ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  65,  comma
1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di  finanza  pubblica
per la stabilizzazione e lo sviluppo), come modificato dall'art.  13,
comma  1,  della  legge  6  agosto  2013,  n.  97  (Disposizioni  per
l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza  dell'Italia
all'Unione europea - Legge europea 2013), e dell'art.  74,  comma  1,
del decreto legislativo 26 marzo 2001,  n.  151  (Testo  unico  delle
disposizioni legislative  in  materia  di  tutela  e  sostegno  della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53),  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di  Torino,
sezione lavoro, nel procedimento vertente tra S.  E.A.  e  l'Istituto
nazionale della previdenza sociale (INPS) e altro, con ordinanza  del
13 dicembre 2016, iscritta al n. 178 del registro  ordinanze  2017  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  50,  prima
serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di costituzione di S. E.A.; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  5  febbraio  2019  il  Giudice
relatore Marta Cartabia. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 13 dicembre 2016 (r.o. n. 178 del
2017), il Tribunale ordinario di Torino, sezione lavoro, ha sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 65, comma 1, della
legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di  finanza  pubblica  per  la
stabilizzazione e lo sviluppo), come modificato dall'art.  13,  comma
1, della legge 6 agosto 2013, n. 97 (Disposizioni  per  l'adempimento
degli obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  all'Unione
europea - Legge europea 2013), nonche' dell'art.  74,  comma  1,  del
decreto  legislativo  26  marzo  2001,  n.  151  (Testo  unico  delle
disposizioni legislative  in  materia  di  tutela  e  sostegno  della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), nella parte in cui limitano ai soli cittadini  di
paesi terzi soggiornanti di lungo periodo  l'accesso  all'assegno  ai
nuclei  familiari  con  almeno  tre  figli  minori  e  a  quello   di
maternita', per contrasto con  gli  artt.  3,  10,  secondo  comma  -
quest'ultimo in  relazione  all'art.  14  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 - e 38 della Costituzione; 
    che il rimettente ha premesso di dover decidere  in  merito  alle
controversie  instaurate  da  una  cittadina  marocchina,  legalmente
soggiornante nel territorio italiano in via continuativa da  piu'  di
cinque  anni,  titolare  di  un  permesso  di  soggiorno  per  motivi
familiari, ossia per coesione con il  marito,  madre  di  tre  figli,
tutti nati a Torino e muniti di regolare permesso di soggiorno,  alla
quale, in base alle disposizioni qui denunciate, erano  state  negate
le provvidenze sopradette a causa del mancato possesso del  «permesso
di soggiorno CE di lungo periodo»; 
    che, in punto di rilevanza, il giudice osserva che la  ricorrente
ha dimostrato di possedere tutti i requisiti fondanti il  diritto  al
percepimento di entrambi gli assegni,  ad  eccezione  del  titolo  di
soggiorno richiesto dalle disposizioni censurate, le quali, pertanto,
costituiscono l'unico ostacolo all'accoglimento della  domanda  della
ricorrente nel giudizio a quo; 
    che, ad avviso del  giudice  rimettente,  non  sarebbe  possibile
procedere alla disapplicazione delle disposizioni  in  questione  «in
quanto il contrasto che parte  ricorrente  rileva  con  la  normativa
comunitaria riguarda norme di principio,  espresse  in  direttive,  e
alle quali l'Italia ha comunque dato attuazione (proprio con la legge
97/2013), anche se, secondo l'interpretazione attrice,  in  modo  non
completo ed insufficiente»; 
    che   non    vi    sarebbe    spazio    per    un'interpretazione
costituzionalmente orientata, in quanto le disposizioni sottoposte al
vaglio di costituzionalita' sono chiare nel richiedere espressamente,
per i cittadini di paesi terzi, il possesso del titolo  di  soggiorno
di lungo periodo; 
    che, prosegue il  Tribunale  di  Torino,  non  sarebbe  possibile
ritenere la normativa italiana superata dall'Accordo euromediterraneo
che istituisce un'associazione tra le  Comunita'  europee  e  i  loro
Stati membri, da una parte,  e  il  Regno  del  Marocco,  dall'altra,
firmato a Bruxelles il 26  febbraio  1996,  il  quale,  all'art.  65,
prevede l'estensione ai lavoratori marocchini  e  ai  loro  familiari
conviventi degli  istituti  di  previdenza  sociale,  in  quanto  gli
