ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi
1072, 1079 e 1080, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio  di
previsione  dello  Stato  per  l'anno  finanziario  2018  e  bilancio
pluriennale  per  il  triennio  2018-2020),  promosso  dalla  Regione
Veneto, con ricorso notificato il 27  febbraio  2018,  depositato  in
cancelleria il 6 marzo 2018, iscritto al n. 21 del  registro  ricorsi
2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  16,
prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella udienza pubblica del  19  febbraio  2019  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi gli avvocati Ezio Zanon  e  Andrea  Manzi  per  la  Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Gianni De Bellis  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Regione Veneto ha  impugnato  diverse  disposizioni  della
legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2018-2020), fra le quali l'art. 1, commi 1072, 1079 e  1080,  oggetto
del settimo e ottavo motivo di ricorso. 
    Il  comma  1072  rifinanzia  il  cosiddetto  fondo  investimenti,
istituito dall'art. 1, comma 140, della legge 11  dicembre  2016,  n.
232 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e
bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019). In  particolare,  il
comma 1072, nel testo  vigente  al  momento  della  proposizione  del
ricorso, stabiliva quanto  segue:  «Il  fondo  da  ripartire  di  cui
all'articolo 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n.  232,  e'
rifinanziato per 800 milioni di  euro  per  l'anno  2018,  per  1.615
milioni di euro per l'anno  2019,  per  2.180  milioni  di  euro  per
ciascuno degli anni dal 2020 al 2023, per 2.480 milioni di  euro  per
l'anno 2024 e per 2.500 milioni di euro per ciascuno degli  anni  dal
2025 al 2033. Le predette risorse sono ripartite nei settori di spesa
relativi a: a) trasporti e viabilita';  b)  mobilita'  sostenibile  e
sicurezza stradale;  c)  infrastrutture,  anche  relative  alla  rete
idrica e alle opere di collettamento,  fognatura  e  depurazione;  d)
ricerca; e) difesa del  suolo,  dissesto  idrogeologico,  risanamento
ambientale  e  bonifiche;  f)  edilizia  pubblica,  compresa   quella
scolastica e sanitaria; g) attivita' industriali ad alta tecnologia e
sostegno alle esportazioni; h) digitalizzazione delle amministrazioni
statali; i) prevenzione  del  rischio  sismico;  l)  investimenti  in
riqualificazione urbana e sicurezza delle periferie; m) potenziamento
infrastrutture e mezzi per  l'ordine  pubblico,  la  sicurezza  e  il
soccorso; n) eliminazione  delle  barriere  architettoniche.  Restano
fermi i criteri di utilizzo del fondo di  cui  al  secondo,  terzo  e
quarto periodo del citato comma 140. I  decreti  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri di riparto del fondo di cui al  primo  periodo
sono da adottare, ai sensi dell'articolo 17  della  legge  23  agosto
1988, n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata  in  vigore
della presente legge». 
    La norma impugnata, dunque, rinviava al citato art. 1, comma 140,
della legge n. 232 del 2016  per  quel  che  riguarda  i  criteri  di
utilizzo del fondo. Al momento del ricorso, il  comma  140,  dopo  il
primo periodo, stabiliva quanto segue: «L'utilizzo del fondo  di  cui
al primo periodo e' disposto con uno o piu'  decreti  del  Presidente
del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia  e
delle finanze, di concerto con i Ministri interessati,  in  relazione
ai programmi presentati dalle amministrazioni centrali  dello  Stato.
Gli schemi dei decreti sono trasmessi alle  Commissioni  parlamentari
competenti per materia, le quali esprimono il  proprio  parere  entro
trenta giorni dalla data dell'assegnazione; decorso tale  termine,  i
decreti possono  essere  adottati  anche  in  mancanza  del  predetto
parere. Con i medesimi decreti sono  individuati  gli  interventi  da
finanziare e  i  relativi  importi,  indicando,  ove  necessario,  le
modalita' di utilizzo dei contributi [...]». 
    Secondo la Regione Veneto, «il Fondo e'  destinato  a  finanziare
programmi presentati dalle amministrazioni centrali dello  Stato,  ma
che intervengono anche  in  settori  che  investono  direttamente  le
competenze concorrenti delle Regioni, senza pero'  che  sia  previsto
alcun coinvolgimento delle  Regioni  nell'adozione  dei  Decreti  del
Presidente del  Consiglio  dei  Ministri  relativi  all'utilizzo  del
suddetto fondo [...]». In particolare,  gli  interventi  finanziabili
interferirebbero, salvo quelli di cui alle  lettere  h)  ed  m),  «su
materie  sicuramente  di  competenza  concorrente  come  la  "ricerca
scientifica  e  tecnologica",  "grandi  reti  di   trasporto   e   di
navigazione",  "governo   del   territorio",   "protezione   civile",
"edilizia scolastica", se non  addirittura  di  competenza  residuale
regionale come il trasporto pubblico locale». 
