ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 161,  terzo
comma, delle disposizioni per l'attuazione del  codice  di  procedura
civile, come aggiunto dall'art. 14,  comma  1,  lettera  a-ter),  del
decreto-legge 27 giugno  2015,  n.  83  (Misure  urgenti  in  materia
fallimentare, civile e  processuale  civile  e  di  organizzazione  e
funzionamento  dell'amministrazione  giudiziaria),  convertito,   con
modificazioni, nella legge  6  agosto  2015,  n.  132,  promosso  dal
Tribunale   ordinario   di   Vicenza,   in   funzione   di    giudice
dell'esecuzione  immobiliare,  sull'istanza  proposta  da   Valentino
Scomazzon, con ordinanza del 18 febbraio 2016, iscritta al n. 111 del
registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visti l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, nonche' quelli, fuori termine, dell'Associazione dei periti
e degli esperti  -  Istituto  per  la  tutela  e  la  qualita'  della
consulenza di tipo giudiziario (APE Nazionale), dell'Associazione dei
periti e degli esperti della Toscana - Istituto per la  tutela  e  la
qualita' della consulenza di tipo giudiziario  (APE  Toscana),  della
Rete nazionale delle  professioni  dell'area  tecnica  e  scientifica
(RPT) e  dell'Associazione  «E-Valuations:  Estimo  e  Valutazioni  -
Associazione valutatori immobiliari indipendenti»; 
    udito nella camera di consiglio  del  6  marzo  2019  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 18 febbraio 2016, iscritta al  n.  111  del
registro ordinanze  2018,  il  Tribunale  ordinario  di  Vicenza,  in
funzione  di  giudice  dell'esecuzione  immobiliare,   ha   sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 161, terzo  comma,
delle disposizioni per l'attuazione del codice  di  procedura  civile
«nella parte in  cui  prevede  che  il  compenso  dell'esperto  venga
calcolato in base al ricavato  realizzato  dalla  vendita  del  bene,
nonche' nella parte in cui prevede  che,  prima  della  vendita,  non
possano essere liquidati acconti  in  misura  superiore  al  50%  del
valore di stima, in relazione agli artt. 3, 36, 41, 97 e 117  [recte:
primo comma] Costituzione, quest'ultimo in relazione al principio  di
proporzionalita', quale principio generale  del  diritto  comunitario
primario». 
    1.1.- Il giudice a quo premette di dover decidere sull'istanza di
liquidazione presentata da un geometra, nominato come esperto per  la
stima degli immobili pignorati, e  di  dover  applicare  l'art.  161,
terzo comma, disp. att. cod. proc. civ., aggiunto dall'art. 14, comma
1, lettera a-ter), del decreto-legge 27 giugno 2015,  n.  83  (Misure
urgenti in materia fallimentare, civile e  processuale  civile  e  di
organizzazione  e  funzionamento  dell'amministrazione  giudiziaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 132. 
    Il rimettente censura l'art. 161, terzo comma,  disp.  att.  cod.
proc.  civ.,  «sia  nella  parte  in  cui  prevede  che  il  compenso
dell'esperto stimatore nominato ex art. 569  c.p.c.  venga  liquidato
sulla scorta del ricavato della vendita, anzich[e'] in base al valore
di stima (come previsto dall'art. 13 D.M. 182/2002), sia nella  parte
in cui dispone che, prima della vendita, non possano essere liquidati
acconti in misura superiore al 50% del compenso calcolato sul  valore
di stima». 
    1.2.- Ad avviso del rimettente, la liquidazione del  compenso  in
base al valore di vendita dell'immobile sarebbe in contrasto  con  il
principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), sotto molteplici profili. 
    L'art. 568 del codice di procedura civile imporrebbe  all'esperto
di elaborare la stima in base al valore di mercato, e  «non  gia'  al
presumibile valore di realizzo del bene». Non  vi  sarebbero  ragioni
apprezzabili, pertanto, per ancorare la liquidazione  al  «valore  di
vendita finale», che si discosta, secondo i  criteri  recepiti  dalla
«dottrina dell'estimo», dal valore di mercato scelto dalla legge come
criterio di stima. 
    Il criterio di liquidazione del compenso sancito dal  legislatore
sarebbe irragionevole anche  perche'  correlato  a  un  elemento,  il
valore di vendita,  che  non  e'  «pronosticabile  a  priori»  ed  e'
condizionato da «fattori imponderabili  da  parte  dell'esperto».  Si
farebbe cosi' gravare sull'esperto «l'alea degli eventi  che  possono
incidere sul valore finale di  aggiudicazione  e  che  non  dipendono
dalla sua  condotta  o  dalle  sue  capacita'  di  previsione»  e  si
tramuterebbe l'obbligazione del professionista, che si atteggia  come
«obbligazione di mezzi», in una obbligazione di risultato. 
    La disposizione sarebbe irragionevole, anche «perche'  figlia  di
un  infondato,  quanto  diffuso  pregiudizio  nei   confronti   della
categoria degli  esperti  stimatori,  tacciati  di  effettuare  stime
troppo alte, al fine di lucrare compensi piu' elevati». 
    Nella  prospettiva  del  rimettente,  un  ulteriore  profilo   di
irragionevolezza risiede nel fatto  che  all'estensione  dei  compiti
dell'esperto non faccia riscontro un adeguato  compenso  per  i  piu'
impegnativi compiti che la legge gli assegna. 
    Il rimettente denuncia, inoltre, il contrasto con il principio di
eguaglianza  (art.  3  Cost.).  Gli  esperti,  senza  una  plausibile
giustificazione, sarebbero assoggettati a  un  trattamento  deteriore
rispetto ai consulenti tecnici d'ufficio che prestano la  loro  opera
in un giudizio di  divisione  o  nelle  vendite  disposte  in  ambito
fallimentare e sono remunerati in rapporto al valore di  stima  degli
immobili. 
