ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 4, 6 e
8 della legge della Regione autonoma Sardegna 11  dicembre  2017,  n.
25, recante «Modifiche alla legge regionale 4  febbraio  2015,  n.  4
(Istituzione  dell'Ente  di  governo  dell'ambito  della  Sardegna  e
modifiche ed integrazioni alla legge regionale n. 19 del 2006) e alla
legge regionale 25 luglio 2008, n. 10  (Riordino  delle  funzioni  in
materia di aree industriali)», promosso dal Presidente del  Consiglio
dei  ministri,  con  ricorso  notificato  il  12-15  febbraio   2018,
depositato in cancelleria il 20 febbraio 2018, iscritto al n. 14  del
registro ricorsi 2018 e pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna; 
    udito nella udienza pubblica  del  5  febbraio  2019  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi l'avvocato dello Stato Marco Corsini per il Presidente  del
Consiglio dei ministri e gli avvocati Giandomenico  Falcon  e  Mattia
Pani per la Regione autonoma Sardegna. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 12-15 febbraio 2018 e depositato il
20  febbraio  2018,  il  Presidente  del  Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 4, 6
e 8 della legge della Regione autonoma Sardegna 11 dicembre 2017,  n.
25, recante «Modifiche alla legge regionale 4  febbraio  2015,  n.  4
(Istituzione  dell'Ente  di  governo  dell'ambito  della  Sardegna  e
modifiche ed integrazioni alla legge regionale n. 19 del 2006) e alla
legge regionale 25 luglio 2008, n. 10  (Riordino  delle  funzioni  in
materia di aree industriali)», in riferimento all'art.  117,  secondo
comma, lettere e) e s), della Costituzione. 
    1.1.- In via preliminare la difesa statale ricorda come  il  tema
della competenza legislativa delle regioni  speciali  in  materia  di
servizio idrico integrato sia stato oggetto, negli  ultimi  anni,  di
alcune pronunce della Corte costituzionale, nelle quali  la  relativa
disciplina  e'  stata  ricondotta  ora  alla   potesta'   legislativa
esclusiva  della  regione,   qualora   le   disposizioni   statutarie
espressamente depongano in questo senso, ora, invece,  alla  potesta'
legislativa residuale ex art. 117, quarto  comma,  Cost.,  in  virtu'
della clausola di cui  all'art.  10  della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte  seconda  della
Costituzione). In particolare, a quest'ultima soluzione la  Corte  e'
pervenuta con riferimento alla Regione Siciliana, le cui disposizioni
statutarie riconducono il servizio  idrico  integrato  a  materie  di
competenza legislativa concorrente (e' citata la sentenza n.  93  del
2017). 
    Il  ricorrente  sottolinea,  altresi',  che  l'aver  riconosciuto
l'esistenza di una competenza di tipo residuale in materia di servizi
pubblici locali obbliga il  legislatore  regionale  al  rispetto  dei
limiti inerenti  alla  «tutela  della  concorrenza»  e  alla  «tutela
dell'ambiente». 
    La  Regione  autonoma  Sardegna  -  stando  alla  lettura   delle
disposizioni statutarie data dalla difesa  statale  -  si  troverebbe
nella medesima condizione della Sicilia, in quanto nell'art. 4  della
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per  la
Sardegna) le materie «assunzione di pubblici  servizi»  e  «igiene  e
sanita' pubblica», «cui la giurisprudenza costituzionale riconduce  i
prevalenti caratteri della gestione del Servizio  idrico  integrato»,
sono ricomprese tra quelle di potesta' legislativa concorrente. 
    Nella   prospettazione   del   ricorrente   sarebbero,    invece,
«decisamente  marginali  e  recessive»  ai  fini  dell'individuazione
dell'ambito relativo al servizio idrico integrato, le  materie  delle
«acque minerali e termali» e dell'«esercizio  dei  diritti  demaniali
della Regione sulle acque pubbliche»;  sarebbe,  inoltre,  del  tutto
irrilevante nel caso di specie la materia  dei  «lavori  pubblici  di
esclusivo interesse della Regione». 
    Pertanto, anche la Regione autonoma Sardegna non sarebbe titolare
di una competenza legislativa esclusiva nella materia in oggetto,  ma
solo di una concorrente o residuale ex art. 117, quarto comma, Cost.,
in virtu' della clausola di cui all'art. 10 della legge  cost.  n.  3
del 2001. 
    Per le ragioni anzidette il Presidente del Consiglio dei ministri
chiede  che  alcune  norme  della  legge  regionale  censurata  siano
dichiarate illegittime per violazione dell'art. 117,  secondo  comma,
lettere e) e s), Cost. 
    1.2.- In primo luogo, il ricorrente ritiene che  l'art.  1  della
legge reg. Sardegna n. 25 del 2017 sia illegittimo per contrasto  con
gli anzidetti parametri costituzionali, in relazione agli artt. 149 e
149-bis del decreto legislativo 3  aprile  2006,  n.  152  (Norme  in
materia ambientale). 
    L'art. 1 impugnato ha aggiunto, dopo il comma 3 dell'art. 2 della
legge  della  Regione  autonoma  Sardegna  4  febbraio  2015,  n.   4
(Istituzione  dell'Ente  di  governo  dell'ambito  della  Sardegna  e
modifiche ed integrazioni alla legge regionale n. 19  del  2006),  il
seguente comma 3-bis: «In considerazione del permanere del  principio
di  affidamento  della  gestione  del  servizio  idrico  a   societa'
interamente pubbliche si  assicura  che  l'acqua  resti  un  servizio
pubblico  locale  di  interesse  economico  generale,  in  grado   di
garantire  ai  nuclei  familiari  morosi  in  condizioni  di  disagio
economico, il diritto inalienabile ad un quantitativo  minimo  vitale
pro-capite». 
    La difesa statale muove dall'assunto  che  la  norma  oggetto  di
censura  qualifichi  come   principio   permanente   dell'ordinamento
regionale l'affidamento della gestione del servizio idrico a societa'
interamente pubbliche, che pertanto costituirebbe  l'unica  modalita'
in grado di garantire che l'acqua resti un servizio  pubblico  locale
di  interesse  economico  generale.  Intesa  in  questo   senso,   la
disposizione  regionale  violerebbe  le  regole  fondamentali   della
concorrenza affermate dal  diritto  europeo,  poiche'  imporrebbe  la
gestione di un servizio di interesse economico generale (SIEG) con la
forma dell'in house, che rappresenta  «una  deroga  alla  regola  del
necessario affidamento al mercato». 
    1.2.1.- La disposizione regionale si porrebbe  in  contrasto,  in
particolare, con l'art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, il  quale
prevede che «[l]'ente di governo dell'ambito, nel rispetto del  piano
d'ambito di cui all'articolo 149 e del principio  di  unicita'  della
gestione per ciascun ambito territoriale ottimale, delibera la  forma
di gestione fra  quelle  previste  dall'ordinamento  europeo  [...]»,
cosi' individuate  dal  ricorrente:  «affidamento  mediante  gara  ad
evidenza pubblica», «societa' mista con gara a monte  per  la  scelta
del socio privato» o «affidamento in house».  La  norma  statale  non
esprime, dunque, «alcuna preferenza o criterio di prevalenza  di  una
forma di affidamento rispetto alle altre». 
    Al  riguardo,  il  ricorrente  aggiunge  che  la   giurisprudenza
costituzionale ha ricondotto la disciplina delle forme di gestione  e
affidamento del servizio idrico integrato alla materia della  «tutela
della concorrenza» di competenza esclusiva statale (art. 117, secondo
comma, lettera e, Cost.), che si impone  alle  regioni  speciali  ove
queste esercitino la propria competenza residuale in base  al  quarto
comma del citato art. 117.  La  norma  regionale  sarebbe,  pertanto,
incostituzionale, in quanto restringerebbe «il campo delle opzioni di
scelta tra le modalita' di affidamento  del  servizio  che  e'  stato
predisposto dalla legge statale». 
    1.2.2.- La stessa norma  violerebbe  anche  l'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., sempre per il tramite dell'art. 149-bis del
d.lgs. n. 152 del 2006, il quale - come gia' detto - prevede  che  la
forma di gestione del servizio sia deliberata  dall'ente  di  governo
nel rispetto del piano d'ambito di  cui  all'art.  149  del  medesimo
d.lgs. La norma regionale avrebbe, invece, cristallizzato  la  scelta
della forma di gestione del servizio, finendo quindi  con  l'incidere
sulle competenze rimesse dalla  legge  statale  all'ente  di  governo
dell'ambito ottimale. 
    La   difesa   statale   richiama   altresi'   la   giurisprudenza
costituzionale consolidata (sentenze n. 325 del 2010  e  n.  246  del
2009), secondo cui la  disciplina  dell'organizzazione  del  servizio
idrico e delle funzioni svolte dall'autorita'  d'ambito  rientrerebbe
nella competenza esclusiva dello Stato,  in  quanto  incidente  nella
materia della  «tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema».  Inoltre,
sempre secondo il ricorrente, la legge regionale non potrebbe avocare
a se stessa la scelta del modulo procedimentale  di  affidamento  del
servizio,  che  il  legislatore  statale  ha  rimesso   all'autorita'
amministrativa, in  quanto  «necessitante  una  adeguata  motivazione
(anche) in punto di considerazione degli interessi ambientali,  della
delimitazione degli ambiti territoriali ottimali per l'organizzazione
del Servizio Idrico Integrato» (e' richiamata la sentenza n. 173  del
2017). 
    L'avocazione nella  sede  legislativa  dell'individuazione  della
forma di gestione invertirebbe «l'ordine logico del rapporto tra tale
scelta e la pianificazione d'ambito di cui all'art. 149 del d.lgs. n.
152  del  2006».  Da  qui  l'ulteriore   violazione   del   parametro
costituzionale evocato. 
    1.3.- Sono impugnati anche gli artt. 4, 6 e  8,  comma  1,  della
legge reg. Sardegna n. 25 del 2017  per  contrasto  con  l'art.  117,
secondo comma, lettera e), Cost., in relazione all'art. 5 del decreto
legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti  pubblici)  e
all'art. 16 del decreto legislativo 19 agosto  2016,  n.  175  (Testo
unico in materia di societa' a partecipazione pubblica). 
    Le disposizioni impugnate hanno modificato la legge reg. Sardegna
n. 4 del 2015; piu' precisamente: l'art. 4 della legge reg.  Sardegna
n. 25 del 2017 ha inserito l'art.  7-bis  (rubricato  «Esercizio  del
controllo analogo.  Commissione  per  il  controllo  analogo»)  nella
citata legge reg. Sardegna n.  4  del  2015;  l'art.  6  della  legge
impugnata ne ha novellato l'art. 12 (rubricato «Funzioni regionali»);
l'art. 8, comma 1, ne ha modificato l'art. 15, comma 1. 
    Le tre disposizioni della legge reg. Sardegna n. 25 del 2017 sono
impugnate perche' «non disciplin[erebbero] il  controllo  analogo  in
modo coerente con le cogenti regole comunitarie  e  nazionali»,  come
gia' formalmente segnalato dall'Autorita' garante della concorrenza e
del mercato (AGCM) e dall'Agenzia nazionale anticorruzione (ANAC). In
proposito, il ricorrente  allega  al  ricorso  e  alla  delibera  del
Consiglio dei ministri i pareri espressi dall'AGCM e dall'ANAC  sulla
legge regionale oggetto di impugnazione. 
    Sul punto, la difesa statale precisa che in Sardegna «il soggetto
gestore e' la societa' Abbanoa spa, affidataria del servizio  in  via
diretta fino al 2025, in quanto costituita come societa' in house, il
cui capitale  sociale  -  pur  interamente  pubblico  -  e'  sin  qui
appartenuto per la stragrande maggioranza alla Regione Sardegna ed in
parte molto minore ai 342 comuni  consorziati».  Stando  sempre  alla
ricostruzione del ricorrente, ai sensi dell'art. 5 del d.lgs.  n.  50
del 2016, il controllo  analogo  sul  soggetto  gestore  Abbanoa  spa
dovrebbe spettare all'Ente  di  governo  dell'ambito  della  Sardegna
(EGAS), in quanto quest'ultimo e' l'ente affidante il servizio  e  la
Abbanoa spa e' societa' in house dell'Ente di governo e non di  altre
amministrazioni aggiudicatrici. 
