consiglio  nazionale  del  notariato,
eccependo l'inammissibilita' e  la  non  fondatezza  della  questione
sollevata. 
    7.1.- Dopo avere ricostruito lo svolgimento  del  procedimento  a
quo e i contenuti dell'ordinanza di rimessione, il CNN ha dedotto  la
propria  evidente  legittimazione  ad  intervenire  nel  giudizio  di
costituzionalita'. 
    L'interveniente   rammenta   che,    secondo    la    consolidata
giurisprudenza  costituzionale,  possono  intervenire  nel   giudizio
incidentale le sole parti del giudizio principale e i terzi portatori
di un interesse  qualificato,  immediatamente  inerente  al  rapporto
sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari
di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura. 
    La questione controversa nel procedimento amministrativo a quo  -
prosegue il CNN -  e'  l'applicabilita'  o  meno  delle  norme  sulla
concorrenza agli atti funzionali  al  promovimento  del  procedimento
disciplinare nei confronti dei notai. Il  procedimento  disciplinare,
ai sensi dell'art. 93-ter, comma 1, della legge notarile, e'  avviato
dal   consiglio   notarile   di   afferenza,   se   viene    rilevata
l'inosservanza, oltre che di leggi e regolamenti, anche «di  principi
e  norme  deontologiche  elaborati  dal   Consiglio   nazionale   del
notariato».  In  tali  ipotesi  l'elemento  costitutivo   del   fatto
disciplinarmente rilevante deriva da una determinazione del CNN,  cui
spetta in via esclusiva, in forza  dell'art.  2,  lettera  f),  della
legge 3 agosto 1949, n. 577 (Istituzione del Consiglio nazionale  del
notariato e modificazioni alle norme sull'amministrazione della Cassa
nazionale del  notariato),  la  funzione  di  elaborare  principi  di
deontologia professionale. 
    Sarebbe dunque di «piana evidenza» che l'esito  del  giudizio  di
costituzionalita'  e'  destinato  ad   avere   un'incidenza   diretta
sull'esercizio delle attribuzioni del CNN, perche' assoggettare  alla
legge  antitrust  gli  atti  dei  consigli  notarili  funzionali   al
promovimento dell'azione disciplinare equivarrebbe  a  comprimere  la
portata  precettiva  dei  principi  e  delle  norme  di   deontologia
professionale   elaborate   dal   Consiglio   nazionale.    Di    qui
l'ammissibilita' del suo intervento. 
    La conferma di tale ammissibilita' si ritrarrebbe dalla  sentenza
n. 171 del 1996, ove la Corte ha ammesso a intervenire  nel  giudizio
incidentale il Consiglio nazionale forense, benche' non  fosse  parte
del giudizio a quo, osservando che le questioni di  costituzionalita'
sollevate incidevano sullo statuto degli avvocati e dei procuratori e
il  loro  esito  non  era  quindi  indifferente  all'esercizio  delle
attribuzioni di quel Consiglio. 
    Infine ed «in via del tutto residuale», secondo  l'interveniente,
e'  innegabile  il  coinvolgimento  degli  interessi  generali  della
categoria notarile, il che dovrebbe legittimare  ex  se  l'intervento
del CNN, in quanto organismo cui la legge  affida  la  rappresentanza
istituzionale dell'intera categoria dei notai. 
    7.2.-  Il  Consiglio  nazionale  interveniente  ha  poi  eccepito
l'inammissibilita'  delle  questioni   sollevate   per   difetto   di
legittimazione dell'AGCM. 
    7.2.1.- In primo luogo, l'Autorita' non sarebbe un giudice ma una
semplice  amministrazione  al  pari  di  tutte  le  altre   autorita'
amministrative indipendenti. 
    Numerosi sarebbero gli indici che  depongono  in  tal  senso:  1)
l'espressa qualificazione legislativa  delle  autorita'  indipendenti
come amministrazioni, operata dall'art. 4 della legge 21 luglio 2000,
n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa);  2)  la
sottoposizione dei provvedimenti (ossia di atti  estrinsecazione  del
potere amministrativo) al sindacato del  giudice  amministrativo,  ai
sensi dell'art. 133 comma 1, lettera l), dell'Allegato 1  del  d.lgs.
n. 104 del 2010 (su questa «insormontabile  difficolta'»  l'ordinanza
tacerebbe del tutto); 3) la sottoposizione  al  controllo  anche  del
giudice contabile, ai sensi dell'art. 10, comma 7, della legge n. 287
del  1990;  4)  l'obbligo  del  rispetto  dei  principi  del  diritto
amministrativo e, ove non derogate dalle discipline di settore, delle
disposizioni «comuni» sul procedimento amministrativo. 
    Lo  stesso  potere  sanzionatorio  riconosciuto  alle   autorita'
indipendenti, quale strumento repressivo e preventivo  di  vigilanza,
sarebbe un tipico potere amministrativo: la sanzione  sarebbe  sempre
irrogata  mediante  un  provvedimento  esercizio  di   una   potesta'
amministrativa,  cui  la  Corte  costituzionale   tuttora   riconosce
autonomia dal diritto penale (si citano le sentenze n. 68 e n. 43 del
2017, n. 49 del 2015). 
    La giurisprudenza costituzionale non  avrebbe  mai  dubitato  che
tutte le  funzioni  dell'AGCM  siano  formalmente  e  sostanzialmente
amministrative, come nel caso della recente sentenza n. 269 del 2017,
ove le funzioni dell'Autorita' - e in particolare quella di vigilanza
sul mercato oggetto della presente controversia - sono definite  come
«servizio pubblico» e come «attivita' dell'Amministrazione». 