assegni  richiesti  dalla  cittadina  straniera  attengono   all'area
dell'assistenza sociale e sono da questa pretesi, non in qualita'  di
familiare  convivente  di  un  lavoratore  marocchino,  bensi'   come
titolare  di  un  autonomo  diritto  a  godere  di  una   prestazione
assistenzialistica; 
    che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a  quo
richiama  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  la  quale  «si   e'
pronunciata piu' volte in merito al diritto dei cittadini stranieri a
godere di previdenze il cui riconoscimento e'  stato  limitato  dalla
legge dello Stato al possesso dell'allora carta di  soggiorno»,  e  a
tal fine ricorda, in particolare, le sentenze n.  230  e  n.  22  del
2015, n. 40 del 2013, n. 187 del 2010, n. 11 del 2009 e  n.  306  del
2008; 
    che, secondo il rimettente,  la  normativa  censurata  violerebbe
anzitutto i principi di cui all'art. 3 Cost., poiche',  da  un  lato,
avrebbe introdotto «un'ingiustificata disparita' di  trattamento  tra
cittadini  italiani  e  cittadini  stranieri,   entrambi   legalmente
soggiornanti nel territorio nazionale, laddove soltanto per i secondi
e' previsto l'ulteriore requisito di essere in possesso della carta o
del permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo»  e,
dall'altro, sarebbe affetta da un vizio di  irragionevolezza  laddove
subordina «il diritto alla ricezione di tali assegni al possesso  del
permesso di soggiorno CE di lungo periodo,  per  ottenere  il  quale,
come emerge dalla normativa, e' necessario il possesso  di  un  certo
reddito minimo», con un'ulteriore ingiustificata discriminazione  tra
cittadini stranieri legalmente soggiornanti in  Italia,  titolari  di
carta o «permesso di soggiorno CE  di  lungo  periodo»,  e  cittadini
stranieri legalmente soggiornanti per il medesimo periodo,  ma  privi
di tale certificazione; 
    che sarebbe altresi' violato l'art. 10, secondo comma, Cost.,  in
relazione all'art. 14 CEDU, che vieta  ogni  discriminazione  fondata
sull'origine  nazionale,  in  quanto  introdurrebbe  un   trattamento
diversificato  tra  cittadini  italiani  e  stranieri  in  ordine  al
godimento del diritto degli assegni richiesti,  subordinandolo,  solo
per questi ultimi,  al  possesso  della  carta  o  del  «permesso  di
soggiorno CE di lungo periodo»; 
    che anche l'art. 38 Cost. sarebbe leso, in quanto il  diritto  al
mantenimento  e  all'assistenza  sociale  del  cittadino   straniero,
legalmente soggiornante in Italia da piu' di cinque  anni  (parametro
che, secondo  il  rimettente,  appare  ragionevole  alla  luce  della
giurisprudenza costituzionale citata), verrebbe limitato dal possesso
di una certificazione di tipo amministrativo; 
    che nel giudizio si e' costituita la parte ricorrente dinanzi  al
Tribunale di Torino,  chiedendo  che  le  questioni  sollevate  siano
dichiarate  manifestamente  inammissibili  per  insufficienza   della
motivazione in punto di rilevanza; 
    che, ad avviso della parte, il giudice a quo non avrebbe  infatti
sufficientemente spiegato le ragioni per cui la controversia  non  si
sarebbe potuta risolvere applicando la normativa europea e  pattizia,
atteso che un esame piu' approfondito della normativa europea avrebbe
permesso al  giudice  di  risolvere  la  controversia  applicando  il
principio di parita' di trattamento in materia di  sicurezza  sociale
previsto dagli artt. 3 e 12 della direttiva 2011/98/UE del Parlamento
europeo e del  Consiglio,  del  13  dicembre  2011,  relativa  a  una
procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso  unico  che
consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare  e  lavorare  nel
territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i
lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in  uno  Stato
membro, ovvero il divieto di discriminazione in materia di previdenza
sociale   previsto   dall'art.   65   del   gia'    citato    Accordo
euromediterraneo con il Regno del Marocco; 
    che la difesa della parte richiama, in primo  luogo,  l'ordinanza
di questa Corte n.  95  del  2017,  con  cui  sono  state  dichiarate
inammissibili due analoghe questioni sollevate dai Tribunali ordinari
di Bergamo e di  Reggio  Calabria  per  omessa  considerazione  della
direttiva 2011/98/UE,  e,  successivamente,  illustra  le  ragioni  a
sostegno dell'immediata applicabilita' al giudizio a  quo  sia  della
normativa  dell'Unione  europea,  sia  dell'accordo  euromediterraneo
sopra citati. 
