ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  32,  comma
1, lettera a), della legge 29 aprile 1949, n. 264  (Provvedimenti  in
materia di avviamento  al  lavoro  e  di  assistenza  dei  lavoratori
involontariamente disoccupati) e dell'art. 1, comma 55,  della  legge
24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di attuazione del Protocollo  del  23
luglio 2007 su  previdenza,  lavoro  e  competitivita'  per  favorire
l'equita' e la  crescita  sostenibili,  nonche'  ulteriori  norme  in
materia di lavoro e previdenza  sociale),  promosso  dalla  Corte  di
cassazione, sezione lavoro, nel procedimento  vertente  tra  Mohammed
Mounji e  altro  e  l'Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale
(INPS), con ordinanza del 24 novembre 2017, iscritta  al  n.  36  del
registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visti gli atti di costituzione di Mohammed  Mounji  e  dell'INPS,
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  22  gennaio  2019  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati Silvia Assennato e Gioia Sacconi per  Mohammed
Mounji, Vincenzo Stumpo per l'INPS e l'avvocato dello Stato Enrico De
Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 24 novembre  2017  (reg.  ord.  n.  36  del
2018), la Corte di  cassazione,  sezione  lavoro,  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt.  3  e  38  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 32, primo  comma,  lettera  a),
della legge 29 aprile 1949,  n.  264  (Provvedimenti  in  materia  di
avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente
disoccupati), e dell'art. 1, comma 55, della legge 24 dicembre  2007,
n. 247 (Norme di attuazione del Protocollo  del  23  luglio  2007  su
previdenza, lavoro e  competitivita'  per  favorire  l'equita'  e  la
crescita sostenibili, nonche' ulteriori norme in materia di lavoro  e
previdenza sociale). 
    1.1.- La Corte di cassazione  riferisce  in  punto  di  fatto  di
essere investita del ricorso proposto da Mohammed Mounji e da Azedine
Mounji - lavoratori agricoli a tempo indeterminato dal 1992 al  2008,
licenziati il 31 dicembre 2008 - contro  l'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale (INPS) avverso la sentenza della  Corte  d'appello
di Brescia n. 159 del 2012 che aveva rigettato l'appello degli stessi
lavoratori avverso la sentenza del Tribunale ordinario di Mantova che
aveva respinto la loro domanda intesa  a  ottenere  «l'indennita'  di
disoccupazione per l'anno 2009». Con la  citata  sentenza,  la  Corte
d'appello di Brescia  aveva  ritenuto  irrilevante  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  della  disciplina  dell'indennita'   di
disoccupazione agricola dettata dall'art. 32,  primo  comma,  lettera
a), della legge n. 264 del 1949, in quanto  i  lavoratori  ricorrenti
avevano precisato di non avere diritto a tale indennita' perche'  non
iscritti negli appositi elenchi, con cio' «acquietandosi del diniego»
della stessa da parte dell'INPS,  non  impugnato  nella  causa.  Essa
aveva  inoltre  ribadito  che  i  ricorrenti  non   avevano   diritto
all'indennita' di disoccupazione ordinaria non agricola, in quanto  i
loro  contributi  erano  stati  versati  nella  «gestione   agricola»
dell'INPS. La Corte rimettente espone che il ricorso  per  cassazione
e' proposto per due motivi. Con il primo, e'  dedotta  la  violazione
dell'art. 24 della  legge  9  marzo  1989,  n.  88  (Ristrutturazione
dell'Istituto nazionale  della  previdenza  sociale  e  dell'Istituto
nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro).  Tale
disposizione ha previsto che «tutti i contributi versati» affluiscono
in  un'«unica  gestione»  che  eroga  le  prestazioni   previdenziali
temporanee.  Pertanto  i  giudici  di  merito  avrebbero  errato  nel
ritenere che i contributi versati dai ricorrenti erano  destinati  al
finanziamento  esclusivamente   dell'indennita'   di   disoccupazione
agricola e che essi non avevano  percio'  i  requisiti  per  ottenere
l'indennita' di disoccupazione non agricola. Con il  secondo  motivo,
e'  dedotta  l'omessa  pronuncia  sulla  domanda,  proposta  in   via
subordinata,  di  riconoscimento  dell'indennita'  di  disoccupazione
agricola, previa rimessione alla Corte costituzionale di questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 32, primo  comma,  lettera  a),
della legge n. 264 del 1949. Si precisa che l'INPS ha  resistito  con
controricorso eccependo, quanto al primo motivo,  che  ai  ricorrenti
non spetta l'indennita' di disoccupazione non agricola  perche',  nel
biennio anteriore alla cessazione del rapporto di lavoro,  non  hanno
il requisito di cinquantadue settimane di contribuzione versata nella
gestione per l'assicurazione contro tale  disoccupazione;  quanto  al
secondo motivo,  che  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
prospettata dai ricorrenti e' irrilevante perche'  nel  giudizio  non
era stata proposta alcuna domanda di  riconoscimento  dell'indennita'
di disoccupazione agricola. 
    1.2.- La Corte di cassazione espone alcune premesse in  punto  di
diritto. 
    Essa afferma anzitutto che, in base al censurato art.  32,  primo
comma, lettera a),  della  legge  n.  264  del  1949,  ai  lavoratori
agricoli   a   tempo   indeterminato,   spetta    un'indennita'    di
disoccupazione per una durata pari alla differenza tra il  numero  di
270 e il numero delle giornate di lavoro prestate nell'anno  (con  il
limite di 180 giornate annue). Da cio' conseguirebbe che «[a] chi  ha
lavorato per  un  periodo  di  tempo  superiore  non  spetta  nessuna
indennita'  di  disoccupazione  agricola».  Il   giudice   rimettente
aggiunge che lo stesso art. 32, primo comma, lettera a), non  estende
ai lavoratori agricoli a tempo indeterminato il trattamento ordinario
di disoccupazione. 
    La Corte di cassazione asserisce, in secondo luogo, che, in  base
al censurato art. 1, comma 55,  della  legge  n.  247  del  2007,  al
lavoratore agricolo a tempo determinato, che superi 270  giornate  di
lavoro prestate nell'anno e perda il lavoro in prossimita' della fine
dello stesso, spetta l'indennita' di disoccupazione per un numero  di
giornate pari a quelle in cui ha lavorato, entro  il  limite  di  365
giornate. 
    Il giudice rimettente espone poi che, nonostante quanto  disposto
dall'art. 24 della legge n. 88 del 1989, i due  sistemi  assicurativi
contro la disoccupazione, rispettivamente, ordinaria e agricola, «non
[sono] complementari», sicche' «[l]'ordinamento  [...]  non  consente
[...] che venga erogata l'indennita' di disoccupazione  ordinaria  ai
lavoratori agricoli a tempo indeterminato». 
    Il giudice a quo rappresenta ancora la specificita'  del  sistema
di protezione contro la disoccupazione agricola, evidenziando che  la
distinzione di  tale  sistema  rispetto  alla  protezione  contro  la
disoccupazione non agricola e' oggi positivamente stabilita dall'art.
2, comma 3, della legge  28  giugno  2012,  n.  92  (Disposizioni  in
materia di riforma del mercato  del  lavoro  in  una  prospettiva  di
crescita) e dall'art. 2, comma 1, del  decreto  legislativo  4  marzo
2015, n. 22 (Disposizioni per il riordino della normativa in  materia
di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di
ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della  legge
10 dicembre 2014, n. 183); disposizioni che, entrambe, escludono «gli
operai agricoli a tempo  determinato  o  indeterminato»  dall'accesso
alle  nuove  prestazioni  dell'Assicurazione  sociale  per  l'impiego
(ASpI)  e  della  Nuova  prestazione  di  assicurazione  sociale  per
l'impiego (NASpI). 
    La specificita' della prestazione  assicurativa  riconosciuta  ai
disoccupati agricoli starebbe, in particolare,  nel  fatto  che  essa
«consiste  [...]  nell'erogazione,  in  una   unica   soluzione,   di
un'indennita' nell'anno successivo a quello in cui si  e'  verificato
l'evento della cessazione del rapporto di lavoro; a prescindere dalla
permanenza o meno dello stato di disoccupazione del lavoratore». 