    Afferma poi  il  CNN  che,  «Senza  addentrarsi  nel  tema  della
discrezionalita' tecnica, della sua natura,  del  conseguente  ambito
dello scrutinio del giudice amministrativo,  delle  analogie  con  la
discrezionalita' amministrativa e delle differenze con il  potere  di
apprezzamento del giudice», secondo la giurisprudenza amministrativa,
nel  caso  delle  valutazioni  delle   autorita'   indipendenti,   la
discrezionalita' tecnica non esclude affatto un potere di adozione di
una scelta di opportunita'. 
    L'Autorita', in ogni caso, non sarebbe  affatto  paragonabile  al
giudice, chiamato ad applicare in via  generale  la  legge  e  non  a
tutelare uno specifico interesse pubblico (nella specie  quello,  sia
pur rilevante, della concorrenza), e cio' sarebbe tanto piu' vero nel
caso di valutazioni che non rispondono alle  norme  delle  cosiddette
«scienze dure», bensi' a criteri elastici  tipici  delle  valutazioni
socio-economiche  (come  le  nozioni  di  «mercato  rilevante»  o  di
«posizione dominante», di violazioni «hard core» o «leggere»). 
    Che l'AGCM mantenga uno spazio insopprimibile di discrezionalita'
amministrativa sarebbe poi pacifico in giurisprudenza quanto meno  in
relazione a tre profili della sua attivita', di  immediata  rilevanza
nel caso di specie: 1) la determinazione del quantum  delle  sanzioni
in caso di violazione delle norme antitrust, da operarsi non  secondo
valutazioni di carattere tecnico-scientifico ma in  applicazione  dei
principi di ragionevolezza e proporzionalita', ossia «i cardini della
comune azione amministrativa»; 2) la decisione  sugli  "impegni",  ai
sensi dell'art. 14-ter della  legge  antitrust,  ossia  la  decisione
sulla proposta con cui i soggetti vigilati si dichiarano  disposti  a
cessare le  attivita'  anticoncorrenziali  e  a  porre  rimedio  agli
effetti gia' prodotti; 3) l'adozione delle norme di organizzazione  e
funzionamento, ai sensi dell'art. 10, comma 6, della legge n. 287 del
1990. 
    Proprio le norme di autorganizzazione  sarebbero  di  particolare
rilievo, ove si consideri che la delibera del 6  settembre  2012,  n.
23863,  di  adozione  della   «Comunicazione   sulle   procedure   di
applicazione dell'articolo 14-ter della legge  10  ottobre  n.  287»,
afferma che la decisione sull'accoglimento degli impegni deve  essere
assunta  tenendo  conto  anche  «dell'interesse   dell'Autorita'   al
proseguimento del procedimento istruttorio» (ossia di quell'interesse
che il rimettente esclude in capo a se stesso); e che la delibera  22
ottobre 2014, n. 25152,  recante  «Linee  Guida  sulla  modalita'  di
applicazione  dei   criteri   di   quantificazione   delle   sanzioni
amministrative pecuniarie  irrogate  dall'Autorita'  in  applicazione
dell'articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90», all'art. 1,  comma
2, afferma che,  «nell'esercizio  del  potere  di  irrogare  sanzioni
amministrative pecuniarie, l'Autorita' dispone di un ampio margine di
discrezionalita'». 
    Alla luce di tali dati normativi e giurisprudenziali, non sarebbe
revocabile in dubbio che l'AGCM svolge le  sue  funzioni  esercitando
non solo discrezionalita' tecnica ma anche amministrativa,  assumendo
decisioni tipiche di una pubblica amministrazione. 
    Andrebbe poi considerato che all'Autorita', al di la'  di  quanto
stabiliscono le singole norme della legge antitrust (in  particolare,
l'art. 4, comma 2),  spettano  i  generali  poteri  di  revoca  e  di
autoannullamento di cui sono titolari tutte le amministrazioni e  non
i giudici. 
    7.2.2.- Osserva il CNN come l'AGCM affermi di essere  legittimata
a sollevare questione di legittimita' costituzionale alla luce  della
ratio di fondo della giurisprudenza costituzionale sull'art. 23 della
legge n. 87 del 1953,  ossia  quella  di  evitare  zone  franche  dal
controllo di costituzionalita'. 
    Secondo l'interveniente, tuttavia, nel caso di  specie  non  solo
non sussisterebbe alcuna zona franca o cono  d'ombra,  ma  la  stessa
Autorita' riconoscerebbe che «il solo problema e' che il sindacato di
costituzionalita' sarebbe "difficile"». 
    Come affermato dalla Corte costituzionale (si citano le  sentenze
n. 35 del 2017, n. 1 del 2014, n. 384 del 1991 e n. 226 del  1976)  e
come chiarito in dottrina, tuttavia, le zone franche si avrebbero nei
casi in cui la disposizione censurata non trovi applicazione  innanzi
al giudice  comune,  sicche'  nell'ordinamento  difetta  un'autorita'
giurisdizionale che  possa  prospettare  il  dubbio  di  legittimita'
costituzionale, ovvero nei casi in cui non vi sia  un  interesse  che
possa muovere un soggetto di diritto ad instaurare  una  controversia
nel corso della quale il giudicante  possa  essere  chiamato  a  fare
applicazione della disposizione sospettata d'incostituzionalita'. 