    La  ricorrente  indica  specificamente  gli  oggetti  del   fondo
afferenti a materie regionali, osservando  che  in  tali  ambiti  «e'
quindi ravvisabile  perlomeno  un  intreccio  e  una  concorrenza  di
competenze statali e regionali»; sarebbe dunque «evidente  [...]  che
l'intervento   normativo    statale    struttura,    abilitando    le
amministrazioni  centrali   a   presentare   i   relativi   progetti,
un'avocazione  in  sussidiarieta'  di  attribuzioni  spettanti   alle
Regioni,  in  quanto  connesse  a  materie  rimesse  alla  competenza
concorrente e addirittura residuale delle Regioni». 
    La  Regione  ritiene  che  la   norma   impugnata   «disattend[a]
completamente  i  presupposti  che  soli,  secondo   la   consolidata
giurisprudenza [...] costituzionale, rendono  legittima  la  suddetta
chiamata in sussidiarieta'» (si cita la sentenza  n.  92  del  2011):
infatti, «dal momento che in relazione ai decreti del Presidente  del
Consiglio dei ministri con cui sono  individuati  gli  interventi  da
finanziare, i relativi importi e,  se  necessario,  le  modalita'  di
utilizzo dei contributi, non e' previsto alcun  coinvolgimento  delle
Regioni», si determinerebbe «la violazione degli articoli 117, III  e
IV comma e 118 della Costituzione, nonche'  del  principio  di  leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.». 
    Inoltre, la mancata  previsione  di  un'intesa  implicherebbe  la
violazione dell'art. 119 Cost.,  «dal  momento  che  le  disposizioni
impugnate strutturano [in materie regionali] forme  di  finanziamento
non  riconducibili  ad  alcuna  delle  modalita'   costituzionalmente
consentite dal suddetto art. 119  Cost.».  Nel  caso  di  specie,  si
tratterebbe  di  «risorse  "aggiuntive"  rispetto   "alla   ordinaria
capacita' finanziaria regionale", peraltro che vengono  investite  su
progetti delle  amministrazioni  statali  ma  inerenti  a  ambiti  di
competenza regionale». 
    La ricorrente conclude osservando che la  mancata  previsione  di
un'intesa  con  le  regioni  potrebbe  ingenerare   «la   prassi   di
assegnazioni  di  risorse,  non  solo  i)  sganciate  dalla  puntuale
rilevazione delle esigenze dei territori  in  cui  le  infrastrutture
vengono realizzate [...] ma anche ii)  in  difetto  della  necessaria
trasparenza che deve accompagnare le scelte statali  di  investimento
in tali ambiti: una determinata  realta'  territoriale  puo'  infatti
risultare  favorita  e  un'altra  penalizzata   in   forza   di   una
discrezionalita' politica destinata a rimanere oscura  per  l'insieme
delle Regioni». 
    2.- La Regione Veneto ha impugnato anche  i  commi  1079  e  1080
dell'art. 1 della legge n. 205 del 2017. 
    Il comma 1079, al primo periodo,  dispone  quanto  segue:  «Nello
stato  di  previsione  del  Ministero  delle  infrastrutture  e   dei
trasporti e' istituito il  Fondo  per  la  progettazione  degli  enti
locali, destinato al cofinanziamento della redazione dei progetti  di
fattibilita' tecnica ed economica e  dei  progetti  definitivi  degli
enti locali per opere destinate alla messa in sicurezza di edifici  e
strutture pubbliche, con una dotazione  di  30.000.000  di  euro  per
ciascuno degli anni dal 2018 al 2030». 
    Il comma 1080 stabilisce quanto segue: «I criteri e le  modalita'
di accesso, selezione e  cofinanziamento  dei  progetti,  nonche'  le
modalita' di recupero delle risorse in caso di mancato  rispetto  dei
termini indicati ai commi 1082 e 1083, sono definiti con decreto  del
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. I progetti  ammessi  a
cofinanziamento devono essere  previsti  nella  programmazione  delle
amministrazioni proponenti. Possono essere finanziati anche  i  costi
connessi alla redazione dei bandi di  gara,  alla  definizione  degli
schemi  di  contratto  e  alla   valutazione   della   sostenibilita'
finanziaria dei progetti». 
