ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 248,  comma
2, del decreto del Presidente della Repubblica  30  maggio  2002,  n.
115,  recante  «Testo  unico   delle   disposizioni   legislative   e
regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)»,  promosso
dalla Commissione tributaria provinciale di Messina, nel procedimento
vertente tra  G.  C.  e  la  Commissione  tributaria  provinciale  di
Messina, con ordinanza del 2 settembre 2016, iscritta al n.  108  del
registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 6 febbraio  2019  il  Giudice
relatore Aldo Carosi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  La  Commissione  tributaria  provinciale  di  Messina,   con
ordinanza del 2 settembre 2016  (reg.  ord.  n.  108  del  2018),  ha
sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  248,
comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio  2002,
n.  115,  recante  «Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia  di  spese  di  giustizia.  (Testo  A)»,  in
riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 111 della Costituzione. 
    1.1.- La Commissione rimettente premette di essere investita  del
ricorso proposto da C.G. avverso l'intimazione di  pagamento  del  21
luglio 2015, di euro 1.500,00, per  mancata  indicazione  del  valore
della lite introdotta con un  precedente  ricorso  tributario  e  per
omesso versamento  del  contributo  unificato  relativo  al  predetto
ricorso, e  di  ulteriori  euro  3.000,00,  pari  al  200  per  cento
dell'importo  dovuto  e  non  versato,  a  titolo  di  sanzione,  per
complessivi euro 4.508,75, comprensivi di spese  di  notifica.  Detta
intimazione era stata preceduta dalla richiesta del 14 gennaio  2013,
notificata al domicilio eletto nel giudizio tributario, a fornire  la
nota di iscrizione a ruolo e a indicare, tra l'altro, il valore della
controversia (che avrebbe comportato il pagamento  di  un  contributo
unificato  pari  a  euro  120,00),  e  poi  -  rimasta  la  richiesta
inadempiuta - dall'invito del 6 giugno 2013, notificato  al  medesimo
domicilio eletto, a  pagare  il  contributo  unificato  nella  misura
massima prevista, pari a euro 1.500,00, con  l'avvertimento  che,  in
caso di perdurante inerzia, sarebbe stata irrogata anche la sanzione. 
    Notificata  l'intimazione  di  pagamento  del  21   luglio   2013
direttamente alla ricorrente, questa, tra le  altre  censure,  ne  ha
dedotto la nullita', in quanto l'invito al  pagamento  del  6  giugno
2013 era stato notificato al domicilio eletto nel precedente giudizio
tributario  presso  il  difensore,  e,  poiche'  questi  non  l'aveva
debitamente comunicato, non le era stato  possibile  ne'  impugnarlo,
ne' comunque averne conoscenza; cio' che  comporterebbe  «la  carenza
dell'elemento soggettivo necessario a procedere al recupero fiscale».
In sintesi, la ricorrente, pur non essendo stata posta in  condizione
di conoscere «direttamente» l'importo del contributo unificato dovuto
(in  quanto  gli  atti  presupposti   all'intimazione   erano   stati
notificati presso il domicilio eletto per il ricorso tributario),  e'
stata chiamata a rispondere sia della  maggiorazione  del  contributo
dovuto, sia della sanzione. 
    1.2.- Secondo il Collegio rimettente, l'«Ufficio  Recupero  Spese
di  giustizia»  della  Commissione   tributaria   avrebbe   proceduto
legittimamente, in base a quanto previsto dagli artt. 14, commi  1  e
3-bis, 16 e 248 del d.P.R. n. 115 del 2002. Quest'ultimo articolo, in
particolare, stabilisce che: «1. Nei casi  di  cui  all'articolo  16,
entro  trenta  giorni  dal  deposito  dell'atto  cui  si  collega  il
pagamento o l'integrazione del contributo,  l'ufficio  notifica  alla
parte, ai sensi dell'articolo 137 del  codice  di  procedura  civile,
l'invito  al  pagamento  dell'importo  dovuto,  quale   risulta   dal
raffronto tra il valore della causa ed  il  corrispondente  scaglione
dell'articolo 13,  con  espressa  avvertenza  che  si  procedera'  ad
iscrizione a ruolo, con addebito degli interessi al saggio legale, in
caso di mancato pagamento entro un mese.  2.  Salvo  quanto  previsto
dall'articolo 1, comma 367, della legge 24  dicembre  2007,  n.  244,
l'invito e' notificato, a cura dell'ufficio  e  anche  tramite  posta
elettronica certificata nel domicilio eletto o, nel caso  di  mancata
elezione di domicilio, e' depositato presso l'ufficio. 3. Nell'invito
sono indicati il termine e  le  modalita'  per  il  pagamento  ed  e'
richiesto al debitore di depositare la ricevuta di  versamento  entro
dieci giorni dall'avvenuto pagamento». 