    Tali  circostanze,  tuttavia,  non  ricorrerebbero  nel  caso  di
specie, poiche' il giudice amministrativo e' competente a  scrutinare
tutti gli  atti  della  pubblica  amministrazione,  ivi  compresa  la
delibera di anticipata chiusura del procedimento  antitrust  resa  in
applicazione dell'art. 93-ter, comma  1-bis,  della  legge  notarile;
perche' il promovimento della quaestio di legittimita' costituzionale
non presenterebbe alcun onere maggiore (ne'  di  ordine  processuale,
ne' di ordine sostanziale)  rispetto  al  promovimento  di  qualsiasi
altra questione incidentale; perche' il rimedio da attivare da  parte
del privato sarebbe di tipo comune e ordinario;  perche'  l'autorita'
giudiziaria  chiamata  a  sollevare  la  questione  sarebbe  terza  e
indipendente; perche', diversamente da quanto accade nei procedimenti
di parificazione dei  bilanci  pubblici,  la  disposizione  censurata
potrebbe  essere  oggetto  di  un'effettiva  (e  non  improbabile   o
«difficile») controversia tra diversi soggetti di  diritto  portatori
di interessi contrapposti. 
    Seguendo la tesi dell'Autorita', per contro, si sovvertirebbe  il
modello dello scrutinio di costituzionalita' incidentale,  successivo
e concreto. Per il solo perseguimento dell'interesse alla concorrenza
nel mercato (che  sarebbe  cosi'  discriminatoriamente  sovraordinato
rispetto a tutti gli altri interessi costituzionali), si disegnerebbe
un modello preventivo e astratto, in cui l'AGCM  non  assumerebbe  la
veste di giudice rimettente ma  di  parte  privilegiata,  dotata  del
potere di accesso diretto alla Corte costituzionale. 
    7.2.3.- Nemmeno potrebbe condividersi  la  tesi  del  rimettente,
secondo cui la sua legittimazione deriverebbe anche  dalla  funzione,
di rilevanza costituzionale, di tutela della concorrenza assegnatagli
dal legislatore. 
    Non sarebbe la funzione (ne' il suo  rilievo  costituzionale)  ad
assicurare a  qualsivoglia  soggetto  istituzionale  la  qualita'  di
giudice  incaricato  di  sovrintendere  a  un  giudizio:   l'Istituto
nazionale della previdenza sociale  (INPS),  ad  esempio,  tutela  il
diritto costituzionale alla tutela previdenziale e assistenziale,  ma
non per questo si puo' immaginare che, eventualmente in sede di esame
del ricorso amministrativo, possa sollevare una  quaestio  avente  ad
oggetto una norma in materia previdenziale. 
    7.2.4.- Anche l'argomentazione facente leva sull'applicazione del
principio  del  contraddittorio  non   sarebbe   idonea   a   fondare
l'ammissibilita' della questione, per il semplice motivo che esso  e'
un principio generale  del  procedimento  amministrativo  e  perche',
comunque, quello innanzi l'AGCM non e' pieno e non e' paragonabile  a
quello giudiziale (come riconosciuto dal rimettente,  quando  ricorda
che il soggetto  privato  segnalante  non  e'  parte  necessaria  del
procedimento). 
    Rammenta il CNN che, secondo la giurisprudenza amministrativa, il
piu' intenso livello di  contraddittorio  e'  quello  previsto  dalla
legge processuale, ossia il contraddittorio «orizzontale e paritario»
(tra due parti in posizioni di parita' rispetto ad un decidente terzo
e  imparziale),   mentre   il   contraddittorio   procedimentale   e'
normalmente   di    tipo    «verticale»    (tra    l'interessato    e
l'Amministrazione, titolare del potere e collocata su  un  piano  non
paritario)  ed  ha  essenzialmente  una  funzione   collaborativa   e
partecipativa, piuttosto che difensiva. 
    7.2.5.-  Osserva  ancora  l'interveniente  che  altro   argomento
utilizzato dall'Autorita'  a  sostegno  della  sua  legittimazione  a
sollevare questione di legittimita' costituzionale e' l'analogia  tra
gli effetti prodotti dai suoi provvedimenti e quelli del giudicato. 
    Anche questo argomento sarebbe fallace, poiche' gli  effetti  dei
provvedimenti dell'AGCM non sarebbero diversi da quelli  prodotti  da
ogni altro provvedimento amministrativo, una volta decorsi i  termini
d'impugnazione. 
    Essi non sono analoghi al giudicato,  come  dimostra  il  rilievo
gia' svolto che l'Autorita' garante, al pari di  tutte  le  pubbliche
amministrazioni, e' titolare del potere di  autotutela,  che  non  e'
compatibile con la condizione di certezza e stabilita'  dei  rapporti
giuridici e di definitiva garanzia dell'accertamento di un diritto (o
di un interesse legittimo) che e' prodotta dal giudicato. 
    7.2.6.-   Nemmeno   avrebbe   rilievo   la   dedotta    posizione
d'indipendenza dei componenti del Collegio,  poiche'  essa  puo'  ben
essere un tratto caratterizzante molteplici autorita' amministrative,
mentre l'indipendenza del giudice  avrebbe  una  sua  particolarita',
tipica, che la colloca su un piano distinto da quello  di  tutti  gli
altri soggetti istituzionali. 
    Tale rilievo - prosegue  l'interveniente  -  emerge  anche  dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia, che, con la sentenza del  31
maggio 2005, in causa 53/03, Syfait e altri, si  e'  dichiarata  «non
competente» a rispondere alle questioni  sottopostele  dall'autorita'
greca per la concorrenza, concernenti l'interpretazione dell'art. 102
TFUE, in materia di abuso di  posizione  dominante,  sulla  base  del
duplice  rilievo  che   i   (pur   presenti)   presidi   a   garanzia
dell'indipendenza  e  dell'imparzialita'  dei  componenti  non  erano
sufficienti a connotare l'amministrazione statale come soggetto terzo
rispetto al Governo, e, soprattutto, che «un'autorita' garante  della
concorrenza quale l'Epitropi Antagonismou e'  tenuta  a  lavorare  in
stretta collaborazione con la Commissione delle Comunita' europee  e,
ai sensi dell'art. 11, n. 6, del Regolamento (CE)  del  Consiglio  16
dicembre 2002 [...], puo' essere privata della propria competenza  da
una decisione della Commissione». 
    Tale   ultimo   aspetto,   in   particolare,   escluderebbe    la
proponibilita'  della  questione  pregiudiziale,  che   puo'   essere
sollevata solo «da un organo chiamato a statuire su una  controversia
pendente dinanzi ad esso nell'ambito di un procedimento  destinato  a
risolversi in una pronuncia di carattere giurisdizionale». 
    7.2.7.- In definitiva, secondo il CNN, l'AGCM, come sostenuto  in
dottrina, sarebbe un'amministrazione pubblica che svolge attivita' di
amministrazione contenziosa e i procedimenti in esame  potrebbero  al
piu' essere qualificati come «quasi giurisdizionali» (ma  pur  sempre
amministrativi). 
    7.3.- Nel merito, le censure sarebbero infondate. 
    7.3.1.- Rammenta il  CNN  che  la  Corte  costituzionale  con  la
sentenza n.  270  del  2010  ha  chiarito  che:  1)  la  liberta'  di
concorrenza  costituisce  un  valore  basilare  della   liberta'   di
iniziativa economica funzionale alla protezione degli  interessi  dei
consumatori; 2) il primo comma  dell'art.  41  Cost.  e'  in  stretto
collegamento logico-sistematico con l'art.  3  Cost.;  3)  l'art.  41
Cost.,  «stabilendo  che  l'iniziativa  economica  privata  non  puo'
svolgersi in contrasto con "l'utilita' sociale" ed in modo da  recare
danno alla  sicurezza,  alla  liberta'  ed  alla  dignita'  umana,  e
prevedendo che l'attivita' economica pubblica e privata  puo'  essere
indirizzata e coordinata a "fini sociali", consente  una  regolazione
strumentale a garantire la tutela anche di interessi diversi rispetto
a quelli correlati all'assetto concorrenziale del mercato garantito». 
    Tanto  accadrebbe  nel  caso  di  specie,  in   cui   la   tutela
dell'iniziativa economica privata necessariamente  recede  di  fronte
all'esigenza prevalente di garantire certezza nei rapporti giuridici,
esigenza che e' istituzionalmente connessa alla figura  professionale
dei notai, depositari della publica  fides  e  dotati  di  poteri  di
certificazione  erga  omnes   di   atti   e   situazioni   giuridiche
fondamentali per la convivenza civile. 
    Sarebbe del tutto ragionevole, dunque,  che  la  vigilanza  e  il
controllo sugli atti e sulla  condotta  dei  singoli  notai,  nonche'
l'esercizio della funzione  disciplinare  siano  affidati  agli  enti
esponenziali della categoria;  e  che  l'ordinamento  del  notariato,
sebbene non impermeabile ai principi  della  liberta'  di  iniziativa
economica e del libero esplicarsi del gioco  della  concorrenza,  sia
anzitutto volto a garantire la legittimita' e la qualita' dei servizi
resi, in direzione della protezione degli interessi dei consumatori. 
    Ancora, a testimonianza della ragionevolezza  delle  disposizioni
censurate, dovrebbe considerarsi che dalla qualita' e dall'efficienza
della funzione notarile (al cui rispetto e' preordinata  la  funzione
di vigilanza sottratta alla concorrenza) deriverebbero  la  riduzione
dei costi sociali dovuti alla prevenzione del contenzioso e  maggiori
garanzie in termini  di  certezza  delle  transazioni  e  degli  atti
redatti dai notai, il che  risponderebbe  alle  ragioni  di  utilita'
sociale e ai fini sociali, contemplati,  rispettivamente,  dai  commi
secondo e terzo dell'art. 41 Cost. 
    7.3.2.- Priva di fondatezza, oltre  che  apodittica,  sarebbe  la
censura  di  violazione  dell'art.  117,  primo  comma,   Cost.,   in
riferimento all'art. 106, paragrafo 2, TFUE. 
    Il rimettente, infatti, non si sarebbe premurato di effettuare il
test di proporzionalita' secondo i noti canoni  impiegati  sia  dalla
Corte di giustizia che  dalla  Corte  costituzionale,  giungendo  per
saltum alla inaccettabile conclusione della loro incompatibilita' con
il diritto eurounitario e costituzionale. 
    Al di la' dell'inammissibilita' della censura, secondo il CNN, il
principio di proporzionalita' e' pienamente rispettato,  dal  momento
che l'esercizio  del  potere  disciplinare  da  parte  del  consiglio
notarile integra un SIEG e la sua  specifica  missione  consisterebbe
nella tutela di interessi che vanno ben al di  la'  di  quelli  della
categoria su cui sono chiamati a  vigilare,  nella  salvaguardia  del
pubblico  interesse  all'esercizio  di  funzioni  notarili  di   alta
qualita' e nella soggezione uniforme di tutti  i  notai  ai  principi
deontologici elaborati dal CNN. 