    Secondo la Regione Veneto, tali norme, «nella misura in  cui  non
prevedono,   nell'emanazione   del   decreto   del   Ministro   delle
infrastrutture e dei trasporti, alcun coinvolgimento  delle  Regioni,
si pongono in violazione degli artt. 117, III comma, 118, 119 nonche'
degli art. 5 e 120 Cost.  sul  principio  di  leale  collaborazione»,
poiche' il settore oggetto di finanziamento («messa in  sicurezza  di
edifici e strutture pubbliche») atterrebbe ad  ambiti  di  competenza
statale e regionale (fra  i  quali  il  governo  del  territorio,  la
protezione civile e la tutela della salute). 
    La norma censurata concretizzerebbe «un  intervento  speciale  di
finanziamento  statale  agli  enti  locali»  non  riconducibile  agli
«interventi speciali» di cui all'art. 119,  quinto  comma,  Cost.  in
quanto «non assume carattere straordinario,  ma  i)  ha  una  valenza
temporale di ben tredici anni e ii) e' diretto alla  generalita'  dei
Comuni». Dunque, la norma impugnata istituirebbe un «fondo statale  a
destinazione vincolata in un ambito materiale dove  si  realizza  una
concorrenza  di  competenze»,  senza  prevedere  «alcuna   forma   di
concertazione con le Regioni ai fini dell'adozione  del  decreto  del
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti diretto a determinare i
criteri di accesso al fondo stesso».  Secondo  la  Regione,  solo  la
previsione di un'intesa in  sede  di  Conferenza  unificata  potrebbe
rendere legittimo un fondo a destinazione vincolata. 
    3.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  si  e'  costituito  in
giudizio con atto depositato il 9 aprile  2018.  In  esso  la  difesa
erariale non argomenta  in  relazione  al  comma  1072  ma  solo  con
riferimento ai commi 1079 e 1080. 
    L'Avvocatura  osserva  che  le  norme  impugnate  prevedono   «un
intervento finanziario, realizzato mediante l'istituzione di un fondo
separato a gestione ministeriale,  rivolto  ad  edifici  e  strutture
pubbliche locali», ed incidono «nella materia "sicurezza di edifici e
strutture pubbliche" (si sottolinea, degli enti locali)». 
    Secondo la difesa statale, il  motivo  di  ricorso  presenterebbe
profili di inammissibilita'. Essa ricorda che le regioni possono  far
valere solo la violazione del riparto costituzionale  di  competenze,
oppure di parametri diversi qualora il vizio "ridondi" in una lesione
delle attribuzioni regionali. La censura riferita all'art. 118  Cost.
non sarebbe adeguatamente sviluppata  nel  testo  del  ricorso.  Tale
motivo sarebbe inammissibile per la «carenza di motivazione circa  le
ricadute sulle [...] attribuzioni costituzionalmente garantite»  alla
ricorrente. 
    Nel merito, secondo l'Avvocatura le censure sarebbero  infondate.
Poiche' i commi 1079 e  1080  riguardano  la  materia  «sicurezza  di
edifici  e  strutture  pubbliche»  degli  enti   locali,   essi   non
rientrerebbero  in  materie  di  competenza  concorrente   ma   nella
competenza esclusiva statale di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera h) («ordine  pubblico  e  sicurezza»).  A  sostegno  di  tale
assunto, la difesa erariale richiama la  sentenza  n.  21  del  2010,
riguardante la sicurezza delle  costruzioni,  nella  quale  la  Corte
costituzionale avrebbe per la prima volta affermato  che  la  materia
della sicurezza «non si esaurisce nell'adozione  di  misure  relative
alla prevenzione e repressione dei  reati,  ma  comprende  la  tutela
dell'interesse generale  all'incolumita'  delle  persone».  Sarebbero
dunque infondate le questioni relative all'art. 117, terzo  comma,  e
118 Cost. e al principio di leale collaborazione. 
    L'Avvocatura richiama poi la giurisprudenza costituzionale  sugli
interventi  speciali  di  cui  all'art.  119,  quinto  comma,  Cost.,
destinati a determinati enti territoriali.  Il  carattere  aggiuntivo
del finanziamento previsto dalla norma censurata si  ricaverebbe  dal
termine «cofinanziamento» utilizzato nei commi 1079 e 1080.  Inoltre,
non si tratterebbe di un intervento rivolto a tutti gli enti  locali:
in base al comma 1080, i criteri e le modalita' di accesso, selezione
e cofinanziamento dei progetti sono definiti con decreto del Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti e sarebbero «tali da  assicurare
le finalita' perequative come indicato  dalla  Corte».  Inoltre,  «il
carattere di straordinarieta' del cofinanziamento» emergerebbe «dalla
procedura disegnata dal legislatore  nei  commi  1081,  1082  e  1083
dell'articolo 1 della legge n. 205/2017». 