    La disposizione sarebbe irragionevole «anche nella parte  in  cui
non specifica come dovrebbe  avvenire  la  liquidazione  in  caso  di
estinzione del processo, sia tipica, che atipica».  Se,  nella  prima
ipotesi, legata a una scelta o all'inerzia del creditore  procedente,
si puo'  ritenere  «con  un  notevole  sforzo  di  fantasia»  che  la
liquidazione sia proporzionata al  valore  di  stima,  nella  seconda
ipotesi si deve giungere alla conclusione  che  l'esperto  non  possa
rivendicare  alcun  compenso   e   debba   restituire   gli   acconti
eventualmente gia' incassati. 
    La disposizione censurata si  porrebbe  anche  in  contrasto  con
l'art. 36 Cost., nella parte in  cui  commisura  la  liquidazione  al
valore di vendita del bene, anziche' al valore di stima, e rinvia  la
liquidazione al momento della vendita,  «consentendo  prima  di  tale
momento solamente la liquidazione di acconti non superiori  al  50%».
La disciplina in esame, pur  ampliando  i  compiti  dell'esperto,  di
fatto ne diminuirebbe il compenso, senza neppure distinguere tra voci
connesse al valore di stima e voci che da tale valore prescindono,  e
sarebbe pertanto lesiva del «diritto ad una retribuzione  adeguata  e
proporzionata  alla  quantita'  e  qualita'   del   lavoro   svolto»,
riconosciuto anche ai lavoratori autonomi (si menziona la sentenza n.
75 del 1964). 
    Il rimettente prospetta la violazione degli artt. 41 e 117 Cost.,
sul presupposto che l'entita' del compenso  e  la  tempestivita'  del
pagamento del compenso  rappresentino  «elementi  fondamentali  della
liberta' di impresa e di iniziativa economica». 
    In particolare, i criteri di liquidazione, commisurati al  valore
di vendita, e i tempi della liquidazione, differiti al momento  della
vendita, limiterebbero  la  liberta'  economica  del  professionista,
tutelata dall'art. 41 Cost. In contrasto con  l'art.  117  Cost.,  in
relazione  al  «principio  di   diritto   comunitario   primario   di
proporzionalita'»,  la  disposizione   censurata   frapporrebbe   «un
ostacolo non necessario, inadeguato e sproporzionato»  alla  liberta'
di  iniziativa  economica  del  professionista,  in  difetto  di  «un
imperativo interesse pubblico da tutelare». 
    La disposizione censurata contravverrebbe anche agli artt. 3 e 97
Cost., «nella parte in cui, frustrando  le  aspettative  al  compenso
degli esperti, finisce con il far lavorare gli stessi  sottocosto  e,
quindi, con l'allontanare dal circuito le professionalita'  migliori,
con   grave   danno   per    la    funzionalita'    e    l'efficienza
dell'amministrazione della giustizia» (si cita la sentenza n. 192 del
2015). 
    L'esperto, in virtu' di un rapporto eminentemente fiduciario  con
il giudice,  svolgerebbe  un  incarico  che  presuppone  «una  sempre
maggiore  competenza  e   professionalizzazione».   La   disposizione
censurata, nel ridurre l'entita' del compenso  degli  esperti  e  nel
ritardare il momento della liquidazione, allontanerebbe  le  migliori
professionalita', con un danno evidente per  «l'immagine  dell'intero
settore delle vendite pubbliche». 
    2.- Con atto depositato il 25 settembre 2018, e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e  ha  chiesto   di
dichiarare le questioni di legittimita' costituzionale manifestamente
inammissibili o infondate. 
    La  «tendenziale  omogeneita'»   tra   il   valore   di   mercato
dell'immobile, determinato ai sensi dell'art. 568 cod. proc. civ.,  e
«il prezzo ricavato dalla vendita dell'immobile stimato» escluderebbe
il  rischio  di  «un  divario  irragionevole  tra  il   criterio   di
determinazione del compenso dell'esperto e  quel  valore  di  mercato
dell'immobile staggito». Inoltre, il compenso, liquidato in  base  al
criterio oggettivo del ricavato della vendita, sarebbe  «adeguato  al
valore della  prestazione  professionale  resa».  L'obbligazione  del
professionista non si trasformerebbe in un'obbligazione di risultato,
in quanto le prestazioni professionali sarebbero comunque remunerate. 
    Non troverebbero alcun riscontro  ne'  il  pregiudizio  verso  la
categoria   degli   stimatori,   che   il   rimettente    attribuisce
all'intervento  restrittivo  del  legislatore,   ne'   la   paventata
riduzione dei compensi. Il legislatore, difatti, con l'art. 13, comma
1, lettera o), del  d.l.  n.  83  del  2015,  avrebbe  modificato  il
criterio di valutazione degli immobili e  il  correlato  criterio  di
determinazione del compenso, dapprima parametrati al meno  favorevole
criterio "catastale". 
    Non  sussisterebbe  la  denunciata  disparita'   di   trattamento
rispetto agli stimatori, designati nelle «altre procedure coattive di
vendita di immobili» di cui all'art. 788 cod. proc. civ.  e  all'art.
107  del  regio  decreto  16  marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del
fallimento,   del   concordato    preventivo,    dell'amministrazione
controllata e della liquidazione  coatta  amministrativa).  Anche  in
tali procedure, indicate come termini  di  raffronto,  verrebbero  in
rilievo, mediante il rinvio all'art. 569 cod. proc. civ.,  i  criteri
di determinazione del compenso previsti dalla disposizione censurata. 