    Inoltre, in base all'art. 13, comma 6, dello stesso d.P.R. n. 115
del 2002, la mancata dichiarazione del valore della lite,  prescritta
dal successivo art. 14, comma  3-bis,  determina  l'applicazione  del
contributo unificato nella misura massima stabilita per scaglioni nel
processo tributario. 
    1.3.- Cio' premesso, la  Commissione  tributaria  provinciale  di
Messina dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 248, comma
2, del d.P.R. n. 115 del 2002. 
    In ordine alla rilevanza, chiarisce che essa  sarebbe  legata  al
diverso esito del giudizio in corso nel caso  di  accoglimento  delle
odierne questioni. 
    Ritenuti infondati gli ulteriori motivi di ricorso,  difatti,  il
Collegio rimettente  dovrebbe,  in  applicazione  della  disposizione
censurata, ritenere legittima la notifica dell'invito di pagamento al
solo  domicilio  eletto,  benche'  la  parte  interessata  non  abbia
ricevuto alcun avviso personale, e, dunque, rigettare il ricorso. 
    Non sarebbe  possibile  ne'  un'interpretazione  estensiva  della
disposizione che impone la  notifica  dell'atto  tributario  al  solo
domicilio eletto, stante il chiaro tenore letterale della stessa (con
l'alternativa, ancora meno garantista, del deposito presso  l'ufficio
in caso di mancata elezione); ne' - ammesso che cio'  possa  incidere
sul giudizio di rilevanza - ritenere la responsabilita' solidale  del
difensore, la quale, introdotta con il comma 1-bis, aggiunto all'art.
16 del d.P.R. n. 115 del 2002 dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223
(Disposizioni urgenti per il rilancio economico  e  sociale,  per  il
contenimento e la razionalizzazione  della  spesa  pubblica,  nonche'
interventi  in  materia  di  entrate  e  di  contrasto   all'evasione
fiscale), e' stata soppressa, in sede di conversione di tale decreto,
dalla legge 4 agosto  2006,  n.  248;  ne'  potrebbe  incidere  sulla
rilevanza delle questioni  l'azione  risarcitoria  promossa  in  sede
civile  nei  confronti  del  precedente   difensore   domiciliatario,
trattandosi  di  un  procedimento  diverso  da  quello   disciplinato
dall'art. 248 del d.P.R. n. 115 del 2002. 
    La rilevanza delle questioni neppure sarebbe inficiata  da  altre
disposizioni «secondo le quali e' consentito  "spezzare"  il  vincolo
soggettivo  e,  quindi,  ritenere,  a  prescindere   dalla   notifica
dell'avviso, rimediabile la mancata tempestiva  conoscenza  dell'atto
impositivo», come, ad esempio, l'art. 1,  comma  2,  della  legge  11
ottobre 1995, n. 423 (Norme in  materia  di  soprattasse  e  di  pene
pecuniarie per omesso, ritardato  o  insufficiente  versamento  delle
imposte), che, in quanto applicabile alla dichiarazione dei  redditi,
riguarda evidentemente un diverso tributo  e,  dunque,  non  potrebbe
essere estesa al contributo unificato. 
    La Commissione rimettente evidenzia, altresi', che  l'ordinamento
riconoscerebbe la possibilita' di evitare il pagamento delle sanzioni
comminate «per fatto altrui» (artt. 5 e 6 del decreto legislativo  18
dicembre 1997, n. 472, recante «Disposizioni generali in  materia  di
sanzioni amministrative per le  violazioni  di  norme  tributarie,  a
norma dell'articolo 3, comma 133, della legge 23  dicembre  1996,  n.
662»); tuttavia, in caso di applicazione di  tali  disposizioni  alla
fattispecie in esame, le questioni sarebbero comunque rilevanti,  dal
momento che rimarrebbe  «l'interesse  al  controllo  di  legittimita'
costituzionale  di   detta   norma,   quanto   meno   rispetto   alla
determinazione dell'entita' del dovuto». 
    1.4.-  Quanto  alla  non   manifesta   fondatezza,   il   giudice
rimettente, ricordata sia la natura di «entrata tributaria  erariale»
del contributo unificato (affermata da questa Corte con  la  sentenza
n. 73 del 2005 e dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, con
la sentenza 5 maggio 2011, n. 9840), sia la giurisdizione  tributaria
su di esso, richiama diverse disposizioni volte a dare certezza  alla
conoscenza dei procedimenti di spesa (art. 1 del  decreto  Presidente
della Repubblica 20 aprile 1994, n. 367, recante «Regolamento recante
semplificazione  e  accelerazione  delle   procedure   di   spesa   e
contabili»; art.  60  del  decreto  Presidente  della  Repubblica  29
settembre 1973, n. 600, recante «Disposizioni comuni  in  materia  di
accertamento delle imposte sui redditi»; art. 6 della legge 27 luglio
2000, n. 212, recante «Disposizioni in materia di statuto dei diritti
del contribuente»). 