    Infine,  l'Avvocatura  fa  presente  che  lo  schema  di  decreto
previsto dal comma 1080 e' stato comunque sottoposto alla  Conferenza
Stato-citta' ed autonomie locali, che avrebbe  sancito  l'intesa  l'8
marzo 2018. 
    4.- Il 29 gennaio  2019  la  Regione  Veneto  ha  depositato  una
memoria integrativa. 
    In relazione al comma 1072, la ricorrente segnala che la norma da
esso richiamata (art. 1, comma 140, della legge n. 232 del  2016)  e'
stata modificata dall'art. 13, comma 01, del decreto-legge 25  luglio
2018, n. 91, recante «Proroga di  termini  previsti  da  disposizioni
legislative», convertito, con modificazioni, nella legge 21 settembre
2018, n. 108. Tale disposizione ha aggiunto, alla fine  dell'art.  1,
comma 140, i seguenti periodi: ««Fermo restando che i decreti di  cui
al periodo precedente, nella  parte  in  cui  individuano  interventi
rientranti nelle materie di competenza  regionale  o  delle  province
autonome, e limitatamente agli stessi, sono  adottati  previa  intesa
con gli enti territoriali interessati, ovvero in sede  di  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano, per gli interventi rientranti  nelle
suddette materie individuati con  i  decreti  adottati  anteriormente
alla data del 18 aprile 2018 l'intesa  puo'  essere  raggiunta  anche
successivamente all'adozione degli stessi decreti.  Restano  in  ogni
caso fermi i procedimenti di spesa in corso alla data di  entrata  in
vigore della legge di conversione del presente  decreto  nei  termini
indicati dalla sentenza della  Corte  costituzionale  n.  74  del  13
aprile 2018». 
    Tale modifica,  riferisce  la  Regione,  ha  fatto  seguito  alla
sentenza della Corte costituzionale n. 74 del 2018, che ha dichiarato
costituzionalmente illegittimo «l'impugnato comma 140, che disciplina
finanziamenti gestiti unilateralmente dallo Stato, [...] nella  parte
in cui non richiede un'intesa con gli enti territoriali in  relazione
ai decreti del Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  riguardanti
settori di spesa rientranti nelle materie  di  competenza  regionale,
per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost.
e del principio di leale collaborazione». 
    Secondo la ricorrente, poiche' l'impugnato comma 1072 richiama «i
criteri di utilizzo del fondo di cui al citato comma 140» della legge
n.   232   del   2016,   il   primo   sarebbe   «una    mera    norma
economico-finanziaria diretta a finanziare il fondo in parola, la cui
ripartizione resta affidata all'introdotto meccanismo  partecipativo,
ove siano coinvolti  interessi  territoriali».  Alla  Regione  sembra
dunque possibile che sia dichiarata la cessazione della  materia  del
contendere. Essa, peraltro,  precisa  di  non  essere  «in  grado  di
fornire informazioni in merito al raggiungimento postumo  dell'intesa
a sanatoria». 
    In relazione ai commi 1079 e 1080, la Regione ribadisce che  essi
prevedono un intervento finanziario che coinvolge materie regionali e
osserva che la  tesi  dell'Avvocatura  (secondo  la  quale  le  norme
rientrerebbero nella materia della sicurezza, di competenza esclusiva
statale) sarebbe «un'evidente  forzatura  esegetica»  in  quanto  «il
concetto di messa in sicurezza, pur avendo  risvolti  afferenti  alla
pubblica incolumita',  nondimeno  incide  su  aspetti  di  stabilita'
sismica, di decoro urbano, di strutturazione edilizia  degli  edifici
et similia, il che non  consente  di  escludere  dal  suo  ambito  di
riferimento la materia governo del territorio e protezione civile». 
    La ricorrente ribadisce poi che il fondo in questione e'  rivolto
indistintamente a tutti gli enti locali, invocando a sostegno di tale
affermazione il decreto attuativo delle norme impugnate. 
    5.- Successivamente al ricorso, il comma 1072 dell'art.  1  della
legge n. 205 del 2017 e' stato modificato dall'art. 13, comma 1,  del
citato d.l. n. 91 del 2018 nel seguente modo: «All'articolo 1,  comma
1072, della legge  27  dicembre  2017,  n.  205,  sono  apportate  le
seguenti modificazioni: a) al penultimo periodo, le parole: «secondo,
terzo e quarto periodo del» sono soppresse; b) all'ultimo periodo, le
parole da: «sono  da  adottare»  fino  alla  fine  del  periodo  sono
sostituite dalle seguenti: «sono adottati entro il 31 ottobre 2018»». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Veneto censura diverse disposizioni della legge 27
dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il  triennio  2018-2020),
fra le quali i commi 1072, 1079 e 1080 dell'art. 1. 