    1.3.- Cio' premesso,  il  rimettente  afferma  che  le  questioni
sollevate «in relazione alla disciplina della disoccupazione agricola
e non agricola» sono rilevanti in  quanto  si  deve  ritenere  che  i
ricorrenti «abbiano proposto in giudizio due  domande,  chiedendo  il
riconoscimento di uno dei  trattamenti  (disoccupazione  ordinaria  e
disoccupazione  agricola)  previsti  [...]   contro   lo   stato   di
disoccupazione involontaria». Tali due domande mostrerebbero  che  lo
scopo del  giudizio  instaurato  dai  lavoratori  ricorrenti  era  di
«ottenere  una  delle  prestazioni  previste  contro  lo   stato   di
disoccupazione involontaria, dovendo le domande  essere  interpretate
alla  luce  del  bene  della  vita  il  cui  conseguimento  muove  al
giudizio». Non rileverebbe pertanto che nelle conclusioni del ricorso
introduttivo   non   fosse   contenuta   l'esplicita   richiesta   di
accertamento del diritto alla prestazione di disoccupazione  agricola
e di condanna dell'INPS al pagamento di essa, «dovendo ritenersi  che
la stessa istanza fosse implicita nella richiesta di rimessione della
questione di costituzionalita' dell'art.  32  [...]  1°  comma  legge
264/49 e comunque presente nel contenuto complessivo del ricorso». 
    Il giudice a quo precisa che  «viene  in  rilievo  la  disciplina
[...] vigente alla data dei  fatti  di  causa,  avendo  i  ricorrenti
chiesto l'indennita' di disoccupazione per l'anno 2009 essendo  stati
licenziati nel 2008». 
    Sarebbe invece inapplicabile, ratione temporis, la disciplina che
risulta dall'art. 2, comma 3, della legge n. 92 del 2012 e  dall'art.
2, comma 1, del d.lgs. n. 22  del  2015,  i  quali  assoggetterebbero
tutti i lavoratori agricoli, sia a  tempo  determinato  che  a  tempo
indeterminato, alla disciplina dell'art. 1, comma 55, della legge  n.
247 del 2007. 
    1.4.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni,  il
rimettente afferma di sollevarle «sotto il  profilo  della  mancanza,
inadeguatezza   ed   irragionevolezza   della   tutela   contro    la
disoccupazione riservata dall'ordinamento ai  lavoratori  agricoli  a
tempo indeterminato che come  i  ricorrenti  siano  stati  licenziati
verso la fine dell'anno [...], dopo aver lavorato per 270 giornate». 
    Dopo   avere   richiamato   la   giurisprudenza    della    Corte
costituzionale in tema di protezione dei lavoratori  agricoli  contro
la disoccupazione involontaria, il  giudice  a  quo  afferma  che  la
specificita' di tale protezione e la discrezionalita' del legislatore
al riguardo non consentono, comunque, alla stregua degli artt. 3 e 38
Cost., che i lavoratori agricoli  a  tempo  indeterminato  licenziati
verso la fine dell'anno siano privati di qualsiasi tutela  contro  la
disoccupazione involontaria. 
    Ne' sarebbe compatibile con la Costituzione una disciplina  della
disoccupazione agricola che e' «congegnata senza  tener  conto  delle
condizioni oggettive del mercato  del  lavoro,  del  tipo  di  lavoro
prestato e del bisogno in quanto tale (mancanza di lavoro)». 
    Secondo   il   rimettente,   la   speciale    disciplina    della
disoccupazione agricola sarebbe conforme a  Costituzione  «se  rimane
coerente alle caratteristiche occupazionali intermittenti e  di  tipo
stagionale proprie del settore  agricolo;  secondo  fasi  determinate
dalle culture praticate e dalle  condizioni  metereologiche»,  mentre
non sarebbe «razionale ed equa (art. 3  Cost.)»,  quando  vengano  in
rilievo  «contratti  come  quelli  a  tempo  indeterminato  legati  a
condizioni  di  lavoro  che   non   hanno   le   caratteristiche   di
discontinuita' che sono supposte a fondamento della specialita' della
stessa disciplina». 
    Il giudice a quo  afferma,  in  particolare,  che  verrebbero  in
rilievo «attivita' lavorative e professionalita' impiegate in settori
produttivi che non sono legati a cicli stagionali»,  come  dimostrato
dal caso dei lavoratori ricorrenti che, prima di  essere  licenziati,
avevano lavorato, versando i contributi, per sedici  anni,  «per  poi
essere lasciati senza alcun  ammortizzatore  sociale  alla  fine  del
rapporto di lavoro». 
    Il  rimettente  rappresenta  inoltre  che   si   tratterebbe   di
lavoratori che, per la loro professionalita' - inerente,  appunto,  a
settori non connotati da «discontinuita'  produttiva»  -,  potrebbero
non trovare  alcun  impiego  nell'anno  successivo,  sicche'  non  si
spiegherebbe   perche',   davanti   «allo   stesso   spettro    della
disoccupazione» in tale anno, essi siano privati di qualunque tutela,
«benche' sussista lo stato di  disoccupazione  involontaria  al  pari
degli altri lavoratori dipendenti a tempo indeterminato». 
    Andrebbe ancora considerato che l'inquadramento previdenziale dei
lavoratori segue la qualificazione del loro datore di lavoro  e  che,
tenuto conto dell'ampia  nozione  di  imprenditore  agricolo  dettata
dall'art. 2135 del codice civile, molte delle  attivita'  svolte  dai
lavoratori agricoli a tempo indeterminato «non  sono  necessariamente
contraddistinte da fasi di lavoro discontinue e da  cicli  stagionali
tali da garantire soltanto condizioni di lavoro discontinuo». 
    Cio'   nonostante,   «secondo   l'ordinamento   vigente   ratione
temporis», i dipendenti a tempo indeterminato di tali imprese, per il
solo  fatto  di  essere  stati  licenziati  il  31   dicembre,   «non
percepiscono  alcuna  indennita'  di   disoccupazione,   secondo   il
meccanismo di computo  dell'indennita'  ancorato  alle  270  giornate
indennizzabili, benche' dal punto di vista contributivo possano  aver
gia'  maturato  i  requisiti   per   ottenere   la   prestazione   di
disoccupazione  comune  nonostante  i  loro  contributi   affluiscano
all'unica gestione per le prestazioni temporanee». 
    Percio' non si giustificherebbe un sistema indennitario contro la
disoccupazione  dei  lavoratori  agricoli   a   tempo   indeterminato
«costruito esclusivamente sulla base del  meccanismo  delle  giornate
indennizzabili (ex art. 32 l. 264/1949), in relazione  alle  giornate
lavorate nell'anno precedente e pertanto inidoneo a dare una adeguata
tutela ai lavoratori che perdono il lavoro verso la  fine  dell'anno;
con lesione del loro diritto alla protezione secondo l'art. 38  della
Costituzione [...]. Non si scorge cioe' alcuna apprezzabile  ragione,
ex art. 3 Cost., in base alla quale il  trattamento  dello  stato  di
disoccupazione di tali lavoratori - simile a quello dei lavoratori  a
tempo indeterminato degli altri settori - sia rapportato invece  alle
modalita' di protezione dei lavoratori agricoli a  tempo  determinato
per tradursi praticamente in una mancanza di tutela». 
    Sotto un «diverso profilo», non si giustificherebbe, alla stregua
dell'art. 3 Cost., che i lavoratori agricoli a tempo indeterminato in
questione  siano  trattati  in  modo  deteriore  anche,  «almeno  con
riferimento al periodo di tempo che viene in  rilievo  nella  causa»,
rispetto agli stessi operai agricoli a  tempo  determinato,  «da  cui
mutuano le caratteristiche fondamentali della modulazione del sistema
di protezione (le giornate indennizzabili)». Questi ultimi,  infatti,
a parita' di lavoro nell'anno, oltre le 270 giornate, godono  di  una
tutela piu' ampia, dato che l'art. 1, comma 55, della  legge  n.  247
del 2007  assicura  loro  un'integrazione  nell'anno  successivo  del
reddito percepito nell'anno precedente «qualsiasi sia il numero delle
giornate lavorate fino al 31.12». 
    Il giudice rimettente  argomenta  che,  poiche'  l'indennita'  di
disoccupazione  agricola  costituisce  un'integrazione  del   reddito
percepito nell'anno precedente, non si comprenderebbero la funzione e
il motivo di tale disparita' di trattamento, per cui, a fronte  della
stessa data di cessazione del rapporto di lavoro a ridosso della fine
dell'anno,   il   lavoratore   a   tempo    determinato    percepisce
un'integrazione reddituale mentre quello a tempo indeterminato non ne
percepisce alcuna. 
    Il giudice a quo asserisce infine che le questioni sollevate sono
diverse da quelle oggetto della sentenza della  Corte  costituzionale
n. 194 del 2017  perche'  non  riguardano,  come  in  quel  caso,  il
«computo del requisito contributivo (pacificamente sussistente e  non
contestato in capo ai ricorrenti)», ma sono dirette a  «garantire  in
concreto l'individuazione e l'erogazione di un trattamento protettivo
per chi ha lavorato, nel 2008, fino alla fine  dell'anno  e  comunque
oltre le 270 giornate all'anno (limite non valevole per i  lavoratori
a tempo determinato)». 