    La difesa statale sottolinea inoltre come, nel  quadro  normativo
precedente rispetto alla normativa regionale contestata,  gli  organi
decisionali  del  soggetto  gestore  Abbanoa  non  fossero   nominati
dall'Ente di governo ma dalla Regione Sardegna, in virtu'  del  fatto
che la stragrande maggioranza del capitale sociale  era  detenuta  da
quest'ultima.  Di  conseguenza,   l'EGAS   -   pur   essendo   l'ente
rappresentativo di 342 Comuni concedenti - era privo di «reali poteri
di controllo analogo», non  potendo  incidere  in  modo  determinante
sugli obiettivi strategici  e  sulle  decisioni  significative  della
persona giuridica controllata. 
    A detta del  ricorrente,  le  norme  impugnate,  sebbene  abbiano
modificato il quadro  normativo  preesistente,  deferendo  la  nomina
degli organi decisionali di Abbanoa all'assemblea dei soci sulla base
di terne di nominativi indicate dalla neoistituita Commissione per il
controllo analogo, non risolvono la criticita' sopra evidenziata. 
    Innanzitutto, il controllo analogo resterebbe sottratto  all'EGAS
e  sarebbe  affidato  «formalmente   ad   un   organo   diverso   (la
Commissione), e  sostanzialmente  ad  un  ente  diverso,  ossia  alla
regione». Peraltro, l'art. 6 impugnato (che ha  novellato  l'art.  12
della legge reg. Sardegna n. 4 del 2015) avrebbe rafforzato i  poteri
di controllo della Regione Sardegna, prevedendo la  possibilita'  che
il Comitato  istituzionale  d'ambito  sia  sciolto  con  decreto  del
Presidente della Regione, adottato previa deliberazione della  Giunta
e comunicato al Consiglio regionale (testo  novellato  dell'art.  12,
comma 6, della legge reg. Sardegna n. 4 del 2015). 
    In  questa  prospettiva  non  rileverebbe  la  pur  significativa
riduzione (da realizzarsi entro cinque anni  dall'entrata  in  vigore
della legge censurata) delle  quote  di  partecipazione  al  capitale
sociale di Abbanoa spa detenibili dalla Regione, che manterrebbe  una
quota del 20 per cento  a  fronte  del  limite  massimo  previsto  in
precedenza del 49  per  cento.  Secondo  il  ricorrente  non  sarebbe
scalfito il «potere regionale assoluto» nei confronti dell'EGAS,  che
determinerebbe «un corrispondente potere [della Regione] di  influire
in maniera determinante sul soggetto gestore, che tuttavia non e'  in
house rispetto alla Regione». 
    La difesa statale precisa che norme europee e statali  consentono
che il controllo analogo sia svolto  anche  tramite  altri  soggetti,
purche'  si  tratti  di  «soggetto   intermedio   controllato   dalla
amministrazione aggiudicatrice (nella fattispecie l'Ente  di  governo
EGAS), non invece di soggetto controllante la stessa  amministrazione
aggiudicatrice». 
    In definitiva, il ricorrente ritiene che Abbanoa spa debba essere
controllata in modo analogo dall'EGAS sia sul piano  formale  sia  su
quello sostanziale. 
    1.4.- Da ultimo, e' impugnato l'art. 8, comma 2, della legge reg.
Sardegna n. 25 del 2017 per violazione dell'art. 117, secondo  comma,
lettere e) e s), Cost., in relazione all'art. 147, comma  2-bis,  del
d.lgs. n. 152 del 2006. 
    Il ricorrente sottolinea, preliminarmente, come l'art. 147, comma
2, del d.lgs. n. 152 del 2006 individui, tra i  principi  che  devono
essere rispettati dalle regioni, quello di  unicita'  della  gestione
dell'intero servizio idrico integrato nell'ambito  ottimale  (lettera
b). A sua volta, la giurisprudenza costituzionale avrebbe  ricondotto
gli  aspetti  fondamentali  dell'organizzazione  del  servizio   alla
competenza  legislativa  esclusiva  statale  in  materia  di  «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema» (art. 117, secondo comma, lettera s,
Cost.). 
    Il comma 2-bis dell'art. 147 del d.lgs. n. 152 del 2006  prevede,
invece, «alcune limitate e circoscritte eccezioni  [al  principio  di
unicita' della gestione], che ovviamente devono essere  intese  quali
ipotesi specifiche e tassative, non suscettibili  di  interpretazione
estensiva ne' tanto  meno  di  essere  integrate  dalla  legislazione
regionale». Siffatte eccezioni sono  cosi'  individuate  dalla  norma
statale citata, la quale fa  salve:  «a)  le  gestioni  del  servizio
idrico in forma autonoma nei comuni montani con popolazione inferiore
a 1.000 abitanti gia' istituite ai sensi del  comma  5  dell'articolo
148; b) le gestioni del servizio idrico in forma autonoma  esistenti,
nei   comuni   che    presentano    contestualmente    le    seguenti
caratteristiche: approvvigionamento idrico da fonti  qualitativamente
pregiate; sorgenti ricadenti  in  parchi  naturali  o  aree  naturali
protette ovvero in siti individuati come beni paesaggistici ai  sensi
del codice dei beni culturali e del  paesaggio,  di  cui  al  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; utilizzo efficiente della risorsa
e tutela del corpo idrico. Ai fini della salvaguardia delle  gestioni
in forma autonoma di cui alla lettera b), l'ente di governo  d'ambito
territorialmente competente provvede all'accertamento  dell'esistenza
dei predetti requisiti». 
    A  fronte  del  quadro  normativo  statale  sopra  indicato,   il
legislatore regionale con la norma impugnata  ha  aggiunto,  dopo  il
comma 1 dell'art. 15 della legge reg.  Sardegna  n.  4  del  2015,  i
seguenti commi: 
    «1-bis. Nell'Ambito territoriale  ottimale  di  cui  al  comma  1
rimangono in ogni caso ferme,  nel  rispetto  dei  requisiti  di  cui
all'articolo  147,  comma  2-bis,  lettere  a)  e  b)   del   decreto
legislativo n. 152 del 2006, le gestioni esistenti  svolte  in  forma
autonoma  tramite  affidamento  o  in  via   diretta   o   attraverso
convenzioni stipulate dai comuni con altri enti locali o gestori. 
    1-ter. Ai fini dell'articolo 147, comma  2-bis,  lettera  a)  del
decreto legislativo n. 152 del  2006,  si  considerano  positivamente
verificati e assentiti, nel periodo della sua vigenza, i requisiti di
cui all'articolo  148,  comma  5  del  medesimo  decreto,  quando  la
gestione sia  iniziata  prima  dell'entrata  in  vigore  del  decreto
legislativo n. 152 del 2006 e sia in corso al momento dell'entrata in
vigore della presente legge. 
    1-quater. Il requisito di  cui  all'articolo  147,  comma  2-bis,
lettera b) punto secondo del decreto legislativo n. 152 del 2006,  si
intende  soddisfatto  anche  per  le  sorgenti  ricadenti   in   siti
individuati in zona  urbanistica  H  di  salvaguardia  ai  sensi  del
decreto dell'Assessore degli enti locali, finanze ed  urbanistica  20
dicembre 1983, n. 2266/U». 
    1.4.1.- In particolare, il nuovo comma 1-bis dell'art.  15  della
legge reg. Sardegna n. 4 del 2015 solo apparentemente sarebbe volto a
chiarire il contenuto delle fattispecie previste dall'art. 147, comma
2-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006. Infatti, secondo il ricorrente, se
la disposizione regionale fosse intesa nel senso che per le  gestioni
fatte salve  deve  essere  comunque  verificata  la  sussistenza  dei
requisiti  indicati  dalla   norma   statale   interposta,   «sarebbe
costituzionalmente  legittima  ma  priva   di   qualunque   contenuto
normativo», in quanto le  gestioni  fatte  salve  sarebbero  comunque
previste nell'art. 147, comma 2-bis. 
    La difesa statale ritiene, invece, che debba essere dato un senso
alla disposizione regionale impugnata e  che  questo  non  possa  che
consistere nell'aver previsto un'eccezione al principio  di  unicita'
di tutte «le gestioni esistenti  svolte  in  forma  autonoma  tramite
affidamento o in via diretta o attraverso convenzioni  stipulate  dai
comuni con altri enti  locali  o  gestori»  (art.  15,  comma  1-bis,
introdotto dalla norma  censurata),  «a  prescindere  dalla  concreta
ricorrenza dei presupposti richiesti  dalla  norma  statale,  che  si
considerano invece esistenti ex lege». 
    Cosi' interpretata la norma sarebbe in contrasto con l'art.  147,
comma 2-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006 e, di conseguenza, con l'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    Il    ricorrente    rinviene    un    ulteriore    profilo     di
incostituzionalita' del comma 1-bis dell'art.  15  della  legge  reg.
Sardegna n. 4 del 2015 (introdotto dall'impugnato art.  8,  comma  2)
nell'aver fatto salve («rimangono in ogni caso  ferme»)  le  gestioni
«esistenti» alla data di entrata  in  vigore  della  legge  regionale
oggetto di ricorso  (14  dicembre  2017),  mentre  la  norma  statale
interposta fa salve le gestioni esistenti al momento dell'entrata  in
vigore (2 febbraio  2016)  della  legge  28  dicembre  2015,  n.  221
(Disposizioni in materia ambientale per promuovere  misure  di  green
economy  e  per  il  contenimento  dell'uso  eccessivo   di   risorse
naturali), il cui art. 62, comma  4,  ha  introdotto  il  testo  oggi
vigente dell'art. 147, comma 2-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    In altre parole, la norma regionale impugnata avrebbe  esteso  la
portata temporale della deroga prevista dalla normativa statale. 
    1.4.2.- La difesa statale ritiene che anche il nuovo comma  1-ter
dell'art. 15 della legge reg. Sardegna  n.  4  del  2015  (introdotto
dall'impugnato art. 8, comma 2) contenga una palese estensione  della
deroga, in contrasto con l'art. 147, comma 2-bis, del d.lgs.  n.  152
del 2006 e, di conseguenza, con l'art. 117,  secondo  comma,  lettera
s), Cost. 
    In proposito, l'art. 148, comma 5, del d.lgs. n.  152  del  2006,
prima della sua abrogazione  (a  decorrere  dal  31  dicembre  2012),
prevedeva  che  «[f]erma  restando  la  partecipazione   obbligatoria
all'Autorita' d'ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma 1,
l'adesione alla gestione  unica  del  servizio  idrico  integrato  e'
facoltativa per i  comuni  con  popolazione  fino  a  1.000  abitanti
inclusi nel territorio delle  comunita'  montane,  a  condizione  che
gestiscano l'intero servizio  idrico  integrato,  e  previo  consenso
della Autorita' d'ambito competente». 
    Sul punto,  il  ricorrente  rileva  che,  ai  sensi  della  norma
censurata, «si considerano positivamente verificati e assentiti,  nel
periodo della sua vigenza, i requisiti di cui all'articolo 148, comma
5, [...] quando la gestione sia iniziata prima dell'entrata in vigore
del decreto legislativo n. 152 del 2006 e sia  in  corso  al  momento
dell'entrata in vigore della  presente  legge».  In  questo  modo  il
legislatore regionale avrebbe incluso  nella  deroga  prevista  dalla
normativa statale anche fattispecie non ricomprese  in  quest'ultima;
peraltro - aggiunge la difesa  regionale  -  ben  potrebbero  esserci
gestioni iniziate prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 152  del
2006 e tuttora in corso, in relazione  alle  quali,  pero',  non  sia
ancora intervenuto il consenso dell'Autorita' d'ambito competente. 
    1.4.3.- Infine, anche il nuovo comma 1-quater dell'art. 15  della
legge reg. Sardegna n. 4 del 2015 (introdotto dall'impugnato art.  8,
comma 2), sovrapponendo una diversa  fattispecie  a  quella  prevista
dalla legge statale, si porrebbe in contrasto con l'art.  147,  comma
2-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006 e, di conseguenza, con l'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost. 
    Il ricorrente sottolinea come, ai sensi dell'ultimo periodo della
norma   statale   interposta,    «l'ente    di    governo    d'ambito
territorialmente competente provvede all'accertamento  dell'esistenza
dei predetti requisiti». La legge statale avrebbe dunque previsto una
riserva di amministrazione per il riconoscimento  dei  requisiti,  al
fine  di  garantire  l'esistenza  di  una  adeguata  motivazione   al
riguardo. 
