ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  31  del
decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4 (Misure  urgenti  in  materia  di
organizzazione  e  funzionamento  della  pubblica   amministrazione),
convertito, con modificazioni, nella  legge  9  marzo  2006,  n.  80,
promosso dalla Corte di appello di Roma,  nel  procedimento  vertente
tra Ente Autonomo Volturno  srl  (EAV  srl),  quale  incorporante  di
Circumvesuviana srl,  e  il  Ministero  delle  infrastrutture  e  dei
trasporti, con ordinanza del 24 luglio 2017, iscritta al n.  168  del
registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visti l'atto di costituzione  della  societa'  EAV  srl,  nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella udienza pubblica  del  5  febbraio  2019  il  Giudice
relatore Giuliano Amato; 
    uditi l'avvocato Michele Mascolo per l'EAV srl e l'avvocato dello
Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 24 luglio 2017, la Corte di appello di Roma
ha sollevato questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  31
del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4 (Misure urgenti in materia di
organizzazione  e  funzionamento  della  pubblica   amministrazione),
convertito, con modificazioni, nella legge 9 marzo 2006, n. 80. 
    La disposizione censurata prevede che «[l]e regolazioni debitorie
dei disavanzi delle ferrovie concesse e in ex gestione  commissariale
governativa, comprensivi degli oneri di trattamento di fine  rapporto
maturati alla data del 31 dicembre 2000, previste dall'articolo  145,
comma 30, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, si intendono definite
nei termini delle istruttorie effettuate congiuntamente dal Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti e dal Ministero dell'economia  e
delle finanze  a  seguito  delle  comunicazioni  effettuate  e  delle
istanze formulate dalle aziende interessate entro il 31 agosto 2005». 
    Ad avviso del giudice a quo, la disposizione in esame violerebbe,
in primo luogo, l'art.  3  della  Costituzione  per  l'ingiustificata
discriminazione che si determinerebbe tra quei soggetti che, pur  non
essendo vincolati al rispetto di alcun termine per  la  presentazione
di istanze o comunicazioni ai fini del rimborso, per mera  casualita'
le avessero presentate entro il termine previsto  dalla  disposizione
censurata, e quei soggetti che, invece, non lo avessero fatto. 
    Sarebbero violati anche l'art. 97 Cost. ed il principio  di  buon
andamento ed imparzialita' dell'azione amministrativa, per la lesione
del legittimo affidamento sorto in capo agli aventi diritto. 
    2.-  Il  giudice  a  quo  e'  chiamato  a  decidere   in   ordine
all'impugnazione della sentenza con cui  il  Tribunale  ordinario  di
Roma ha respinto la domanda avanzata dalla Circumvesuviana  srl,  poi
incorporata nell'Ente Autonomo Volturno srl (EAV  srl),  al  fine  di
ottenere  la  condanna  del  Ministero  delle  infrastrutture  e  dei
trasporti al rimborso di pagamenti effettuati dalla societa' attrice,
subentrata  nei  rapporti  passivi   della   gestione   commissariale
governativa, gia' gestita da Ferrovie dello Stato spa. 
    In punto di fatto, il giudice a quo riferisce  che  il  Ministero
delle infrastrutture e trasporti ha  negato  il  rimborso,  ritenendo
tardiva la richiesta avanzata il 15 maggio 2006 rispetto  al  termine
del 31 agosto 2005, fissato dalla disposizione censurata. A  sostegno
dell'impugnazione,    la    parte    appellante    ha     prospettato
l'illegittimita' costituzionale della previsione del termine. 
    2.1.- La Corte di appello  ritiene  di  non  potere  accedere  ad
un'interpretazione adeguatrice, tale  da  consentire  un'applicazione
della disposizione censurata conforme  ai  principi  di  eguaglianza,
ragionevolezza e legittimo affidamento. 