    Considerato che, con ordinanza del 13 dicembre 2016 (r.o. n.  178
del 2017), il Tribunale  ordinario  di  Torino,  sezione  lavoro,  ha
sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  65,
comma 1, della legge 23 dicembre 1998,  n.  448  (Misure  di  finanza
pubblica per la  stabilizzazione  e  lo  sviluppo),  come  modificato
dall'art. 13, comma 1, della legge 6 agosto 2013, n. 97 (Disposizioni
per  l'adempimento   degli   obblighi   derivanti   dall'appartenenza
dell'Italia  all'Unione  europea  -  Legge  europea  2013),   nonche'
dell'art. 74, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n.  151
(Testo unico delle disposizioni legislative in materia  di  tutela  e
sostegno della maternita' e della paternita', a  norma  dell'articolo
15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui  limitano  ai
soli cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo l'accesso
all'assegno ai nuclei familiari con  almeno  tre  figli  minori  e  a
quello di maternita', per contrasto con  gli  artt.  3,  10,  secondo
comma - quest'ultimo in relazione all'art. 14 della  Convenzione  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 - e 38 della Costituzione; 
    che le presenti questioni di  legittimita'  costituzionale  hanno
origine da un giudizio nel quale una cittadina  marocchina,  titolare
di  permesso  di  soggiorno  per   motivi   familiari,   ha   chiesto
l'accertamento del diritto a ottenere  l'assegno  di  maternita'  (ai
sensi dell'art. 74, comma 1, del d.lgs. n. 151 del 2001) e  l'assegno
per nuclei familiari con almeno tre figli minori (ai sensi  dell'art.
65, comma 1, della legge n. 448 del 1998 e s.m.); 
    che l'ordinanza di rimessione  riferisce  che  la  ricorrente  ha
dimostrato di possedere tutti i requisiti necessari  al  percepimento
di entrambi gli assegni, ad eccezione del  possesso  della  carta  di
soggiorno,  ora  permesso   di   soggiorno   per   lungo   residenti,
disciplinato  dalla  direttiva  2003/109/CE  del  Consiglio,  del  25
novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi  che
siano soggiornanti di lungo periodo; 
    che il citato titolo di  soggiorno  e'  esplicitamente  richiesto
dalle disposizioni censurate; 
    che il giudice rimettente  ravvisa  nel  requisito  del  possesso
della carta  di  soggiorno,  ora  permesso  di  soggiorno  UE  per  i
soggiornanti di lungo  periodo,  una  discriminazione  ai  danni  dei
cittadini di paesi terzi nel godimento di prestazioni  assistenziali,
quali l'assegno  di  maternita'  e  l'assegno  per  nuclei  familiari
numerosi, in violazione  degli  artt.  3,  10,  secondo  comma  -  in
relazione all'art. 14 CEDU - e 38 Cost.; 
    che  l'ordinanza  di  rimessione  si  basa  su  una  inesatta   e
incompleta  ricostruzione  del  quadro  normativo   di   riferimento,
all'interno del quale deve essere compreso il  problema  del  diritto
alla titolarita' dell'assegno di maternita' e dell'assegno per nuclei
familiari con piu' di tre figli,  da  parte  di  cittadini  di  paesi
terzi; 
    che,  piu'  specificamente,  quanto   ai   profili   di   diritto
dell'Unione  europea,  l'ordinanza  si  riferisce  genericamente   ed
erroneamente a «norme di principio, espresse  in  direttive,  e  alle
quali l'Italia ha comunque dato  attuazione  (proprio  con  la  legge
97/2013)», richiamando cosi' indirettamente e impropriamente solo  la