    Anche  in  questo  caso,  la  norma  statale  interposta  sarebbe
riconducibile  alla  competenza  legislativa  esclusiva  statale   in
materia  di  «tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema»  (art.  117,
secondo comma, lettera s, Cost.). Pertanto, la norma di cui al  nuovo
comma 1-quater dell'art. 15 sarebbe illegittima. 
    2.- La Regione autonoma Sardegna si  e'  costituita  in  giudizio
chiedendo che le questioni promosse siano dichiarate inammissibili  e
infondate, e rinviando a una separata memoria  l'illustrazione  delle
ragioni. 
    3.- In prossimita' dell'udienza la Regione autonoma  Sardegna  ha
depositato  una  memoria  nella  quale   illustra   le   ragioni   di
inammissibilita' e di infondatezza delle questioni promosse. 
    La difesa regionale affronta, preliminarmente, la questione della
competenza legislativa  in  materia  di  servizio  idrico  integrato,
contestando l'assunto del ricorrente, secondo cui la Regione Sardegna
non disporrebbe di competenze statutarie proprie in  questa  materia,
ma solo della competenza residuale ex art. 117, quarto  comma,  Cost.
In  particolare,  la  resistente  ritiene  che   non   sia   corretto
l'accostamento delle sue competenze a quelle della Regione Siciliana,
apparendo piuttosto, la posizione della prima, piu' vicina  a  quella
delle  due  Province  autonome  e  della   Regione   autonoma   Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste. 
    Siffatta  affermazione  e  il  conseguente  riconoscimento  della
competenza primaria  sarebbero,  poi,  confermati  dal  «costante  ed
incontrastato esercizio,  da  parte  della  Regione,  della  potesta'
legislativa in materia di servizio idrico». 
    In merito alle disposizioni statutarie rilevanti,  la  resistente
afferma di disporre «delle piu' ampie competenze in materia di  acque
pubbliche, competenze che sono completate  dal  riconoscimento  della
generale potesta' legislativa concorrente in materia di assunzione di
pubblici servizi». Rileverebbe, al riguardo, la potesta'  legislativa
primaria in relazione  all'«esercizio  dei  diritti  demaniali  della
Regione sulle acque pubbliche» (art. 3, lettera l, dello statuto reg.
Sardegna) e alle «acque minerali e termali (art. 3, lettera  h),  che
assegnerebbe «l'intero sistema  delle  acque  dolci  alla  competenza
regionale». Inoltre, in forza dell'art. 39 del d.P.R. 19 maggio 1949,
n. 250 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la  Sardegna),
i  relativi  beni  demaniali,  individuati  tramite   decreti   delle
Intendenze di finanza  di  Cagliari,  Nuoro  e  Sassari,  sono  stati
consegnati, tra il 1950 e il 1951, alla Regione,  a  norma  dell'art.
14, primo comma, dello statuto reg. Sardegna. 
    La Regione sarebbe titolare, inoltre, di competenze  primarie  in
tema di «edilizia ed urbanistica» (art. 3, lettera f)  e  di  «lavori
pubblici di esclusivo interesse della Regione» (art. 3,  lettera  e),
nonche' di competenze concorrenti in materia  di  «igiene  e  sanita'
pubblica» (art. 4, lettera i) e di «assunzione di  pubblici  servizi»
(art. 4, lettera g). 
    La difesa regionale rileva,  in  proposito,  come  si  tratti  di
titoli competenziali del tutto coincidenti con quelli  della  Regione
autonoma Valle d'Aosta, sui quali questa Corte ha fondato la sentenza
n. 142 del 2015, con cui e' stata riconosciuta a quest'ultima Regione
una «competenza primaria in materia di  organizzazione  del  servizio
idrico». Peraltro, anche per la Regione  autonoma  Sardegna  varrebbe
l'argomento dell'avvenuto  trasferimento  al  demanio  regionale,  ad
opera delle norme di attuazione, dell'intero demanio idrico. 
    Non sarebbe, invece, pertinente,  il  confronto  con  la  Regione
Siciliana, il cui  statuto  contiene  un  generico  riferimento  alle
«acque pubbliche, in quanto non  siano  oggetto  di  opere  pubbliche
d'interesse  nazionale»  (art.  14,  lettera  i,  del  regio  decreto
legislativo 15 maggio  1946,  n.  455,  recante  «Approvazione  dello
statuto della Regione siciliana», convertito in legge  costituzionale
26 febbraio 1948, n. 2). 
    Coerentemente con questo assetto statutario, la Regione  autonoma
Sardegna   avrebbe,   fin   dalla   sua   istituzione,   disciplinato
autonomamente il servizio idrico. Al riguardo,  la  difesa  regionale
richiama la legge della Regione autonoma Sardegna 20  febbraio  1957,
n. 18, recante «Istituzione dell'Ente sardo  acquedotti  e  fognature
(E.S.A.F.)». 
    Anche la giurisprudenza costituzionale avrebbe «sempre  dato  per
presupposta la  competenza  della  Regione  Sardegna  in  materia  di
servizio idrico». e' richiamata in proposito la  sentenza  n.  4  del
1964, con la quale - secondo la resistente - questa Corte  «ha  fatto
salve le previsioni relative  al  piano  nazionale  degli  acquedotti
previsto dalla legge statale, ma ha  giustificato  costituzionalmente
tale previsione assumendo esplicitamente la competenza  regionale  in
materia». Quest'ultima  -  stando  sempre  alla  citata  pronuncia  -
troverebbe un limite «nel rispetto degli interessi nazionali e  delle
norme   fondamentali   delle   riforme   economico-sociali,   imposto
esplicitamente  o   implicitamente   come   limite   della   potesta'
legislativa regionale e sancito per la Sardegna negli  artt.  3  e  4
dello Statuto». 
    Di recente, poi,  questa  Corte,  pur  dichiarando  assorbite  le
relative   questioni,   non   avrebbe   manifestato   alcun    dubbio
sull'ammissibilita' delle censure  proposte  dalla  Regione  Sardegna
contro la disciplina statale della gestione del servizio  idrico,  in
relazione a parametri statutari (e' citata la  sentenza  n.  199  del
2012). 
    Del resto - aggiunge la difesa regionale - il  riconoscimento  di
una competenza della Regione in materia e' presupposto  dallo  stesso
ricorrente, il quale non lamenta il  mero  intervento  della  Regione
nella disciplina del servizio idrico, ma prospetta la  violazione  di
limiti trasversali, attinenti «non  gia'  all'an  bensi'  al  quomodo
della disciplina regionale». 
    3.1.- Passando ai  singoli  profili  di  censura,  la  resistente
ritiene che le questioni promosse in relazione all'art. 1 della legge
reg. Sardegna n. 25 del 2017 siano inammissibili e infondate. 
    In primo luogo, la difesa regionale eccepisce  l'inammissibilita'
della censura fondata sull'art. 149 del d.lgs. n. 152  del  2006,  in
quanto «del tutto generica»;  il  ricorrente  non  avrebbe,  infatti,
precisato a quale comma di detto articolo intenda riferirsi. 
    Nel merito, la Regione sostiene che la lettura della disposizione
impugnata, data dal ricorrente, sia «errata e fuorviante», poiche' la
norma regionale non prescriverebbe «ne' che la gestione debba  essere
affidata a un soggetto  interamente  pubblico,  ne'  che  questa  sia
condizione necessaria perche' il servizio rimanga pubblico, locale  e
di interesse economico generale». In  altre  parole,  il  legislatore
regionale si sarebbe  limitato  a  prendere  atto  che  la  normativa
statale «continua a  prevedere  come  possibile  il  ricorso  a  tale
strumento».  Peraltro,  proprio  questo  e'  il  caso  della  Regione
Sardegna, nella quale e' in atto un affidamento diretto a  favore  di
una societa' a capitale pubblico, partecipata dagli enti locali. 
    Pertanto, la norma regionale non si porrebbe in contrasto ma anzi
si conformerebbe all'art. 149-bis, comma 1, del  d.lgs.  n.  152  del
2006. 
    La difesa regionale esamina, poi, l'ulteriore censura  mossa  dal
ricorrente,  il  quale  individua   nella   norma   impugnata   anche
un'«avocazione nella  sede  legislativa  della  individuazione  della
forma della gestione». In proposito, la resistente rileva  che,  «una
volta chiarito  il  significato  esatto  della  disposizione»,  anche
questa censura verrebbe meno, non essendo, la norma impugnata,  volta
a restringere la possibilita' che il piano d'ambito adotti  forme  di
gestione differenti. 
    Le questioni promosse sarebbero infondate, non solo in  relazione
al parametro costituzionale  della  «tutela  della  concorrenza»,  ma
anche in  riferimento  a  quello  della  «tutela  dell'ambiente».  Al
riguardo,  la  difesa   regionale   ritiene   che   l'esclusione   di
qualsivoglia «cristallizzazione» della forma di gestione faccia venir
meno anche le censure proposte in relazione alla materia ambientale. 
    3.2.- In merito al secondo motivo di ricorso, relativo agli artt.
4, 6 e 8, comma 1, della legge reg.  Sardegna  n.  25  del  2017,  la
difesa regionale sostiene l'inammissibilita' e  l'infondatezza  delle
questioni promosse. 
    3.2.1.- Innanzitutto, la resistente eccepisce  l'inammissibilita'
delle questioni relative all'art.  4  e  all'art.  8,  comma  1,  per
difetto di lesivita' delle disposizioni impugnate  e  di  allegazioni
riferite ad esse. In particolare, secondo  la  difesa  regionale,  il
ricorrente fonderebbe l'asserita permanenza del controllo analogo  in
capo alla Regione, anziche'  agli  enti  partecipanti  all'EGAS,  non
sulle norme impugnate ma  su  altre  disposizioni  della  legge  reg.
Sardegna n. 25  del  2017.  Non  sarebbe,  pertanto,  rivolta  alcuna
censura alle norme oggetto dell'impugnativa statale. 
    Al contrario, la  situazione  lamentata  dal  ricorrente  sarebbe
riconducibile alla legge reg. Sardegna n. 4 del  2015  (peraltro  non
impugnata dal Governo),  nel  testo  vigente  prima  delle  modifiche
operate dalla contestata legge reg. Sardegna n. 25  del  2017,  e  ad
altre disposizioni di quest'ultima legge, anch'esse non impugnate con
l'odierno ricorso. 
    Parimenti inammissibile sarebbero anche le questioni promosse nei
confronti dell'art. 6 della legge reg. Sardegna n.  25  del  2017.  A
prescindere dalla complessita' del contenuto di questa  disposizione,
il ricorrente si sarebbe limitato a censurare solo  il  potere  della
Regione di sciogliere  il  Comitato  istituzionale  d'ambito,  senza,
pero', allegare le ragioni per  le  quali  la  previsione  di  questo
scioglimento sarebbe incostituzionale. 
    3.2.2.- In subordine, le questioni promosse  sarebbero  infondate
nel merito. 
    In proposito  la  Regione  ritiene  preliminare  svolgere  alcune
precisazioni  sulla  gestione  del  servizio  idrico   integrato   in
Sardegna. Questo e' gestito tramite affidamento diretto dalla Abbanoa
spa a capitale interamente pubblico,  partecipata  dai  Comuni  della
Regione Sardegna. L'ente affidante e' rappresentato dall'EGAS - a sua
volta costituito dai Comuni  sardi  che  partecipano  e  usufruiscono
della gestione unica, e dalla Regione - del quale  l'Abbanoa  spa  e'
societa' in house. 
    Sempre  in  via  preliminare,  la  difesa  regionale  riassume  i
principali  arresti  giurisprudenziali  della  Corte   di   giustizia
dell'Unione europea in materia di requisiti dell'in house  providing.
In particolare, la resistente sottolinea come la Corte  di  giustizia
abbia affermato che un esercizio congiunto del controllo analogo  non
contrasta con i principi dell'in house providing; inoltre, la  stessa
difesa precisa che il controllo «e' definibile  "analogo"  non  tanto
quando  esso  si  estrinsechi  nella  detenzione  di  una   rilevante
partecipazione societaria [...] quanto invece nel concreto peso che i
soggetti affidanti hanno nell'organo che effettivamente e'  in  grado
di esercitare il controllo analogo». In altre parole, ai  fini  della
qualificabilita' di un affidamento diretto come in house, rileverebbe
solo che «l'esercizio di detto potere  sia  effettivo».  Non  sarebbe
nemmeno impeditivo del riconoscimento del controllo analogo il  fatto
che esso sia posto da organi extra ordinem, cioe' da organi societari
istituiti ad hoc, «formati da rappresentanti degli azionisti». 