    2.- Resta riservata a separate  decisioni  la  definizione  delle
altre questioni sollevate dalla Regione Veneto con il ricorso di  cui
in epigrafe. 
    3.- Il comma 1072 rifinanzia il  cosiddetto  fondo  investimenti,
istituito dall'art. 1, comma 140, della legge 11  dicembre  2016,  n.
232 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e
bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019). In  particolare,  il
comma 1072, nel testo  vigente  al  momento  della  proposizione  del
ricorso, stabiliva quanto  segue:  «Il  fondo  da  ripartire  di  cui
all'articolo 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n.  232,  e'
rifinanziato per 800 milioni di  euro  per  l'anno  2018,  per  1.615
milioni di euro per l'anno  2019,  per  2.180  milioni  di  euro  per
ciascuno degli anni dal 2020 al 2023, per 2.480 milioni di  euro  per
l'anno 2024 e per 2.500 milioni di euro per ciascuno degli  anni  dal
2025 al 2033. Le predette risorse sono ripartite nei settori di spesa
relativi a: a) trasporti e viabilita';  b)  mobilita'  sostenibile  e
sicurezza stradale;  c)  infrastrutture,  anche  relative  alla  rete
idrica e alle opere di collettamento,  fognatura  e  depurazione;  d)
ricerca; e) difesa del  suolo,  dissesto  idrogeologico,  risanamento
ambientale  e  bonifiche;  f)  edilizia  pubblica,  compresa   quella
scolastica e sanitaria; g) attivita' industriali ad alta tecnologia e
sostegno alle esportazioni; h) digitalizzazione delle amministrazioni
statali; i) prevenzione  del  rischio  sismico;  l)  investimenti  in
riqualificazione urbana e sicurezza delle periferie; m) potenziamento
infrastrutture e mezzi per  l'ordine  pubblico,  la  sicurezza  e  il
soccorso; n) eliminazione  delle  barriere  architettoniche.  Restano
fermi i criteri di utilizzo del fondo di  cui  al  secondo,  terzo  e
quarto periodo del citato comma 140. I  decreti  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri di riparto del fondo di cui al  primo  periodo
sono da adottare, ai sensi dell'articolo 17  della  legge  23  agosto
1988, n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata  in  vigore
della presente legge». 
    La disposizione impugnata rinviava, dunque,  al  citato  art.  1,
comma 140, della legge n. 232  del  2016  per  quel  che  riguarda  i
criteri di utilizzo del fondo. Al momento del ricorso, il comma  140,
dopo il primo periodo, stabiliva quanto segue: «L'utilizzo del  fondo
di cui al primo periodo e'  disposto  con  uno  o  piu'  decreti  del
Presidente del Consiglio  dei  ministri,  su  proposta  del  Ministro
dell'economia  e  delle  finanze,  di   concerto   con   i   Ministri
interessati,   in   relazione   ai   programmi    presentati    dalle
amministrazioni centrali dello Stato. Gli  schemi  dei  decreti  sono
trasmessi alle Commissioni parlamentari competenti  per  materia,  le
quali esprimono il proprio parere  entro  trenta  giorni  dalla  data
dell'assegnazione; decorso tale termine,  i  decreti  possono  essere
adottati anche in  mancanza  del  predetto  parere.  Con  i  medesimi
decreti sono individuati gli interventi da finanziare  e  i  relativi
importi, indicando, ove necessario,  le  modalita'  di  utilizzo  dei
contributi [...]». 
    La ricorrente ritiene che il comma 1072  violi  il  principio  di
leale collaborazione e gli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119
della  Costituzione,  in  quanto  contemplerebbe  una  "chiamata   in
sussidiarieta'" in materie di competenza regionale,  senza  prevedere
alcun coinvolgimento delle  regioni  nell'adozione  dei  decreti  del
Presidente del Consiglio dei ministri relativi all'utilizzo del fondo
in questione. 