    Quanto alla liquidazione del compenso dello stimatore nel caso di
estinzione   della   procedura   esecutiva   prima   della    vendita
dell'immobile, il rimettente non avrebbe in alcun  modo  indicato  la
sussistenza  di  tale  presupposto  nel   giudizio   principale.   Ne
deriverebbe l'inammissibilita' del relativo profilo di censura. 
    Non sarebbe fondata neppure la censura di violazione dell'art. 36
Cost., in quanto il lavoro svolto dai  consulenti  tecnici  d'ufficio
non e' riconducibile a  uno  schema  che  postuli  il  raffronto  tra
prestazioni e retribuzione (si richiamano le sentenze n. 88 del  1970
e n. 41 del 1996). 
    La natura di munus publicum dell'incarico escluderebbe,  inoltre,
ogni  contrasto  con  la  liberta'  di   iniziativa   economica.   La
disposizione  censurata  non  determinerebbe  un'incongrua  riduzione
della misura del compenso, ma si limiterebbe a stabilire un  criterio
di determinazione  oggettivo,  proporzionato  «al  valore  effettivo,
calcolato ex post, dell'attivita' prestata». 
    3.- Hanno depositato atti di intervento l'Associazione dei periti
e degli esperti  -  Istituto  per  la  tutela  e  la  qualita'  della
consulenza di tipo giudiziario (APE nazionale) e  l'Associazione  dei
periti e degli esperti della Toscana - Istituto per la  tutela  e  la
qualita' della consulenza di tipo giudiziario (APE Toscana), in  data
1° febbraio 2019,  la  Rete  nazionale  delle  professioni  dell'area
tecnica e scientifica (RPT), il 4 febbraio 2019, e,  il  27  febbraio
2019,  l'associazione   «E-Valuations:   Estimo   e   Valutazioni   -
Associazione valutatori immobiliari indipendenti». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Vicenza,  in  funzione  di  giudice
dell'esecuzione immobiliare, dubita della legittimita' costituzionale
dell'art. 161, terzo comma, delle disposizioni per  l'attuazione  del
codice di procedura civile, aggiunto dall'art. 14, comma  1,  lettera
a-ter) del decreto-legge 27 giugno 2015, n.  83  (Misure  urgenti  in
materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione
e funzionamento dell'amministrazione  giudiziaria),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 132, in riferimento agli
artt. 3, 36, 41, 97 e 117 [recte: primo comma] della Costituzione. 
    Il rimettente censura la disposizione citata «sia nella parte  in
cui prevede che il compenso dell'esperto stimatore nominato  ex  art.
569 c.p.c. venga liquidato sulla scorta del ricavato  della  vendita,
anzich[e'] in base al valore di stima  (come  previsto  dall'art.  13
D.M. 182/2002), sia nella parte  in  cui  dispone  che,  prima  della
vendita, non possano essere liquidati acconti in misura superiore  al
50% del compenso calcolato sul valore di stima». 
    La liquidazione  del  compenso  in  base  al  valore  di  vendita
contrasterebbe,  sotto  molteplici  profili,  con  il  principio   di
ragionevolezza (art. 3 Cost.). 
    La disposizione censurata, discostandosi  dal  criterio  previsto
dall'art. 568 del codice di procedura civile, impone  all'esperto  di
determinare il giusto prezzo sulla scorta del valore di  mercato  del
bene, opportunamente modulato secondo  tutte  le  particolarita'  del
caso  concreto,  e  attribuisce  rilievo,  nella  determinazione  del
compenso, al valore di vendita, ispirato a «criteri ben  differenti».
Tale valore non risulterebbe  «pronosticabile  a  priori»  e  sarebbe
influenzato «da fattori imponderabili da parte dell'esperto». 
    Il rimettente coglie un  ulteriore  profilo  di  irragionevolezza
della  disposizione  censurata  nel  fatto   che   il   criterio   di
determinazione del compenso risenta «di un infondato, quanto  diffuso
pregiudizio nei confronti della categoria  degli  esperti  stimatori,
tacciati di effettuare stime troppo alte, al fine di lucrare compensi
piu' elevati». 
    Nella  prospettiva  del  rimettente,  la   disposizione   sarebbe
irragionevole anche sotto un ulteriore profilo. Il  legislatore,  che
pure  estende  i  compiti  dell'esperto,  come  traspare   dal   piu'
articolato contenuto della relazione di stima di cui all'art. 173-bis
disp. att. cod. proc. civ., per altro verso, «ne riduce il compenso». 
    La disposizione censurata sarebbe lesiva anche del  principio  di
eguaglianza (art. 3 Cost.). Soltanto per gli esperti  nominati  nelle
espropriazioni immobiliari, il  legislatore  detterebbe  un  criterio
speciale  e  piu'  restrittivo  di   determinazione   del   compenso,
inapplicabile  ai  «compensi  dello  stimatore  in  un  giudizio   di
divisione» e dell'esperto nominato nel caso di  vendita  di  immobili
appartenenti al compendio fallimentare.  Tali  compensi,  secondo  il
rimettente, sarebbero liquidati in base al piu' favorevole valore  di
stima. 
    Il rimettente denuncia un ulteriore profilo di contrasto  con  il
principio di ragionevolezza, connesso al fatto  che  la  disposizione
censurata «non specifica come dovrebbe avvenire  la  liquidazione  in
caso di estinzione  del  processo,  sia  tipica,  che  atipica».  Se,
nell'ipotesi  di  estinzione  tipica,  derivante   dalla   scelta   o
dall'inerzia del creditore  procedente,  si  puo'  ritenere  «con  un
notevole sforzo di fantasia» che la liquidazione debba  avvenire  con
riguardo al valore di stima, nelle altre ipotesi, come  quella  della
chiusura anticipata del processo esecutivo (art. 164-bis  disp.  att.
cod. proc. civ.), si dovrebbe concludere  che  il  perito  non  possa
reclamare alcun compenso e che debba  finanche  restituire  l'acconto
gia' ricevuto. 
