ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
25, della  legge  6  novembre  2012,  n.  190  (Disposizioni  per  la
prevenzione e la  repressione  della  corruzione  e  dell'illegalita'
nella pubblica amministrazione) e dell'art. 241, comma 1, del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163  (Codice  dei  contratti  pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle  direttive
2004/17/CE e 2004/18/CE), come  modificato  dall'art.  1,  comma  19,
della legge n. 190 del  2012,  promosso  dal  Collegio  arbitrale  di
Brindisi, nel procedimento vertente tra Manna DP srl e il  Comune  di
Brindisi, con ordinanza del 12 giugno 2015, iscritta  al  n.  82  del
registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 6 febbraio  2019  il  Giudice
relatore Daria de Pretis. 
    Ritenuto che con ordinanza del 12 giugno 2015, iscritta al n.  82
reg. ord. 2018, il Collegio arbitrale costituito in Brindisi  per  la
risoluzione della controversia insorta tra Manna DP srl e  il  Comune
di Brindisi, relativa a un contratto d'appalto pubblico stipulato  il
12  novembre   2004,   ha   sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 25, della legge 6 novembre 2012, n.
190  (Disposizioni  per  la  prevenzione  e  la   repressione   della
corruzione  e  dell'illegalita'  nella  pubblica  amministrazione)  e
dell'art. 241, comma 1, del decreto legislativo 12  aprile  2006,  n.
163 (Codice dei contratti  pubblici  relativi  a  lavori,  servizi  e
forniture in attuazione delle  direttive  2004/17/CE  e  2004/18/CE),
come sostituito dall'art. 1, comma 19, della legge n. 190 del 2012; 
    che il giudizio e' stato promosso dall'appaltatrice Manna DP  srl
per ottenere il pagamento degli importi esposti  in  alcune  riserve,
avvalendosi della clausola compromissoria prevista dall'art.  45  del
capitolato speciale d'appalto; 
    che, dopo la costituzione del collegio arbitrale,  il  Comune  di
Brindisi  ha  eccepito,  tra  l'altro,  la  nullita'  della  clausola
compromissoria ex art. 241, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, come
sostituito dall'art. 1, comma 19, della legge n. 190  del  2012,  non
essendovi stata in origine ne'  essendo  successivamente  intervenuta
alcuna autorizzazione da parte del Comune; 
    che, ad avviso del rimettente, l'arbitrato in oggetto -  che  non
rientrerebbe nella sfera di efficacia della norma transitoria di  cui
all'art. 1, comma 25, della legge n. 190 del 2012, secondo cui  «[l]e
disposizioni di cui ai commi  da  19  a  24  non  si  applicano  agli
arbitrati conferiti o autorizzati prima  della  data  di  entrata  in
vigore della presente legge» - ricadrebbe nell'ambito di applicazione
dell'art. 241, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006,  come  sostituito
dall'art. 1, comma 19, della  stessa  legge  n.  190  del  2012  (che
prescrive la previa autorizzazione a pena di nullita'), essendo stato
«conferito» dopo l'entrata in vigore di quest'ultima  legge,  sebbene
sulla base di una clausola arbitrale pattuita anteriormente; 
    che  le  norme  applicabili  al  caso  di   specie,   della   cui
legittimita' costituzionale il  rimettente  dubita,  determinerebbero
cosi' retroattivamente l'inefficacia  della  clausola  compromissoria
pattuita prima dell'entrata in vigore della legge che sanziona con la
nullita' l'assenza di autorizzazione e attribuirebbero  inoltre  alla
parte pubblica il potere  di  decidere  in  ordine  all'azionabilita'
della clausola stessa; 
    che, ad  avviso  del  rimettente,  le  questioni  sollevate  sono
pregiudiziali alla definizione nel  merito  della  lite,  riguardando
l'ammissibilita' dell'arbitrato, e sono quindi rilevanti; 