    La resistente esamina, poi, la normativa statale che ha  recepito
i suddetti orientamenti della giurisprudenza della Corte di giustizia
e, in particolare, l'art. 5 del d.lgs. n. 50 del 2016 e l'art. 16 del
d.lgs. n. 175 del 2016. 
    Sulla base della ricostruzione del  quadro  normativo  europeo  e
statale sopra indicato, la difesa regionale ritiene che gli argomenti
utilizzati  dalla  difesa  erariale  siano  del  tutto   inconferenti
rispetto alla gestione del servizio idrico integrato in Sardegna.  In
proposito, la resistente ribadisce che nel caso di  specie  sarebbero
rispettati tutti  i  requisiti  dell'in  house  providing  e  che  il
controllo analogo sarebbe  esercitato  effettivamente  dall'EGAS.  In
particolare, l'aver previsto che il controllo analogo sia  esercitato
da un'apposita Commissione non  costituirebbe  una  violazione  degli
anzidetti requisiti, poiche' la  Commissione  sarebbe  comunque  «una
parte» dell'EGAS, composta  da  un  numero  di  membri  (cinque)  che
assicura una chiara maggioranza decisionale in capo ai  Comuni  sardi
(quattro) rispetto alla marginale partecipazione  della  Regione  (un
solo membro). Inoltre, la Commissione,  nominata  dall'assemblea  dei
sindaci  e  convocata  dal  Comitato   istituzionale   d'ambito,   e'
costituita da tutti i soggetti partecipanti all'EGAS,  purche'  siano
anche soci del gestore unico Abbanoa spa. In definitiva,  la  Regione
non avrebbe «un  peso  speciale  e  determinante  nell'esercizio  del
potere analogo». 
    La difesa regionale passa, poi, a esaminare  le  ragioni  per  le
quali  sarebbe  pienamente  legittimo  il  suo  ruolo  in   relazione
all'EGAS. Al riguardo, si precisa come il potere di  direttiva  e  di
eventuale scioglimento del Comitato d'ambito non incida sul ruolo che
la Regione Sardegna svolge in quanto  partecipante  all'EGAS,  ma  si
colleghi alle sue funzioni di programmazione e di pianificazione  del
territorio e delle risorse idriche. 
    Peraltro, la censura mossa dal ricorrente sarebbe errata  perche'
rivolta verso un «bersaglio» sbagliato: lo scioglimento del  Comitato
d'ambito, infatti, non inciderebbe sul controllo analogo, che non  e'
esercitato  da  questo  organo,  ma  da  uno  diverso,  ossia   dalla
Commissione per il controllo analogo, nella quale la Regione  ricopre
un ruolo del tutto minoritario. 
    A questo punto, la resistente ritiene  necessario  illustrare  le
ragioni storiche della presenza della Regione come socio  di  Abbanoa
spa. In proposito, si precisa  che  siffatta  partecipazione,  in  un
primo momento, e' stata compresa tra il 13 per  cento  e  il  18  per
cento delle quote societarie, restando la  rimanente  percentuale  in
capo alla maggioranza dei Comuni dell'isola che avevano provveduto al
conferimento dei relativi impianti idrico-fognario comunali. 
    L'aumento della partecipazione della Regione Sardegna e', invece,
la conseguenza dell'operazione di ricapitalizzazione (di 187  milioni
di euro) posta in atto tra il 2013 e il 2017 per il risanamento della
situazione  economico-finanziaria  del  soggetto  gestore.   Siffatta
operazione e' stata qualificata dalla Commissione europea come  aiuto
di Stato consentito. Rispetto a questa situazione, la norma impugnata
interverrebbe abbassando il tetto massimo delle quote societarie  che
la Regione puo' detenere, riducendole dal 49 al 20 per cento. 
    Pertanto -  aggiunge  la  resistente  -  «sarebbe  ora  veramente
assurdo censurar[e la norma regionale],  tanto  piu'  paradossalmente
nel  momento  in  cui  tale  partecipazione  scende  a   un   livello
sostanzialmente identico a quello iniziale, gia'  giudicato  conforme
alle regole dell'in house  providing  da  parte  della  Commissione».
Peraltro,   una   minima   partecipazione   della   Regione   sarebbe
indispensabile  «in  ragione  della  particolare  configurazione  del
sistema infrastrutturale e geomorfologico del quale fanno  parte,  in
maniera  rilevante,  opere   di   competenza   regionale   realizzate
nell'esclusivo favore del Servizio idrico integrato». 
    Infine, la difesa  regionale  osserva  che  dal  complesso  delle
operazioni  poste  in   essere   (ricapitalizzazione,   dapprima,   e
dismissione delle quote regionali, dopo)  beneficerebbero  i  Comuni,
che vedrebbero accresciute le proprie quote in Abbanoa spa. 
    3.3.- Quanto al terzo motivo di  ricorso,  relativo  all'art.  8,
comma 2, della  legge  reg.  Sardegna  n.  25  del  2017,  la  difesa
regionale sostiene che le questioni promosse siano infondate. 
    3.3.1.- In particolare, la norma di cui al comma 1-bis  dell'art.
15 della legge reg. Sardegna n. 4  del  2015  non  costituirebbe  una
deroga ai requisiti di cui all'art. 147, comma 2-bis, del  d.lgs.  n.
152 del 2006, in quanto si limiterebbe a chiarire  la  portata  della
disposizione statale. La norma impugnata, infatti, non si proporrebbe
di spostare il termine di riferimento delle gestioni esistenti, che -
aggiunge la difesa regionale  -  «rimane  quello  della  legislazione
statale». D'altronde,  sempre  secondo  la  resistente,  una  diversa
interpretazione non avrebbe alcun senso nel contesto sardo, in quanto
tutte  le  gestioni   interessate   dall'applicazione   della   norma
preesistono all'entrata in vigore di entrambe  le  leggi  (statale  e
regionale). 
    La Regione conclude sul punto affermando che,  ove  la  soluzione
interpretativa  non  risultasse  praticabile,  «non  avrebbe   alcuna
ragione di opporsi a tale precisazione». 
    3.3.2.- Quanto all'impugnativa  del  comma  1-ter  dell'art.  15,
introdotta dalla norma impugnata, la difesa regionale sottolinea come
l'art. 148, comma 5, del d.lgs. n.  152  del  2006  abbia  avuto  due
differenti versioni, in virtu' di quanto disposto dall'art. 2,  comma
14,  del  decreto  legislativo  16  gennaio  2008,  n.  4  (Ulteriori
disposizioni correttive ed integrative del D.Lgs. 3 aprile  2006,  n.
152, recante norme in materia ambientale). In particolare,  la  prima
formulazione dell'art. 148, comma 5 (peraltro,  oggi  abrogato),  non
prevedeva uno specifico  atto  dell'Ente  di  governo;  pertanto,  le
gestioni preesistenti rispetto alla modifica normativa non potrebbero
essere messe in discussione in ragione della riformulazione del comma
5 avvenuta nel 2008. 
    Di qui l'infondatezza della questione promossa dal ricorrente. 
    3.3.3.- Da ultimo, anche la questione relativa al comma  1-quater
dell'art. 15, nel testo introdotto dall'impugnato art.  8,  comma  2,
sarebbe infondata per assenza di un  contrasto  con  le  disposizioni
statali. 
    In particolare, il legislatore regionale si  sarebbe  limitato  a
indicare  come  di   rilievo   paesaggistico   aree   sostanzialmente
corrispondenti a quelle gia' individuate dall'art.  142  del  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6  luglio  2002,  n.
137). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 1, 4, 6 e 8 della legge della
Regione autonoma Sardegna 11 dicembre 2017, n. 25, recante «Modifiche
alla legge regionale 4 febbraio 2015, n. 4 (Istituzione dell'Ente  di
governo dell'ambito della Sardegna e modifiche ed  integrazioni  alla
legge regionale n. 19 del 2006) e  alla  legge  regionale  25  luglio
2008,  n.  10  (Riordino  delle   funzioni   in   materia   di   aree
industriali)», in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere e)
e s), della Costituzione. 
    1.1.-  Preliminarmente,  questa  Corte  e'  chiamata  a  definire
l'ambito materiale di pertinenza delle  norme  relative  al  servizio
idrico integrato (SII)  in  Sardegna.  Si  tratta  di  una  questione
specificamente nuova quanto alla Regione interessata, che la Corte ha
gia' affrontato in relazione - oltre che alle regioni ordinarie -  ad
altre regioni speciali e  alle  Province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano  e  ha  variamente  risolto  sulla  base  delle  disposizioni
statutarie e delle relative norme di attuazione. 
    In relazione alle regioni di  diritto  comune,  la  "collocazione
materiale" della disciplina del SII e' ormai pacifica nel senso che -
sebbene queste regioni siano titolari di una  competenza  legislativa
residuale in materia di servizi pubblici locali ex art.  117,  quarto
comma, Cost. (sentenza n. 246 del 2009) -  devono  essere  ricondotte
«ai titoli di competenza di cui all'art. 117, secondo comma,  lettere
e) e s), Cost., sia la disciplina della tariffa del  servizio  idrico
integrato (sentenze n. 67 del 2013, n. 142 e n. 29 del 2010,  n.  246
del 2009), sia le forme di gestione e le modalita' di affidamento  al
soggetto gestore (sentenze n. 117 e n. 32 del 2015, n. 228 del  2013,
n. 62 del 2012, n. 187 e n. 128 del 2011, n. 325 del  2010),  con  la
precisazione, operata sempre con riguardo al settore idrico,  che  le
regioni possono dettare  norme  che  tutelino  piu'  intensamente  la
concorrenza rispetto a quelle poste dallo Stato (sentenza n. 307  del
2009)» (sentenza n. 93 del 2017). 
    Pertanto, gli interventi legislativi sui  profili  indicati  sono
«riconducibili alla competenza statale  in  materia  sia  di  "tutela
dell'ambiente" sia  di  "tutela  della  concorrenza"»  (fra  le  piu'
recenti, sentenze n. 173 del 2017, n. 117 e n. 32 del 2015,  n.  228,
n. 67 e n. 50 del 2013). In  altre  parole,  allo  Stato  «spetta  la
disciplina del regime dei servizi pubblici locali, vuoi per i profili
che incidono in maniera diretta sul mercato, vuoi per quelli connessi
alla gestione unitaria del servizio» (sentenza n. 173 del 2017; nello
stesso senso, sentenza n. 160 del 2016). 
    Quanto alle  regioni  ad  autonomia  speciale,  questa  Corte  ha
ripetutamente precisato che la citata  giurisprudenza  costituzionale
«non   e'   immediatamente    trasponibile    [nel]    giudizio    di
costituzionalita' [che investa leggi di queste  regioni],  nel  quale
occorre preliminarmente definire l'ambito delle competenze  spettanti
statutariamente in materia  a  una  regione  ad  autonomia  speciale»
(sentenza n. 93 del 2017; nello stesso senso, sentenze n. 51 del 2016
e n. 142 del 2015). La comparazione  tra  disposizioni  statutarie  e
nuovo  Titolo  V,  ai  fini  della   definizione   delle   rispettive
attribuzioni statali e regionali speciali,  si  rende  necessaria  in
quanto l'art. 10 della legge costituzionale 18  ottobre  2001,  n.  3
(Modifiche al  titolo  V  della  parte  seconda  della  Costituzione)
prevede  che  «[s]ino  all'adeguamento  dei  rispettivi  statuti,  le
disposizioni della presente legge costituzionale si  applicano  anche
alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e
di Bolzano per le parti in cui  prevedono  forme  di  autonomia  piu'
ampie rispetto a quelle gia' attribuite». 
    La comparazione effettuata di  volta  in  volta  tra  il  "blocco
statutario", costituito dalle disposizioni degli statuti  speciali  e
delle  relative  norme  di  attuazione,   e   il   novellato   quadro
costituzionale delle attribuzioni delle regioni ordinarie ha condotto
a riconoscere ora  una  competenza  legislativa  primaria  di  talune
autonomie speciali (Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  e
Regione  autonoma  Valle  d'Aosta/Vallee   d'Aoste:   rispettivamente
sentenze n. 51 del 2016, n. 137 del 2014, n. 233 del 2013  e  n.  357
del 2010; e sentenza n. 142 del  2015),  ora  invece  una  competenza
residuale (Regione Siciliana, sentenza n. 93 del 2017) ex  art.  117,
quarto comma, Cost., in virtu' della clausola di cui al  citato  art.