    La determinazione del compenso in base al valore di realizzo e il
differimento della liquidazione al momento della vendita violerebbero
anche il diritto di percepire  una  retribuzione  proporzionata  alla
quantita'  e  alla  qualita'  del  lavoro  svolto  (art.  36  Cost.),
«irrinunciabile presidio alla dignita' del lavoro e  della  persona»,
applicabile anche all'ambito del lavoro autonomo (si cita la sentenza
n. 75 del 1964). 
    L'esperto,  che  non  ha   alcun   «potere   contrattuale   nella
determinazione  del  proprio  compenso»,  si  vedrebbe  negare   quel
«ragionevole risultato economico», gia' determinato alla  luce  della
natura pubblicistica dell'incarico conferito. In violazione dell'art.
36 Cost., il compenso dell'esperto sarebbe ridotto per effetto di una
disciplina che contemporaneamente amplia i  suoi  compiti  e  neppure
distinguerebbe tra voci connesse al valore di stima e voci  che  sono
svincolate da tale valore. 
    Il meccanismo di determinazione del compenso, ancorato al  valore
di realizzo, e il differimento della liquidazione  al  momento  della
vendita si porrebbero in contrasto anche con l'art. 41 Cost. e l'art.
117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione al  «principio  di
diritto comunitario primario di proporzionalita'». 
    Sarebbe violato anche l'art. 97 Cost., evocato congiuntamente con
l'art. 3 Cost. La disposizione censurata, «frustrando le  aspettative
al compenso degli esperti, finisce con il  far  lavorare  gli  stessi
sottocosto   e,   quindi,   con   l'allontanare   dal   circuito   le
professionalita' migliori, con grave danno  per  la  funzionalita'  e
l'efficienza dell'amministrazione della giustizia»  (si  menziona  la
sentenza n. 192 del 2015). 
    2.- Occorre, preliminarmente, dichiarare l'inammissibilita' degli
interventi spiegati dall'Associazione dei periti e  degli  esperti  -
Istituto per la  tutela  e  la  qualita'  della  consulenza  di  tipo
giudiziario (APE nazionale) e dall'Associazione dei  periti  e  degli
esperti della Toscana - Istituto per la tutela e  la  qualita'  della
consulenza di tipo giudiziario (APE Toscana), con atto depositato  il
1° febbraio 2019, dalla Rete nazionale  delle  professioni  dell'area
tecnica e scientifica (RPT), con atto depositato il 4 febbraio  2019,
e   dall'associazione   «E-Valuations:   Estimo   e   Valutazioni   -
Associazione   valutatori   immobiliari   indipendenti»,   con   atto
depositato il 27 febbraio 2019. Tali interventi sono  stati  spiegati
tardivamente, ben oltre il termine perentorio di venti  giorni  dalla
pubblicazione dell'atto  introduttivo  del  giudizio  nella  Gazzetta
Ufficiale, termine prescritto dall'art. 4 delle Norme integrative per
i giudizi davanti alla Corte costituzionale (ex multis,  sentenza  n.
220 del 2014, punto 3. del Considerato in diritto). 
    3.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  intervenuto  nel
giudizio, ha  eccepito  l'inammissibilita'  del  profilo  di  censura
riguardante «l'inapplicabilita'  del  criterio  di  liquidazione  del
compenso nel caso di estinzione della procedura esecutiva prima della
vendita dell'immobile stimato». Secondo l'Avvocatura  generale  dello
Stato, il rimettente  non  avrebbe  dato  conto  del  ricorrere,  nel
giudizio principale, di  un'ipotesi  di  estinzione  della  procedura
esecutiva. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Il rimettente ha osservato che, nel caso  di  estinzione  atipica
della  procedura  esecutiva,  l'esperto  non  soltanto   non   potra'
percepire alcun compenso, ma dovra' anche restituire gli acconti gia'
incassati. Tale incongruenza e' addotta dal giudice  a  quo  come  un
ulteriore   elemento    sintomatico    dell'irragionevolezza    della
disposizione che e' chiamato ad applicare nel decidere sulla  domanda
di liquidazione dell'esperto. Pertanto,  sussiste  la  rilevanza  del
dubbio  di  costituzionalita'  su  una  disposizione  censurata   con
riguardo alle molteplici implicazioni irragionevoli  che,  ad  avviso
del rimettente, presenta. 
    4.- Le  censure  investono  il  criterio  di  determinazione  del
compenso dello stimatore, ancorato al valore di vendita dell'immobile
pignorato, e i  tempi  sanciti  per  la  liquidazione,  differita  al
momento della vendita, salvo che per gli acconti concessi  in  misura
non superiore al 50 per cento del valore di stima. 
    Le questioni non sono fondate. 
    4.1.-  Il  rimettente  assume  che  la   disposizione   censurata
pregiudichi il diritto dell'esperto  di  conseguire  un  «ragionevole
risultato economico», tutelato dall'art. 36 Cost. 
    Per costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis,  sentenza
n. 13 del 2016, punto 5.4. del Considerato in diritto), il diritto di
percepire una retribuzione proporzionata alla  quantita'  e  qualita'
del lavoro svolto (art. 36 Cost.) non e'  correttamente  evocato  con
riguardo   all'opera   prestata   dagli   ausiliari   del    giudice.