    3.1.- In relazione all'impugnazione del comma 1072 in  esame,  va
dichiarata la cessazione della  materia  del  contendere,  a  seguito
delle novita' normative intervenute dopo la proposizione del ricorso,
come del resto prospettato  dalla  stessa  ricorrente  nella  memoria
depositata in vista dell'udienza. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «la  modifica
normativa  della  norma  oggetto   di   questione   di   legittimita'
costituzionale in via principale intervenuta in pendenza di  giudizio
determina la cessazione della materia del contendere quando ricorrono
simultaneamente le seguenti condizioni: occorre  che  il  legislatore
abbia abrogato o modificato le norme censurate in senso  satisfattivo
delle pretese  avanzate  con  il  ricorso  e  occorre  che  le  norme
impugnate,  poi  abrogate  o   modificate,   non   abbiano   ricevuto
applicazione medio tempore» (sentenza n. 238 del 2018;  nello  stesso
senso, ex multis, sentenze n. 185, n. 171 e n. 44 del 2018). Nel caso
di specie, sussistono entrambe queste condizioni. 
    Come visto, il vizio di  legittimita'  costituzionale  del  comma
1072 consisterebbe nel rinviare all'art. 1, comma 140, della legge n.
232 del 2016, per quel che riguarda i criteri di utilizzo  del  fondo
investimenti, dal momento che il comma  140,  nel  testo  vigente  al
momento del  ricorso,  non  contemplava  alcun  coinvolgimento  delle
regioni  nei  decreti  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
concernenti l'utilizzo del fondo. 
    Il comma 140, dopo essere stato impugnato dalla  Regione  Veneto,
e' stato dichiarato illegittimo da questa Corte con la sentenza n. 74
del 2018 (successiva alla proposizione del  ricorso  qui  in  esame),
«nella parte in cui non prevede un'intesa con gli  enti  territoriali
in relazione ai decreti del Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
riguardanti settori di spesa rientranti nelle materie  di  competenza
regionale». Dunque, il comma 140, pochi mesi dopo l'entrata in vigore
della norma impugnata (che ad esso fa rinvio),  e'  stato  modificato
dalla suddetta pronuncia di questa Corte in senso  satisfattivo,  con
l'inserimento della previsione dell'intesa con gli enti territoriali.
In seguito il legislatore (con l'art. 13, comma 01, del decreto-legge
25 luglio 2018, n.  91,  recante  «Proroga  di  termini  previsti  da
disposizioni legislative», convertito, con modificazioni, nella legge
21 settembre 2018, n. 108) ha stabilito  che  dopo  l'ultimo  periodo
dello stesso comma 140 sono aggiunti i seguenti: «Fermo restando  che
i  decreti  di  cui  al  periodo  precedente,  nella  parte  in   cui
individuano  interventi  rientranti  nelle  materie   di   competenza
regionale o delle province autonome,  e  limitatamente  agli  stessi,
sono adottati previa intesa con gli  enti  territoriali  interessati,
ovvero in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato,
le regioni e le Province autonome di Trento e  di  Bolzano,  per  gli
interventi  rientranti  nelle  suddette  materie  individuati  con  i
decreti adottati anteriormente alla data del 18 aprile 2018  l'intesa
puo' essere raggiunta anche successivamente all'adozione degli stessi
decreti. Restano in ogni caso fermi i procedimenti di spesa in  corso
alla data di  entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del
presente decreto nei termini  indicati  dalla  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 74 del 13 aprile 2018». Nel contempo, col  comma  1
dell'art. 13 del d.l. n. 91 del 2018, come sostituito dalla legge  di
conversione n. 108 del  2018,  e'  stato  modificato  il  comma  1072
dell'art. 1 della legge n. 205 del  2017,  tra  l'altro,  per  quanto
rileva in questa sede, sopprimendo al  penultimo  periodo  le  parole
«secondo, terzo e quarto periodo del»: in tal modo si  e'  consentita
l'applicabilita'  degli  ulteriori  periodi  aggiunti  al  comma  140
dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016 ad opera dello stesso art. 13
del d.l. n. 91 del 2018, come convertito. 
    Il censurato comma 1072 non ha avuto attuazione, ne' prima  della
pubblicazione della sentenza n. 74 del 2018, ne' prima della modifica
del comma 140, giacche' e' stato attuato  solo  con  il  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri 28 novembre 2018  (Ripartizione
delle  risorse  del  Fondo  per  gli  investimenti  e   lo   sviluppo
infrastrutturale del Paese di cui all'articolo 1, comma  1072,  della
legge 27 dicembre 2017, n. 205), pubblicato nella Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 28, serie  generale,  del  2  febbraio  2019.  Ne
consegue che sussistono i presupposti della cessazione della  materia
del contendere con riferimento al motivo di ricorso che lo riguarda. 
    4.- La Regione Veneto censura anche i commi 1079 e 1080 dell'art.
1 della legge n. 205 del 2017. 