    In particolare, l'art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 stabilirebbe
che, per le imposte  dirette,  l'amministrazione  ha  l'obbligo,  nel
procedimento amministrativo volto all'applicazione  del  tributo,  di
notificare l'atto direttamente al contribuente, mentre l'art. 6 della
legge n. 212 del 2000  prevedrebbe  detta  notifica  quale  principio
generale. Nel primo  caso,  l'elezione  di  domicilio  e'  consentita
mediante comunicazione con raccomandata,  nel  secondo,  puo'  essere
fatta ai fini dello specifico procedimento  cui  si  riferiscono  gli
atti da comunicare. 
    Diversamente, invece, l'art. 248  del  d.lgs.  n.  115  del  2002
stabilisce che la notifica dell'invito al  pagamento  del  contributo
unificato debba effettuarsi presso  il  domicilio  eletto,  dovendosi
intendere dunque quello "processuale". 
    Secondo  il  Collegio  rimettente,   poiche'   nel   procedimento
tributario  la  regola  sarebbe  quella  della   conoscenza   diretta
dell'atto impositivo, l'eccezione sarebbe  consentita  solo  mediante
elezione di domicilio specifica per  tale  procedimento,  sicche'  la
disposizione che «estenda» l'elezione del domicilio resa ai fini  del
patrocinio nel processo tributario a un procedimento  amministrativo,
seppur occasionato dal processo, non sarebbe giustificata. L'elezione
del domicilio nel processo dovrebbe, in definitiva, produrre  i  suoi
effetti esclusivamente  in  tale  ambito  e  non  in  quello  diverso
relativo al procedimento relativo al contributo unificato. 
    Ad avviso della  Commissione  tributaria,  tale  commistione  tra
procedimento e processo tributario, in definitiva,  non  garantirebbe
una adeguata difesa, come  tutelata  dall'art.  24  Cost.,  la  quale
necessiterebbe di un'adeguata conoscenza  degli  atti  prodromici  al
processo;  contrasterebbe  con  i  principi  di  buon   andamento   e
imparzialita' della pubblica amministrazione,  di  cui  all'art.  97,
secondo  comma,  Cost.,  che  si  fondano   sull'effettivita'   della
conoscenza degli atti amministrativi, quali sono  quelli  di  cui  si
tratta; costituirebbe infine  un  vulnus  al  principio  del  «giusto
processo», di cui all'art. 111 Cost. 
    In particolare, il  principio  di  imparzialita'  potrebbe  dirsi
effettivamente garantito  nel  procedimento  amministrativo  ove  sia
stata assicurata la necessaria integrita' del contraddittorio,  quale
presupposto della successiva attivita' della pubblica amministrazione
che deve essere  caratterizzata,  per  un  verso,  dalla  completezza
dell'istruttoria,  dalla  motivazione  degli  atti   e   dalla   loro
pubblicita' e, dall'altro,  da  una  decisione  che  sia  la  sintesi
dell'accertamento  dei  presupposti  di  fatto  e  dei   contrapposti
interessi in gioco. Tale attivita' non  potrebbe  quindi  prescindere
dalla   concreta   partecipazione   del   privato   al   procedimento
amministrativo,  la  quale  presuppone  una  corretta   e   effettiva
informazione dell'attivita' in corso. 
    In  materia  di  notificazioni,  infatti,  la  giurisprudenza  di
legittimita'    ha    sancito    il    principio    dell'effettivita'
dell'instaurazione del contraddittorio, indispensabile per assicurare
il giusto processo (art.  111,  primo  e  secondo  comma,  Cost.),  a
garanzia del quale  devono  essere  valorizzati  tutti  gli  elementi
idonei a perseguire detto  criterio  di  effettivita'  (viene  citata
Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 13 gennaio 2005,
n. 458). 
    Inoltre, secondo quanto previsto dalla legge 7  agosto  1990,  n.
241 (Nuove norme in  materia  di  procedimento  amministrativo  e  di
diritto  di  accesso  ai   documenti   amministrativi),   l'attivita'
amministrativa e' regolata da  criteri  di  economicita',  efficacia,
imparzialita',  pubblicita'  e  trasparenza  nonche'   dai   principi
dell'ordinamento comunitario (art. 1). In particolare,  il  principio
di imparzialita' richiede una valutazione complessiva degli interessi
pubblici e di quelli privati e, pertanto, la comunicazione dell'avvio
del procedimento -  che  «l'amministrazione  provvede  a  dare  [...]
mediante comunicazione personale» (art. 8) - e' il presupposto  della
stessa  partecipazione  (art.  7),  e  la   sua   mancanza   comporta
l'annullabilita' del provvedimento, salvo  che,  ai  sensi  dell'art.