L'adeguatezza del compenso, difatti, non  puo'  essere  valutata  con
riferimento all'art. 36 Cost., che postula «un  necessario  e  logico
confronto tra  prestazioni  e  retribuzione»  e  la  possibilita'  di
ricostruire l'incidenza delle singole prestazioni  sulla  complessiva
attivita' dell'ausiliario e  sulla  «formazione  dell'intero  reddito
professionale del singolo prestatore» (sentenza n. 88 del 1970, punto
4. del Considerato in diritto, richiamata dalla sentenza  n.  41  del
1996,  punto  6.  del  Considerato  in  diritto).  Tali   presupposti
difettano nel caso di specie. 
    La censura, pertanto, non e' fondata. 
    4.2.-  Ad  avviso  del  rimettente,  i  criteri  e  i  tempi   di
liquidazione  del  compenso  pregiudicherebbero  il  buon   andamento
dell'amministrazione della  giustizia,  in  violazione  dell'art.  97
Cost. 
    Neppure tale censura coglie nel segno. 
    La liquidazione del compenso degli esperti si colloca  nell'alveo
dell'attivita' giurisdizionale  e,  per  costante  giurisprudenza  di
questa Corte, il principio di buon  andamento  (art.  97  Cost.),  e'
«riferibile all'amministrazione della giustizia soltanto  per  quanto
attiene  all'organizzazione   e   al   funzionamento   degli   uffici
giudiziari, non all'attivita' giurisdizionale in senso  stretto»  (ex
multis, sentenza  n.  91  del  2018,  punto  9.  del  Considerato  in
diritto). 
    4.3.- Il rimettente ravvisa, nella  disposizione  censurata,  una
compressione indebita della  liberta'  di  iniziativa  economica  del
professionista  (art.  41  Cost.),   riconducibile   alle   «liberta'
fondamentali  garantite  dall'Unione»,  e  lamenta,  in   riferimento
all'art. 117 [primo comma] Cost., la  violazione  del  «principio  di
diritto  comunitario  primario   di   proporzionalita'»,   che   deve
presiedere alla limitazione di tali liberta'. 
    La censura non e' fondata. 
    Il legislatore, con le modifiche introdotte dal d.l.  n.  83  del
2015,  si  e'  limitato  a   fissare   un   criterio   oggettivo   di
determinazione del compenso  di  un  professionista  che  opera  come
ausiliario del giudice. 
    L'opera degli ausiliari del giudice,  inoltre,  non  puo'  essere
ricondotta al paradigma dell'art. 41 Cost. Tali figure, investite  di
un munus publicum, non possono essere  assimilate  ai  professionisti
che operano in un contesto di mercato (ordinanza n. 391 del 1988). E'
la connotazione pubblicistica che permea l'attivita' degli esperti  a
precludere dunque ogni raffronto con i professionisti che lavorano in
piena autonomia. 
    5.-  E'  sulla  ragionevolezza  del  criterio   individuato   dal
legislatore che verte lo scrutinio devoluto a questa  Corte.  Invero,
la violazione dell'art. 3 Cost., declinata come arbitraria disparita'
di  trattamento  di  situazioni  omogenee  e  come   irragionevolezza
intrinseca di un criterio di determinazione del compenso ancorato  al
valore di vendita, occupa la parte centrale delle censure. 
    5.1.-  Il  rimettente  sollecita  lo  scrutinio  di  legittimita'
costituzionale attraverso l'indicazione di  un  puntuale  termine  di
raffronto, che attiene alla liquidazione del  compenso  agli  esperti
nominati  nel  procedimento  di  scioglimento   della   comunione   e
nell'ambito della vendita degli immobili del  compendio  fallimentare
(art.  107  del  regio  decreto  16  marzo  1942,  n.  267,   recante
«Disciplina    del    fallimento,    del    concordato    preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa»). Tali ausiliari, al contrario degli esperti nominati
nelle espropriazioni immobiliari,  potrebbero  giovarsi  di  un  piu'
favorevole criterio di liquidazione, commisurato al valore  di  stima
dell'immobile. 
    Sotto nessuno dei profili prospettati dal rimettente, si  ravvisa
la denunciata disparita' di trattamento. 
    5.1.1.- Quanto alle vendite effettuate in ambito fallimentare, il
giudice a quo muove dal presupposto che il  giudice  delegato,  nella
liquidazione  del  compenso  degli  «operatori  esperti»  chiamati  a
stimare i beni, possa derogare  ai  criteri  sanciti  dall'art.  161,
terzo comma, disp. att. cod. proc. civ. 
    Tale presupposto interpretativo non puo' essere condiviso. 
    In base all'art. 107, secondo comma, del r.d. n.  267  del  1942,
nel programma di liquidazione  il  curatore  puo'  prevedere  che  le
vendite  dei  beni  mobili,  immobili  e  mobili   registrati   siano
«effettuate dal giudice delegato secondo le disposizioni  del  codice
di procedura civile in quanto compatibili». 
    Il richiamo alle disposizioni del codice di procedura  civile  e'
inequivocabile  e  onnicomprensivo  e  non  puo'  non  includere   le
disposizioni in tema di liquidazione del compenso,  che  si  rivelano
compatibili con la speciale disciplina fallimentare. 
    Alle medesime conclusioni si  giunge  anche  per  la  fattispecie
delineata dall'art. 107, primo comma, del r.d. n. 267 del  1942,  che
riguarda «[l]e vendite e gli altri  atti  di  liquidazione  posti  in
essere in esecuzione del programma di  liquidazione»  ed  «effettuati
dal curatore  tramite  procedure  competitive  anche  avvalendosi  di
soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il caso
di  beni  di  modesto  valore,  da  parte   di   operatori   esperti,
assicurando,  con  adeguate  forme   di   pubblicita',   la   massima
informazione e partecipazione degli interessati». 