    che, in particolare, l'art. 1, comma 25, della legge n.  190  del
2012 sarebbe in contrasto con gli artt. 3, 24,  25,  41,  108  e  111
della Costituzione, in quanto consentirebbe di porre  nel  nulla  con
effetti retroattivi una clausola compromissoria e disattenderebbe  il
principio della certezza e della stabilita' del diritto, con  lesione
della liberta' di iniziativa economica e dell'autonomia negoziale; 
    che la scelta del  legislatore  di  privare  retroattivamente  di
efficacia le clausole compromissorie non sarebbe giustificata neppure
da  esigenze  di  bilanciamento  con   altri   interessi   di   rango
costituzionale,  in  quanto  le  finalita'   di   prevenzione   della
corruzione che ispirano la norma, riguardanti esclusivamente la parte
pubblica, non  sembrerebbero  idonee  a  giustificare  il  meccanismo
autorizzatorio introdotto dal legislatore in via retroattiva; 
    che, ad avviso del rimettente,  la  tutela  dell'interesse  della
parte pubblica non puo' arrivare  al  punto  di  incidere  -  in  via
retroattiva  e  con  il  riconoscimento  a  suo  favore  del  diritto
potestativo di negare il ricorso  all'arbitrato  -  sui  principi  di
parita' delle armi e di autonomia negoziale, ai sensi degli artt. 111
e 41 Cost.; 
    che la norma, inoltre, non sarebbe solo  lesiva  dell'affidamento
nella stabilita'  dell'ordinamento  giuridico  di  coloro  che  hanno
stipulato le clausole compromissorie  prima  dell'entrata  in  vigore
della legge n. 190 del 2012, ma distoglierebbe le parti  dal  giudice
«naturale», seppur contrattualmente individuato, in violazione  degli
artt. 24, 25 e 111 Cost.; 
    che l'art. 241, comma  1,  del  d.lgs.  n.  163  del  2006,  come
sostituito dall'art. 1, comma  19,  della  legge  n.  190  del  2012,
contrasterebbe a sua volta con gli artt. 3, 24, 25, 41, 97, 102 e 111
Cost.; 
    che la norma violerebbe, in primo luogo, gli artt. 3 e 111 Cost.,
attribuendo  alla  pubblica  amministrazione,  con   il   potere   di
autorizzare il ricorso  all'arbitrato,  un  vero  e  proprio  diritto
potestativo all'instaurazione del giudizio  arbitrale,  pregiudicando
cosi' la parita' delle parti nel processo e sbilanciando il  rapporto
in favore della parte pubblica; 
    che sarebbero violati, in secondo luogo, gli artt. 3,  24  e  111
Cost., per ingiustificata disparita' di trattamento normativo fra gli
arbitrati in materia di contratti pubblici e quelli disciplinati  dal
codice di rito civile, essendo, solo  per  i  primi,  l'accesso  alla
giurisdizione subordinato all'autorizzazione motivata della  pubblica
amministrazione a pena di nullita' del lodo, mentre  nei  secondi  il
rifiuto di una delle parti di aderire all'arbitrato (o  il  suo  mero
silenzio) consente all'altra di ricorrere al tribunale per la  nomina
dell'arbitro non designato, non senza considerare che la nullita' del
lodo, negli arbitrati del primo tipo, potrebbe derivare anche  da  un
vizio del provvedimento di autorizzazione, con  ulteriore  violazione
degli artt. 3 e 111 Cost.; 
    che, con atto depositato in cancelleria il  18  giugno  2018,  e'
intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
concludendo per l'inammissibilita' o la manifesta infondatezza  delle
questioni; 
    che,  in  via  preliminare,   l'interveniente   rileva   che   le
disposizioni censurate sono state abrogate dall'art.  217,  comma  1,
lettera  ii),  del  decreto  legislativo  18  aprile  2016,   n.   50
(Attuazione  delle  direttive  2014/23/UE,  2014/24/UE  e  2014/25/UE
sull'aggiudicazione  dei  contratti  di  concessione,  sugli  appalti
pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori
dell'acqua,  dell'energia,  dei  trasporti  e  dei  servizi  postali,
nonche' per il  riordino  della  disciplina  vigente  in  materia  di
contratti  pubblici  relativi  a  lavori,  servizi  e  forniture)  e,
rimettendosi in ogni caso alla valutazione  di  questa  Corte  quanto
alla necessita' di restituire gli atti al collegio arbitrale  per  un
rinnovato esame sulla rilevanza delle questioni, osserva che la norma
transitoria contenuta nell'art. 216, comma 22, del d.lgs. n.  50  del
2016 non sembra escludere la perdurante applicabilita' nel giudizio a
quo delle disposizioni abrogate,  sulla  base  del  principio  tempus
regit actum; 
    che l'interveniente, inoltre, precisa che lo stesso d.lgs. n.  50
del  2016  prevede,  al  comma  3  dell'art.   209,   un   meccanismo
autorizzatorio simile a quello contemplato dal previgente  art.  241,
comma 1, del  d.lgs.  n.  163  del  2006,  sicche'  la  questione  si
riproporrebbe  comunque,  anche  secondo  lo  ius  superveniens,  nei
medesimi termini posti dal rimettente; 
    che le questioni sarebbero comunque  inammissibili,  per  mancata
indicazione delle ragioni di contrasto delle norme  censurate  con  i
parametri evocati, in particolare con gli artt. 41, 102,  108  e  111
Cost.; 
    che, nel merito, esse sarebbero  manifestamente  infondate  sotto
tutti i profili ipotizzati dal  rimettente  per  le  ragioni  esposte
nella sentenza n. 108 del 2015 e nella successiva ordinanza n. 99 del
2016, con cui questa  Corte  ha  gia'  dichiarato  l'infondatezza  di
questioni sollevate in relazione alle  stesse  norme  e  ai  medesimi
parametri da altri collegi arbitrali in  fattispecie  analoghe  e  in
base a censure sostanzialmente identiche; 
    che, non avendo sviluppato il rimettente argomenti nuovi rispetto
a quelli scrutinati da questa Corte, non sussisterebbero ragioni  per
discostarsi da tali pronunce. 
    Considerato che il Collegio arbitrale di  Brindisi  dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  25,  della  legge  6
novembre  2012,  n.  190  (Disposizioni  per  la  prevenzione  e   la
repressione  della  corruzione  e  dell'illegalita'  nella   pubblica
amministrazione), in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 41, 108 e  111
della Costituzione, e dell'art. 241, comma 1, del decreto legislativo
12 aprile 2006, n. 163 (Codice  dei  contratti  pubblici  relativi  a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive  2004/17/CE
e 2004/18/CE), come sostituito dall'art. 1, comma 19, della legge  n.
190 del 2012, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 41, 97, 102 e  111
Cost.; 
    che, in pendenza del  giudizio  costituzionale,  le  disposizioni
oggetto di censura  sono  state  abrogate  dall'art.  217,  comma  1,
lettera  ii),  del  decreto  legislativo  18  aprile  2016,   n.   50
(Attuazione  delle  direttive  2014/23/UE,  2014/24/UE  e  2014/25/UE
sull'aggiudicazione  dei  contratti  di  concessione,  sugli  appalti
pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori
dell'acqua,  dell'energia,  dei  trasporti  e  dei  servizi  postali,
nonche' per il  riordino  della  disciplina  vigente  in  materia  di
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e  forniture),  recante
il  nuovo  codice  dei  contratti  pubblici,  che  ha  sostituito  il
precedente, introdotto dal d.lgs. n. 163 del 2006; 
    che l'autorizzazione all'arbitrato e' ora regolata dall'art. 209,
comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, che riproduce nella  sostanza  il
contenuto dell'art. 241, comma 1, del d.lgs. n. 163  del  2006,  come
sostituito dall'art. 1, comma  19,  della  legge  n.  190  del  2012,