    1.5.-  Il   rimettente   chiede,   «allo   scopo»,   alla   Corte
costituzionale di dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  delle
«norme indicate», in riferimento agli artt. 3 e  38  Cost.,  «laddove
escludono (l'art. 32 n. 264/1949) che venga corrisposto ai lavoratori
agricoli  a  tempo   indeterminato,   in   possesso   dei   requisiti
assicurativi, il trattamento di  disoccupazione  ordinario  riservato
agli altri  lavoratori  a  tempo  indeterminato;  ed,  in  subordine,
laddove non prevedono (l'art. 32 cit. e l'articolo 1 della  legge  24
dicembre 2007,  n.  247)  che  si  applichi  ai  medesimi  lavoratori
agricoli lo stesso trattamento previsto per i lavoratori a termine». 
    La Corte di cassazione solleva quindi questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 32, primo comma, lettera a), della legge  n.
264 del 1949 e dell'art. 1, comma 55, della legge n.  247  del  2007,
«nella parte in cui  escludono  la  protezione  contro  lo  stato  di
disoccupazione dei lavoratori  agricoli  a  tempo  indeterminato  nei
termini di cui ai motivi». 
    2.- Si e' costituito nel giudizio Mohammed Mounji, ricorrente nel
processo principale,  chiedendo  che  le  questioni  sollevate  siano
dichiarate fondate. 
    2.1.- La parte sottolinea che in tale processo aveva  chiesto  il
riconoscimento di «uno dei trattamenti [di] disoccupazione  ordinaria
o agricola» - dopo che l'INPS li aveva entrambi negati, rigettando le
sue domande -, con la conseguente rilevanza delle questioni. 
    2.2.- Quanto al merito delle stesse, egli afferma di  condividere
le argomentazioni dell'ordinanza di rimessione. 
    Dopo avere rappresentato che, in base all'art. 32 della legge  n.
264 del 1949, al lavoratore agricolo a tempo indeterminato licenziato
dopo avere lavorato per  piu'  di  270  giornate  non  spetta  alcuna
indennita' di disoccupazione, la parte asserisce che le  disposizioni
censurate, negando ogni tutela in caso di disoccupazione involontaria
dei lavoratori agricoli a tempo indeterminato  «licenziati  verso  la
fine dell'anno», violerebbe, anzitutto, l'art. 38 Cost. 
    Secondo  lo  stesso   ricorrente,   le   disposizioni   censurate
violerebbero anche l'art. 3 Cost. 
    Cio',  in  primo  luogo,  sotto  il  profilo  dell'ingiustificata
disparita'  di  trattamento  delle  due  categorie,  «sostanzialmente
omogenee», dei  lavoratori  a  tempo  indeterminato  agricoli  e  non
agricoli.  La  parte  sottolinea  al  riguardo  che,  «fondandosi  la
specificita' del lavoro agricolo sulla stagionalita',  dal  punto  di
vista del lavoratore a tempo  indeterminato  non  e'  ragionevolmente
giustificabile la [...] difformita'  di  trattamento  con  gli  altri
lavoratori del settore non agricolo in assenza  delle  condizioni  di
discontinuita' poste a fondamento della specialita' della  disciplina
agricola». 
    La violazione dell'art. 3 Cost. sussisterebbe, in secondo  luogo,
«rispetto ai lavoratori agricoli a tempo determinato,  a  parita'  di
periodo lavorativo, oltre le 270 giornate». 
    3.- Si e' costituito nel giudizio l'INPS, resistente nel processo
principale, chiedendo che le  questioni  sollevate  siano  dichiarate
inammissibili o infondate. 
    3.1.-  Dopo  avere  ricostruito  il  quadro   «storico-normativo»
dell'indennita'  ordinaria  di  disoccupazione  per  gli  operai  del
settore agricolo, l'INPS afferma la  notevole  diversita'  di  questa
prestazione rispetto a quella in favore dei  lavoratori  degli  altri
settori produttivi. La  prima  e'  riconosciuta  per  un  periodo  di
disoccupazione gia' completamente trascorso; e' determinata  in  base
al numero delle giornate di lavoro prestate nell'anno di riferimento;
e' erogata l'anno successivo a quello della cessazione  del  rapporto
di lavoro. Essa, pertanto, «assicura [...] dal bisogno per periodi di
inattivita' gia'  decorsi  [...]  e  garantisce  al  disoccupato  del
settore agricolo un  "minimo  di  reddito  annuo",  indipendentemente
dalla condizione di occupazione o disoccupazione  del  lavoratore  al
momento in cui il sussidio viene chiesto e liquidato». 
    L'indennita' ordinaria  di  disoccupazione  per  gli  operai  del
settore agricolo «si qualifica  sostanzialmente  come  una  forma  di
integrazione  salariale  concessa   ex   post   [...]   senza   alcun
collegamento con la ricerca di nuova occupazione». 
    3.2.- Tanto  premesso,  secondo  l'INPS  le  questioni  sollevate
sarebbero, anzitutto, inammissibili. 
    3.2.1.- Tale inammissibilita' sarebbe dovuta, in primo luogo,  al
difetto di motivazione sulla rilevanza delle stesse. 
    L'INPS eccepisce, in particolare, che il giudice  rimettente  non
si sarebbe «fatt[o]  carico  di  motivare  in  ordine  alla  concreta
impossibilita' degli  assicurati  nel  giudizio  a  quo  di  ottenere
l'indennita' di  disoccupazione  agricola,  applicando  il  principio
[...] enunciato con la [...] sentenza n.  194/2017»  -  segnatamente,
quello secondo cui, «[i]n situazioni analoghe a  quella  oggetto  del
giudizio a quo [...] il lavoratore  agricolo  a  tempo  indeterminato
potra' [...] ottenere l'indennita'  di  disoccupazione  agricola  per
l'anno "per il quale [essa] e' richiesta" [...],  dato  che,  pur  in
mancanza di contributi accreditati in tale anno, avendo lavorato  per
l'intero anno "precedente" [...], ha senz'altro conseguito,  in  tale
solo anno,  il  necessario  accredito  "complessivo"  di  almeno  102
contributi giornalieri» (punto 3. del Considerato in diritto). 
    Lo stesso Istituto afferma  ancora  che  le  questioni  sollevate
sarebbero «comunque irrilevant[i] qualora si volesse far  riferimento
alla disoccupazione agricola per l'anno 2009», giacche' il rimettente
non ha addotto la proposizione della relativa domanda  amministrativa
entro il 31 marzo dell'anno successivo 2010, «circostanza  [...]  che
comporta ictu oculi  l'improponibilita'  dell'azione  giurisdizionale
per ottenere  l'indennita'  di  disoccupazione  agricola  per  l'anno
2009». 
    3.2.2.- L'inammissibilita' delle  questioni  sarebbe  dovuta,  in
secondo luogo, al fatto che la «soluzione» prospettata nell'ordinanza
di   rimessione   comporterebbe   «un   intervento    di    carattere
additivo-manipolativo» tale da minare  «l'intera  architettura  della
tutela della disoccupazione in agricoltura». 
    L'INPS  deduce  che  l'accoglimento  delle  questioni   sollevate
determinerebbe   «un   vuoto   normativo   [...]    dirompente    per
l'imponderabile effetto "a cascata" che esso avrebbe su una  numerosa
serie di disposizioni normative». 
    3.2.3.-  La  questione  sollevata  in  via  subordinata  sarebbe,
infine,  inammissibile  perche'  il  giudice  a   quo   non   avrebbe
«compiutamente ricostruito il quadro normativo applicabile». 
    L'INPS osserva in proposito che «il parametro delle 270  giornate
non e' piu' in vigore» a seguito del disposto dell'art. 1,  comma  2,
del decreto-legge 29 marzo 1991,  n.  108  (Disposizioni  urgenti  in
materia di sostegno dell'occupazione), convertito, con modificazioni,
nella legge 1° giugno 1991, n. 69, con la conseguenza che, per  tutti
gli  operai  agricoli,  sia  a  tempo   determinato   sia   a   tempo
indeterminato, «la modalita' di calcolo della durata e  della  misura
dell'indennita'  ordinaria  di  disoccupazione  agricola   [...]   e'
parametrata sulle 365 giornate dell'anno solare». 
    3.3.- Ad  avviso  dell'INPS  le  questioni  sollevate  sarebbero,
comunque, infondate. 