    Il legislatore, nel testo novellato dall'art. 11,  comma  1,  del
d.l. n. 83 del 2015, ha richiamato le sole disposizioni del codice di
rito in tema di pubblicita' (art. 490, primo comma, cod. proc.  civ.)
e di versamento rateale del prezzo (artt.  569,  terzo  comma,  terzo
periodo, 574, primo comma,  secondo  periodo,  e  587,  primo  comma,
secondo periodo, cod. proc. civ.). Tuttavia, la normativa codicistica
rappresenta pur  sempre  il  modello  generale,  al  quale  anche  la
disciplina fallimentare in linea di massima si conforma. 
    In tal senso si e' orientata la giurisprudenza  di  legittimita'.
Pur pronunciandosi su una fattispecie  antecedente  alle  innovazioni
dettate  dal  d.l.  n.  83  del  2015,  la  Corte  di  cassazione  ha
evidenziato   che,   sotto   il   profilo   funzionale,   la   figura
dell'operatore esperto di cui all'art. 107 del r.d. n. 267  del  1942
puo' essere accostata a quella dell'esperto incaricato di determinare
il valore degli immobili assoggettati alla  vendita  forzata  e  che,
pertanto, in virtu' di  un  siffatto  «parallelismo»,  omogeneo  deve
essere  il  criterio  di  determinazione  del  compenso   (Corte   di
cassazione, sezione prima civile,  ordinanza  22  dicembre  2017,  n.
30906). 
    La recente riforma delle procedure concorsuali ha fugato  a  tale
riguardo ogni dubbio interpretativo.  L'art.  216,  comma  1,  ultimo
periodo, del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della
crisi d'impresa  e  dell'insolvenza  in  attuazione  della  legge  19
ottobre 2017, n. 155), specifica che  il  compenso  dell'esperto  «e'
liquidato a norma dell'articolo 161, terzo comma, delle  disposizioni
per l'attuazione del codice di procedura civile». Per le  fattispecie
che  la  novella  interviene  a  regolare   secondo   la   disciplina
transitoria degli artt. 389 e 390 del d.lgs. n. 14  del  2019,  trova
dunque  testuale  conferma  quel  che   gia'   si   poteva   desumere
dall'interpretazione sistematica del dettato normativo previgente. 
    Non  si  ravvisa,  pertanto,  la  censurata  difformita'  tra  le
esecuzioni immobiliari e la vendita degli  immobili  appartenenti  al
fallimento. 
    5.1.2.- Quanto  ai  consulenti  tecnici  d'ufficio  nominati  nel
giudizio di scioglimento  della  comunione  ordinaria  o  ereditaria,
emerge  prima  facie  l'eterogeneita'  delle  fattispecie   poste   a
raffronto, che impedisce ogni valutazione comparativa. 
    Le vendite forzate, sia mobiliari sia immobiliari, presentano una
irriducibile specificita', che si riflette nelle scelte eminentemente
discrezionali  del  legislatore,  volte   a   incentivare,   mediante
un'autonoma e compiuta disciplina,  l'efficienza  di  un  settore  di
importanza nevralgica. 
    Diverse sono le caratteristiche dell'ambito piu' circoscritto dei
giudizi  di  scioglimento  della   comunione,   sia   ordinaria   sia
ereditaria. Nei giudizi di scioglimento della comunione la vendita e'
un  epilogo  meramente  eventuale,  subordinato   alla   non   comoda
divisibilita' dell'immobile comune e alla mancanza  di  richieste  di
attribuzione dell'intero da parte del condividente che abbia  diritto
alla quota maggiore o da parte di piu' condividenti, che formulino in
tal senso un'istanza congiunta (art. 720 del codice civile).  Non  si
potrebbe, pertanto, neppure prefigurare un criterio di determinazione
del compenso calibrato su un esito, la vendita,  che  il  legislatore
delinea come extrema ratio. 
    Diversi sono anche i compiti che il consulente tecnico  d'ufficio
svolge  rispetto  all'esperto  designato  nelle  procedure  esecutive
immobiliari e tale diversita' non manca di riverberarsi, nei  termini
che saranno indicati, sulla determinazione del compenso. 
    5.2.- Tale rilievo introduce alla disamina  della  ragionevolezza
del  criterio  di  determinazione  del   compenso   individuato   dal
legislatore. 
    Le censure formulate a tale  riguardo  dal  rimettente  non  sono
fondate, in tutti i disparati profili in cui si articolano. 
    5.2.1.- Il giudice a quo imputa al legislatore di  avere  dettato
una disciplina irragionevole, perche'  fuorviato  da  «un  infondato,
quanto  diffuso  pregiudizio  nei  confronti  della  categoria  degli
esperti stimatori, tacciati di effettuare stime troppo alte, al  fine
di lucrare compensi piu' elevati». 
    Si deve rilevare che al  nuovo  criterio  di  determinazione  del
compenso e' innegabilmente sottesa una finalita' di contenimento  dei
costi delle stime, che costituiscono una parte non  trascurabile  dei
costi  complessivi  delle  procedure  esecutive.  Il  legislatore  si
prefigge di porre rimedio a talune prassi distorte, che  inducono  ad
attribuire valori di stima spropositati, al solo scopo di  conseguire
compensi piu' cospicui. 
    La finalita' di reprimere un fenomeno  patologico  non  esaurisce
gli obiettivi dell'intervento riformatore. 