disponendo quanto  segue:  «[e']  nulla  la  clausola  compromissoria
inserita senza autorizzazione nel bando  o  nell'avviso  con  cui  e'
indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell'invito. La
clausola e' inserita previa autorizzazione  motivata  dell'organo  di
governo della amministrazione aggiudicatrice»; 
    che in ogni caso lo ius  superveniens  non  rende  necessaria  la
restituzione degli atti al collegio arbitrale rimettente per un nuovo
esame della rilevanza delle questioni, in quanto le  norme  censurate
continuano ad avere applicazione nel giudizio arbitrale  a  quo,  sul
quale dunque  non  influisce  la  loro  intervenuta  abrogazione  (ex
plurimis, sentenze 250 del 2016, n. 260 e n. 228 del 2015  e  n.  139
del 1985); 
    che infatti tale giudizio e' stato instaurato nella vigenza delle
modifiche introdotte al  precedente  codice  dei  contratti  pubblici
dalla  legge  n.  190  del  2012,  sulla   base   di   una   clausola
compromissoria pattuita prima dell'entrata  in  vigore  della  stessa
legge ed inserita nel bando, in assenza di preventiva  autorizzazione
motivata; 
    che il regime autorizzativo di tale clausola compromissoria e gli
effetti della sua violazione sono  quindi  ancora  regolati,  ratione
temporis, dal censurato combinato disposto degli artt. 1,  comma  25,
della legge n. 190 del 2012 e 241, comma 1, del  d.lgs.  n.  163  del
2006, come sostituito dall'art. 1, comma 19, della legge n.  190  del
2012, l'abrogazione del quale, disposta dal citato ius  superveniens,
non e' retroattiva, ma opera solo a decorrere dalla data  di  entrata
in vigore del nuovo codice  dei  contratti  pubblici  introdotto  dal
d.lgs. n. 50 del 2016, ai sensi del suo  art.  217,  in  ossequio  al
principio generale di cui all'art. 11 delle Preleggi; 
    che non vale, in senso contrario, la norma dettata dall'art. 216,
comma 22, del citato nuovo codice dei contratti  pubblici,  in  forza
del quale «[l]e procedure di arbitrato di  cui  all'articolo  209  si
applicano anche alle controversie su  diritti  soggettivi,  derivanti
dall'esecuzione dei contratti pubblici di cui  al  medesimo  articolo
209, comma 1, per i quali i bandi o  avvisi  siano  stati  pubblicati
prima della data di entrata in vigore  del  presente  codice»  (primo
periodo, inserito dall'art. 128, comma  1,  lettera  f,  del  decreto
legislativo 19 aprile 2017, n. 56, recante «Disposizioni  integrative
e correttive al decreto legislativo  18  aprile  2016,  n.  50»),  in
quanto la ratio di tale disposizione transitoria  speciale,  ispirata
al principio tempus regit actum, e' quella di  escludere  pro  futuro
l'ultrattivita' delle previgenti  procedure  d'arbitrato  nelle  liti
relative ai richiamati contratti, in deroga alla generale  previsione
transitoria contenuta al comma 1 dello stesso art.  216,  secondo  il
quale il nuovo codice dei contratti pubblici si applica  «[...]  alle
procedure e ai contratti per i quali i bandi  o  avvisi  con  cui  si
indice  la  procedura  di  scelta  del  contraente  siano  pubblicati
successivamente alla data della sua entrata  in  vigore  nonche',  in
caso di contratti senza pubblicazione di  bandi  o  di  avvisi,  alle
procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di  entrata
in vigore del presente codice, non siano  ancora  stati  inviati  gli
inviti a presentare le offerte»; 
    che, nel rispetto dei  principi  di  diritto  intertemporale,  al
giudizio arbitrale a quo, promosso prima dell'entrata in  vigore  del
nuovo codice dei contratti pubblici, continua pertanto ad  applicarsi
la disciplina previgente, anche di natura  transitoria,  inerente  al
regime autorizzativo della clausola compromissoria sulla cui base  il