    Il rimettente evidenzia che questa interpretazione  farebbe  leva
sulla distinzione, contenuta nella  disposizione  censurata,  tra  le
«istanze»,  ossia  le  richieste  di  erogazione  di  somme,   e   le
«comunicazioni», riferite invece ad  ogni  tipo  di  segnalazione  in
ordine alla regolazione dei disavanzi. Questa distinta considerazione
sarebbe giustificata dall'esigenza di non pregiudicare  ingiustamente
le aziende che non avessero formulato  alcuna  istanza  entro  il  31
agosto 2005, allorche' non era previsto alcun termine. Tuttavia,  non
risultando  che  la  societa'   appellante   abbia   inviato   alcuna
comunicazione circa i disavanzi da regolare, adeguata  a  consentirne
la definizione, nel caso in esame  tale  interpretazione  conforme  a
Costituzione sarebbe impraticabile. 
    L'unica interpretazione possibile  della  disposizione  censurata
determinerebbe la rilevanza della questione di  costituzionalita'  ai
fini della risoluzione della controversia. 
    2.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza, la Corte di appello
ritiene che la previsione di un termine di decadenza retroattivo,  in
quanto applicabile rispetto a diritti  gia'  maturati,  si  ponga  in
contrasto con i principi di cui agli artt. 3 e 97  Cost.,  anche  con
riferimento all'art. 11  delle  disposizioni  preliminari  al  codice
civile. 
    Si determinerebbe, infatti, un'ingiustificata discriminazione tra
quei soggetti che, pur non essendo vincolati  al  rispetto  di  alcun
termine per la presentazione di istanze o comunicazioni ai  fini  del
rimborso,  per  mera  casualita'  le  avessero  presentate  entro  il
termine, e quei soggetti che,  invece,  non  lo  avessero  fatto.  Ad
integrare la violazione dei principi costituzionali  non  sarebbe  la
retroattivita' in se' considerata, ma l'effetto che ne consegue. 
    Sarebbe  inoltre  violato  il  principio  di  buon  andamento  ed
imparzialita'  dell'azione  amministrativa,  per   la   lesione   del
legittimo affidamento sorto in capo agli aventi diritto. 
    E'   richiamata   la   giurisprudenza   costituzionale   che   ha
riconosciuto un'ampia  discrezionalita'  legislativa  in  materia  di
successione di leggi, salvo  il  limite  imposto  in  materia  penale
dall'art.  25,  secondo  comma,  Cost.,  e,  comunque,   purche'   la
retroattivita' trovi adeguata e ragionevole giustificazione e non  si
ponga in contrasto con altri valori ed  interessi  costituzionalmente
protetti. Questa stessa giurisprudenza ha altresi' affermato  che  il
principio del legittimo affidamento costituisce elemento fondamentale
dello Stato di  diritto  e  non  puo'  essere  leso  da  disposizioni
retroattive che trasmodino in regolamento irrazionale  di  situazioni
fondate su leggi anteriori. 
    3.- Nel giudizio dinanzi alla Corte si e' costituita la  societa'
appellante  EAV   srl,   quale   avente   causa   della   incorporata
Circumvesuviana srl,  chiedendo  l'accoglimento  della  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    3.1.-  La  parte  costituita  evidenzia   che   la   disposizione
censurata, entrata in vigore il 13 febbraio [recte:  il  12  gennaio]
2006,  avrebbe  cancellato,  con  effetto  dal  31  agosto  2005,  il
meccanismo di regolazione attraverso  il  quale  il  Ministero  delle
infrastrutture e dei trasporti provvedeva a rimborsare  alle  aziende
subentrate  alle  gestioni  commissariali   governative   gli   oneri
sostenuti per i disavanzi  di  queste  ultime.  In  questo  modo,  le
aziende che non abbiano presentato le proprie  istanze  entro  il  31
agosto  2005  sarebbero  discriminate  rispetto  a  quelle  che,  per
circostanze casuali, abbiano proposto le  proprie  istanze  prima  di
tale data. 
    La   disposizione   in    esame    sarebbe,    inoltre,    lesiva
dell'affidamento riposto dalle imprese di trasporto in un sistema  di
regolazione, in vigore da cinque anni, che  consentiva  di  attendere
che i contenziosi ed i rapporti giuridici riferibili alle ex gestioni
si  concludessero  e  che  i  relativi  esiti  fossero  inseriti  nel
consuntivo di cui chiedere il rimborso al Ministero. 
    La  disposizione  censurata  non  rivestirebbe   neppure   natura
premiale di condotte diligenti. Infatti, gran parte  dei  crediti  in
questione sarebbero derivati dal contenzioso promosso dai lavoratori,
il quale avrebbe un iter processuale e una durata diversi  a  seconda
del contesto territoriale. 
    L'art. 31 in  esame  finirebbe  paradossalmente  per  penalizzare
proprio le  societa'  piu'  virtuose,  che  si  siano  costituite  in
giudizio per contrastare  le  richieste  dei  lavoratori  ricorrenti.
Infatti,  per  tutta  la  durata  del  processo  sarebbe  impossibile
rendicontare i relativi esborsi. 
    La medesima disposizione si porrebbe  inoltre  in  contrasto  con
l'art. 97 Cost. e con il principio di buona amministrazione. 
    La societa' costituita sottolinea  che  il  diritto  al  rimborso
trova  la  sua  fonte  legale  nell'art.  8,  comma  6,  del  decreto
legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento  alle  regioni  ed
agli enti locali di  funzioni  e  compiti  in  materia  di  trasporto
pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma  4,  della  legge  15
marzo 1997, n. 59) e nell'art. 145 della legge 23 dicembre  2000,  n.
388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)», da cui  scaturisce
l'obbligo del  Ministero  di  adempiere.  In  quanto  rispondente  ad
un'obbligazione fondata sulla legge,  ai  sensi  dell'art.  1173  del
codice civile, l'adempimento dell'amministrazione  sarebbe  attivita'
vincolata e non discrezionale. Esso costituirebbe il  soddisfacimento
di un diritto perfetto del creditore, sul quale non potrebbe influire
l'esercizio dei poteri amministrativi connessi  all'erogazione  della
spesa. 
    Dopo avere pagato gli importi di cui alle condanne giudiziali, la
parte costituita li ha quindi inseriti nei rendiconti  allegati  alle
proprie richieste di rimborso. Nell'istanza del 15  maggio  2006  era
contenuto il prospetto di un contenzioso, gia' noto al Ministero,  in
cui erano riassunti pagamenti effettuati dal 1° gennaio  2005  al  31
dicembre 2005,  per  fatti  relativi  al  periodo  precedente  al  31
dicembre 2000 e comunicati sin dal  2002.  Si  osserva  come  sarebbe
stato impossibile inviare un'istanza  di  rimborso  prima  di  potere
rendicontare con esattezza gli  esborsi  sostenuti.  Il  credito  nei
confronti del Ministero risulta tuttora evidenziato nel  bilancio  di
esercizio della societa' EAV srl, che ha previsto un  apposito  fondo
svalutazione per fare fronte ai rischi connessi al mancato rimborso. 
    La societa' appellante contesta l'interpretazione  fatta  propria
dalla sentenza di primo grado, secondo la quale l'art. 31 del d.l. n.
4 del 2006 sarebbe una norma programmatica, giustificata dall'intento
di porre fine al regime  transitorio  ed  ai  relativi  strumenti  di
assistenza finanziaria nel  subentro  nelle  gestioni  commissariali,
aprendo il settore alla concorrenza. La parte costituita fa  rilevare
che il sistema di  regolazione  del  disavanzo  non  prevedeva  alcun
termine di decadenza per il recupero delle spese sostenute. I crediti
derivanti da transazioni, liti giudiziarie, erogazioni di trattamenti
di fine rapporto, sorti prima del  31  dicembre  2000,  si  sarebbero
concretizzati successivamente, all'esito dei  relativi  giudizi.  Del
tutto inconferente ed indimostrato sarebbe poi  il  riferimento  alla
tutela  della   concorrenza,   quale   principio   ispiratore   della
disposizione censurata. 
    Dopo  avere  richiamato  alcune  pronunce  della   giurisprudenza
ordinaria e amministrativa sul principio di legittimo affidamento, la
parte costituita illustra la giurisprudenza costituzionale sul canone
di ragionevolezza e sul sindacato di  proporzionalita'  della  legge,
con  particolare  riferimento   a   disposizioni   aventi   efficacia
retroattiva. 
    Alla luce di tale  giurisprudenza,  si  evidenzia,  altresi',  la
disparita' di trattamento derivante dall'avere regolato diversamente,
ed  in  modo  ingiustificato,   situazioni   giuridiche   sostanziali
identiche,  assumendo   come   criterio   distintivo   la   data   di
presentazione dell'istanza di rimborso. 
    Quanto alla violazione dell'art. 97 Cost.,  la  parte  costituita
sottolinea   che   l'impatto   della   norma   retraoattiva   sarebbe
pregiudizievole rispetto all'attivita' procedimentale della  pubblica
amministrazione. Il censurato art. 31 avrebbe infatti  vanificato  lo
svolgimento  delle  istruttorie  gia'   avviate   con   comunicazioni
successive al 31 agosto 2005, ancorche' anteriori alla sua entrata in
vigore, il 12 gennaio 2006. Cio' avrebbe determinato  uno  spreco  di
risorse, in termini di personale ed attivita',  in  palese  contrasto
con i principi di economicita', efficacia ed efficienza, che fanno da
corollario  al  buon  andamento   della   pubblica   amministrazione.
Peraltro, la lesione piu' grave all'art. 97 Cost. discenderebbe dalla
violazione del principio di imparzialita', essendo  irrimediabilmente
compromesso l'affidamento nella certezza di rapporti  giuridici,  che
costituisce principio cardine dell'ordinamento giuridico. 
    Si osserva, d'altra parte, che, per salvaguardare i  principi  di
uguaglianza,  di  buon  andamento  ed  imparzialita',  sarebbe  stato
sufficiente prevedere un termine ragionevole e  posteriore,  anziche'
antecedente  all'entrata  in  vigore   della   legge.   Inoltre,   la
responsabilita' del Ministero delle infrastrutture  e  dei  trasporti
per fatti di gestione precedenti al subentro  avrebbe  potuto  essere
definita  senza  necessita'  di  interventi  legislativi.  Al   piu',
avrebbero potuto  essere  ottimizzati  i  tempi  e  le  procedure  di
rimborso, ma senza comprimere il diritto  al  recupero  di  pagamenti
gia' effettuati.  La  preclusione  di  tale  rimborso  trasmoderebbe,
quindi,  in  un  regolamento  irrazionale  di  situazioni  giuridiche
fondate su un assetto stabilito da leggi  anteriori,  sul  quale  gli
amministrati facevano affidamento. 
    4.- Nel giudizio innanzi alla Corte, e' intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile o comunque non fondata. 
    4.1.- E'  eccepita,  in  primo  luogo,  l'inammissibilita'  della
questione per l'omessa sperimentazione «di un'esegesi  autenticamente
adeguatrice del dato normativo». Il  giudice  a  quo  avrebbe  dovuto
verificare la possibilita' di un'interpretazione diversa  da  quella,
sinteticamente prospettata nell'ordinanza di rimessione,  secondo  la
quale dall'inosservanza del termine  discenderebbe  l'estinzione  del
credito restitutorio. 
    4.2.- Nel merito, l'Avvocatura generale dello Stato  ritiene  che
l'interpretazione del giudice a quo contrasti con il tenore letterale
della  disposizione  censurata,  che  non  prevede  espressamente  il
termine a pena di decadenza, nonche' con il d.lgs. n. 422 del 1997  e
con il successivo decreto del Presidente del Consiglio  dei  ministri
16 novembre 2000 (Individuazione e trasferimento alle  regioni  delle
risorse per l'esercizio delle funzioni e compiti conferiti  ai  sensi
degli articoli 8 e 12 del D.Lgs. 19 novembre 1997, n. 422 in  materia
di trasporto pubblico locale), che pongono a carico  dello  Stato  la
copertura dei disavanzi maturati. 
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato  fa  notare  che,  ai  sensi
dell'art. 145 della legge  n.  388  del  2000,  cui  la  disposizione
censurata rinvia, gli oneri destinati a rimanere a carico dello Stato
includono i disavanzi maturati fino al 31 dicembre 2000, ivi compresi
gli  oneri  per  il  trattamento  di  fine   rapporto.   Il   termine
quinquennale di  prescrizione  di  tali  obbligazioni  decorre  dalla
cessazione del rapporto di lavoro (art. 2948 cod. civ.).  Era  quindi
possibile che, alla data del 31 agosto 2005, non fossero ancora stati
azionati tutti i debiti per i trattamenti di fine rapporto,  riferiti
a periodi antecedenti il conferimento. 
    Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato,  la  disposizione
impugnata si limiterebbe a dettare soltanto le modalita'  procedurali
per la definizione delle istanze depositate fino al 31  agosto  2005.
Essa non inciderebbe sul diritto delle  aziende  subentrate  alle  ex
gestioni commissariali di ottenere il rimborso  dei  pagamenti  anche
successivi a tale data, riferibili ad oneri maturati  nella  gestione
antecedente al 31 dicembre 2000. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte  di  appello  di  Roma  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 31 del decreto-legge 10 gennaio
2006,  n.  4  (Misure  urgenti  in  materia   di   organizzazione   e
funzionamento  della  pubblica  amministrazione),   convertito,   con
modificazioni, nella legge 9 marzo 2006, n. 80. 
    La disposizione censurata prevede che «Le  regolazioni  debitorie
dei disavanzi delle ferrovie concesse e in ex gestione  commissariale
governativa, comprensivi degli oneri di trattamento di fine  rapporto
maturati alla data del 31 dicembre 2000, previste dall'articolo  145,
comma 30, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, si intendono definite
nei termini delle istruttorie effettuate congiuntamente dal Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti e dal Ministero dell'economia  e
delle finanze  a  seguito  delle  comunicazioni  effettuate  e  delle
istanze formulate dalle aziende interessate entro il 31 agosto 2005». 
    Ad avviso del giudice a quo,  tale  disposizione  violerebbe,  in
primo  luogo,  l'art.  3  della  Costituzione,  per  l'ingiustificata
discriminazione che si determinerebbe tra quei soggetti che, pur  non
essendo vincolati al rispetto di alcun termine per  la  presentazione
di istanze o comunicazioni ai fini del rimborso, per mera  casualita'
le avessero presentate entro il termine previsto  dalla  disposizione
censurata, e quei soggetti che, invece, non lo avessero fatto. 
    Sarebbero violati anche l'art. 97 Cost. ed il principio  di  buon
andamento ed imparzialita' dell'azione amministrativa, per la lesione
del legittimo affidamento sorto in capo agli aventi diritto. 
    2.-   In   via   preliminare,   va   esaminata   l'eccezione   di
inammissibilita' formulata dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    Ad avviso  di  quest'ultima,  il  rimettente  avrebbe  omesso  di
esplorare    la    possibilita'    di     dare     un'interpretazione
costituzionalmente orientata del censurato art. 31. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Il rimettente si  e'  fatto  carico  dell'onere  di  sperimentare
un'interpretazione  conforme,  attribuendo  rilievo,  ai   fini   del
rispetto del termine introdotto dalla disposizione  censurata,  oltre
che  a  specifiche  istanze  di  rimborso,   anche   alle   generiche
"comunicazioni" o "segnalazioni", comunque riferite alla  regolazione
dei  disavanzi.  Tuttavia,  ad  avviso  del  giudice  a   quo,   tale
considerazione non sarebbe risolutiva,  poiche'  nel  caso  in  esame
prima della scadenza del termine non sono state inviate comunicazioni
o segnalazioni riferite ai disavanzi da regolare, tali da consentirne
la definizione. 
    Non e' praticabile, d'altra parte,  l'interpretazione,  suggerita
dalla stessa  Avvocatura  generale  dello  Stato,  secondo  la  quale
dall'inosservanza del  termine  non  discenderebbe  l'estinzione  del
credito restitutorio. Essa contrasta  sia  con  il  tenore  letterale
della disposizione censurata  («Le  regolazioni  debitorie  [...]  si
intendono definite [...] a seguito delle comunicazioni  effettuate  e
delle istanze formulate [...] entro il 31 agosto 2005»), sia  con  la
dichiarata ratio di contenimento  della  spesa  pubblica,  risultante
anche dalla relazione illustrativa al disegno di legge di conversione
del d.l. n. 4 del 2006. E'  significativo,  a  questo  riguardo,  che
questa  stessa  interpretazione  non  sia  stata  condivisa  ne'  dal
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti,  che  sulla  ritenuta
tardivita' della richiesta ha fondato  il  rifiuto  di  procedere  al
rimborso,  ne'  dalla  stessa  Avvocatura  generale  dello  Stato  in
entrambi i gradi del giudizio di merito, in cui si  e'  opposta  alla
domanda attrice  proprio  sulla  base  della  natura  perentoria  del
termine. 
    Appare pertanto corretta la premessa del rimettente,  secondo  il
quale l'univoco  tenore  letterale  della  norma  censurata  preclude
un'interpretazione adeguatrice, che deve pertanto cedere il passo  al
sindacato di legittimita' costituzionale (ex plurimis,  sentenze  nn.
258, 82 e 42 del 2017, n. 95 del 2016). 
    3.- Nel merito, la questione e' fondata in  riferimento  all'art.
3, primo comma, Cost. 
    La disposizione censurata, in vigore  dal  12  gennaio  2006,  ha
previsto la definizione dei disavanzi delle ferrovie concesse e in ex
gestione commissariale  governativa  nei  termini  delle  istruttorie
effettuate a seguito delle comunicazioni e  delle  istanze  formulate
entro il 31 agosto 2005. Introducendo un termine per la presentazione
delle istanze, e' stato innovato il meccanismo attraverso il quale lo
Stato aveva sino ad allora provveduto al ripianamento  del  disavanzo
maturato alla  data  del  conferimento  di  funzioni  in  materia  di
trasporto pubblico locale, realizzato in base al decreto  legislativo
19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento  alle  regioni  ed  agli  enti
locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale,
a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59). 
    Va inoltre evidenziato, che in base all'art. 8,  comma  6,  dello
stesso d.lgs. n. 422 del 1997,  nell'ambito  dei  disavanzi  maturati
alla data del conferimento di funzioni  erano  ricompresi  anche  gli
oneri per il trattamento di fine rapporto. Tale inclusione  e'  stata
poi confermata dall'art. 145, comma 30, della legge 23 dicembre 2000,
n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)», e  infine  dalla
disposizione censurata. 
    In considerazione del termine quinquennale  di  prescrizione  dei
crediti  per  indennita'  di  cessazione  del  rapporto  di   lavoro,
decorrente  appunto  da  tale  cessazione,  era  pertanto  del  tutto
verosimile che, alla data del 31 agosto 2005, obbligazioni relative a
periodi precedenti al 2000 non fossero state ancora definite in  sede
giudiziale e, quindi, non fossero state ancora  avanzate  istanze  di
rimborso al Ministero. 
    A partire dal 31 agosto 2005 la disposizione  censurata  preclude
la possibilita' di ottenere la copertura dei disavanzi derivanti  dal
subentro  nelle  funzioni.  Tale  previsione  incide  quindi  su  una
fattispecie sorta nella vigenza della  precedente  disciplina  e  non
ancora esaurita, in ragione del residuo spazio temporale in  cui  era
ancora possibile avanzare le richieste di rimborso. 
    Questa Corte ha costantemente  riconosciuto  che  il  valore  del
legittimo affidamento, che trova copertura costituzionale nell'art. 3
Cost., non esclude che il legislatore possa adottare disposizioni che
modificano in senso sfavorevole agli  interessati  la  disciplina  di
rapporti giuridici, «anche se l'oggetto di questi sia  costituito  da
diritti  soggettivi  perfetti».  Cio'  puo'  avvenire,  tuttavia,   a
condizione «che tali disposizioni non trasmodino  in  un  regolamento
irrazionale,  frustrando,  con  riguardo  a  situazioni   sostanziali
fondate sulle leggi precedenti,  l'affidamento  dei  cittadini  nella
sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale  dello
Stato di diritto» (ex plurimis, sentenze n. 216 e n. 56 del 2015,  n.
219 del 2014, n. 154 del 2014, n. 310 e n. 83 del 2013,  n.  166  del
2012 e n. 302 del 2010; ordinanza n. 31 del 2011). 
    Nel  caso  in  esame,  l'assetto  normativo   preesistente   alla
disposizione  denunciata  era  tale  da  far  sorgere  nelle  aziende
interessate la ragionevole fiducia nella possibilita'  di  esercitare
il diritto al rimborso, una volta  conclusi  gli  eventuali  giudizi,
sino al termine ordinario di prescrizione di questo diritto. La fonte
legale dell'obbligazione statale (art. 8, comma 6, del d.lgs. n.  422
del 1997 e art.  145,  comma  30,  della  legge  n.  388  del  2000),
l'anteriorita' dei fatti generatori delle  obbligazioni  rispetto  al
conferimento delle funzioni ed il decorso  di  un  quinquennio  senza
alcuna modifica  di  tale  assetto  hanno  consolidato  il  legittimo
affidamento circa la possibilita' di ottenere il ripianamento di tali
disavanzi,  rendendo  per  cio'   stesso   censurabile   l'intervento
legislativo in esame. 
    In particolare, con  riguardo  alla  fissazione  di  termini  per
l'esercizio di singoli diritti, questa Corte ha riconosciuto che  «il
legislatore  gode  di  ampia  discrezionalita',  con  l'unico  limite
dell'eventuale  irragionevolezza,   qualora   "[il   termine]   venga
determinato in modo da  non  rendere  effettiva  la  possibilita'  di
esercizio del diritto cui si riferisce"» (sentenze n. 216 del 2015  e
n. 234 del 2008; nello stesso senso, sentenze n. 192 del 2005, n. 197
del 1987 e n. 10 del 1970, ordinanza n. 153 del 2000).  Nel  caso  in
esame, l'introduzione di un termine di  decadenza,  gia'  decorso  al
momento dell'entrata in vigore della disposizione che lo ha previsto,
ha definitivamente precluso la possibilita' di ottenere  il  rimborso
di oneri gia' sostenuti. 
    D'altra parte, l'intervento legislativo oggetto  di  censura  non
puo' trovare adeguata giustificazione nell'interesse dello Stato alla
riduzione della spesa pubblica. Infatti, «[s]e l'obiettivo di ridurre
il debito puo' giustificare scelte anche assai onerose e, sempre  nei
limiti della ragionevolezza e della proporzionalita', la compressione
di situazioni giuridiche  rispetto  alle  quali  opera  un  legittimo
affidamento, esso non puo' essere perseguito  senza  una  equilibrata
valutazione comparativa degli interessi in gioco e,  in  particolare,
non puo' essere raggiunto trascurando completamente gli interessi dei
privati,  con  i  quali  va  invece   ragionevolmente   contemperato»
(sentenza n. 216 del 2015).  Nel  caso  in  esame,  non  risulta  che
l'interesse  alla  riduzione   della   spesa   pubblica   sia   stato
adeguatamente bilanciato rispetto al sacrificio imposto alle  imprese
che, anche dopo il 31 agosto 2005, continuavano  a  vantare  crediti.
Infatti, la disposizione censurata comporta tout  court  l'estinzione
di tali obbligazioni e non lascia alcun residuo margine temporale per
esercitare il credito; con l'effetto, nel caso di  specie,  che  esse
continuano  a  gravare  sul  fondo  svalutazione,  costituito   dalla
societa' EAV srl  per  far  fronte  ai  rischi  connessi  al  mancato
rimborso. 
    D'altra parte, il tenore letterale della  disposizione  censurata
non consente  neppure  di  riferirla  all'accertamento  di  eventuali
sopravvenienze  attive,  cui  lo  Stato  -  in  ipotesi   -   avrebbe
rinunciato. Infatti,  il  suo  ambito  applicativo  e'  espressamente
individuato  nelle  «regolazioni  debitorie   dei   disavanzi   [...]
comprensivi degli oneri  di  trattamento  di  fine  rapporto  [...]».
Manca, pertanto, qualsiasi riferimento  ad  eventuali  sopravvenienze
attive e, a fortiori, alla relativa rinuncia da parte dello Stato, di
cui si fa menzione soltanto nella relazione al disegno  di  legge  di
conversione del d.l. n. 4 del 2006. 
    Pertanto, va dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art.
31 del d.l. n. 4  del  2006,  come  convertito,  per  violazione  dei
principi di tutela  dell'affidamento  e  di  ragionevolezza,  di  cui
all'art. 3 Cost., con assorbimento dell'ulteriore  censura  formulata
in riferimento all'art. 97 Cost.