    La disposizione censurata, introdotta nel testo del  d.l.  n.  83
del 2015 all'esito dell'esame  svolto  in  sede  referente  dalla  II
Commissione (Giustizia) della Camera dei deputati, si iscrive  in  un
disegno di piu' vasta portata, che, anche mediante l'istituzione  del
portale delle vendite pubbliche, mira a rendere  piu'  efficienti  le
procedure di vendita forzata e  a  promuovere  la  completezza  e  la
trasparenza delle informazioni (Risposte scritte del  Ministro  della
giustizia, rese il 20 ottobre 2016 e il 3 marzo 2017 in  riferimento,
rispettivamente, alle interrogazioni a risposta scritta  4-04959  del
15 dicembre 2015 e 4-06699 del 24  novembre  2016,  presentate  nelle
sedute n. 553 e n. 730 del Senato). 
    La disposizione, peraltro, si rivela tutt'altro  che  eccentrica,
se  solo  si  considera  che  recepisce,   per   il   settore   delle
espropriazioni  immobiliari,  un  criterio  di   determinazione   del
compenso dell'esperto gia' applicato nelle espropriazioni  mobiliari.
L'art. 518, terzo comma, cod. proc.  civ.,  introdotto  dall'art.  6,
comma  1,  della  legge  24  febbraio  2006,  n.  52  (Riforma  delle
esecuzioni mobiliari), dispone che il giudice dell'esecuzione liquidi
«le spese ed il compenso  spettanti  all'esperto,  tenuto  conto  dei
valori di effettiva vendita o assegnazione dei beni o,  in  qualunque
altro caso, sulla base dei valori stimati». 
    Dunque, per  tutti  i  settori  dell'espropriazione  forzata,  la
disposizione censurata armonizza il criterio  di  determinazione  del
compenso degli esperti, oggi assoggettato a regole uniformi. 
    5.2.2.- Si deve poi osservare che la  finalita'  di  contenimento
dei  costi  e  di  razionalizzazione  non  e'  perseguita  con  mezzi
sproporzionati, che implichino un sacrificio arbitrario  del  diritto
del professionista di  essere  remunerato  in  maniera  adeguata  per
l'opera svolta. 
    Spetta alla discrezionalita' del  legislatore  contemperare  tale
diritto con la doverosa considerazione  del  carattere  pubblicistico
dell'incarico.  Con  l'esigenza  di  conferire  un  adeguato  rilievo
all'opera qualificata degli stimatori, che consente di  rendere  piu'
spedita e fruttuosa la stessa vendita forzata, coesiste  l'obiettivo,
nell'interesse di tutte le parti, di  non  gravare  la  procedura  di
costi  eccessivi,  che  potrebbero  pregiudicare  la  stessa   tutela
esecutiva del credito. 
    Non  si  puo'  ritenere  che  le  scelte  del  legislatore  siano
manifestamente irragionevoli. 
    Il fatto che,  per  comune  apprezzamento,  il  valore  di  stima
dell'immobile differisca dal valore di vendita, e  che,  nella  stima
del bene, si prescriva un criterio di massima, il valore di  mercato,
disatteso nella liquidazione del compenso,  non  denota  di  per  se'
l'irragionevolezza della previsione censurata. 
    Il valore di  vendita,  difatti,  pur  condizionato  da  numerose
variabili, non e' inidoneo  a  rispecchiare  il  pregio  dell'impegno
professionale, secondo un rapporto di ragionevole correlazione. 
    A tale riguardo, si deve rilevare che  la  riforma  del  2015  ha
profondamente innovato  il  criterio  di  determinazione  del  valore
dell'immobile espropriato e ha  vincolato  la  stima  dell'esperto  a
parametri puntuali, che  superano  il  previgente  e  oramai  desueto
metodo "catastale" (art. 568, secondo comma,  cod.  proc.  civ.,  nel
testo sostituito dall'art. 13, comma 1, lettera o, del d.l. n. 83 del
2015). 
    Il valore dell'immobile e' determinato alla  stregua  di  criteri
oggettivi e circostanziati, calibrati anche sulle peculiarita'  della
vendita forzata. Il sistema e' congegnato in modo da contenere  entro
limiti tollerabili il divario tra il valore di stima e il  valore  di
vendita, che altrimenti metterebbe a repentaglio la  tempestivita'  e
la fruttuosita' della vendita forzata. 
    La disciplina della vendita forzata, nelle sue diverse  tipologie
(con e senza incanto), e' poi strutturata  in  modo  da  raggiungere,
anche per impulso dei poteri  direttivi  attribuiti  al  giudice,  un
risultato proficuo nei pur differenti contesti di riferimento. 
    Si deve escludere, pertanto, che la discordanza tra il valore  di
stima e il valore di vendita presenti quel  carattere  strutturale  e
marcato, che solo renderebbe manifestamente inadeguato il criterio di
determinazione del compenso prescelto dal legislatore. 
    Inoltre,  quando  l'espropriazione  forzata  non   approdi,   per
qualsiasi ragione, alla vendita e alla  distribuzione  del  ricavato,
soccorre, in via sussidiaria, il criterio del valore di stima. 
    Tale   conclusione   e'   avvalorata   dalla   disciplina   delle
espropriazioni mobiliari (art. 518, terzo comma,  cod.  proc.  civ.),
che attribuisce rilievo  al  valore  stimato,  quando  non  si  possa
applicare il valore di effettiva vendita o di assegnazione. 
    L'esigenza di assicurare la coerenza del  sistema  e,  per  altro
verso, di remunerare l'opera prestata dal  professionista  impone  di
applicare il criterio  residuale  del  valore  di  stima  anche  alle
espropriazioni  immobiliari,  in  consonanza   con   l'obiettivo   di
armonizzare  la  disciplina  dei  compensi  degli  esperti,   sotteso
all'intervento riformatore del d.l. n. 83 del 2015  (le  gia'  citate
risposte scritte del Ministro della giustizia,  rese  il  20  ottobre
2016 e il 3 marzo 2017). Il valore di stima e'  comunque  rimesso  al
ponderato  apprezzamento  del  giudice,  che  dovra'   vagliarne   la
congruita' nel determinare il compenso dell'esperto alla stregua  del
pregio e dell'utilita' dell'opera prestata. 