10 della legge cost. n. 3 del 2001. Quest'ultima  ricorre  quando  le
competenze legislative statutarie risultano "meno  ampie"  di  quelle
derivanti  dall'art.  117  Cost.;  piu'  precisamente,  nel  giudizio
definito  con  la  sentenza  n.  93  del  2017,  e'  stata   ritenuta
sussistente in capo alla Regione Siciliana una competenza  statutaria
di tipo concorrente, a fronte di una residuale ex  art.  117,  quarto
comma, Cost., con la conseguente prevalenza di quest'ultima. 
    Il  carattere   della   competenza   regionale,   rispettivamente
statutaria di tipo primario o residuale ex art.  117,  quarto  comma,
Cost., comporta conseguenze diverse quanto  alla  qualificazione  dei
limiti derivanti dalla legislazione statale: infatti, nel primo  caso
la potesta' legislativa regionale incontrera' i limiti  statutari,  e
quindi - pur nella diversita'  delle  formule  presenti  nei  singoli
statuti speciali - quelli  delle  norme  fondamentali  delle  riforme
economico-sociali, dei principi generali dell'ordinamento  giuridico,
degli   obblighi   internazionali    e    dei    vincoli    derivanti
dall'ordinamento dell'Unione europea; nel  secondo  caso,  invece,  i
limiti dovranno essere tratti dall'art. 117 Cost., e  saranno  quindi
sia quelli indicati nel  primo  comma,  sia  quelli  derivanti  dalle
competenze esclusive statali indicate al secondo comma. 
    Al fine di qualificare  le  attribuzioni  regionali  in  tema  di
servizio idrico integrato, questa Corte ha  fatto  leva,  per  quanto
possibile, sulle previsioni dello statuto, integrandole -  stante  la
difficolta' di rinvenire un univoco titolo statutario di  competenza,
riconducibile a questa o a quella tipologia di potesta' legislativa -
con  le  indicazioni  desumibili  dalla   normativa   di   attuazione
statutaria, «la quale, anche in ragione del suo speciale procedimento
di  adozione  [...],  possiede  un  sicuro  ruolo  interpretativo   e
integrativo delle stesse espressioni  statutarie  che  delimitano  le
sfere di competenza delle regioni ad autonomia speciale» (sentenza n.
93 del 2017). 
    E' dunque a questo "blocco statutario di  costituzionalita'"  che
occorre guardare per individuare l'ambito  materiale  di  riferimento
anche nell'odierno giudizio. 
    1.2.- Ai sensi dell'art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio
1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), la Regione autonoma ha
potesta' legislativa piena, tra  le  altre,  in  materia  di  «lavori
pubblici di esclusivo interesse della Regione» (lettera e), «edilizia
ed urbanistica» (lettera f), «acque minerali e termali»  (lettera  h)
ed  «esercizio  dei  diritti  demaniali  della  Regione  sulle  acque
pubbliche» (lettera l); ai sensi del successivo art. 4, e',  inoltre,
titolare di una competenza legislativa di tipo concorrente in materia
di «assunzione di pubblici  servizi»  (lettera  g)  e  di  «igiene  e
sanita' pubblica» (lettera i). Infine, l'art. 14 dello  statuto  reg.
Sardegna stabilisce al primo comma che «[l]a Regione, nell'ambito del
suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali  dello  Stato
di natura immobiliare e  in  quelli  demaniali,  escluso  il  demanio
marittimo». 
    Quanto alle norme di  attuazione  statutaria,  l'art.  39,  primo
comma, del d.P.R. 19 maggio 1949, n. 250 (Norme di  attuazione  dello
Statuto speciale per la Sardegna) dispone, tra l'altro, che «[p]er la
consegna  dei  beni  dello  Stato  che  passano  alla   Regione,   da
effettuarsi con decorrenza dal 1° gennaio 1950,  compresi  i  redditi
che matureranno da tale data, le Intendenze di finanza  di  Cagliari,
Nuoro e Sassari, ciascuna per il territorio di sua competenza,  entro
tre mesi dalla costituzione della Giunta regionale  compileranno:  a)
un elenco dei beni immobili di demanio pubblico;  b)  un  elenco  dei
beni immobili patrimoniali dello Stato». 
    Da tale quadro normativo la difesa regionale deduce il  carattere
primario  della  competenza  legislativa  regionale  in  materia   di
servizio  idrico  integrato,  sottolineando  la  differenza  rispetto
all'analogo quadro normativo  della  Regione  Siciliana,  alla  quale
spetta, secondo questa  Corte,  una  competenza  statutaria  di  tipo
concorrente (sentenza n. 93 del 2017). 
    Al contrario, un raffronto anche sommario del pertinente  "blocco
statutario" della Regione Siciliana e della Regione autonoma Sardegna
mostra come esso sia sostanzialmente coincidente, con la  conseguenza
che  anche  la  competenza  della  seconda  in  materia  deve  essere
qualificata, in base allo statuto, come concorrente. In entrambi  gli
statuti  speciali,  infatti,  la  materia  «assunzione  di   pubblici
servizi» (oltre a «igiene e sanita' pubblica») rientra tra quelle  di
potesta' concorrente. La Regione  Siciliana  e'  inoltre  titolare  -
differentemente dalla Regione autonoma Sardegna - di  una  competenza
primaria in materia di «acque pubbliche, in quanto non siano  oggetto
di opere pubbliche d'interesse nazionale»,  ai  sensi  dell'art.  14,
primo comma, lettera i), del  regio  decreto  legislativo  15  maggio
1946, n. 455 (Approvazione dello statuto  della  Regione  siciliana),
convertito  in  legge  costituzionale  26  febbraio   1948,   n.   2;
disposizione, questa, attuata con l'art. 3 del d.P.R. 30 luglio 1950,
n. 878 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana  in
materia  di  opere  pubbliche),  che  ha  considerato  «grandi  opere
pubbliche di prevalente  interesse  nazionale»,  tra  le  altre,  «le
grandi derivazioni di  acque  pubbliche»  (lettera  h).  Quest'ultima
lettera e' stata poi abrogata  dall'art.  1,  comma  1,  del  decreto
legislativo 2 agosto 2010, n. 153 (Norme di attuazione dello  statuto
speciale della regione  siciliana  concernenti  il  trasferimento  di
funzioni in materia di grandi  derivazioni  di  acque  pubbliche),  a
seguito del quale «le grandi derivazioni  di  acque  pubbliche»  sono
dunque  escluse  dall'elenco  delle  «grandi   opere   pubbliche   di
prevalente interesse nazionale». 
    Con riguardo alle norme di  attuazione  degli  statuti  speciali,
deve  essere  sottolineato  che   esse   sono   rilevanti   ai   fini
dell'individuazione della materia non quando si limitano  a  disporre
il trasferimento dei beni dello Stato alla singola regione  speciale,
ma quando accanto  agli  ordinari  poteri  di  gestione  del  demanio
prevedono una formula onnicomprensiva che "integra" il  quadro  delle
attribuzioni statutarie. Questo e' il caso delle norme di  attuazione
della Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (sentenza n. 142 del 2015),  oltre
che delle due Province autonome di Trento e di  Bolzano  (da  ultimo,
sentenza n. 51 del  2016),  ma  non  quello  della  Sicilia  e  della
Sardegna. Significativo in tale senso e' il "blocco statutario" della
Regione autonoma Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste,  alla  quale  questa
Corte ha riconosciuto una competenza statutaria primaria  in  materia
di servizio idrico integrato, facendo  leva  -  pur  a  fronte  della
classificazione della materia dell'«assunzione di  pubblici  servizi»
tra quelle di  potesta'  legislativa  integrativo-attuativa  -  sulle
specifiche prescrizioni della normativa di attuazione  statutaria  e,
in particolare, sulla previsione  secondo  cui  la  Regione  esercita
«tutte  le  attribuzioni»  concernenti  «tutte  le  acque   pubbliche
utilizzate  ai  fini  irrigui  o  potabili»  (art.  1   del   decreto
legislativo 16 marzo 1999, n. 89, recante «Norme di attuazione  dello
statuto speciale della regione Valle  d'Aosta  in  materia  di  acque
pubbliche»). Per il suo «sicuro ruolo interpretativo  e  integrativo»
(sentenze n. 93 del 2017 e n. 142 del 2015), infatti, la normativa di
attuazione  statutaria  costituisce  un  formidabile   strumento   di
flessibilita' del quadro delle competenze regionali, che  consente  -
all'esito  di  uno  speciale  procedimento  di  formazione  che  vede
protagoniste  le   commissioni   paritetiche   Stato-Regione   -   un
adeguamento delle attribuzioni statutarie  delle  autonomie  speciali
alle mutate esigenze delle comunita' locali. Cio' che fra l'altro non
esclude che, attraverso lo strumento delle norme di attuazione  degli
statuti speciali, la stessa Regione Siciliana e la  Regione  autonoma
Sardegna possano, al pari della  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta  e
delle  Province  autonome,  essere  dotate   di   maggiori   funzioni
nell'ambito che qui viene in rilievo. 
    In ragione di quanto esposto deve essere escluso che, in base  al
suo  statuto,  spetti  alla  Regione  autonoma  Sardegna   competenza
legislativa primaria per la disciplina del servizio idrico integrato,
dovendosi piuttosto ritenere che la sua competenza in tale ambito sia
da ricondurre a quella concorrente nelle materie  dell'assunzione  di
servizi pubblici e dell'igiene e sanita' pubblica,  da  riqualificare
dunque, in virtu' della clausola di cui all'art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001, come competenza legislativa  residuale  ex  art.  117,
quarto comma, Cost. 
    Sulla base  di  questa  ricostruzione  del  quadro  statutario  e
costituzionale di riferimento  devono  essere  esaminate  le  singole
censure. Prima ancora, pero', deve  essere  ricostruito  il  contesto
normativo  regionale  nel  quale  si  inseriscono   le   disposizioni
impugnate. 
    2.- Il primo intervento  del  legislatore  sardo  in  materia  di
servizio idrico e' costituito  dalla  legge  della  Regione  autonoma
Sardegna 20 febbraio 1957,  n.  18,  recante  «Istituzione  dell'Ente
sardo acquedotti e fognature (E.S.A.F.)», ma  il  momento  di  svolta
della legislazione  regionale  e'  rappresentato  dalla  legge  della
Regione autonoma Sardegna 17 ottobre 1997,  n.  29  (Istituzione  del
servizio idrico  integrato,  individuazione  e  organizzazione  degli
ambiti territoriali ottimali in  attuazione  della  legge  5  gennaio
1994, n. 36), con la quale e' stata recepita e attuata la  cosiddetta
"legge Galli" (legge 5 gennaio 1994, n. 36, recante «Disposizioni  in
materia di risorse  idriche»),  che  ha  introdotto  il  concetto  di
«servizio idrico integrato» e che e' stata poi abrogata  dal  decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). 
    La legge reg. Sardegna n. 29 del 1997 prevedeva, tra l'altro: «a)
la delimitazione degli  ambiti  territoriali  ottimali  del  servizio
idrico integrato; b) le forme di cooperazione  tra  gli  enti  locali
ricadenti nell'ambito territoriale ottimale;  c)  le  procedure  e  i
principi  idonei  per  assicurare  l'organizzazione  e  la   gestione
efficiente, efficace ed  economica  del  servizio  idrico  integrato»
(art. 1, comma 2). 
    Ai sensi del comma 3 dello stesso  art.  1,  «[l]a  gestione  del
servizio idrico integrato [era] affidata  ad  un  unico  gestore  per
ambito [...]». Il territorio regionale era  delimitato  in  un  unico
ambito territoriale ottimale (art. 3, comma 1). Si imponeva ai Comuni
e  alle  Province  della  Sardegna  di   costituire   un   «consorzio
obbligatorio, denominato Autorita' d'ambito» (art. 5,  comma  2),  le
cui competenze erano definite  dall'art.  7  e  i  cui  organi  erano
individuati e disciplinati dagli  articoli  successivi.  Era  inoltre
regolato il  rapporto  tra  l'Autorita'  d'ambito  e  i  gestori  del
servizio idrico integrato (art. 14). Erano poi attribuite alla Giunta
regionale  alcune  funzioni  di  controllo  ed   era   previsto   che
l'Assemblea  dell'Autorita'  d'ambito  potesse  essere  sciolta   con
decreto  del  Presidente  della  Giunta  regionale,  adottato  previa
delibera di Giunta e comunicato al Consiglio regionale: «a) per gravi
o persistenti  violazioni  di  legge;  b)  quando  non  possa  essere
assicurato il normale funzionamento del consorzio» (art. 19). 