    3.3.1.- Non sussisterebbe, anzitutto, la violazione  dell'art.  3
Cost.  sotto  il  profilo  della  discriminazione,  nell'ambito   dei
lavoratori a tempo indeterminato,  di  quelli  del  settore  agricolo
rispetto a quelli degli altri settori produttivi. 
    Secondo l'INPS, tale discriminazione sarebbe esclusa «in  radice»
dalla non omogeneita' dei termini posti a raffronto. 
    L'INPS deduce che la normativa di tutela contro la disoccupazione
in ambito agricolo e' distinta  da  quella  prevista  per  gli  altri
settori produttivi perche' fa parte «di un corpus di norme di  favore
per il settore agricolo giustificata storicamente dalle differenze di
sistemi produttivi e di organizzazione aziendale». 
    Secondo lo stesso Istituto, la diversita' e la  specificita'  del
settore lavorativo agricolo rispetto agli altri settori  giustificano
le specificita' circa la misura  e  la  riscossione  dei  contributi,
l'individuazione  e  l'accertamento   dei   soggetti   protetti,   la
disciplina delle prestazioni previdenziali e, in  particolare,  dello
statuto previdenziale della disoccupazione involontaria. 
    Le diversita' e le peculiarita' delle due categorie di lavoratori
a tempo indeterminato  giustificherebbero  le  diverse  modalita'  di
tutela in caso di disoccupazione involontaria atteso che, nel settore
agricolo, «la funzione dell'indennita' di disoccupazione e' piuttosto
diretta ad incentivare  i  lavoratori  a  continuare  a  prestare  la
propria  attivita'   lavorativa   in   questo   settore   produttivo,
consentendo, cosi', la continuazione dell'attivita' agricola». 
    Cio' costituirebbe la ratio della tutela contro la disoccupazione
nel settore agricolo, diretta «ad integrare il reddito anno per anno,
nei  periodi  di  mancato  svolgimento   di   attivita'   lavorativa,
indistintamente,    a    prescindere    dunque    dalla    stabilita'
dell'intercorso lavoro, purche'  l'anno  di  riferimento  includa  un
periodo privo di lavoro». 
    La  quantita'  di  lavoro   svolta   nell'anno   di   riferimento
costituirebbe allora «un mero dato  fattuale»,  inidoneo  a  incidere
sulla legittimita' costituzionale della disciplina. 
    L'INPS osserva ancora che indubbiamente  il  lavoratore  a  tempo
determinato  versa  in  periodi  di  mancanza  di  lavoro  nel  corso
dell'anno   con   maggiore   frequenza   del   lavoratore   a   tempo
indeterminato. Cio', tuttavia,  non  comporterebbe  che  quest'ultimo
«possa dolersi di tale mera ed accidentale circostanza di fatto». Non
potrebbe, infatti, sentirsi discriminato colui che, trovandosi in una
situazione di stabilita' del rapporto di lavoro,  piu'  difficilmente
incorre  nella  situazione  di  bisogno  definita   dal   legislatore
nell'ambito  della  previdenza  in  agricoltura,  «consistente  nella
"integrazione del salario" ex post per i  periodi  non  lavorati  nel
corso dell'anno di riferimento». 
    Ne' sarebbe decisiva la  deduzione  del  rimettente  secondo  cui
verrebbero  in  rilievo  «attivita'  lavorative  e   professionalita'
impiegate  in  settori  produttivi  che  non  sono  legati  a   cicli
stagionali». Cio' che rileverebbe, infatti, «e' la  diversita'  della
produzione  del  settore  agricolo  rispetto  a  quella  degli  altri
settori». 
    3.3.2.- Parimenti non  fondata  sarebbe,  in  secondo  luogo,  la
questione sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. sotto il  profilo
del supposto deteriore trattamento dei lavoratori  agricoli  a  tempo
indeterminato rispetto agli operai agricoli a tempo determinato. 
    Oltre a ribadire che  «il  parametro  di  riferimento  delle  365
giornate nell'anno solare e' il medesimo per entrambe le categorie di
lavoratori agricoli», l'INPS deduce che l'eventualita' che, a  fronte
di tale identico  parametro,  possa  non  residuare  alcuna  giornata
indennizzabile  in   favore   del   lavoratore   agricolo   a   tempo
indeterminato sarebbe  «ampiamente  giustificat[a]»  dal  sistema  di
retribuzione previsto per tale  lavoratore,  che  «include  anche  le
giornate festive (le domeniche)». 
    3.3.3.- Da quanto dedotto deriverebbe infine  l'insussistenza  di
una lesione dell'art. 38 Cost. 
    L'INPS ribadisce che la  prestazione  previdenziale  in  caso  di
disoccupazione  nel  settore  dell'agricoltura   «e'   esclusivamente
incentrata sulla tutela  dello  stato  di  bisogno  conseguente  alla
cessazione involontaria del rapporto di lavoro che  si  verifica  nel
corso dell'anno» e che «si tratta di una tutela costruita e diretta a
reintegrare ex post il reddito mancante nell'anno di riferimento, che
e' quello anteriore all'anno della richiesta  e  dell'erogazione  del
trattamento previdenziale». 
    Cio' ribadito, l'INPS cita a  proprio  sostegno  le  sentenze  di
questa Corte n. 215 del 2014 e n. 28 del 1984. 
    4.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri, assistito e difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
chiedendo   che   le    questioni    sollevate    siano    dichiarate
«inammissibil[i], improcedibil[i] e comunque infondat[e]». 
    L'interveniente, nel richiamare diffusamente la  «nota  allegata»
dell'INPS, afferma di ribadire quanto in essa asserito circa il fatto
che l'art. 32, primo comma, lettera a), della legge n. 264  del  1949
«garantisce agli operai agricoli  a  tempo  indeterminato  la  tutela
contro la disoccupazione involontaria pur con le specifiche modalita'
di calcolo  previste  per  il  settore  agricolo»,  in  presenza  dei
requisiti per l'accesso all'indennita'  di  disoccupazione  ordinaria
agricola richiesti dalla stessa disposizione. 
    L'interveniente  ribadisce   altresi'   che   il   parametro   di
riferimento  per  il   calcolo   della   durata   della   prestazione
previdenziale  e',  anche  per  i   lavoratori   agricoli   a   tempo
indeterminato, di 365 giornate nell'anno solare. 
    Con riguardo all'art. 1, comma 55, della legge n. 247  del  2007,
il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che «l'INPS  ritiene
che i lavoratori agricoli a tempo  indeterminato  siano  esclusi  dal
dettato normativo in quanto  non  espressamente  richiamati»  e  che,
«tuttavia, tali lavoratori siano in ogni caso tutelati [...]  essendo
ancora vigenti, per gli stessi, le norme in materia  di  requisiti  e
modalita' di calcolo [...] descritti. Pertanto, ritiene che non possa
essere condivisibile l'interpretazione in base alla quale  l'articolo
2, comma 3, della legge n. 92 del  2012  [...]  estende  gli  effetti
dell'articolo 1, comma 55, della legge n. 247  del  2007  anche  agli
operai agricoli a tempo indeterminato». 
    L'interveniente  deduce  inoltre  che   la   specificita'   della
previsione dell'art. 32 della legge n. 264  del  1949  «e'  collegata
alla precarieta' dell'attivita' svolta, di solito stagionale, per  la
quale l'indennita' di disoccupazione nel settore agricolo assume  una
funzione di  vera  e  propria  integrazione  del  reddito  e  non  di
ammortizzatore sociale come e' per i lavoratori degli  altri  settori
produttivi» e riporta  l'affermazione  contenuta  nella  sentenza  di
questa Corte n. 53 del 2017 secondo cui «la specificita' della tutela
contro la disoccupazione dei lavoratori agricoli [...]  si  manifesta
nella cesura tra il sorgere del  diritto  e  l'erogazione  nel  corso
dell'anno successivo e  nel  peculiare  meccanismo  di  liquidazione,
ancorato alle giornate di lavoro e non a quelle di disoccupazione». 
    L'interveniente  riporta   infine   un   ampio   stralcio   della
motivazione della sentenza di  questa  Corte  n.  194  del  2017  (in
particolare, del punto 3. del Considerato in diritto). 
    5.- In  prossimita'  dell'udienza  pubblica,  Mohammed  Mounji  e
Azedine  Mounji  (quest'ultimo  pur  non  essendosi   costituito   in
giudizio) hanno depositato una memoria, con la  quale  richiamano  il
principio  di  non  discriminazione,  quanto  alle   «condizioni   di
impiego», tra lavoratori a tempo determinato  e  lavoratori  a  tempo
indeterminato «comparabili», sancito dalla clausola 4,  paragrafo  1,
dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo  determinato
allegato alla direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 del Consiglio. 