    Neppure  da  questo  punto  di  vista,   pertanto,   si   ravvisa
l'irragionevolezza di un criterio di determinazione legato al  valore
di vendita, poiche' un criterio cosi' congegnato non conduce a negare
il diritto al compenso, quando la vendita non si perfezioni. 
    5.2.3.-  Il   giudice   a   quo,   allo   scopo   di   avvalorare
l'irragionevolezza della disposizione  censurata,  evidenzia  che  il
legislatore, per un verso, demanda all'esperto ulteriori e  rilevanti
compiti, come emerge dal piu' articolato contenuto della relazione di
stima (art. 173-bis disp. att. cod. proc. civ.), e, per altro  verso,
riduce il compenso che gli spetta, ancorandolo al valore di vendita. 
    Il rimettente assume che l'ordinamento non consenta  di  graduare
la liquidazione del compenso in ragione della  complessita'  di  ogni
singolo incarico e della  pluralita'  di  compiti  che  l'esperto  e'
chiamato a svolgere. 
    L'assunto non e' fondato. 
    Nella valutazione dell'opera dell'esperto, il giudice  ricorrera'
ai parametri del decreto del Ministro della giustizia 30 maggio  2002
(Adeguamento dei compensi spettanti ai  periti,  consulenti  tecnici,
interpreti e traduttori per le operazioni  eseguite  su  disposizione
dell'autorita'  giudiziaria  in  materia  civile   e   penale),   che
consentono di ponderare i variegati compiti attribuiti all'esperto. 
    Tali compiti,  difatti,  non  si  esauriscono  nella  mera  stima
dell'immobile, considerata dall'art. 13 del decreto  ministeriale  30
maggio 2002 con riguardo alla  eterogenea  peculiarita'  dei  singoli
cespiti, ma comprendono anche le verifiche urbanistico-edilizie (art.
11), la verifica di rispondenza tecnica alle norme e gli accertamenti
in materia di  rilievi  topografici  e  planimetrici  (art.  12),  la
verifica della congruita' del canone di locazione (art. 16). 
    Il giudice potra' applicare il criterio residuale delle vacazioni
(art. 4  della  legge  8  luglio  1980,  n.  319,  recante  «Compensi
spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti  e  traduttori
per le operazioni eseguite a richiesta dell'autorita'  giudiziaria»),
allo scopo di tenere nel debito conto il tempo impiegato dall'esperto
per adempiere all'incarico anche con riguardo alle attivita' che  non
trovino un puntuale riscontro nei parametri tabellari. 
    L'ordinamento offre dunque al prudente apprezzamento del giudice,
anche  mediante  l'applicazione  congiunta  dei  diversi  criteri  di
liquidazione,  gli  strumenti  piu'  efficaci  per  proporzionare  il
compenso alla difficolta' dell'incarico e alla piu' vasta  gamma  dei
compiti, senza dar luogo a duplicazioni  di  sorta  e  senza  svilire
l'impegno assicurato dall'ausiliario. 
    5.2.4.-  Al  caso  di  specie,  dunque,  non  si  attagliano   le
enunciazioni  della  sentenza  n.  192  del  2015,   menzionate   dal
rimettente a sostegno delle censure. 
    Nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art.  106-bis
del d.P.R. 30  maggio  2002,  n.  115,  recante  «Testo  unico  delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia  (Testo  A)»,  nella  parte  in  cui  aveva   disposto   la
diminuzione di un terzo degli importi  spettanti  all'ausiliario  del
magistrato, questa Corte ha censurato «un  significativo  e  drastico
intervento di riduzione dei compensi» (punto 5.1. del Considerato  in
diritto), che aveva decurtato  in  misura  apprezzabile  compensi  da
lungo tempo non adeguati alle variazioni del costo della vita. 
    Diverso e' il caso sottoposto all'odierno scrutinio della  Corte.
Il legislatore  non  ha  provveduto  a  una  riduzione  radicale  dei
compensi  degli  esperti,  ma,  nell'ambito  di  un  piu'  articolato
disegno, finalizzato a incentivare la competitivita' delle esecuzioni
immobiliari, ha introdotto un nuovo criterio  di  liquidazione,  gia'
presente nel sistema e correlato, in maniera  non  irragionevole,  al
valore di vendita. 
    5.3.- La disposizione censurata  non  incorre  nelle  censure  di
irragionevolezza formulate dal rimettente, neppure nella parte in cui
rimanda la liquidazione definitiva  del  compenso  al  momento  della
vendita. 
    Tale previsione, difatti, e' il  corollario  di  un  criterio  di
determinazione del  compenso  parametrato  al  valore  di  vendita  e
immune, per le ragioni sin qui esposte, dai vizi denunciati. 
    Inoltre,  il  legislatore,  nel  temperare  il  rigore  di   tale
previsione con un appropriato correttivo, consente la liquidazione di
acconti nella non trascurabile misura del 50 per cento del valore  di
stima. Anche in quest'ambito, dunque, la disciplina dettata dal  d.l.
n. 83 del 2015 ha attuato un bilanciamento non  irragionevole  tra  i
diversi interessi rilevanti e non ha  mancato  di  apprestare  tutela
anche al diritto dei professionisti di  ricevere  -  senza  dilazioni
ingiustificate - un compenso adeguato all'impegno garantito. 
    6.- Da tali considerazioni discende la non fondatezza di tutte le
censure proposte dal Tribunale di Vicenza.