    Quasi dieci anni dopo e' stata approvata la legge  della  Regione
autonoma Sardegna 6 dicembre 2006, n. 19 (Disposizioni in materia  di
risorse idriche e bacini idrografici), la quale ha, tra gli obiettivi
principali: «l'organizzazione ed il funzionamento del servizio idrico
multisettoriale regionale per la gestione  e  la  manutenzione  delle
infrastrutture, degli impianti e delle opere e per  la  conservazione
dei beni  preposti  all'uso  ed  alla  tutela  delle  acque,  secondo
principi industriali e criteri  di  efficienza,  di  efficacia  e  di
economicita'» (art. 1, comma 2, lettera e). 
    La legge reg. Sardegna n. 29 del 1997  e'  stata  abrogata  dalla
legge  della  Regione  autonoma  Sardegna  4  febbraio  2015,  n.   4
(Istituzione  dell'Ente  di  governo  dell'ambito  della  Sardegna  e
modifiche ed integrazioni alla legge regionale n. 19 del 2006),  che,
a sua volta,  e'  stata  modificata  e  integrata  dalla  legge  reg.
Sardegna n. 25 del 2017. 
    La legge reg. Sardegna n. 4 del 2015 (non impugnata dal  Governo)
detta nuove norme in materia di organizzazione  del  servizio  idrico
integrato  quale  servizio  pubblico  di   interesse   generale,   in
attuazione del d.lgs. n. 152 del 2006. Nella stessa  legge  regionale
sono confluite molte disposizioni gia'  contenute  nella  legge  reg.
Sardegna n. 29 del 1997, fra le quali quella che  prevede  che  «[i]l
territorio regionale e' delimitato in un  unico  ambito  territoriale
ottimale e i confini territoriali degli enti locali in esso ricadenti
sono quelli della Sardegna» (art. 3).  Ai  sensi  dell'art.  6  della
stessa legge reg. n. 4 del 2015, «[e'] istituito  l'Ente  di  governo
dell'ambito della Sardegna [EGAS], dotato di personalita' giuridica e
autonomia  organizzativa   e   patrimoniale,   per   l'unico   ambito
territoriale   ottimale   della   Sardegna   al   quale   partecipano
obbligatoriamente i comuni. All'ente partecipa anche la  Regione  con
le modalita' stabilite dalla presente legge» (comma  1).  Dunque,  la
partecipazione della Regione all'EGAS era  gia'  prevista  nel  testo
originario  della  legge  reg.  Sardegna  n.  4  del  2015  e  questa
disposizione non era stata impugnata dal Governo. 
    Inoltre, «[l]e quote di rappresentativita' dei  comuni,  al  fine
della contribuzione al fondo  di  dotazione  e  dell'esercizio  delle
prerogative previste  dalla  presente  legge,  sono  stabilite  dallo
statuto e sono determinate: a) per il 70 per cento in  rapporto  alla
popolazione residente nel comune; b) per il 30 per cento in  rapporto
al territorio comunale» (art. 6, comma 3). 
    Gli organi di governo dell'Ente sono  individuati  nel  «Comitato
istituzionale d'ambito» e nelle «conferenze  territoriali»  (art.  6,
comma 5). Il Comitato istituzionale d'ambito e' composto da:  «a)  il
Presidente della Regione o un suo delegato; b) due componenti  scelti
tra i sindaci dei  comuni  capoluogo  di  provincia  e  della  citta'
metropolitana; c) due componenti scelti tra i sindaci dei comuni  con
popolazione uguale o superiore a 10.000 abitanti; d)  due  componenti
scelti tra i sindaci dei comuni con popolazione uguale o superiore  a
3.000 abitanti e inferiore a 10.000 abitanti; e)  quattro  componenti
scelti tra i sindaci dei comuni con  popolazione  inferiore  a  3.000
abitanti» (art. 7, comma  1).  Ciascuna  conferenza  territoriale  e'
composta «dai sindaci dei comuni ricadenti  nell'ambito  territoriale
di riferimento» (art. 8, comma 2). 
    E' dunque in questo contesto legislativo che  si  inseriscono  le
disposizioni della legge reg. Sardegna n. 25 del 2017  fatte  oggetto
di censura dal Presidente del Consiglio dei ministri. 
    3.- Il primo gruppo di questioni riguarda l'art.  1  della  legge
regionale impugnata, il quale aggiunge, dopo il comma 3  dell'art.  2
della legge reg. Sardegna n. 4 del 2015, il comma 3-bis, del seguente
tenore: «In considerazione del permanere del principio di affidamento
della gestione del servizio idrico a societa'  interamente  pubbliche
si  assicura  che  l'acqua  resti  un  servizio  pubblico  locale  di
interesse  economico  generale,  in  grado  di  garantire  ai  nuclei
familiari morosi in  condizioni  di  disagio  economico,  il  diritto
inalienabile ad un quantitativo minimo vitale pro-capite». 
    Questa norma e' impugnata per violazione dell'art.  117,  secondo
comma, lettera e), Cost., in quanto  la  disciplina  delle  forme  di
gestione  e  affidamento  del  servizio  idrico   integrato   sarebbe
riconducibile alla competenza esclusiva statale in materia di «tutela
della concorrenza», e  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),
Cost., per il tramite della norma interposta di cui all'art.  149-bis
del d.lgs. n. 152 del 2006 (il quale prevede che la forma di gestione
del servizio deve essere deliberata dall'ente di governo  dell'ambito
«nel rispetto del piano d'ambito di cui  all'art.  149»),  in  quanto
tale disposizione statale dovrebbe essere ricondotta alla  competenza
legislativa  dello  Stato  in  materia  di  tutela  dell'ambiente   e
dell'ecosistema. 
    3.1.- A essere censurato e'  dunque  l'incipit  del  nuovo  comma
3-bis dell'art. 2 della legge reg. n. 4 del 2015, la' dove  individua
una sorta di "presupposto" per  l'applicabilita'  della  disposizione
(«In considerazione del permanere del principio di affidamento  della
gestione  del  servizio  idrico  a  societa'  interamente   pubbliche
[...]»). 
    Sul punto questa Corte ritiene di condividere  le  argomentazioni
svolte dalla resistente, la  quale  sostiene  che  la  lettura  della
disposizione impugnata, operata dal ricorrente, e' errata, poiche' la
norma regionale non prescrive ne' l'obbligo di una gestione  affidata
a un soggetto interamente pubblico, ne' che questa sia «la condizione
necessaria  perche'  il  servizio  rimanga  pubblico,  locale  e   di
interesse  economico  generale».  In  altre  parole,  il  legislatore
regionale si e' limitato a prendere atto del fatto che  la  normativa
statale prevede come possibile la gestione  del  servizio  idrico  da
parte di societa' interamente pubbliche, e  che  proprio  questo  e',
allo stato, il caso della Regione autonoma Sardegna, nella  quale  e'
in atto un affidamento diretto a favore di una  societa'  a  capitale
pubblico (Abbanoa spa), partecipata dagli enti locali. 
    Interpretata nel senso di non  precludere  nessuna  modalita'  di
gestione  del  servizio  idrico  integrato,  «fra  quelle  consentite
dall'ordinamento europeo» (art. 149-bis, comma 1, del d.lgs.  n.  152
del 2006), la disposizione regionale non si pone in contrasto ne' con
la citata norma  interposta,  ne'  con  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera e), Cost., non essendo affatto  esclusa  la  possibilita'  di
affidare   la   gestione   del   servizio   con   modalita'   diverse
dall'affidamento diretto a favore di societa' interamente pubbliche. 
    La questione promossa in riferimento all'art. 117, secondo comma,
lettera e) («tutela della concorrenza»),  Cost.  deve  dunque  essere
dichiarata non fondata nei sensi di cui in motivazione. 
    3.2.- Parimenti non fondata nei sensi di cui in motivazione e' la
questione  promossa  in  riferimento  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera s) («tutela dell'ambiente»),  Cost.  L'interpretazione  sopra
illustrata della disposizione regionale esclude infatti la  lamentata
violazione degli artt. 149 e 149-bis, comma 1, del d.lgs. n. 152  del
2006,  in  quanto  resta  fermo  il  potere  dell'Ente   di   governo
dell'ambito di deliberare la forma di gestione fra quelle  consentite
dall'ordinamento europeo. 
    4.- Il ricorrente ha impugnato anche gli artt. 4, 6 e 8, comma 1,
della legge reg. Sardegna n. 25 del 2017,  per  violazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera e), Cost., per  il  tramite  delle  norme
interposte contenute all'art. 5 del  decreto  legislativo  18  aprile
2016, n. 50 (Codice  dei  contratti  pubblici),  e  all'art.  16  del
decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di
societa' a partecipazione  pubblica).  Piu'  precisamente,  l'art.  4
della legge reg. Sardegna n. 25 del 2017  ha  inserito  l'art.  7-bis
(rubricato «Esercizio  del  controllo  analogo.  Commissione  per  il
controllo analogo») nella legge reg. Sardegna n. 4 del 2015; l'art. 6
della legge impugnata ha sostituito il testo dell'art. 12  (rubricato
«Funzioni regionali») della legge reg. Sardegna n. 4 del 2015; l'art.
8, comma 1, ha modificato l'art. 15, comma 1, sempre della legge reg.
Sardegna n. 4 del 2015, stabilendo la quota minima di  partecipazione
della Regione nella misura del 20 per cento del capitale  sociale  di
Abbanoa spa. 
    Il  ricorrente  lamenta  che  tali  disposizioni,  sottraendo  il
controllo analogo all'Ente di governo dell'ambito e affidandolo a  un
organo diverso (la Commissione) e sostanzialmente a un  ente  diverso
(la Regione), disciplinerebbero il  controllo  analogo  in  modo  non
coerente con le regole europee e nazionali, e a  sostegno  della  sua
ricostruzione allega i pareri espressi dall'Autorita'  garante  della
concorrenza  e  del   mercato   (AGCM)   e   dall'Agenzia   nazionale
anticorruzione (ANAC), che evidenziano alcuni profili  di  criticita'
della legge regionale impugnata. 
    Sebbene le  tre  disposizioni  contestate  abbiano  un  contenuto
diverso, il motivo di censura e' sostanzialmente unitario,  attenendo
comunque alla sussistenza del requisito  del  controllo  analogo.  Il
ricorrente  lamenta  invero  che  il  controllo  analogo   resterebbe
sottratto all'EGAS e  sarebbe  affidato  «formalmente  ad  un  organo
diverso»  (la  Commissione  per  il  controllo   analogo,   istituita
dall'art. 4 impugnato), e «sostanzialmente ad un ente diverso», ossia
alla  Regione.  A  conferma  di  questo  assunto  la  difesa  statale
sottolinea inoltre come l'art. 6 impugnato abbia rafforzato i  poteri
di controllo della Regione Sardegna, prevedendo la  possibilita'  che
il Comitato istituzionale d'ambito, organo di governo dell'EGAS,  sia
sciolto con decreto del Presidente  della  Regione,  adottato  previa
deliberazione della Giunta e comunicato al Consiglio regionale (testo
novellato dell'art. 12, comma 6, della legge reg. Sardegna n.  4  del
2015). 
    In  questa  prospettiva  non  rileverebbe  la  pur  significativa
riduzione (da realizzarsi entro cinque anni  dall'entrata  in  vigore
della legge impugnata) delle  quote  di  partecipazione  al  capitale
sociale di Abbanoa spa detenibili dalla Regione, che manterrebbe  una
quota del 20 per cento (art. 8, comma 1) a fronte del limite  massimo
in precedenza stabilito nella misura del 49  per  cento.  Secondo  il
ricorrente,  infatti,  non  sarebbe  scalfito  il  «potere  regionale
assoluto»   nei   confronti   dell'EGAS,   che   determinerebbe   «un
corrispondente  potere  [della  Regione]  di  influire   in   maniera
determinante sul soggetto gestore,  che  tuttavia  non  e'  in  house
rispetto alla Regione». 