medesimo giudizio arbitrale e' stato instaurato; 
    che, venendo all'esame nel merito, questa Corte, con la  sentenza
n. 108 del 2015, ha gia'  positivamente  scrutinato  la  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 25, della legge n. 190 del 2012, in
relazione ai medesimi parametri invocati da altro collegio  arbitrale
in fattispecie analoga e in base a censure sostanzialmente identiche; 
    che tali censure  sono  state  disattese,  in  quanto  «[l]o  ius
superveniens consistente nel divieto di deferire le  controversie  ad
arbitri  senza  una  preventiva  e  motivata  autorizzazione  non  ha
l'effetto  di  rendere  nulle  in   via   retroattiva   le   clausole
compromissorie originariamente inserite nei contratti, bensi'  quello
di  sancirne  l'inefficacia  per  il  futuro,  in  applicazione   del
principio, espresso dalla costante  giurisprudenza  di  legittimita',
secondo il quale la nullita' di un contratto o  di  una  sua  singola
clausola,   prevista   da   una   norma   limitativa   dell'autonomia
contrattuale che sopravvenga nel corso di esecuzione di un  rapporto,
incide sul  rapporto  medesimo,  non  consentendo  la  produzione  di
ulteriori effetti, sicche' il contratto o la sua singola clausola  si
devono ritenere non piu' operanti»; 
    che - come prosegue la sentenza n. 108 del 2015 - «[n]on si  pone
conseguentemente  alcun  problema  di  retroattivita'   della   norma
censurata o di ragionevolezza della supposta deroga all'art. 11 delle
disposizioni sulla legge in generale»; 
    che, con la stessa sentenza,  questa  Corte  ha,  pertanto,  gia'
ritenuto infondato  il  presupposto,  «comune  a  tutte  le  censure,
secondo il quale la  norma  attribuirebbe  efficacia  retroattiva  al
divieto di arbitrato senza preventiva autorizzazione»; 
    che il thema decidendum del giudizio costituzionale e i motivi di
censura non sono mutati rispetto al caso precedente, sicche' non sono
ravvisabili ragioni che inducano a una diversa decisione; 
    che, con la richiamata sentenza n. 108 del 2015, questa Corte  ha
gia' scrutinato la legittimita' anche dell'art.  241,  comma  1,  con
riferimento agli stessi parametri invocati dall'odierno rimettente  e
per analoghe violazioni, delle quali ha escluso l'esistenza; 
    che,  dopo  avere  ricordato  il  proprio  costante  orientamento
secondo il quale il legislatore sicuramente gode di  discrezionalita'
nell'individuare  le   materie   sottratte   alla   possibilita'   di
compromesso, con il solo  limite  della  manifesta  irragionevolezza,
questa Corte ha  affermato  che,  «[a]  maggior  ragione,  la  scelta
discrezionale del legislatore  di  subordinare  a  una  preventiva  e
motivata autorizzazione  amministrativa  il  deferimento  ad  arbitri
delle controversie derivanti dall'esecuzione dei  contratti  pubblici
relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di
idee, non e' manifestamente  irragionevole,  configurandosi  come  un
mero   limite   all'autonomia   contrattuale,   la    cui    garanzia
costituzionale non e' incompatibile con la prefissione  di  limiti  a
tutela di interessi generali (ordinanza n. 11 del 2003)»; 
    che nella stessa sentenza n. 108 del  2015  e'  stato  precisato,
altresi', che le medesime esigenze di contenimento  dei  costi  delle
controversie e di tutela degli  interessi  pubblici  coinvolti,  gia'
considerate meritevoli di protezione in sede di scrutinio dei divieti
normativi  di  ricorrere  all'arbitrato,  «valgono  anche  in  questa
materia, nella quale  a  tali  esigenze  si  accompagna  la  generale
finalita' di prevenire l'illegalita' della pubblica amministrazione»,