normativa relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano
soggiornanti di lungo periodo, non riferibile  alla  controversia  in
esame in quanto la ricorrente e' sprovvista proprio di detto status; 
    che il rimettente ha per contro del tutto ignorato  la  direttiva
2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,  del  13  dicembre
2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un
permesso  unico  che  consente  ai  cittadini  di  paesi   terzi   di
soggiornare e lavorare nel territorio di uno  Stato  membro  e  a  un
insieme comune di  diritti  per  i  lavoratori  di  paesi  terzi  che
soggiornano regolarmente in uno Stato membro, e, in  particolare,  la
disciplina dettata dal suo  art.  12,  che  riconosce  a  determinate
categorie di cittadini di paesi terzi  il  diritto  alla  parita'  di
trattamento con i cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per
quanto concerne i settori della «sicurezza  sociale»,  come  definiti
dal regolamento  (CE)  n.  883/2004  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei  sistemi
di sicurezza sociale; 
    che, a mente dell'art. 3, paragrafo 1, lettera  b),  la  medesima
direttiva 2011/98/UE si applica anche «ai cittadini  di  paesi  terzi
che  sono  stati  ammessi  in  uno  Stato  membro  a   fini   diversi
dall'attivita'  lavorativa  a  norma  del   diritto   dell'Unione   o
nazionale, ai quali e' consentito lavorare e che sono in possesso  di
un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002»; 
    che il titolo di soggiorno posseduto  dalla  ricorrente  potrebbe
rientrare nella categoria di  beneficiari  individuata  dall'art.  3,
paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/98/UE,  atteso  che  il
permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, indicato  nelle
premesse dell'ordinanza di rimessione, e' un titolo che non  preclude
al cittadino di un paese terzo di lavorare in Italia; 
    che, quanto alla individuazione  degli  ambiti  della  «sicurezza
sociale» a cui si applica il  principio  di  parita'  di  trattamento
disposto dall'art. 12,  paragrafo  1,  lettera  e),  della  direttiva
2011/98/UE, occorre fare riferimento al regolamento (CE) n. 883/2004; 
    che l'art. 3, paragrafo 1, del suddetto regolamento  include  «le
prestazioni di maternita'» (lettera b) e «le  prestazioni  familiari»
(lettera j); 
    che il rimettente ha altresi' del  tutto  trascurato  la  copiosa
giurisprudenza di merito espressasi in  materia  e,  soprattutto,  ha
ignorato le pronunce della Corte di  giustizia  dell'Unione  europea,
piu' volte intervenuta sulla portata  del  principio  di  parita'  di
trattamento di cui all'art. 12 della citata direttiva 2011/98/UE; 
    che quindi, come questa Corte ha gia' avuto modo di  rilevare  in
relazione ad un'analoga questione, decisa con  ordinanza  n.  95  del
2017, il giudice rimettente  avrebbe  dovuto  prendere  in  esame  la
suddetta direttiva 2011/98/UE - e  in  particolare  il  principio  di
parita' di trattamento, come interpretato dalla Corte di giustizia  -
e valutarne l'applicabilita' nel caso sottoposto al suo giudizio; 
    che le argomentazioni spese nella specie dal Tribunale rimettente
non  sono  quindi  sufficienti  a  soddisfare  l'onere  motivazionale
richiesto nei giudizi di costituzionalita' in via incidentale ai fini
dell'ammissibilita' della questione.