21-octies della stessa legge n.  241  del  1990,  si  dimostrasse  in
giudizio che il contenuto del  provvedimento  avrebbe  potuto  essere
diverso da quello in concreto adottato. 
    In definitiva,  secondo  il  rimettente,  l'«"esclusivita'",  per
altro  "speciale",  della  norma»  censurata  contrasterebbe  con   i
principi costituzionali richiamati, con i principi  del  procedimento
amministrativo,  e,  infine,  a  ben  vedere,  con  la  stessa  norma
regolatrice del  processo  tributario,  contenuta  nell'art.  17  del
decreto legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul
processo tributario in attuazione della delega al  Governo  contenuta
nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n 413), che, al  comma  1,
consentirebbe la notifica mediante «consegna in mani proprie» pur  in
presenza di elezione di domicilio. 
    Infine,  la  disposizione  censurata  sarebbe  irragionevole  per
contraddittorieta' e disparita' di trattamento,  poiche'  regolerebbe
in maniera «piu' restrittiva» una situazione  procedimentale  analoga
ad altre disciplinate diversamente  sia  in  termini  generali  dalla
legge n. 212 del 2000 e dalla legge n. 241 del 1990, sia nel medesimo
ambito tributario, con conseguente violazione dell'art. 3 Cost. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha innanzitutto eccepito l'inammissibilita',  per  diversi
motivi, delle questioni. 
    2.1.- Rammenta l'Avvocatura che la  questione  con  la  quale  si
deduce la irragionevole disparita'  di  trattamento  tra  sanzioni  e
tributi, quale sarebbe quella in esame, e' da ritenersi inammissibile
quando - come nel caso di  specie  -  «il  rimettente  non  argomenta
minimamente in ordine alle ragioni  per  le  quali,  a  fronte  della
diversita' delle  suddette  pretese  erariali,  debba  sussistere  un
identico trattamento, stante  la  diversa  natura  e  funzione  e  la
distinta disciplina» (e' citata la sentenza n. 78 del 2016). 
    Parimenti inammissibile sarebbe la dedotta  violazione  dell'art.
24 Cost., atteso che, al di la'  dell'adozione  di  mere  formule  di
stile, il rimettente non fornirebbe alcuna argomentazione a  sostegno
della tesi secondo la quale il diritto di difesa in giudizio  sarebbe
leso dal procedimento di  notificazione  dell'invito  previsto  dalla
norma censurata. 
    Inoltre, come gia' affermato da questa Corte in  altra  pronuncia
relativa al contributo unificato, «la questione e' inammissibile  per
la  pluralita'  delle  soluzioni  che  possono  essere  offerte   dal
legislatore in una materia, quale quella della  determinazione  delle
spese processuali poste a carico  degli  utenti  della  giustizia  ed
altresi' quella tributaria, nella quale vige il principio  della  sua
discrezionalita' e della insindacabilita' delle  opzioni  legislative
che non siano caratterizzate da una manifesta  irragionevolezza»  (e'
richiamata l'ordinanza n. 164 del 2010). 
    Infine,  secondo  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri,
l'ordinanza, dopo aver dedotto un presunto vulnus  al  principio  del
«giusto processo» garantito dall'art. 111 Cost., si soffermerebbe  su
profili  afferenti  al   procedimento   amministrativo,   menzionando
genericamente la tutela del  contraddittorio  nel  processo.  Non  si
comprenderebbe tuttavia in quale misura la notificazione  dell'avviso
al  domicilio  eletto   vada   ad   incidere   su   un   procedimento
giurisdizionale, in realta' non ancora iniziato.  La  genericita'  di
detta doglianza la renderebbe, in definitiva, inammissibile. 
    2.2.- Le questioni sarebbero comunque non fondate. 
    La fattispecie all'esame del rimettente presenterebbe difatti  la
peculiarita' che l'obbligazione  tributaria  di  cui  si  controverte
nasce nel corso e in ragione del procedimento  giurisdizionale.  Cio'
giustificherebbe  la  diversita'   di   trattamento   rispetto   agli
"ordinari" procedimenti tributari. 
    L'inadempimento   del   difensore   alle   proprie   obbligazioni
costituirebbe,  poi,  «un  accadimento  "patologico"»  nel   rapporto
professionale,  non   suscettibile,   quindi,   di   influenzare   la
legittimita' della norma censurata. 