    4.1.-   La   Regione   resistente    eccepisce    preliminarmente
l'inammissibilita' delle questioni relative all'art. 4 e all'art.  8,
comma 1, per difetto di lesivita'  delle  disposizioni  impugnate  in
relazione alle allegazioni riferite ad esse, giacche'  il  ricorrente
fonderebbe l'asserita permanenza del controllo analogo in  capo  alla
Regione, anziche' agli enti partecipanti all'EGAS,  non  sulle  norme
impugnate ma su altre disposizioni della legge reg.  Sardegna  n.  25
del 2017. Non sarebbe, pertanto, rivolta alcuna  censura  alle  norme
oggetto  dell'impugnativa  statale.  La  situazione   lamentata   dal
ricorrente sarebbe piuttosto riconducibile alla legge  reg.  Sardegna
n. 4 del 2015 (peraltro non impugnata dal Governo), nel testo vigente
prima delle modifiche operate dalla contestata legge reg. Sardegna n.
25 del 2017, e ad altre disposizioni di quest'ultima legge, anch'esse
non impugnate con l'odierno ricorso. 
    Parimenti  inammissibili  sarebbero  le  questioni  promosse  nei
confronti dell'art. 6 della legge reg. Sardegna n. 25  del  2017,  in
quanto il ricorrente si sarebbe limitato a censurare solo  il  potere
della Regione di sciogliere il Comitato istituzionale d'ambito, senza
indicare le ragioni per le quali  la  previsione  dello  scioglimento
sarebbe incostituzionale. 
    Le eccezioni di inammissibilita' non sono fondate. 
    Sebbene il ricorrente effettivamente riunisca in un unico  gruppo
di censure tre disposizioni dal contenuto diverso, la  motivazione  a
supporto dell'impugnativa consente di ritenere ammissibili  tutte  le
censure.  La  difesa  statale  deduce,  infatti,  la  violazione  del
parametro costituzionale  e  delle  norme  interposte  ad  opera  del
complessivo sistema normativo costituito, appunto, dalle disposizioni
impugnate. Se e' vero infatti che il  testo  originario  della  legge
reg. Sardegna n. 4 del 2015 - a voler seguire la  prospettazione  del
ricorrente  -   poneva   dubbi   anche   maggiori   di   legittimita'
costituzionale, non si puo' negare che le motivazioni  addotte  dalla
difesa statale  a  sostegno  dell'illegittimita'  costituzionale  del
testo oggi vigente risultano comunque adeguate. 
    4.2.- Passando al merito, le questioni promosse in relazione agli
artt. 4, 6 e 8, comma 1, della legge reg. Sardegna  n.  25  del  2017
possono essere cosi' sintetizzate: la prima concerne la  legittimita'
costituzionale della norma regionale (art. 4) che affida il controllo
analogo a un'apposita Commissione istituita presso l'EGAS; la seconda
riguarda l'effettivita' di questo controllo da parte  dei  Comuni  in
ragione del suo affidamento  alla  Commissione  anzidetta;  la  terza
inerisce  all'incidenza  del  potere  di  scioglimento  del  Comitato
istituzionale  d'ambito,  rimesso  dall'art.  6   impugnato   a   una
deliberazione della Giunta regionale, sull'effettivita' del controllo
analogo svolto dall'EGAS sul soggetto gestore Abbanoa spa; la  quarta
riguarda la riduzione del limite massimo (dal 49 al 20 per cento)  di
quote del capitale sociale che possono essere detenute dalla  Regione
Sardegna  e  le  sue  conseguenze  sull'effettivita'  del   controllo
analogo. 
    4.3.- La soluzione delle questioni  poste  dalla  difesa  statale
impone di valutare innanzitutto la pertinenza del parametro  invocato
e delle norme interposte richiamate.  Il  ricorrente  indica  infatti
l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e non anche l'art. 117,
primo comma, Cost., alla stregua di quanto avvenuto in altri  giudizi
(come quello deciso con la  sentenza  n.  50  del  2013)  in  cui  si
contestava la compatibilita' europea del controllo  analogo  previsto
da leggi regionali.  In  effetti,  le  condizioni  di  ammissibilita'
dell'in house providing, definite dapprima dalla Corte  di  giustizia
dell'Unione europea e successivamente fatte proprie  dal  legislatore
(europeo e indi) statale, sono  previste  oggi  proprio  nelle  norme
indicate dal ricorrente come interposte nel presente giudizio: art. 5
del d.lgs. n. 50 del 2016 e art. 16 del d.lgs. n.  175  del  2016.  A
queste si puo' aggiungere l'art. 2 del d.lgs. n.  175  del  2016,  il
quale, tra l'altro, stabilisce che il controllo analogo  «puo'  anche
essere esercitato da una  persona  giuridica  diversa,  a  sua  volta
controllata  allo  stesso  modo  dall'amministrazione   partecipante»
(comma 1, lettera c) e definisce  il  «controllo  analogo  congiunto»
come «la situazione in cui l'amministrazione esercita  congiuntamente
con altre amministrazioni su una  societa'  un  controllo  analogo  a
quello esercitato sui propri servizi [...]» (comma 1, lettera d). 
    Con questa disposizione, in particolare, il  legislatore  statale
ha recepito quanto affermato dalla Corte di giustizia che, dopo  aver
individuato,   come   ricordato,   i   requisiti   di    legittimita'
dell'affidamento in  house,  ha  ritenuto  ammissibile  il  controllo
analogo  congiunto  (Corte  di  giustizia  delle  Comunita'  europee,
sentenza 13 novembre 2008, in causa  C-324/07,  Coditel  Brabant  SA,
punto 50; sentenza 10 settembre 2009, in  causa  C-573/07,  Sea  srl,
punto 59). In merito al  rapporto  tra  detenzione  delle  quote  del
capitale sociale ed effettivita' del controllo analogo,  inoltre,  la
Corte di  giustizia  ha  ritenuto  soddisfatta  la  condizione  dello
svolgimento del controllo analogo anche in un caso  in  cui,  in  una
compagine societaria pubblica frazionata, una singola amministrazione
deteneva una quota esigua (0,25 per cento) del capitale sociale della
societa' in  house  (Corte  di  giustizia  delle  Comunita'  europee,
sentenza 19 aprile 2007, in causa C-295/05, Asemfo, punti 59-61). 
    4.4.- Sulla scorta di queste considerazioni si puo' dare risposta
alle questioni poste nell'atto introduttivo del presente giudizio. 
    4.4.1.- Le questioni di legittimita' costituzionale  degli  artt.
4, 6 e 8, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2017 non  sono
fondate. 
    Questa Corte ritiene che l'affidamento del  controllo  analogo  a
un'apposita  Commissione   istituita   presso   l'EGAS   non   infici
l'effettivita' del controllo stesso. L'art. 7-bis  della  legge  reg.
Sardegna n. 4 del 2015 (inserito dall'art.  4  impugnato)  stabilisce
infatti che «l'esercizio del controllo analogo [...]  e'  svolto  dai
soggetti partecipanti all'Ente di governo dell'ambito della Sardegna,
purche' soci del gestore unico del  servizio  idrico  integrato[,]  e
dalla Regione, nei confronti del gestore unico  del  servizio  idrico
integrato tramite la Commissione per il controllo analogo, secondo le
modalita' previste dal presente articolo» (comma 1). 
    Lo stesso art. 7-bis della legge reg.  Sardegna  n.  4  del  2015
prevede un controllo analogo congiunto degli enti locali titolari del
servizio (ai sensi dell'art. 2, comma 1, lettera d, del d.lgs. n. 175
del 2016), con le seguenti modalita': «[...]  i  comuni  partecipanti
all'Ente  di  governo   dell'ambito   e   facenti   parte,   inoltre,
dell'assemblea dei soci del gestore  unico  eleggono,  con  quote  di
rappresentanza paritarie, quattro componenti della commissione per il
controllo analogo e la Regione nomina il  quinto  componente»  (comma
2). I componenti della Commissione sono, quindi,  eletti  secondo  un
criterio che assicura la  netta  prevalenza  dei  rappresentanti  dei
Comuni rispetto a quelli della Regione; di conseguenza, il  controllo
analogo e' svolto da un organo nel quale prevalgono i  rappresentanti
degli enti locali partecipanti all'EGAS. 
    Per questa ragione, in considerazione della giurisprudenza  della
Corte di giustizia e delle norme statali sopra richiamate,  l'art.  4
della legge reg. Sardegna n.  25  del  2017  non  puo'  ritenersi  in
contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. 
    4.4.2.-  In  merito  al  potere  di  scioglimento  del   Comitato
istituzionale d'ambito, che  l'impugnato  art.  6  della  legge  reg.
Sardegna n. 25 del 2017 rimette  a  una  deliberazione  della  Giunta
regionale, va escluso che tale  previsione  incida  sull'effettivita'
del controllo analogo svolto dall'EGAS sul soggetto  gestore  Abbanoa
spa. Al riguardo, occorre ricordare  che  il  Comitato  istituzionale
d'ambito costituisce uno dei due organi di governo dell'EGAS (art. 6,
comma 5, della legge reg. n. 4 del 2015). La sua  composizione  e  le
sue funzioni sono disciplinate dall'art. 7 della legge reg. n. 4  del
2015. L'art. 12, comma 6,  di  tale  legge,  sostituito  dall'art.  6
impugnato, individua le cause del suo possibile  scioglimento  -  con
decreto del Presidente della Regione  adottato  previa  deliberazione
della Giunta regionale e comunicato al Consiglio  regionale  -  nelle
seguenti ipotesi: «a) per gravi o persistenti violazioni di  legge  o
di regolamento; b) quando non  possa  essere  assicurato  il  normale
funzionamento  dell'Ente;  c)  per   manifesta   inosservanza   delle
direttive degli organi regionali». 
    Gia' l'art.  19  della  legge  reg.  Sardegna  n.  29  del  1997,
rubricato «Funzioni regionali di controllo», disponeva, al  comma  4,
che «[l]'Assemblea dell'Autorita' d'ambito e'  sciolta,  con  decreto
del Presidente della Giunta regionale  adottato  previa  delibera  di
Giunta  e  comunicato  al  Consiglio  regionale:  a)  per   gravi   o
persistenti  violazioni  di  legge;  b)  quando  non   possa   essere
assicurato il normale funzionamento del consorzio». 
    La genericita' della censura statale - che non distingue  tra  le
diverse cause di scioglimento individuate dalla norma censurata - non
consente di identificare specifiche ragioni  di  contestazione  della
previsione  della  nuova  causa  di   scioglimento   «per   manifesta
inosservanza  delle  direttive  degli  organi   regionali».   L'unico
argomento  fatto  valere  e'  dunque  che  il  potere  regionale   di
scioglimento potrebbe mettere a rischio l'effettivita' del  controllo
analogo dell'ente gestore. Ma l'argomento non persuade, giacche' esso
postula, come condizione per il verificarsi della conseguenza temuta,
un eventuale esercizio improprio di tale potere - perche' di cio'  si
tratterebbe, se la Regione lo utilizzasse a quei  fini  -  contro  il
quale   l'ordinamento   offre   adeguati    strumenti    di    tutela
giurisdizionale. 
    Pertanto, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6
della legge reg. Sardegna n. 25 del 2017  deve  essere  ritenuta  non
fondata. 
    4.4.3.- L'ultimo motivo di ricorso riguarda l'art.  8,  comma  1,
della legge contestata, che fissa la quota minima  di  partecipazione
della Regione nella misura del 20 per cento del capitale  sociale  di
Abbanoa spa. Se si considera che la previsione del limite massimo del
49 per  cento,  contenuta  nel  testo  originario  della  legge  reg.
Sardegna n. 4 del 2015, non e' mai stata impugnata  dal  Governo,  e'
difficile comprendere le ragioni  della  censura:  la  riduzione  del
tetto massimo di quote del capitale sociale che puo' essere  detenuto
dalla Regione va infatti nella direzione opposta a  quella  lamentata
dal ricorrente. In ogni caso, l'aver previsto un limite  massimo  del
20 per cento non puo' essere ritenuto ostativo  dell'effettivita'  di
un controllo analogo, anche in considerazione della sopra  richiamata
giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia,  che  scinde  la   quota
azionaria detenuta dall'effettivita' del controllo stesso. 
    Pertanto,  anche  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 8, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del  2017  deve
essere dichiarata non fondata. 
    5.- Il terzo gruppo di  questioni  promosse  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri investe i tre commi introdotti  dall'impugnato
art. 8, comma 2, dopo il  comma  1  dell'art.  15  della  legge  reg.
Sardegna n. 4 del 2015. 
    Secondo la difesa statale le tre disposizioni violerebbero l'art.
117, secondo comma, lettere e) e s),  Cost.,  per  il  tramite  della
norma interposta di cui all'art. 147, comma 2-bis, del d.lgs. n.  152
del 2006 - il quale prevede che l'eccezione al principio di  unicita'
della  gestione  operi  esclusivamente  con  riferimento  a   ipotesi
specifiche - in  quanto  l'ambito  di  applicazione  della  normativa
regionale  impugnata  si  estenderebbe  a  «fattispecie  ulteriori  e
diverse da quelle individuate dal legislatore nazionale». 