    6.-  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica,  anche  l'INPS   ha
depositato una memoria. 
    L'INPS deduce che l'irrilevanza della questione sollevata in  via
subordinata discenderebbe anche da quanto affermato nella memoria del
ricorrente, la' dove si asserisce che  lo  stesso  ha  «lavorato  365
giorni».  Da  tale  affermazione   discenderebbe   che   «del   tutto
irrilevante [...] e' la questione  del  parametro  limite  delle  270
giornate». 
    Nel merito, l'INPS, nel ribadire  le  argomentazioni  prospettate
nel proprio atto di costituzione in giudizio,  cita  le  sentenze  di
questa Corte n. 215 del 2014  (in  particolare,  il  punto  4.2.  del
Considerato in diritto) e n. 202 del 2008 (in particolare,  il  punto
3. del Considerato in diritto). 
    7.- Infine, anche il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  ha
depositato una memoria con  la  quale,  nel  ribadire  l'infondatezza
delle questioni sollevate, ne afferma, altresi',  l'inammissibilita',
conformemente alle eccezioni sollevate dall'INPS. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Nel corso di un giudizio promosso da due lavoratori  agricoli
a tempo indeterminato, licenziati il 31 dicembre  2008,  al  fine  di
ottenere «l'indennita' di disoccupazione per l'anno 2009»,  la  Corte
di cassazione, sezione lavoro,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli
artt.  3  e  38  della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 32, primo comma, lettera a), della legge  29
aprile 1949, n. 264 (Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro
e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati)  e,  in
via subordinata, dello stesso art. 32, primo comma, lettera a), della
legge n. 264 del 1949  e  dell'art.  1,  comma  55,  della  legge  24
dicembre 2007, n. 247 (Norme di  attuazione  del  Protocollo  del  23
luglio 2007 su  previdenza,  lavoro  e  competitivita'  per  favorire
l'equita' e la  crescita  sostenibili,  nonche'  ulteriori  norme  in
materia di lavoro e previdenza sociale). 
    1.1.- L'art. 32, primo comma, lettera a), della legge n. 264  del
1949 ha esteso l'obbligo dell'assicurazione contro la  disoccupazione
involontaria ai lavoratori subordinati agricoli. 
    Ai sensi dell'art. 12, comma 1, del decreto legislativo 11 agosto
1993, n. 375 (Attuazione dell'art. 3,  comma  1,  lettera  aa,  della
legge 23 ottobre 1992,  n.  421,  concernente  razionalizzazione  dei
sistemi  di  accertamento  dei  lavoratori  dell'agricoltura  e   dei
relativi contributi) - secondo cui, «[a]gli effetti  delle  norme  di
previdenza  ed  assistenza  sociale,  [...]  i  lavoratori   agricoli
subordinati,  esclusi   quelli   con   qualifica   impiegatizia,   si
distinguono in  operai  a  tempo  indeterminato  ed  operai  a  tempo
determinato» - i destinatari  della  tutela  debbono  intendersi,  in
particolare, gli operai agricoli a tempo indeterminato e  gli  operai
agricoli a tempo determinato. 
    Per ottenere la prestazione previdenziale, tali lavoratori devono
possedere due requisiti. 
    In primo luogo, essi devono essere «iscritti negli elenchi di cui
all'articolo 12 del regio decreto  24  settembre  1940,  n.  1949,  e
successive modificazioni, per almeno un anno oltre che per quello per
il quale e' richiesta l'indennita'». Per gli operai agricoli a  tempo
indeterminato, peraltro, la compilazione di tali  elenchi  nominativi
e' cessata dal 1° gennaio 1994, ai sensi dell'art. 13, comma  1,  del
d.lgs. n. 375 del 1993. 
    In secondo luogo, devono avere «conseguito nell'anno per il quale
e'  richiesta  l'indennita'  e  nell'anno  precedente  un   accredito
complessivo di almeno 102 contributi giornalieri». Il significato  di
questa previsione e' stato chiarito da questa Corte con  la  sentenza
n.  194  del  2017  che,  nel  rigettare  questioni  di  legittimita'
costituzionale del medesimo art. 32, primo comma, della legge n.  264
del  1949  per  «l'erroneita'  del  presupposto   interpretativo,   a
fondamento  delle  stesse»,  ha  affermato  che  «i  menzionati   102
contributi giornalieri possono essere accreditati al lavoratore anche
in uno solo dei due anni "per il quale e'  richiesta  l'indennita'  e
nell'anno precedente"» (punto 3. del Considerato in diritto). 
    Quanto, infine, alla durata della corresponsione  dell'indennita'
di disoccupazione, secondo il disposto  dell'art.  32,  primo  comma,
lettera a), della legge n. 264 del 1949, essa e' pari alla differenza
tra il «numero  di  270»,  che  costituisce  il  parametro  annuo  di
riferimento, e il «numero delle  giornate  di  effettiva  occupazione
prestate  nell'anno»  (comprese  quelle  per  attivita'  agricole  in
proprio o coperte da indennita' di malattie, infortunio, maternita'),
sino a un massimo di 180 giornate. 
    1.2.- La disciplina dell'art. 32, primo comma, lettera a),  della
legge n. 264 del 1949 e' stata, peraltro, modificata, per «gli operai
agricoli a tempo determinato e le figure  equiparate»,  dall'art.  1,
comma 55,  della  legge  n.  247  del  2007,  che  il  rimettente  ha
denunciato, insieme con lo stesso art. 32, primo comma,  lettera  a),
con le questioni sollevate in via subordinata. 
    L'art. 1, comma 55, della legge n. 247 del 2007  prevede  che,  a
decorrere dal 1° gennaio 2008, l'importo giornaliero  dell'indennita'
ordinaria di disoccupazione - fissato dallo  stesso  comma  55  nella
misura del 40 per cento della retribuzione - «e' corrisposto  per  il
numero di giornate di iscrizione negli elenchi nominativi,  entro  il
limite di 365 giornate del parametro annuo di riferimento». 
    In base a tale disciplina - che, come si e' detto,  si  riferisce
ai soli  operai  agricoli  a  tempo  determinato  -  l'indennita'  di
disoccupazione e' corrisposta per  una  durata  pari  al  «numero  di
giornate di iscrizione negli elenchi  nominativi»,  ovvero,  come  si
dice nell'ordinanza di rimessione, per un numero di giornate «pari  a
quelle lavorate». Si tratta, dunque, di  una  previsione  diversa  da
quanto e' previsto, per gli operai agricoli  a  tempo  indeterminato,
dalla lettera a) del primo comma dell'art. 32 della legge n. 264  del
1949, secondo cui l'indennita' di disoccupazione e'  corrisposta  per
una  durata  pari  alla  «differenza»  tra  il  parametro  annuo   di
riferimento  e  «il  numero  di  giornate  di  effettiva  occupazione
prestate nell'anno» (entro il massimale di 180  giornate  annue),  il
che equivale a dire per una durata pari alle giornate "non lavorate",
non a quelle "lavorate". 
    Inoltre, l'art. 1, comma 55, della legge  n.  247  del  2007  non
prevede il massimale delle 180  giornate  annue,  tutt'ora  stabilito
dall'art. 32, primo comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949. 
    Infine, lo stesso art. 1, comma 55, della legge n. 247 del  2007,
sempre ai fini della determinazione della durata della corresponsione
della prestazione, stabilisce il parametro annuo  di  riferimento  di
«365 giornate», a fronte di  quello  di  «270»  tutt'ora  contemplato
dall'art. 32, primo comma, lettera a), della legge n.  264  del  1949
per gli operai agricoli a tempo indeterminato. 
    2.- La disciplina descritta e' indicata dal giudice  a  quo  come
quella che «viene in rilievo [in quanto] vigente alla data dei  fatti
di causa», ai quali non e' applicabile, ratione temporis, quella  che
risulta dall'art. 2, comma 3, della  legge  28  giugno  2012,  n.  92
(Disposizioni in materia di riforma del mercato  del  lavoro  in  una
prospettiva  di  crescita)  e  dall'art.  2,  comma  1,  del  decreto
legislativo 4 marzo 2015, n. 22 (Disposizioni per il  riordino  della
normativa  in  materia  di  ammortizzatori   sociali   in   caso   di
disoccupazione  involontaria  e  di  ricollocazione  dei   lavoratori
disoccupati, in attuazione della legge 10  dicembre  2014,  n.  183);
disposizioni che, entrambe, escludono «gli operai  agricoli  a  tempo
determinato o indeterminato» dall'Assicurazione sociale per l'impiego
(ASpI) e dalla Nuova assicurazione sociale per l'impiego (NASpI). 
    3.- In punto di non manifesta infondatezza  delle  questioni,  il
rimettente,  dopo  avere  rilevato  che  «[l]'ordinamento  [...]  non
consente [...]  che  venga  erogata  l'indennita'  di  disoccupazione
ordinaria  [rectius:  comune]  ai   lavoratori   agricoli   a   tempo
indeterminato», considera che, per  via  del  meccanismo  di  computo
della durata dell'indennita' di disoccupazione agricola previsto  dal
censurato art. 32, primo comma, lettera a), e,  in  particolare,  per
via della previsione, ai fini di tale computo, del parametro annuo di
riferimento del «numero di 270», gli stessi lavoratori, se licenziati
alla fine dell'anno o, comunque, dopo avere prestato, nel corso dello
stesso, 270 o piu' giornate di  lavoro,  non  percepirebbero  neppure
l'indennita'  di  disoccupazione  agricola,  sicche'  essi  sarebbero
«privati di qualunque tutela». 
    Muovendo dall'assunto della «mancanza  di  una  qualsiasi  tutela
contro lo stato di disoccupazione involontaria» degli operai agricoli
a tempo indeterminato licenziati dopo avere lavorato per 270  o  piu'
giornate, il giudice a quo  lamenta  che  le  disposizioni  censurate
contrasterebbero, anzitutto, con l'art. 38 Cost.,  che  riconosce  ai
lavoratori il diritto  a  che  siano  preveduti  e  assicurati  mezzi
adeguati alle  loro  esigenze  di  vita  in  caso  di  disoccupazione
involontaria. 
    Le stesse disposizioni violerebbero, altresi',  l'art.  3  Cost.,
sotto due distinti profili. 
    L'art. 3 Cost. sarebbe leso, anzitutto, perche' tali disposizioni
tratterebbero i lavoratori agricoli a tempo indeterminato,  che  «dal
punto di vista contributivo possano aver gia'  maturato  i  requisiti
per ottenere  la  prestazione  di  disoccupazione  comune»,  in  modo
ingiustificatamente deteriore rispetto alla generalita'  degli  altri
lavoratori a tempo indeterminato, considerato che  i  primi  svolgono
attivita'  lavorative  «che   non   hanno   le   caratteristiche   di
discontinuita' che sono supposte a fondamento della specialita' della
[...] disciplina» della disoccupazione agricola. 
    Lo stesso art.  3  Cost.,  sarebbe  violato,  in  secondo  luogo,
perche'  le  disposizioni  denunciate  tratterebbero   i   lavoratori
agricoli a tempo indeterminato in modo ingiustificatamente  deteriore
anche rispetto agli operai agricoli a tempo determinato i  quali,  «a
parita' di  lavoro  nell'anno,  oltre  il  tetto  di  270  giornate»,
godrebbero della «piu' vasta» tutela dell'art.  1,  comma  55,  della
legge n. 247 del 2007, che «assicura[...] loro, immancabilmente,  una
integrazione nell'anno successivo  del  reddito  percepito  nell'anno
precedente, qualsiasi sia il numero delle giornate lavorate  fino  al
31.12». 
    La Corte di cassazione, sezione lavoro,  denuncia  quindi  l'art.
32, primo comma, lettera a), della legge n. 264  del  1949,  «laddove
esclud[e] che  venga  corrisposto  ai  lavoratori  agricoli  a  tempo
indeterminato, in possesso dei requisiti assicurativi, il trattamento
di disoccupazione ordinario riservato agli altri lavoratori  a  tempo
indeterminato» e, in via subordinata, lo stesso art. 32, primo comma,
lettera a), della legge n. 264 del 1949 e l'art. 1, comma  55,  della
legge n. 247 del 2007, «laddove non  prevedono  che  si  applichi  ai
medesimi  lavoratori  agricoli  [a  tempo  indeterminato]  lo  stesso
trattamento previsto per i lavoratori agricoli a termine». 
    4.- Preliminarmente, devono essere esaminate le quattro eccezioni
di  inammissibilita'  prospettate   dall'Istituto   nazionale   della
previdenza sociale (INPS). 
    4.1.- Secondo tale Istituto,  le  questioni  sollevate  sarebbero
inammissibili, in primo  luogo,  per  difetto  di  motivazione  sulla
rilevanza, in quanto il rimettente non si sarebbe «fatt[o] carico  di
motivare in ordine alla concreta impossibilita' degli assicurati  nel
giudizio a quo di ottenere l'indennita' di  disoccupazione  agricola,
applicando il principio [...] enunciato  con  la  [...]  sentenza  n.
194/2017», principio secondo cui, poiche'  l'art.  32,  primo  comma,
lettera a), della legge n. 264 del  1949,  richiedendo  un  accredito
«complessivo» di almeno 102 contributi  giornalieri,  esige  soltanto
che l'insieme dei contributi accreditati nei due anni di  riferimento
sia di 102 unita', ma non che queste siano  suddivise  tra  tali  due
anni, nei casi in cui la  cessazione  involontaria  del  rapporto  di
lavoro intervenga alla fine  dell'anno,  «il  lavoratore  agricolo  a
tempo   indeterminato   potra'   [...]   ottenere   l'indennita'   di
disoccupazione agricola per l'anno "per il quale [essa] e' richiesta"
[...], dato che, pur in mancanza di contributi  accreditati  in  tale
anno, avendo  lavorato  per  l'intero  anno  "precedente"  [...],  ha
senz'altro conseguito, in tale solo  anno,  il  necessario  accredito
"complessivo" di almeno 102 contributi giornalieri». 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Il  giudice  rimettente  ha  espressamente  argomentato  che   le
questioni   sollevate   «non   riguarda[no]   il   [...]    requisito
contributivo» - il cui meccanismo di computo e' stato chiarito  dalla
sentenza n. 194 del 2017 e che e'  «pacificamene  sussistente  e  non
contestato in capo  ai  ricorrenti»  -  ma  che  l'impossibilita'  di
riconoscere a questi ultimi l'indennita' di  disoccupazione  agricola
discende, piuttosto, dal meccanismo di  computo  della  durata  della
corresponsione di tale indennita', previsto dal  censurato  art.  32,
primo comma, lettera a). 
    Cio' e' sufficiente ai fini della  motivazione  sulla  rilevanza,
mentre la verifica della fondatezza o no di quest'ultimo  assunto  e,
piu' in generale, di quello della «mancanza di una  qualsiasi  tutela
contro lo stato di disoccupazione involontaria» dei lavoratori che si
trovino nella situazione dei ricorrenti attiene,  piu'  propriamente,
al merito delle questioni. 
    4.2.- Secondo lo stesso INPS, le  questioni  sollevate  sarebbero
«comunque irrilevant[i]  qualora  si  volesse  far  riferimento  alla
disoccupazione agricola per l'anno 2009», poiche' il  rimettente  non
ha allegato la proposizione  della  relativa  domanda  amministrativa
entro il 31 marzo dell'anno successivo 2010, «circostanza  [...]  che
comporta ictu oculi  l'improponibilita'  dell'azione  giurisdizionale
per ottenere  l'indennita'  di  disoccupazione  agricola  per  l'anno
2009». 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Secondo  la  giurisprudenza  della  Corte   di   cassazione,   la
preventiva presentazione della  domanda  amministrativa  costituisce,
nelle controversie previdenziali e assistenziali  che  richiedano  il
previo esperimento del procedimento  amministrativo,  un  presupposto
dell'azione in sede giudiziaria, in mancanza del quale la  stessa  e'
improponibile (Cassazione, sezioni unite, sentenza 5 agosto 1994,  n.
7269; sezione lavoro, sentenze 30 gennaio 2014, n. 2063, 27  dicembre
2010, n. 26146, 3 luglio 2007, n. 15012, 24 giugno 2004, n.  11756  e
12 marzo 2004, n. 5149). 
    E'  peraltro  noto  che,  «[s]econdo  un  costante  orientamento,
l'accertamento della  validita'  dei  presupposti  di  esistenza  del
giudizio principale e' prerogativa del giudice  rimettente  (sentenza
n.  61  del  2012),  mentre  a   questa   Corte   spetta   verificare
esclusivamente che la valutazione del giudice a quo sia avvalorata da
"una motivazione non implausibile" (sentenza n. 270 del  2010;  nello
stesso senso, sentenza n.  34  del  2010)  e  che  i  presupposti  di
esistenza   del   giudizio   "non    risultino    manifestamente    e
incontrovertibilmente carenti" nel momento in  cui  la  questione  e'
proposta (sentenze n. 262 del 2015 e n.  62  del  1992)»  (cosi',  da
ultimo, la sentenza n. 170 del 2018,  punto  2.  del  Considerato  in
diritto). Questa Corte, «a tale  riguardo,  non  puo'  sostituire  la
propria valutazione  a  quella  gia'  compiuta  dal  giudice  a  quo,
eventualmente anche in via implicita (sentenza n. 120 del 2015, punto
3.1. del Considerato in diritto), con il supporto di  "argomenti  non
arbitrari" (sentenza n. 241 del 2016, punto 3.3. del  Considerato  in
diritto)» (sentenza n. 53 del 2017, punto 2.1.1. del  Considerato  in
diritto). 
    Nella  specie,  il  rimettente  ha  precisato  che  i  lavoratori
ricorrenti   «avevano   presentato   domanda   di    indennita'    di
disoccupazione  agricola  rigettata  dall'INPS   per   mancanza   del
requisito contributivo nel  biennio  anteriore  alla  cessazione  del
rapporto». L'esistenza della condizione di proponibilita' dell'azione
giudiziaria costituita da tale  domanda  amministrativa  e',  dunque,
espressamente affermata dal giudice a quo.  Lo  stesso  giudice,  del
resto,  non  ha  ravvisato  preclusioni   all'esame   della   domanda
giudiziaria  di  «indennita'  di  disoccupazione  per  l'anno  2009».
Infine, non  risulta  che,  nel  giudizio  principale,  l'INPS  abbia
eccepito l'inesistenza o la tardivita' della domanda amministrativa. 
    Per tali ragioni, la valutazione del giudice a quo  in  punto  di
rilevanza deve ritenersi, sotto l'aspetto  preso  in  considerazione,
non implausibile. 
    4.3.- Ad  avviso  dell'INPS,  le  questioni  sollevate  sarebbero
inammissibili, in terzo luogo,  poiche'  la  «soluzione»  prospettata
nell'ordinanza  di  rimessione  comporterebbe   «un   intervento   di
carattere   additivo-manipolativo»   tale   da    minare    «l'intera
architettura della tutela della disoccupazione in agricoltura». 
    L'eccezione non e' fondata. 
    In proposito, e' sufficiente rilevare che, con la sentenza n. 194
del  2017,  questa  Corte  ha  rigettato  un'analoga   eccezione   di
inammissibilita'  -  sollevata,  anche  in  quel  caso,  dall'INPS  -
reputando  che  «[l]a  possibilita'  che  il  legislatore  disciplini
variamente la tutela contro la disoccupazione, al fine  di  adeguarla
alla natura delle diverse attivita' lavorative (sentenza n.  160  del
1974), non esclude che le differenze  di  trattamento  tra  le  varie
categorie    di    lavoratori    debbano    essere     "razionalmente
giustificabili", in quanto fondate su "valide e sostanziali  ragioni"
[...] (sentenza n. 160 del 1974)», con la conseguente «necessita'  di
verificare nel merito le scelte operate dal legislatore con  riguardo
al peculiare trattamento di disoccupazione previsto per i  lavoratori
(a  tempo  indeterminato)  del  settore  agricolo»  (punto  2.3.  del
Considerato in diritto). 
    4.4.- Sempre secondo l'INPS, infine, le  questioni  sollevate  in
via subordinata sarebbero inammissibili anche perche'  il  giudice  a
quo  non  avrebbe  «compiutamente  ricostruito  il  quadro  normativo
applicabile», non avendo considerato  che  «il  parametro  delle  270
giornate non e' piu' in vigore a seguito del  disposto  dell'art.  1,
comma 2, del D.L. 108/1991, convertito in legge n. 169/1991», con  la
conseguenza  che,  per  tutti  gli  operai  agricoli,  sia  a   tempo
determinato sia a tempo indeterminato, «la modalita' di calcolo della
durata e della misura  dell'indennita'  ordinaria  di  disoccupazione
agricola [...] e' parametrata sulle 365 giornate dell'anno solare». 
    Neppure tale eccezione puo' essere accolta. 
    Il rimettente, dopo aver correttamente e  sufficientemente  preso
in considerazione il contesto normativo,  ha  ritenuto  in  modo  non
implausibile che la norma censurata sia ancora in  vigore  e  che  il
parametro annuo di riferimento delle 270 giornate si applichi al caso
in questione. 
    5.- Nel passare allo scrutinio nel merito, si deve premettere che
le questioni sollevate in via principale e in via subordinata  devono
essere esaminate, almeno in parte, congiuntamente. 
    Per tutte, la lamentata violazione  degli  artt.  3  e  38  Cost.
discende  essenzialmente  dall'assunto,  a  esse   comune,   che   il
meccanismo di computo della durata dell'indennita' di  disoccupazione
agricola previsto dal censurato art. 32,  primo  comma,  lettera  a),
comporta la «mancanza di una qualsiasi  tutela  contro  lo  stato  di
disoccupazione  involontaria»   degli   operai   agricoli   a   tempo
indeterminato licenziati dopo avere lavorato per 270 o piu' giornate. 
    Cio' premesso, tutte le questioni non sono fondate per le ragioni
di seguito esposte. 
    5.1.- Come si e' visto, in base all'art. 32, primo comma, lettera
a), della legge n. 264  del  1949,  la  durata  della  corresponsione
dell'indennita' di disoccupazione e'  pari  alla  differenza  tra  il
«numero di 270» e il «numero delle giornate di effettiva  occupazione
prestate nell'anno» (sino a un massimo  di  180  giornate).  In  tale
modo, il lavoratore  agricolo  a  tempo  indeterminato,  in  base  al
consuntivo delle  giornate  di  disoccupazione  dell'anno  trascorso,
percepisce, l'anno successivo, l'indennita' di disoccupazione per  le
giornate "non lavorate" in quello precedente. 
    In ragione di una tale modalita' di determinazione delle giornate
indennizzabili questa Corte ha affermato che «il regime peculiare del
trattamento di  disoccupazione  per  i  lavoratori  agricoli  prevede
l'erogazione dell'indennita' nell'anno successivo a quello in cui  si
e' verificato  l'evento  della  cessazione  del  rapporto  di  lavoro
(sentenza n. 53 del 2017)» (sentenza n. 194 del 2017,  punto  3.  del
Considerato in diritto). Come sottolineato da questa Corte  (sentenza
n. 53 del 2017), le Sezioni unite della  Corte  di  cassazione  hanno
statuito  che,   per   i   lavoratori   agricoli,   l'indennita'   di
disoccupazione ordinaria «si qualifica sostanzialmente come una forma
di integrazione salariale concessa ex post»  (sentenza  n.  6491  del
1996). 
    La complessa e minuziosa ricostruzione dei dati normativi operata
dal rimettente e la valutazione critica che lo stesso  offre  di  una
disciplina  risalente  e  stratificata  non   esclude   una   diversa
interpretazione delle  disposizioni  vigenti,  tale  da  fornire  una
tutela ai lavoratori che, «licenziati verso la fine dell'anno  [...],
dopo aver lavorato per 270 giornate»,  restino  privi  di  «qualsiasi
tutela contro lo stato di disoccupazione involontaria». 
    Si puo'  ritenere,  infatti,  che  tali  lavoratori  ben  possano
vantare il diritto a ottenere l'indennita' di disoccupazione agricola
per l'anno successivo - nel caso del giudizio a quo, per  il  2009  -
nel  corso  del  quale  siano  stati,  anche  per  l'intera   durata,
disoccupati. 
    Con la sentenza n. 194 del 2017 questa Corte ha chiarito  che  il
requisito contributivo dell'avere «conseguito nell'anno per il  quale
e'  richiesta  l'indennita'  e  nell'anno  precedente  un   accredito
complessivo di almeno 102 contributi giornalieri» deve essere  inteso
nel  senso  che  tali  contributi  «possono  essere  accreditati   al
lavoratore anche in uno solo dei due anni "per il quale e'  richiesta
l'indennita' e nell'anno precedente"» (punto 3.  del  Considerato  in
diritto). Tale interpretazione dell'art. 32, primo comma, lettera a),
della legge n. 264 del 1949, «conforme» agli artt. 3, primo comma,  e
38, secondo  comma,  Cost.,  comporta  dunque  l'indennizzabilita'  -
almeno sotto il profilo dell'esistenza del requisito  contributivo  -
dell'anno successivo  a  quello  in  cui  si  e'  svolta  l'attivita'
lavorativa, anche quando esso  sia  privo,  totalmente,  di  giornate
"lavorate". 
    All'accertamento del requisito  contributivo  non  puo'  non  far
seguito l'effettiva erogazione  della  prestazione  che  allo  stesso
corrisponde, argomento quest'ultimo posto al  cuore  delle  questioni
sollevate  dal  rimettente.  Pertanto,  anche  quanto   alla   durata
dell'erogazione dell'indennita' di disoccupazione  agricola  prevista
dall'art. 32, primo comma, lettera a), della legge n. 264  del  1949,
si deve intendere che il lavoratore licenziato  alla  fine  dell'anno
ottenga detta indennita', pur dopo aver raggiunto o superato  le  270
giornate  lavorate  ed  essere  rimasto  involontariamente  privo  di
occupazione nell'anno successivo  alla  cessazione  del  rapporto  di
lavoro. 
    Rammentato che, per gli operai agricoli a tempo indeterminato, la
compilazione degli elenchi nominativi e' cessata dal 1° gennaio 1994,
la  previsione   secondo   cui   la   durata   della   corresponsione
dell'indennita' di disoccupazione agricola e' pari, per  gli  stessi,
alla «differenza tra il numero di 270 ed il numero delle giornate  di
effettiva occupazione prestate nell'anno» non e' di alcun ostacolo al
riconoscimento della stessa indennita' per l'anno successivo a quello
in cui si e' svolta l'attivita' lavorativa fino al  31  dicembre  (o,
comunque, «oltre le 270 giornate»), che sia (eventualmente) privo  di
giornate "lavorate" (nel caso del giudizio a quo, per il 2009). 
    E' appena il caso di precisare che, per le ricordate modalita' di
funzionamento della  tutela  contro  la  disoccupazione  nel  settore
agricolo, anche in questo  caso  l'erogazione  dell'indennita'  avra'
luogo nell'anno successivo a quello per cui essa  e'  richiesta  (nel
caso del giudizio a quo, nel 2010). Tale tempistica  e',  del  resto,
connaturale al  carattere  di  sostanziale  integrazione  reddituale,
proprio dell'indennita' di disoccupazione agricola. 
    Da quanto precede discende quindi che,  contrariamente  a  quanto
mostra di ritenere il giudice a quo, l'art. 32, primo comma,  lettera
a), della legge n. 264 del 1949 non priva  i  lavoratori  agricoli  a
tempo indeterminato, in situazioni rapportabili a quelle del giudizio
a quo - estinzione del rapporto di  lavoro  «alla  fine  dell'anno  e
comunque  oltre  le  270  giornate  all'anno»  -  dell'indennita'  di
disoccupazione agricola e, quindi,  del  sostegno  per  lo  stato  di
bisogno, delineato nella  disciplina  della  previdenza  contro  tale
evento. 
    Nella direzione di una tutela - e non di  una  totale  privazione
della  stessa  -  si  deve  orientare   una   interpretazione   delle
disposizioni  censurate  che  consenta  di  erogare   ai   lavoratori
agricoli, assunti a tempo indeterminato e poi licenziati  «alla  fine
dell'anno e comunque oltre le 270  giornate  all'anno»,  un  sostegno
previdenziale. Cio' porta  a  escludere  che  tali  lavoratori  siano
discriminati, sia rispetto agli  altri  lavoratori  assunti  a  tempo
indeterminato,  sia  rispetto  ai  lavoratori  agricoli  assunti  con
contratto a tempo determinato. 
    5.2.- La previsione di una  disciplina  della  tutela  contro  la
disoccupazione dei lavoratori agricoli a tempo indeterminato, diversa
rispetto a quella prevista per i  lavoratori  a  tempo  indeterminato
degli altri settori produttivi e per i lavoratori  agricoli  a  tempo
determinato, non puo' ritenersi, di per se', lesiva del principio  di
eguaglianza. 
    Questa Corte ha affermato «[l]a possibilita' che  il  legislatore
disciplini variamente la tutela contro la disoccupazione, al fine  di
adeguarla alla natura delle diverse attivita' lavorative (sentenza n.
160 del 1974)», con il limite che «le differenze di  trattamento  tra
le  varie  categorie  di  lavoratori  debbano  essere  "razionalmente
giustificabili", in quanto fondate su "valide e sostanziali  ragioni"
[...] (sentenza n. 160 del 1974)» (sentenza n. 194  del  2017,  punto
2.3. del Considerato in diritto). 
    5.2.1.-  Una  giustificazione  e'  ravvisabile,  anzitutto,   con
riguardo alla previsione di una disciplina della  disoccupazione  dei
lavoratori agricoli a tempo indeterminato diversa e speciale rispetto
a quella prevista per la generalita' degli altri lavoratori  a  tempo
indeterminato. 
    In proposito, si deve anzitutto osservare  che  anche  il  lavoro
subordinato  agricolo  a  tempo  indeterminato  non  puo'  non  dirsi
condizionato - almeno in alcuni casi e in una qualche misura -  dalla
stagionalita' (sentenze n. 53 del 2017, n. 192 del 2005, n.  497  del
1988, n. 213 del 1986) e  dagli  agenti  atmosferici  e  naturali  in
genere, elementi questi suscettibili di incidere sui ritmi produttivi
e sull'attivita' lavorativa. 
    Lo  speciale  trattamento  dei  lavoratori  agricoli  in  genere,
inclusi  quelli  a  tempo  indeterminato,  trova  una   «valid[a]   e
sostanzial[e]  ragion[e]»  giustificativa  nelle   peculiarita'   del
settore produttivo dell'agricoltura rispetto a quelli  dell'industria
e del terziario, con riguardo  sia  ai  ritmi  e  alle  regole  della
produzione (che sono legati alla capacita' biologica delle  piante  e
degli animali di crescere,  riprodursi  e  produrre,  a  loro  volta,
nell'ambiente), sia alla  particolarita'  del  mercato  dei  prodotti
agricoli, sia, infine, allo stesso carattere primario del settore. 
    Tali peculiarita' - suscettibili  di  incidere  sul  mercato  del
lavoro agricolo - giustificano, anche sul piano delle valutazioni  di
politica economica generale del  legislatore  (sentenza  n.  497  del
1988),  la  previsione  di  un   regime   previdenziale   contro   la
disoccupazione differenziato per il  settore  agricolo  (quanto  alla
contribuzione,   nonche'   quanto   ai   requisiti,   al   contenuto,
all'entita', alla durata, alle modalita' e ai tempi di erogazione del
trattamento). 
    Da  cio'  si  ricava  l'impossibilita'  di  instaurare   un'utile
comparazione, ai fini dell'art. 3 Cost., tra  i  due  regimi  che  il
rimettente pone a confronto. 
    Alla  luce  delle  trasformazioni   nel   frattempo   intervenute
nell'organizzazione delle imprese  agricole,  il  legislatore  dovra'
valutare  se  dettare  una  nuova  disciplina  dei   trattamenti   di
disoccupazione dei lavoratori agricoli. 
    5.2.2.- Una giustificazione e' ravvisabile, in secondo luogo, con
riguardo alla differenziazione della tutela contro la  disoccupazione
dei lavoratori agricoli, rispettivamente, a tempo indeterminato  e  a
tempo determinato. 
    Tali rapporti di lavoro si differenziano perche' l'estinzione del
primo si ha soltanto al verificarsi di circostanze  non  previste  al
momento della conclusione del contratto di lavoro, mentre il  secondo
nasce limitato nel tempo e si estingue  alla  data,  gia'  conosciuta
dalle parti al momento della conclusione del contratto di lavoro, che
ne definisce il termine di durata. 
    La diversita' dei due rapporti di lavoro rende,  in  particolare,
non  irragionevole  che  la  corresponsione   dell'integrazione   del
reddito, in cui si sostanzia la tutela contro la  disoccupazione  dei
lavoratori agricoli,  venga  stabilita,  per  i  lavoratori  a  tempo
determinato, per una durata corrispondente alle  giornate  "lavorate"
anziche' a quelle "non  lavorate",  come  avviene  per  i  lavoratori
agricoli a tempo indeterminato. 
    Da cio' si fa discendere, anche in questo caso,  l'impossibilita'
di instaurare un'utile comparazione, ai fini dell'art. 3 Cost., tra i
due regimi che il rimettente pone a confronto. 
    Tale impossibilita', del resto, trova  conferma  nel  fatto  che,
mentre  il  regime  previsto  per  i  lavoratori  agricoli  a   tempo
determinato, attribuendo l'indennita'  per  le  giornate  "lavorate",
risulta piu' favorevole nei casi in cui il lavoratore lavori  per  la
gran parte dell'anno, il regime previsto per i lavoratori agricoli  a
tempo indeterminato, attribuendo l'indennita' per  le  giornate  "non
lavorate", e' invece piu' favorevole nei casi in  cui  il  lavoratore
lavori, nell'arco dell'anno, per un numero piu' limitato di giornate.