    Peraltro, secondo l'interveniente, potrebbe dubitarsi  del  fatto
che l'invito al pagamento sia un  atto  impositivo  vero  e  proprio,
assimilabile ad una pretesa  tributaria  ordinaria,  assolvendo  esso
piuttosto ad una  funzione  di  sollecitazione,  onde  consentire  al
contribuente,  tramite  l'apporto  dei  difensori,  di   ovviare   ad
eventuali sviste ed errori senza alcun onere a  suo  carico.  Sarebbe
dunque ragionevole sostenere che si e' in presenza  di  un  atto  del
tutto atipico, per il quale ben  puo',  almeno  in  una  prima  fase,
prescindersi  dalla  necessita'  di  una  comunicazione  immediata  e
diretta al contribuente come previsto per gli altri atti impositivi. 
    Al  contribuente  sarebbe  comunque  garantito  avvalersi   della
possibilita' di dimostrare  l'assenza  dell'elemento  soggettivo  nel
proprio inadempimento, ai sensi degli artt. 5 e 6 del d.lgs.  n.  472
nel 1997. 
    In definitiva, per un verso, le modalita' di notifica  presso  il
domicilio eletto soddisferebbero la necessita'  di  piena  conoscenza
dell'atto; per altro verso, l'ordinamento appresterebbe comunque  una
piena tutela in caso di comprovata incolpevole ignoranza da parte del
contribuente. 
    2.3.- Inoltre,  non  sarebbe  ravvisabile  alcuna  ingiustificata
disparita' di trattamento con altre situazioni giuridiche, attesa  la
peculiarita' della pretesa azionata dall'amministrazione  e  comunque
la equipollenza delle  modalita'  di  notificazione,  che  soddisfano
anche, nella maggior parte dei casi, la esigenza di  celerita'  nella
risoluzione della  controversia;  ne'  vi  sarebbe  compressione  del
diritto di  difesa,  atteso  che  la  notifica  viene  effettuata  al
difensore scelto dal contribuente, e  cio'  garantisce  in  linea  di
principio  fin  dalla  prima  fase  proprio   la   miglior   garanzia
dell'interesse  della  parte,  oltre  che  la   piena   e   immediata
conoscibilita' dell'atto  tributario.  Peraltro,  con  la  successiva
notificazione dell'irrogazione della eventuale sanzione  direttamente
alla parte, questa verrebbe comunque messa in grado di  conoscere  la
situazione  e  di  sindacare  tempestivamente,  ove  necessario,   un
ipotetico negligente comportamento del difensore. 
    Per le medesime ragioni ora esposte non  sembrerebbe  ravvisabile
ne' la violazione del principio di  buon  andamento  e  imparzialita'
dell'amministrazione,  non  essendo  preclusa  al   contribuente   la
possibilita' di conoscere l'atto; ne' la violazione del principio del
giusto processo, non essendo in alcun modo precluso  al  contribuente
di difendersi in un eventuale giudizio di impugnazione della  pretesa
tributaria, comprensiva di accessori e sanzione. 
    Tantomeno,  infine,  la  preclusione  alla  parte  privata  della
«possibilita'  di  una  tutela  avanzata  in  fase   procedimentale»,
potrebbe ritenersi incidere indirettamente sul "giusto processo"  che
ne dovesse seguire, dal  momento  che,  con  riferimento  a  sanzioni
qualificabili come penali, la giurisprudenza della Corte europea  dei
diritti dell'uomo (sentenza 4 marzo  2014,  Grande  Stevens  e  altri
contro Italia) ritiene  sufficiente  che  la  sanzione,  irrogata  in
assenza delle guarentigie proprie  della  sede  giudiziale,  sia  poi
sindacabile in maniera piena davanti al  giudice  (si  richiama,  per
l'applicazione del principio, Corte di  cassazione,  sezione  seconda
civile, sentenza 13 gennaio 2017, n. 770), come sembrerebbe  accaduto
anche nel giudizio  a  quo,  nel  quale  tutte  le  difese  sarebbero
comunque state tempestivamente svolte. 
    L'interveniente ha quindi concluso per la inammissibilita' o  per
la manifesta infondatezza delle questioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Commissione tributaria provinciale di Messina,  nel  corso
di un giudizio avente ad oggetto l'impugnazione  dell'intimazione  al
pagamento del contributo unificato relativo a un  precedente  ricorso
tributario e della relativa sanzione del 200 per  cento  dell'importo
dovuto e non versato, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,  24,
97,  secondo  comma,  e  111   della   Costituzione,   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 248, comma 2, del  decreto  del
Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n.  115,  recante  «Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari  in  materia  di
spese di giustizia. (Testo A)». 
    La disposizione censurata prevede che l'invito al  pagamento  del
contributo unificato «e' notificato,  a  cura  dell'ufficio  e  anche
tramite posta elettronica certificata, nel domicilio  eletto  o,  nel
caso  di  mancata  elezione  di  domicilio,  e'   depositato   presso
l'ufficio». 
    Dopo  aver  rammentato  la  natura  tributaria   del   contributo
unificato, il rimettente ritiene  ingiustificata  "l'estensione"  del
domicilio eletto nel processo tributario al  successivo  procedimento
amministrativo relativo alla  riscossione  del  contributo  unificato
concernente quel processo. Detta elezione  dovrebbe,  a  suo  avviso,
produrre effetto esclusivamente  nell'ambito  processuale  e  non  in
quello amministrativo. 
    Secondo il rimettente, dunque, l'art. 248, comma 2, del d.P.R. n.
115 del 2002, nella parte in cui prevede la  notifica  nel  domicilio
eletto  dell'invito  al  pagamento,   estenderebbe   illegittimamente
l'elezione di domicilio  effettuata  nel  processo  anche  alla  fase
procedimentale relativa alla riscossione  del  contributo  unificato,
operando una «commistione tra procedimento  e  processo  tributario».
Cio' comporterebbe innanzitutto la violazione dell'art. 24 Cost.,  in
quanto la difesa processuale necessiterebbe di un'adeguata conoscenza
degli atti prodromici al processo, quale sarebbe l'invito  a  pagare.
Sarebbero inoltre lesi l'art. 97 Cost., dal momento che i principi di
buon andamento e  imparzialita'  della  pubblica  amministrazione  si
fonderebbero   sull'effettivita'   della   conoscenza   degli    atti
amministrativi,  e  l'art.  111  Cost.,  che  garantisce  il  «giusto
processo» nel contraddittorio tra le parti. Infine,  la  disposizione
censurata recherebbe un vulnus all'art.  3  Cost.,  sotto  i  profili
della irragionevolezza e della disparita' di trattamento,  in  quanto
regolerebbe la conoscibilita' dell'invito al pagamento del contributo
unificato «in maniera piu' restrittiva» rispetto  ad  altre  analoghe
disposizioni, quali l'art. 60 del decreto Presidente della Repubblica
29  settembre  1973,  n.  600  (Disposizioni  comuni  in  materia  di
accertamento delle imposte sui redditi), e l'art. 6  della  legge  27
luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto  dei  diritti
del contribuente). 
    2.-  In  via  preliminare,  deve  essere  disattesa   l'eccezione
sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato inerente  all'asserita
omessa motivazione  delle  ragioni  per  le  quali,  a  fronte  della
diversita' delle pretese erariali aventi ad oggetto le sanzioni  e  i
tributi,  debba  sussistere  un  identico  trattamento.  Il   giudice
rimettente  non  lamenta  infatti   l'irragionevole   diversita'   di
trattamento  tra  tributi  e   sanzioni   bensi'   l'irragionevolezza
dell'individuazione  del  luogo  di  notificazione   dell'invito   al
pagamento, luogo che non consentirebbe un'adeguata conoscibilita'  da
parte del destinatario. 
    2.1.- Quanto alla eccepita inammissibilita' della  questione  per
la pluralita' di soluzioni che possono essere fornite dal legislatore
nell'esercizio della  propria  discrezionalita',  giova  ribadire  al
riguardo che l'insindacabilita' delle opzioni legislative incontra il
limite della manifesta irragionevolezza che, secondo  il  rimettente,
sarebbe stato superato nel caso in esame. 
    3.-  Meritevole  di  accoglimento  e',  invece,  l'eccezione   di
inammissibilita'  per  omessa   motivazione   della   non   manifesta
infondatezza della lesione del diritto di difesa in giudizio (art. 24
Cost.), nonche'  del  «vulnus  al  principio  del  "giusto  processo"
regolato dall'art. 111 Cost.», in quanto  detti  parametri  risultano
evocati a ulteriore supporto della lesione degli artt. 3 e 97  Cost.,
ma non ne risulta adeguatamente motivata la pretesa lesione. 
    4.- Giova brevemente premettere il quadro normativo relativo alle
questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. 
    Il d.P.R. n. 115 del 2002 stabilisce, all'art. 14, comma  1,  che
«la parte che per prima si costituisce in giudizio, che  deposita  il
ricorso  introduttivo,  ovvero  che,  nei   processi   esecutivi   di
espropriazione forzata, fa istanza per l'assegnazione  o  la  vendita
dei beni pignorati, e' tenuta al pagamento contestuale del contributo
unificato»; al successivo art.  16  prevede,  in  caso  di  omesso  o
insufficiente  pagamento  del  contributo  unificato,  sia  che   «si
applicano le disposizioni di cui  alla  parte  VII,  titolo  VII  del
presente testo unico e nell'importo iscritto a ruolo  sono  calcolati
gli interessi al saggio legale, decorrenti dal deposito dell'atto cui
si collega il pagamento o l'integrazione del contributo»  (comma  1),
sia che «si applica la sanzione di  cui  all'articolo  71  del  testo
unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro di cui  al
decreto del Presidente della  Repubblica  26  aprile  1986,  n.  131,
esclusa la detrazione ivi prevista» (comma 1-bis). 
    L'originaria previsione dell'art. 21, comma 5, del  decreto-legge
4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico
e sociale, per il contenimento e  la  razionalizzazione  della  spesa
pubblica, nonche' interventi in materia di  entrate  e  di  contrasto
all'evasione fiscale), stabiliva inoltre, nel  medesimo  comma  1-bis
del  d.P.R.  n.  115  del  2002,  la  responsabilita'  solidale   del
difensore, soppressa in sede di  conversione  dalla  legge  4  agosto
2006, n. 248. 
    Il richiamato Titolo VII del d.P.R. n. 115 del  2002  disciplina,
con gli artt. da 247  a  249,  il  procedimento  di  riscossione  del
contributo unificato. In particolare, l'art. 248 del  d.P.R.  n.  115
del 2002 stabilisce, ai primi due commi, che: «1.  Nei  casi  in  cui
all'art. 16 [cioe' in caso di omesso o  insufficiente  pagamento  del
contributo unificato], entro trenta giorni dal deposito dell'atto cui
si collega il pagamento o l'integrazione  del  contributo,  l'ufficio
notifica alla  parte,  ai  sensi  dell'articolo  137  del  codice  di
procedura civile, l'invito al pagamento  dell'importo  dovuto,  quale
risulta dal raffronto tra il valore della causa ed il  corrispondente
scaglione dell'articolo 13, con espressa avvertenza che si procedera'
ad iscrizione a ruolo, con addebito degli interessi al saggio legale,
in caso di mancato pagamento entro un mese. 2. Salvo quanto  previsto
dall'articolo 1, comma 367, della legge 24  dicembre  2007,  n.  244,
l'invito e' notificato, a cura dell'ufficio  e  anche  tramite  posta
elettronica certificata nel domicilio eletto o, nel caso  di  mancata
elezione di domicilio, e' depositato presso l'ufficio». 
    Nello specifico caso in esame, inerente al mancato versamento del
contributo unificato e alla mancata dichiarazione  del  valore  della
lite, l'art. 17 del decreto legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega  al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 431),
dispone che: «1. Le comunicazioni e notificazioni sono  fatte,  salva
la consegna in mani proprie, nel domicilio  eletto  o,  in  mancanza,
nella residenza o nella sede dichiarata dalla  parte  all'atto  della
sua costituzione in giudizio. [...]. 2. L'indicazione della residenza
o della sede e l'elezione del domicilio hanno  effetto  anche  per  i
successivi gradi del processo. 3. Se mancano l'elezione di  domicilio
o la dichiarazione della residenza o della sede nel territorio  dello
Stato o se per la loro assoluta  incertezza  la  notificazione  o  la
comunicazione degli atti non e' possibile, questi sono  comunicati  o
notificati presso  la  segreteria  della  commissione».  Il  comma  4
dell'art. 16-bis del medesimo d.lgs.  n.  546  del  1992  stabilisce,
inoltre,  che  «L'indicazione  dell'indirizzo  di  posta  elettronica
certificata valevole per le comunicazioni e le notificazioni equivale
alla comunicazione del domicilio eletto». 
    Il suddetto d.lgs. n. 546 del 1992, agli artt. 17 e 16-bis, comma
4, dunque, conferisce  prevalenza  all'elezione  di  domicilio  sulla
residenza dichiarata, prevedendo, in via residuale, il deposito nella
segreteria  della  commissione;   attribuisce,   poi,   all'eventuale
elezione di domicilio, un effetto ultrattivo per i  successivi  gradi
di giudizio; equipara, infine, l'indicazione dell'indirizzo di  posta
elettronica certificata alla comunicazione del domicilio eletto. 
    Inoltre, l'art. 60 del d.P.R. n. 600  del  1973,  richiamato  dal
rimettente quale tertium comparationis, prevede che la  notificazione
degli  avvisi  e  degli  altri  atti  che  per  legge  devono  essere
notificati al contribuente e' eseguita  secondo  le  norme  stabilite
dagli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile (mentre  e'
esclusa l'applicazione degli artt. 142,  143,  146,  150  e  151  del
medesimo codice), con determinate  «modifiche»,  tra  le  quali,  per
quanto di interesse in questa sede, indica le seguenti: «c) salvo  il
caso  di  consegna  dell'atto  o  dell'avviso  in  mani  proprie,  la
notificazione  deve  essere   fatta   nel   domicilio   fiscale   del
destinatario;  d)  e'  in  facolta'  del  contribuente  di   eleggere
domicilio presso una persona o un  ufficio  nel  comune  del  proprio
domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi  che
lo riguardano. In tal caso l'elezione  di  domicilio  deve  risultare
espressamente da  apposita  comunicazione  effettuata  al  competente
ufficio a mezzo di lettera raccomandata  con  avviso  di  ricevimento
ovvero in via telematica con modalita'  stabilite  con  provvedimento
del Direttore dell'Agenzia delle entrate». 
    Il rimettente richiama anche, come tertium comparationis,  l'art.
6 della legge n. 212 del 2000, che detta principi generali in materia
di conoscenza degli atti tributari, stabilendo che  l'amministrazione
finanziaria provvede comunque a comunicarli nel  luogo  di  effettivo
domicilio, quale desumibile  dalle  informazioni  in  possesso  della
stessa amministrazione o di altre amministrazioni pubbliche  indicate
dal contribuente, ovvero nel  luogo  ove  quest'ultimo  abbia  eletto
domicilio speciale  ai  fini  dello  specifico  procedimento  cui  si
riferiscono gli atti da  comunicare.  Tale  riferimento  risulta  non
pertinente  poiche'   la   norma   esclude   espressamente   la   sua
applicabilita' alle notificazioni degli atti tributari. 
    5.- Nel merito, le questioni sollevate in riferimento agli  artt.
3 e 97 Cost. non sono fondate. 
    Non puo' essere condivisa la tesi del rimettente secondo  cui  la
notifica al domicilio eletto per il giudizio dal quale  e'  scaturito
l'obbligo del pagamento del tributo costituisce di per se' un  vulnus
del principio secondo cui al contribuente deve essere  garantita  una
adeguata conoscibilita' dell'instaurando procedimento di  riscossione
del  contributo  unificato.  Rientra   nella   discrezionalita'   del
legislatore la conformazione degli istituti processuali e, quindi, la
disciplina delle  notificazioni,  con  il  «limite  inderogabile»  di
assicurare al contribuente una «effettiva possibilita' di  conoscenza
dell'atto» (sentenza n. 175 del 2018). Nel caso in esame la  notifica
al  domicilio  eletto  non  viola  il   «fondamentale   diritto   del
destinatario della notificazione ad essere  posto  in  condizione  di
conoscere, con l'ordinaria diligenza e senza necessita' di effettuare
ricerche  di  particolare  complessita',  il  contenuto  dell'atto  e
l'oggetto della procedura instaurata nei suoi confronti» (sentenza n.
346 del 1998). 
    La dichiarazione del  destinatario  dell'inequivoca  volonta'  di
ricevere le notificazioni per il giudizio in corso presso una persona
o un ufficio viene configurata dalla disposizione in  esame  come  il
presupposto per fare operare una presunzione legale non implausibile,
perche' fondata sulla elevata probabilita' che il destinatario  abbia
conoscenza  effettiva  degli  atti  a  lui   notificati   presso   il
domiciliatario di sua fiducia, liberamente scelto. 
    D'altronde l'onere di diligenza e cooperazione che si richiede in
capo  al  destinatario  si  concretizza   nell'onere   di   acquisire
informazioni  dal  domiciliatario  in  ordine  al  processo  e   alle
incombenze ad esso connesse (compreso dunque l'obbligo di  pagare  il
contributo). 
    La norma trova la sua ratio nel contemperamento non  implausibile
tra   esigenze   di   garanzia   del   destinatario,   principio   di
auto-responsabilita'  e  onere  di  diligenza,  da  un  canto,  e  di
efficienza e  buon  andamento  dell'amministrazione  finanziaria,  in
quanto esonerata da approfondite ricerche anagrafiche, dall'altro. 
    A ben vedere  l'ordinanza  di  rimessione  sembra  implicitamente
pervasa dal dubbio - dubbio che tuttavia non viene  sviluppato,  anzi
neppure  esplicitato  -,  in  ordine  alla  proporzionalita'  di   un
meccanismo  sanzionatorio  che  produce  un  incremento  del  quantum
debeatur da 120,00 a 4.508,75 euro,  piuttosto  che  sulle  censurate
modalita' di notifica che, al contrario,  alla  luce  del  richiamato
quadro  normativo,  appaiono  coerenti  con  l'indirizzo  seguito  in
materia dal legislatore. 
    L'omessa   comunicazione   da   parte   del   domiciliatario   al
contribuente dell'invito al pagamento  del  contributo  unificato  si
risolve, nel contesto normativo  denunciato  dal  rimettente,  in  un
inconveniente di mero fatto, come  tale  inidoneo  a  incidere  sulla
lamentata lesione di parametri costituzionali (ex multis, sentenze n.
249 e n. 231 del 2017). 
    Alla luce delle espresse considerazioni, le  questioni  sollevate
in riferimento agli artt. 3 e 97, secondo comma, Cost., risultano non
fondate.