    Il comma 1079, al primo periodo, dispone che  «[n]ello  stato  di
previsione del Ministero delle  infrastrutture  e  dei  trasporti  e'
istituito il Fondo per la progettazione degli enti locali,  destinato
al cofinanziamento  della  redazione  dei  progetti  di  fattibilita'
tecnica ed economica e dei progetti definitivi degli enti locali  per
opere destinate alla  messa  in  sicurezza  di  edifici  e  strutture
pubbliche, con una dotazione di 30.000.000 di euro per ciascuno degli
anni dal 2018 al 2030». Il comma 1080 stabilisce a sua  volta  quanto
segue:  «I  criteri  e  le  modalita'   di   accesso,   selezione   e
cofinanziamento dei progetti, nonche' le modalita' di recupero  delle
risorse in caso di mancato rispetto dei  termini  indicati  ai  commi
1082  e  1083,  sono  definiti  con  decreto   del   Ministro   delle
infrastrutture e dei trasporti. I progetti ammessi a  cofinanziamento
devono essere previsti  nella  programmazione  delle  amministrazioni
proponenti. Possono essere finanziati anche  i  costi  connessi  alla
redazione dei  bandi  di  gara,  alla  definizione  degli  schemi  di
contratto e alla valutazione  della  sostenibilita'  finanziaria  dei
progetti». 
    Secondo la Regione Veneto, le due disposizioni si  porrebbero  in
contrasto con il principio di leale collaborazione e  con  gli  artt.
117, terzo comma, 118 e 119 Cost., perche' istituirebbero  un  «fondo
statale a destinazione vincolata  in  un  ambito  materiale  dove  si
realizza una concorrenza  di  competenze»,  senza  prevedere  «alcuna
forma di concertazione con  le  Regioni  ai  fini  dell'adozione  del
decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti  diretto  a
determinare i  criteri  di  accesso  al  fondo  stesso».  Secondo  la
ricorrente, solo la previsione di un'intesa  in  sede  di  Conferenza
unificata  potrebbe  rendere  legittimo  un  fondo   a   destinazione
vincolata. 
    4.1.- In relazione ai commi 1079 e 1080, occorre in  primo  luogo
definire  l'esatto  thema  decidendum.  La  ricorrente  non  contesta
infatti l'istituzione del  fondo  per  la  progettazione  degli  enti
locali, contenuta dal comma 1079, ma solo il  mancato  coinvolgimento
degli  enti  territoriali  nell'adozione  del  decreto   ministeriale
attuativo previsto dal comma 1080. Il ricorso e'  dunque  in  realta'
rivolto solo contro quest'ultima disposizione. 
    4.2.- L'eccezione  di  inammissibilita'  sollevata  dalla  difesa
statale con riferimento al motivo  avente  a  oggetto  la  violazione
dell'art. 118  Cost.  presenta  profili  di  oscurita'  (l'Avvocatura
richiama la giurisprudenza sulla "ridondanza", che  non  e'  tuttavia
pertinente in una questione nella quale tutti  i  parametri  invocati
attengono alle competenze regionali; inoltre, viene fatto riferimento
al  «quinto  paragrafo  del  ricorso»,  che  riguarda   altre   norme
impugnate) e risulta comunque non fondata.  La  Regione  contesta  il
mancato coinvolgimento delle  regioni  nella  gestione  di  un  fondo
settoriale, invocando congiuntamente le norme relative  all'autonomia
legislativa, amministrativa e finanziaria regionale e il principio di
leale collaborazione. Dalla motivazione  complessiva  della  censura,
comprendente la citazione di alcune decisioni della  Corte,  emergono
in modo sufficientemente chiaro le ragioni per le quali l'istituzione
e la previsione della gestione unilaterale  di  un  fondo  settoriale
comprimerebbero tutte e tre le forme di autonomia regionale. 
    4.3.- Nel merito, la questione di legittimita' costituzionale del
comma 1080 e' fondata. 
    La Regione contesta la disposizione in quanto non  prevede  alcun
coinvolgimento  regionale  nell'adozione  del  decreto   ministeriale
diretto a definire i criteri  di  utilizzo  di  un  fondo  statale  a
destinazione vincolata, istituito «in un  ambito  materiale  dove  si
realizza una concorrenza  di  competenze»  statali  e  regionali.  La
difesa statale replica che il fondo riguarda la materia «sicurezza di
edifici e strutture pubbliche» degli enti locali, per  cui  la  norma
impugnata rientrerebbe nella  competenza  esclusiva  statale  di  cui
all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  h)  («ordine   pubblico   e
sicurezza»). 
    L'assunto dell'Avvocatura non e' condivisibile. Il Fondo  per  la
progettazione degli enti  locali  e'  «destinato  al  cofinanziamento
della redazione dei progetti di fattibilita' tecnica ed  economica  e
dei progetti definitivi degli enti locali per  opere  destinate  alla
messa in sicurezza di edifici e strutture  pubbliche»  (comma  1079).
Mentre nel sistema vigente prima  della  riforma  costituzionale  del
2001, i lavori pubblici rappresentavano  una  materia  di  competenza
concorrente («lavori pubblici di interesse  regionale»),  nel  quadro
costituzionale attuale  essi  «"non  integrano  una  vera  e  propria
materia,  ma  si  qualificano  a  seconda   dell'oggetto   al   quale
afferiscono" e pertanto possono essere ascritti, di volta in volta, a
potesta' legislative statali o regionali  (sentenza  numero  303  del
2003)» (sentenza n. 401 del 2007; nello stesso senso sentenze n.  137
del 2018, n. 45 del 2010, n. 256 del 2007 e n. 303 del 2003). 
    Gli interventi relativi alle opere previste nei commi 1079 e 1080
riguardano la «messa in sicurezza di edifici e strutture pubbliche» e
si traducono in lavori edilizi diretti ad adeguare gli edifici  e  le
strutture  pubbliche  alle  norme   tecniche   di   sicurezza   delle
costruzioni e degli impianti in esse presenti. Combinando  dunque  il
criterio oggettivo (natura delle opere) e  quello  teleologico  (loro
funzione), da utilizzare per la collocazione "materiale" delle norme,
si deve ritenere che il  fondo  in  questione  vada  ricondotto  alle
materie concorrenti del «governo del territorio» e della  «protezione
civile» e alla materia esclusiva statale della «sicurezza». E' dunque
corretto applicare, con riferimento alla sua  disciplina,  l'istituto
della concorrenza di competenze,  non  potendo  ritenersi  prevalente
l'attinenza alla materia della sicurezza, come affermato dalla difesa
statale. 
    Se e'  vero  infatti  che  la  tesi  della  resistente  trova  un
riferimento nella citata sentenza n. 21  del  2010  (come  del  resto
nelle successive sentenze n. 77 del 2013 e n. 183 del 2012),  secondo
cui la competenza  statale  sulla  «sicurezza»  comprende  la  tutela
dell'incolumita' delle persone (anche a prescindere dalla funzione di
prevenzione dei reati), si deve riconoscere  che  la  disciplina  del
comma 1080 interseca in modo rilevante, oltre alla materia  esclusiva
statale della sicurezza, anche le materie concorrenti del governo del
territorio e della protezione civile. E  d'altro  canto  in  numerose
occasioni questa Corte ha  affermato  che  le  norme  tecniche  sulle
costruzioni, aventi il fine di tutelare  l'incolumita'  pubblica  (in
particolare,  quelle  antisismiche),  rientrano   nella   «protezione
civile» e nel «governo del territorio» (sentenze n. 68 del  2018,  n.
232 e n. 60 del 2017, n. 272 del 2016, n. 189 del 2015 e n.  101  del
2013). 
    In presenza dunque di concorrenza di competenze,  e'  fondata  la
richiesta della ricorrente di un  coinvolgimento  regionale,  tramite
intesa, nell'adozione del decreto  ministeriale  previsto  dal  comma
1080 (ex multis, sentenze n. 185, n. 87 e n. 78 del 2018, n. 168  del
2008). In particolare, essendo il fondo destinato alla  progettazione
delle opere pubbliche  degli  enti  locali,  e'  corretto  che,  come
prospetta la ricorrente, lo strumento idoneo a eliminare il vizio del
comma 1080 consista nell'intesa in sede di Conferenza unificata. 
    Le vicende attuative della  norma  impugnata,  del  resto,  hanno
anticipato, in concreto, questa conclusione. Anche in  mancanza,  nel
comma  1080,  della  previsione  di  un   raccordo   con   gli   enti
territoriali, lo schema di decreto  attuativo  da  esso  previsto  e'
stato sottoposto alla Conferenza Stato-citta' e autonomie locali, che
ha sancito l'intesa l'8 marzo 2018. Il decreto e' stato  poi  emanato
(decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti  13  marzo
2018, n. 99) ma non e' mai stato pubblicato. 
    In  seguito,  e'  stato  redatto  un  altro  schema  di   decreto
ministeriale, modificativo di quello mai entrato in vigore. Il  nuovo
schema e' stato sottoposto alla Conferenza unificata, che ha  sancito
l'intesa nella seduta del 20 dicembre 2018. 
    In conclusione, l'art. 1, comma 1080, della legge n. 205 del 2017
va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in  cui  non
richiede l'intesa con la Conferenza unificata in relazione al decreto
ministeriale da esso previsto.