a cui «e' dichiaratamente  ispirata  la  censurata  previsione  della
legge n. 190 del 2012, che non esprime un irragionevole  sfavore  per
il ricorso all'arbitrato, come sostiene il rimettente, ma si limita a
subordinare il  deferimento  delle  controversie  ad  arbitri  a  una
preventiva autorizzazione amministrativa che  assicuri  la  ponderata
valutazione degli interessi coinvolti e delle  circostanze  del  caso
concreto»; 
    che, con riguardo alla denunciata violazione del principio  della
parita' delle parti nel processo, in riferimento agli artt. 3  e  111
Cost., la stessa sentenza ha escluso che la  prevista  autorizzazione
crei un privilegio processuale della pubblica amministrazione  idoneo
a ledere il principio evocato, in quanto «[i]l  requisito  introdotto
dal legislatore, a pena di nullita' della clausola compromissoria, si
inserisce in una fase che precede l'instaurazione del giudizio - e la
stessa scelta del  contraente  -  e  non  determina  pertanto  alcuno
squilibrio di facolta' processuali a favore della parte pubblica»; 
    che  nemmeno  e'  ravvisabile,  secondo   la   stessa   sentenza,
l'ingiustificata e irrazionale disparita'  di  trattamento  normativo
fra arbitrati in materia di contratti pubblici e arbitrati di diritto
comune,  in  quanto  «[l]e  stesse  considerazioni  svolte  sopra   a
proposito della discrezionalita' di cui  il  legislatore  sicuramente
gode  nell'individuare  i  limiti  del  ricorso  all'arbitrato  nella
materia dei contratti pubblici consentono di escludere che il diverso
trattamento normativo, censurato dal rimettente avendo riguardo  agli
arbitrati  di  diritto  comune,  presenti  caratteri   di   manifesta
irragionevolezza»,  dovendosi  rilevare,  «[...]  inoltre,  come   il
rimettente   ponga   sullo    stesso    piano,    per    sottolineare
l'ingiustificata   disparita'   di   trattamento,   il   diniego   di
autorizzazione preventiva della clausola compromissoria e il  rifiuto
di una delle parti a nominare l'arbitro di sua competenza (o  la  sua
inerzia  nel  nominarlo),  mentre  e'  evidente  che  si  tratta   di
situazioni del tutto diverse, inerendo l'una  a  una  fase  anteriore
all'insorgenza  stessa  della  controversia  e  l'altra  alla   fase,
immediatamente  successiva   all'instaurazione   del   giudizio,   di
costituzione del collegio arbitrale, nella  quale  il  rifiuto  della
pubblica amministrazione a nominare l'arbitro o la sua  inerzia  sono
soggetti alla stessa disciplina del codice di rito  applicabile  alla
parte privata»; 
    che nessuna violazione dei parametri di cui agli artt.  3  e  111
Cost. - come prosegue la sentenza n. 108 del 2015 - deriva poi  dalla
possibilita' che il lodo sia affetto da nullita'  per  un  vizio  del
provvedimento di autorizzazione, in quanto tale eventuale conseguenza
non  sarebbe  attribuibile  al  contenuto  precettivo   della   norma
censurata, bensi' alla sua non corretta applicazione; 
    che, infine, sono  prive  di  specifica  motivazione  le  censure
riferite agli artt. 24, 25 e 102 Cost., e parimenti  quelle  riferite
agli artt. 41 e 97 Cost.; 
    che,  non  essendo  ravvisabili  ragioni  per  discostarsi  dalla
decisione precedentemente assunta anche con  riguardo  all'art.  241,
comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006,  come  sostituito  dall'art.  1,
comma 19, della legge n. 190 del 2012, tutte le  questioni  sollevate
devono essere  dichiarate  manifestamente  infondate,  in  linea  con
quanto gia' deciso da questa Corte, in fattispecie analoga, sia  pure
in  relazione  a  parametri  non   integralmente   coincidenti,   con
l'ordinanza n. 99 del 2016. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.