    8.- I notai P.D.M. e R.G., il CISPA e  il  CNN  hanno  depositato
memorie  illustrative  con  cui   hanno   insistito   nelle   proprie
argomentazioni  e  replicato  a  quelle  avversarie,  prendendo,   in
particolare,   nuovamente    posizione    sulla    questione    della
legittimazione dell'AGCM (tutti tranne  il  CISPA)  e  sulla  diretta
applicabilita' o meno dell'art. 106, paragrafo 2, TFUE, invocato  dal
rimettente quale parametro interposto. 
    La CISPA ha poi dedotto che il sopravvenuto  art.  93-ter,  comma
1-bis, non si applicherebbe alle condotte  oggetto  del  procedimento
sanzionatorio a quo ma solo a quelle successive all'entrata in vigore
della legge. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Collegio dell'Autorita' garante della  concorrenza  e  del
mercato (AGCM) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41  e  117,
primo comma, della Costituzione - quest'ultimo in relazione  all'art.
106, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione  europea
(TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di  Lisbona  del  13
dicembre 2007, ratificato  dalla  legge  2  agosto  2008,  n.  130  -
questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  93-ter,  comma
1-bis, della legge 16 febbraio  1913,  n.  89  (Sull'ordinamento  del
notariato e degli archivi notarili) e dell'art.  8,  comma  2,  della
legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della  concorrenza
e del mercato). 
    1.1.- La  prima  delle  due  disposizioni  censurate,  introdotta
dall'art. 1, comma 495, lettera c), della legge 27 dicembre 2017,  n.
205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e
bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020),  prevede  che  «Agli
atti funzionali al  promovimento  del  procedimento  disciplinare  si
applica l'articolo 8, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287». 
    A sua volta, l'art. 8, comma 2,  della  legge  n.  287  del  1990
(d'ora in avanti anche: legge  antitrust),  in  conformita'  all'art.
106, paragrafo 2, TFUE,  prevede  che  «Le  disposizioni  di  cui  ai
precedenti  articoli  non  si  applicano  alle   imprese   che,   per
disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse
economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato,
per  tutto  quanto  strettamente   connesso   all'adempimento   degli
specifici compiti loro affidati». 
    1.2.-  Secondo  il  rimettente,  tali  disposizioni,   sottraendo
all'applicazione  della  legge  antitrust  gli  atti  funzionali   al
promovimento  del  procedimento  disciplinare  posti  in  essere  dai
consigli notarili, violano, in primo luogo, gli artt. 3 e  41  Cost.,
perche' la deroga al nucleo essenziale delle regole sulla concorrenza
opera per un intero segmento di attivita' e senza che sia  consentito
«alcun bilanciamento tra principi  e  diritti  fondamentali,  secondo
criteri di proporzionalita' e ragionevolezza». 
    Esse violerebbero, in secondo luogo,  l'art.  117,  primo  comma,
Cost., in relazione all'art.  106,  paragrafo  2,  TFUE,  perche'  il
parametro interposto consentirebbe la deroga  alle  norme  di  tutela
della concorrenza solo ove sia necessaria per garantire l'adempimento
della specifica  missione  affidata  alle  imprese  incaricate  della
gestione  di  un  servizio  economico  d'interesse  generale  e   sia
rispettosa del principio di proporzionalita', secondo una valutazione
da operarsi non in astratto ma in concreto e caso per caso. 
    2.- In via preliminare, va confermata l'ordinanza dibattimentale,
letta all'udienza pubblica  del  4  dicembre  2018  e  allegata  alla
presente sentenza, con  la  quale  e'  stato  dichiarato  ammissibile
l'intervento del Consiglio nazionale del notariato (CNN). 
    La costante giurisprudenza di questa  Corte  (tra  le  tante,  si
vedano le sentenze n. 180 del 2018, n. 275 e n. 85 del 2017;  nonche'
le ordinanze allegate alle sentenze n. 29 e n. 16 del 2017, n. 237  e
n. 82 del 2013, n. 272 del 2012, n. 349 del 2007, n. 279 del  2006  e
n. 291 del 2001) e' nel  senso  che  la  partecipazione  al  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale e' circoscritta, di norma,
alle parti del giudizio a quo, oltre che al Presidente del  Consiglio
dei ministri e, nel caso di  legge  regionale,  al  Presidente  della
Giunta regionale (artt. 3 e 4 delle Norme integrative per  i  giudizi
davanti alla Corte costituzionale). 
    Si e' anche precisato, pero', che a tale disciplina e'  possibile
derogare - senza venire in contrasto con il carattere incidentale del
giudizio di costituzionalita' - a favore di soggetti terzi che  siano
titolari di un  interesse  qualificato,  immediatamente  inerente  al
rapporto  sostanziale  dedotto  in  giudizio  e   non   semplicemente
regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di
censura. 
    Tale e' il caso di specie, poiche', da un lato, la  questione  di
legittimita'  costituzionale  cade  su  disposizioni  che   esonerano
dall'ambito di applicazione delle norme sugli illeciti concorrenziali
gli  atti  dei  consigli  notarili  funzionali  al  promovimento  del
procedimento disciplinare, e il Consiglio nazionale del notariato  e'
per legge attributario del  compito,  di  rilievo  pubblicistico,  di
elaborazione dei principi e delle norme  deontologiche  applicate  in
sede disciplinare dai consigli medesimi; e,  dall'altro,  il  CNN  e'
rappresentante istituzionale del notariato italiano (sentenze n.  180
del 2018 e n. 171 del 1996). 
    3.- Il rimettente e le  parti,  fatta  eccezione  per  il  Centro
Istruttorie spa, hanno trattato  funditus  la  questione  preliminare
della legittimazione dell'AGCM  (d'ora  in  avanti  anche:  Autorita'
garante  o  Autorita')  a   sollevare   questione   di   legittimita'
costituzionale in via incidentale. 
    3.1.- Questa Corte,  nel  vagliare  l'esistenza  dei  presupposti
perche', ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale  9  febbraio
1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimita' costituzionale e  sulle
garanzie d'indipendenza della Corte costituzionale)  e  dell'art.  23
della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento della Corte  costituzionale),  possa  essere  sollevata
questione di  legittimita'  costituzionale  in  via  incidentale,  e'
andata approfondendo sin dall'inizio della sua attivita'  le  nozioni
di «giudice» e di «giudizio». 
    Si  deve  rilevare,  in  generale,  che  in   questa   operazione
ermeneutica le due nozioni sono state intese in modo elastico e avuto
riguardo alle peculiari esigenze del caso concreto,  tutte  le  volte
che il rimettente si  collocava  istituzionalmente  negli  interstizi
delle categorie dell'amministrazione e della giurisdizione, ossia  in
quella che si e' andata delineando come una "zona grigia", alimentata
dai    concorrenti    ed    inversi    fenomeni     storici     della
"giurisdizionalizzazione"      dell'amministrazione      e      della
"amministrativizzazione" della giurisdizione; e cio'  nel  dichiarato
obiettivo  di  consentire  il  piu'  ampio  accesso  possibile   alla
giustizia costituzionale ed escludere l'esistenza di  "zone  franche"
dal controllo di costituzionalita'. 
    3.2.- Dalla giurisprudenza costituzionale emergono peraltro delle
direttrici che permettono la ricostruzione del quadro normativo e  la
risoluzione dei casi dubbi. 
    Si e' chiarito, in primo  luogo,  che  «i  termini  "giudizio"  e
"causa" tanto nella legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1,  quanto  nella
legge 11 marzo 1953, n. 87 (art. 23) e nelle norme integrative per  i
giudizi davanti a questa Corte, vengono adoperati in maniera generica
e con vario significato» e che,  pur  avendo  il  nostro  ordinamento
«condizionato  la  proponibilita'  della  questione  di  legittimita'
costituzionale alla esistenza di un procedimento o di un giudizio, e'
vero altresi' che il preminente interesse pubblico della certezza del
diritto (che i dubbi di  costituzionalita'  insidierebbero),  insieme
con l'altro  dell'osservanza  della  Costituzione,  vieta  che  dalla
distinzione tra le varie categorie di giudizi e  processi  (categorie
del resto dai confini sovente  incerti  e  contestati),  si  traggano
conseguenze  cosi'  gravi»  (sentenza  n   129   del   1957),   quale
l'esclusione del controllo di costituzionalita' (nello stesso  senso,
si vedano le successive sentenze n. 226 del 1976 e n. 121 del 1966). 
    Questa tendenza, evidentemente volta all'affermazione  piena  del
principio di costituzionalita', tocca il suo apice in quelle sentenze
che ravvisano i requisiti  di  accesso  in  presenza  di  mere  "zone
d'ombra", ossia di situazioni in cui l'allargamento dei  concetti  di
giudice o  giudizio  appare  necessaria  non  solo  per  attrarre  al
controllo di costituzionalita' un'area che altrimenti  ne  resterebbe
esclusa  ma  anche  per   ammettere   «al   sindacato   della   Corte
costituzionale leggi che,  come  nella  fattispecie  in  esame,  piu'
difficilmente  verrebbero,  per  altra  via,  ad   essa   sottoposte»
(sentenze n. 89 del 2017, n. 181 del 2015 e n. 226 del 1976). 
    Essa, poi, si coglie in  quel  filone  giurisprudenziale  che,  a
partire dalla sentenza n. 12 del 1971 e sino  ai  giorni  nostri  (si
vedano, da ultimo, le sentenze n. 262 e n. 213 del 2017), utilizza le
categorie del giudice e del giudizio «ai limitati fini»  o  «ai  soli
fini» della legittimazione  a  sollevare  questione  di  legittimita'
costituzionale, cosi'  implicitamente  ammettendo  che  esse  possano
differire da quelle valide ad altri, anche piu' generali, fini. 
    In tal modo e' stato possibile consentire il giudizio incidentale
di costituzionalita' pur in presenza di aspetti  di  volta  in  volta
soggettivamente o oggettivamente di difficile riconduzione a generali
e predeterminati schemi concettuali. 
    Si e' cosi'  affermato  che,  «per  aversi  giudizio  a  quo,  e'
sufficiente  che  sussista  esercizio  di  "funzioni  giudicanti  per
l'obiettiva applicazione della legge" da  parte  di  soggetti,  "pure
estranei all'organizzazione della giurisdizione", "posti in posizione
super partes" (sentenze n. 387 del 1996, n. 226 del 1976 e n. 83  del
1966)» (sentenza n. 376 del 2001). 
    Peraltro, in caso di organi creati dopo l'entrata in vigore della
Costituzione, il rischio di un aggiramento del divieto di istituzione
di nuovi giudici speciali posto dall'art. 102, secondo comma,  Cost.,
e' stato ben presente a questa  Corte,  che  infatti  ha  tratto  dal
divieto in parola un argomento decisivo per escludere nei casi  dubbi
la natura giurisdizionale del rimettente (sentenze n. 387 del 1996  e
n. 44 del 1968). 
    4.- Dalla sia  pure  elastica  giurisprudenza  di  questa  Corte,
emerge, dunque, per quanto qui rileva,  che  sono  stati  considerati
legittimati a  sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale
anche organi non incardinati in un ordine giudiziario  ma  sempre  in
presenza dell'essenziale requisito della terzieta'. 
    5.- Nel caso dell'Autorita' rimettente tale requisito manca. 
    Essa -  come  e'  noto  -  e'  parte  (resistente)  del  processo
amministrativo   avente   ad   oggetto   l'impugnazione   dei    suoi
provvedimenti, ai sensi degli artt. 133, comma 1, lettera l), e  134,
comma  1,  lettera  c),  dell'Allegato   1   (Codice   del   processo
amministrativo)  al  decreto  legislativo  2  luglio  2010,  n.   104
(Attuazione dell'articolo 44 della  legge  18  giugno  2009,  n.  69,
recante  delega   al   governo   per   il   riordino   del   processo
amministrativo),  che  prevedono  la  giurisdizione   esclusiva   sui
provvedimenti delle autorita' indipendenti e quella di merito per  le
sanzioni pecuniarie irrogate. 
    I provvedimenti dell'Antitrust sono dunque sottoposti  al  vaglio
del giudice amministrativo, al pari di qualsiasi altro provvedimento,
e tra gli atti impugnabili ad opera dei terzi  controinteressati,  in
base  alle  normali  regole  processuali  in  tema  di  interesse   e
legittimazione  all'impugnazione,  rientrano   i   provvedimenti   di
chiusura  dell'istruttoria,  anche  detti   negativi   o   assolutori
(Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 29 luglio  2011,  n.
15; Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 22 giugno 2011, n. 3751;
Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 3  febbraio  2005,  n.  280;
Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 14 giugno 2004, n. 3865). 
    L'Autorita', inoltre, in forza dell'art. 21-bis  della  legge  n.
287 del 1990, introdotto dall'art. 35, comma 1, del  decreto-legge  6
dicembre  2011,  n.  201  (Disposizioni  urgenti  per  la   crescita,
l'equita' e il consolidamento dei conti  pubblici),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha anche assunto
la  inedita   posizione   di   parte   processuale   ricorrente   per
l'impugnazione  davanti  al  giudice  amministrativo  degli  atti  di
qualsiasi amministrazione pubblica che  violino  le  norme  a  tutela
della concorrenza e del mercato. 
    Non puo' non osservarsi, poi, che la legittimazione  a  stare  in
giudizio spetta  all'Autorita'  e  non  ai  suoi  uffici  inquirenti,
perche',  contrariamente  a  quanto   sostenuto   nell'ordinanza   di
rimessione, non puo' ravvisarsi una netta separazione tra gli  uffici
e il Collegio, attesa l'esistenza, ai sensi dell'art.  11,  comma  5,
della legge n. 287 del 1990, di un nesso funzionale tra Segretario  e
Presidente, cui il  primo  «risponde»  anche  del  funzionamento  dei
servizi e  degli  uffici  medesimi  (nello  stesso  senso,  nel  caso
dell'Autorita' della concorrenza greca, la sentenza  della  Corte  di
giustizia, Grande sezione, 31  maggio  2005,  C-53/03,  Synetairismos
Farmakopoion Aitolias & Akarnanias (Syfait) e altri). 
    6.- La tesi del rimettente contrasta, dunque, con  quanto  questa
Corte ha affermato  e  cioe'  che  gli  organi  giurisdizionali  sono
«estranei per definizione alla situazione sostanziale»  (sentenza  n.
243 del 1989), che la posizione del giudice esclude qualsiasi,  anche
indiretto, interesse alla causa  da  decidere  (sentenza  n.  18  del
1989), che il giudice  «non  puo'  essere  considerato  super  partes
quando appare portatore di  uno  degli  interessi  in  conflitto  dal
momento che la  censura  investe  proprio  il  provvedimento  da  lui
emesso» (sentenza n. 128 del 1974),  che  «uno  dei  dati  che  danno
carattere   giurisdizionale   ad   un   organo    e'    l'estraneita'
dell'interesse  in  ordine  al  quale  esso  da'  la  sua  pronunzia»
(sentenza n. 110 del 1967). 
    Alla stregua di tali principi  e'  stata  ad  esempio  negata  la
legittimazione  del  pubblico  ministero  a  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale (si vedano la sentenza n. 40 del  1963  e
l'ordinanza n. 249 del 1990). 
    6.1.-  Tale  ontologica  incompatibilita'  tra  la  posizione  di
giudice  e  di  parte  processuale  nel  giudizio  avverso  i  propri
provvedimenti e' stata  poi  affermata,  a  proposito  del  Consiglio
nazionale forense, sia dalla  Corte  di  cassazione  (tra  le  tante,
Cassazione, sezione prima civile, sentenza 21 maggio 2018, n.  12461;
sezioni unite, sentenza 24 gennaio 2013, n. 1716), che dalla Corte di
giustizia, con la sentenza della  Grande  sezione,  17  luglio  2014,
C-58/13,  Torresi,  secondo  cui,  «a  differenza  di  un   Consiglio
dell'ordine degli avvocati locale che, nell'ambito  del  procedimento
avviato dal ricorso contro una decisione  del  Consiglio  dell'ordine
medesimo, e'  una  parte  dinanzi  al  Consiglio  nazionale  forense,
quest'ultimo non puo' essere parte nel procedimento  avviato  dinanzi
alla Corte suprema di cassazione contro la  decisione  in  merito  al
ricorso avverso il Consiglio dell'ordine  interessato.  Il  Consiglio
Nazionale   Forense   possiede   pertanto,   come   richiesto   dalla
giurisprudenza della Corte (v. sentenza Wilson, EU:C:2006:587,  punto
49), la posizione di terzieta' rispetto all'autorita' che ha adottato
la decisione oggetto del ricorso». 
    Specularmente, con riferimento al Garante per la  protezione  dei
dati  personali,  ma  con  ragionamento  estensibile   a   tutte   le
amministrazioni  indipendenti,  si  e'  affermato   che   l'Autorita'
partecipa al giudizio di impugnativa di un suo atto, quale sia  stato
il procedimento che lo  ha  preceduto,  per  far  valere  davanti  al
giudice lo stesso interesse pubblico di cui e' portatrice  (Corte  di
Cassazione, sezione prima civile, sentenza 20 maggio 2002, n. 7341). 
    7.-  Le  considerazioni  che   precedono   escludono   anche   la
possibilita', prospettata dal rimettente, di una  sua  configurazione
di giudice «ai limitati fini» per la ritenuta esigenza  di  garantire
il rispetto del principio di costituzionalita' e  quindi  di  evitare
l'esistenza di una zona franca  (il  controllo  di  costituzionalita'
sarebbe escluso) ovvero (e contraddittoriamente) una zona d'ombra (il
controllo sarebbe «estremamente difficile», o piu' difficile o  «poco
agevole»). 
    Si  e'  visto,  infatti,  che  esiste  una  sede  giurisdizionale
agevolmente accessibile in cui puo' essere promossa la  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    Cosi', nel caso di  specie,  l'eventuale  atto  di  archiviazione
dell'Autorita' garante, che dovesse ritenere preclusa la prosecuzione
del procedimento sanzionatorio nei confronti del  Consiglio  notarile
di Milano in forza dell'art. 93-ter,  comma  1-bis,  della  legge  16
febbraio 1913, n. 89 (Sull'ordinamento del notariato e degli  archivi
notarili), potrebbe essere  impugnato  dal  notaio  segnalante  e  da
quello interveniente, interessati alla prosecuzione del  procedimento
finalizzato all'accertamento della natura in tesi  anticoncorrenziale
e abusiva delle  funzioni  di  vigilanza  esercitate  dal  CNM  e  al
conseguente ordine di eliminazione delle condotte integranti illecito
antitrust. 
    7.1.- Non vale poi obiettare, come fa il rimettente, che, ove non
fosse  riconosciuta  la  sua  legittimazione,  «la  possibilita'   di
sottoporre la suddetta previsione al sindacato  di  costituzionalita'
sarebbe rimessa solo alla eventuale iniziativa  giurisdizionale,  del
tutto discrezionale, del soggetto privato segnalante, peraltro  parte
non necessaria del procedimento», poiche' cio' risponde  alla  stessa
struttura del giudizio incidentale di costituzionalita'. 
    8.- La veste processuale di parte riflette, del resto, la  natura
del potere  attribuito  all'Autorita':  una  funzione  amministrativa
discrezionale,   il   cui   esercizio   comporta   la    ponderazione
dell'interesse primario con gli altri interessi pubblici e privati in
gioco. 
    Essa, infatti, al pari di tutte le amministrazioni, e' portatrice
di un interesse pubblico specifico, che e' quello alla  tutela  della
concorrenza e del mercato (artt. 1 e 10 della legge n. 287 del 1990),
e quindi non e' in posizione di indifferenza e  neutralita'  rispetto
agli interessi e alle posizioni soggettive  che  vengono  in  rilievo
nello svolgimento della sua  attivita'  istituzionale  (si  veda,  in
questo senso, gia' Consiglio di Stato, commissione  speciale,  parere
29 maggio 1998, n. 988/97). 
    Cio'  emerge  con  particolare  evidenza  nei  rilevanti   poteri
pararegolatori e consultivi attribuiti all'Autorita'  garante  (artt.
21, 22, 23 e 24 della legge antitrust e art.  23-bis,  comma  4,  del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante  «Disposizioni  urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita',  la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria»)
e nell'ampio margine di discrezionalita' amministrativa  che  connota
istituti  quali  le  autorizzazioni  in  deroga  di  intese  vietate,
l'accettazione degli "impegni" e i cosiddetti programmi  di  clemenza
(rispettivamente, artt. 4, 14-ter e  15,  comma  2-bis,  della  legge
antitrust). 
    8.1.- Si  aggiunga  che  l'attivita'  dell'Autorita'  garante  si
sviluppa nell'ambito di un contraddittorio che non si  differenzia  -
se non per la sua intensita' - da quello  procedimentale  classico  e
che  resta  di  natura  verticale,  proprio  perche'  il  privato  si
confronta con un soggetto che, nell'irrogazione  della  sanzione,  in
quanto titolare di un ben definito  interesse  pubblico,  non  e'  in
posizione di parita' (Consiglio di Stato,  sezione  VI,  sentenza  26
marzo 2015, n. 1596; sezione VI, sentenza 11 gennaio 2016, n. 38). 
    9.- Si deve pertanto concludere che le questioni di  legittimita'
costituzionale dell'art. 93-ter, comma 1-bis, della legge n.  89  del
1913 e dell'art. 8, comma 2, della legge n. 287 del  1990,  sollevate
dall'AGCM, sono  inammissibili  per  difetto  di  legittimazione  del
rimettente.