    In particolare  la  norma  interposta,  al  secondo  e  al  terzo
periodo, dispone quanto segue: «[s]ono fatte salve:  a)  le  gestioni
del  servizio  idrico  in  forma  autonoma  nei  comuni  montani  con
popolazione inferiore a 1.000 abitanti gia' istituite  ai  sensi  del
comma 5 dell'articolo 148; b) le  gestioni  del  servizio  idrico  in
forma autonoma esistenti, nei comuni che  presentano  contestualmente
le  seguenti  caratteristiche:  approvvigionamento  idrico  da  fonti
qualitativamente pregiate; sorgenti ricadenti in  parchi  naturali  o
aree  naturali  protette  ovvero  in  siti  individuati   come   beni
paesaggistici ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio,
di cui al decreto  legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42;  utilizzo
efficiente della risorsa e tutela del corpo  idrico.  Ai  fini  della
salvaguardia delle gestioni in forma autonoma di cui alla lettera b),
l'ente  di  governo  d'ambito  territorialmente  competente  provvede
all'accertamento dell'esistenza dei predetti requisiti». 
    5.1.-  Preliminarmente  deve  essere  rilevato  che  la   censura
formulata rispetto all'art. 117, secondo  comma,  lettera  e),  Cost.
risulta  priva  di  qualsiasi  motivazione.  Il  ricorrente   indica,
infatti, tale parametro solo in apertura del paragrafo dedicato  alle
ragioni di impugnazione dell'art. 8,  comma  2,  e  alla  fine  dello
stesso, senza indicare le ragioni per le  quali  sarebbe  violata  la
competenza statale in materia di «tutela della concorrenza». 
    Per questi motivi le questioni di legittimita' costituzionale dei
tre commi aggiunti dalla norma impugnata prospettate con  riferimento
all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  e),  Cost.  devono   essere
dichiarate inammissibili. 
    5.2.- Il nuovo comma 1-bis dell'art. 15 della legge reg. Sardegna
n. 4 del 2015 e' impugnato perche' solo apparentemente sarebbe  volto
a chiarire il contenuto delle  fattispecie  previste  dall'art.  147,
comma 2-bis,  del  d.lgs.  n.  152  del  2006.  Infatti,  secondo  il
ricorrente, se la disposizione regionale fosse intesa nel senso  che,
per le gestioni fatte  salve,  deve  essere  comunque  verificata  la
sussistenza dei requisiti indicati dalla  norma  statale  interposta,
«sarebbe costituzionalmente legittima ma priva di qualunque contenuto
normativo», in quanto le  gestioni  fatte  salve  sarebbero  comunque
previste nell'art. 147, comma 2-bis. 
    La difesa statale ritiene, invece, che,  dovendo  dare  un  senso
alla  disposizione  regionale  impugnata,  questo   non   possa   che
consistere nell'aver previsto un'eccezione al principio  di  unicita'
di tutte «le gestioni esistenti  svolte  in  forma  autonoma  tramite
affidamento o in via diretta o attraverso convenzioni  stipulate  dai
comuni con altri enti  locali  o  gestori»  (art.  15,  comma  1-bis,
introdotto dalla norma oggetto  di  ricorso),  «a  prescindere  dalla
concreta ricorrenza dei presupposti richiesti  dalla  norma  statale,
che si considerano invece esistenti ex lege». 
    Cosi' interpretata la norma impugnata sarebbe  in  contrasto  con
l'art.  147,  comma  2-bis,  del  d.lgs.  n.  152  del  2006  e,   di
conseguenza, con l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    Il    ricorrente    rinviene    un    ulteriore    profilo     di
incostituzionalita' del comma 1-bis dell'art.  15  della  legge  reg.
Sardegna n. 4 del 2015 (introdotto dall'impugnato art.  8,  comma  2)
nell'aver fatto salve («rimangono in ogni caso  ferme»)  le  gestioni
«esistenti» alla data di entrata  in  vigore  della  legge  regionale
contestata (14 dicembre 2017), mentre la norma statale interposta  fa
salve le gestioni esistenti al  momento  dell'entrata  in  vigore  (2
febbraio 2016) della legge 28 dicembre 2015, n. 221 (Disposizioni  in
materia ambientale per promuovere misure di green economy  e  per  il
contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali), il cui art. 62,
comma 4, ha introdotto il testo oggi  vigente  dell'art.  147,  comma
2-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    In altre parole, la norma regionale impugnata avrebbe  esteso  la
portata temporale della deroga prevista dalla normativa statale. 
    5.3. La questione non e' fondata, in quanto il  ricorrente  muove
da un erroneo presupposto interpretativo. e', infatti,  condivisibile
la tesi della difesa regionale, secondo cui la norma censurata non si
propone  di  spostare  il  termine  di  riferimento  delle   gestioni
esistenti, che resta quello della legislazione statale. Pertanto,  la
disposizione impugnata deve essere letta intendendo il richiamo delle
gestioni esistenti come riferito alla normativa statale interposta  e
quindi alla data di entrata in vigore di  quest'ultima  e  non  della
normativa regionale contestata. 
    Per  le  ragioni  anzidette,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 8, comma 2, della legge reg. Sardegna n.  25
del 2017, nella parte in cui introduce il comma 1-bis dopo il comma 1
dell'art. 15 della legge reg. Sardegna n. 4  del  2015,  deve  essere
dichiarata non fondata nei sensi di cui in motivazione. 
    5.4.- Anche il nuovo comma 1-ter dell'art. 15  della  legge  reg.
Sardegna n. 4 del 2015 e' impugnato perche'  conterrebbe  una  palese
estensione  dell'ambito  oggettivo  della   deroga   prevista   nella
normativa statale, in contrasto con  l'art.  147,  comma  2-bis,  del
d.lgs. n. 152 del 2006 e, di conseguenza,  con  l'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost. 
    L'art. 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, prima della  sua
abrogazione (a  decorrere  dal  31  dicembre  2012),  prevedeva  che,
«[f]erma  restando  la  partecipazione   obbligatoria   all'Autorita'
d'ambito di tutti gli enti locali ai sensi del  comma  1,  l'adesione
alla gestione unica del servizio idrico integrato e' facoltativa  per
i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio
delle  comunita'  montane,  a  condizione  che  gestiscano   l'intero
servizio idrico integrato, e previo consenso della Autorita' d'ambito
competente». 
    Ai  sensi  della  norma  oggetto  di  censura,  «si   considerano
positivamente verificati e assentiti, nel periodo della sua  vigenza,
i requisiti di  cui  all'articolo  148,  comma  5,  [...]  quando  la
gestione sia  iniziata  prima  dell'entrata  in  vigore  del  decreto
legislativo n. 152 del 2006 e sia in corso al momento dell'entrata in
vigore della presente legge». 
    Secondo il ricorrente, in questo modo  il  legislatore  regionale
avrebbe incluso nella deroga prevista dalla normativa  statale  anche
fattispecie non ricomprese in quest'ultima; peraltro, non si potrebbe
escludere che ci siano gestioni iniziate prima dell'entrata in vigore
del d.lgs. n. 152 del 2006 e tuttora  in  corso,  in  relazione  alle
quali, pero', non sia ancora intervenuto il  consenso  dell'Autorita'
d'ambito competente. 
    Anche in relazione a  questa  disposizione  si  deve  condividere
l'argomentazione della difesa regionale, la quale rileva come  l'art.
148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006 abbia avuto  due  differenti
versioni, in virtu' di quanto disposto dall'art.  2,  comma  14,  del
decreto legislativo 16 gennaio 2008,  n.  4  (Ulteriori  disposizioni
correttive ed integrative del D.Lgs. 3 aprile 2006, n.  152,  recante
norme in materia ambientale), entrato in vigore il 13 febbraio  2008.
In  particolare,  la  prima  formulazione  dell'art.  148,  comma   5
(peraltro, oggi abrogato), non prevedeva uno specifico atto dell'Ente
di governo; pertanto, le gestioni preesistenti rispetto alla modifica
normativa non possono essere messe in discussione  in  ragione  della
riformulazione del comma 5 avvenuta nel 2008. 
    In altre parole, la  censura  dedotta  nel  ricorso  puo'  essere
riferita solo all'ultima formulazione dell'art. 148, comma 5,  ma  la
norma  impugnata  espressamente  delimita  il   proprio   ambito   di
applicazione alle gestioni iniziate «prima dell'entrata in vigore del
decreto legislativo n. 152 del 2006  e  [che]  sia[no]  in  corso  al
momento dell'entrata  in  vigore  della  presente  legge».  Pertanto,
ratione temporis alle gestioni avviate prima dell'entrata  in  vigore
del d.lgs. n. 152 non si puo' estendere  un  requisito  (il  consenso
dell'Autorita' d'ambito competente) introdotto solo nel 2008. 
    Di  qui  la  non  fondatezza  della  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 8, comma 2, della legge reg. Sardegna n.  25
del 2017, nella parte in cui introduce il comma 1-ter dopo il comma 1
dell'art. 15 della legge reg. Sardegna n. 4 del 2015. 
    5.5.- Infine, il comma 1-quater dell'art.  15  della  legge  reg.
Sardegna n.  4  del  2015  -  secondo  cui  «[i]l  requisito  di  cui
all'articolo 147, comma 2-bis, lettera b) punto secondo  del  decreto
legislativo n. 152 del 2006, si  intende  soddisfatto  anche  per  le
sorgenti ricadenti in siti  individuati  in  zona  urbanistica  H  di
salvaguardia ai sensi del decreto dell'Assessore degli  enti  locali,
finanze ed urbanistica 20 dicembre 1983, n. 2266/U»  -  e'  impugnato
perche' sovrapporrebbe una  diversa  fattispecie  a  quella  prevista
dalla legge statale, ponendosi in contrasto  con  l'art.  147,  comma
2-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006 e, di conseguenza, con l'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost. 
    Il ricorrente sottolinea come, ai sensi dell'ultimo periodo della
norma   statale   interposta,    «l'ente    di    governo    d'ambito
territorialmente competente provvede all'accertamento  dell'esistenza
dei predetti requisiti». La legge statale avrebbe dunque previsto una
riserva di amministrazione per il riconoscimento  dei  requisiti,  al
fine  di  garantire  l'esistenza  di  una  adeguata  motivazione   al
riguardo. 
    Anche  in  questo  caso,  la  norma  statale  interposta  sarebbe
riconducibile  alla  competenza  legislativa  esclusiva  statale   in
materia  di  «tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema»  (art.  117,
secondo comma, lettera s, Cost.).  Pertanto,  anche  la  disposizione
contenuta nel comma 1-quater dell'art. 15 sarebbe illegittima. 
    La Regione si difende sostenendo che  la  questione  relativa  al
comma 1-quater non e' fondata per assenza di un contrasto tra  questa
disposizione e quelle statali, e  che  il  legislatore  regionale  si
sarebbe limitato  a  indicare  come  di  rilievo  paesaggistico  aree
sostanzialmente corrispondenti a quelle  gia'  individuate  dall'art.
142 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10  della  legge  6
luglio 2002, n. 137). 
    A ben vedere, tuttavia, se si confrontano le aree di cui all'art.
142 citato e i siti individuati in zona  urbanistica  H  dal  decreto
dell'Assessore regionale degli enti locali, finanze ed urbanistica 20
dicembre 1983, n.  2266/U  (Disciplina  dei  limiti  e  dei  rapporti
relativi alla formazione  di  nuovi  strumenti  urbanistici  ed  alla
revisione di quelli esistenti nei Comuni della Sardegna), e'  agevole
constatare che i due elenchi non sono  affatto  sovrapponibili.  Cio'
che del resto consegue alla stessa  diversa  natura  degli  interessi
tutelati dagli atti normativi che li contengono, interessi che,  solo
nel caso del codice dei beni  culturali  e  del  paesaggio,  sono  di
carattere direttamente ambientale-paesaggistico, mentre nel caso  del
decreto regionale hanno portata primariamente urbanistica. 
    Pertanto, l'art. 8, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 25  del
2017, nella parte in cui introduce il comma 1-quater dopo il comma  1
dell'art. 15 della legge reg. Sardegna n. 4  del  2015,  deve  essere
dichiarato costituzionalmente illegittimo  per  violazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost.