ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 170,  primo
comma, del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n.
18 (Ordinamento dell'Amministrazione degli affari  esteri),  promosso
dalla Corte dei  conti,  sezione  giurisdizionale  regionale  per  il
Lazio, giudice unico delle pensioni, nel procedimento  instaurato  da
Franco Tempesta contro l'Istituto nazionale della previdenza  sociale
(INPS) e il  Ministero  degli  affari  esteri  e  della  cooperazione
internazionale (MAECI), con ordinanza del 9 febbraio  2018,  iscritta
al n. 140 del registro ordinanze 2018  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 41,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2018. 
    Visti gli atti di costituzione di Franco  Tempesta  e  dell'INPS,
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  20  marzo  2019  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra. 
    Ritenuto  che  la  Corte  dei  conti,   sezione   giurisdizionale
regionale per il Lazio, giudice unico delle pensioni,  con  ordinanza
iscritta al n. 140 del registro  ordinanze  2018,  ha  sollevato,  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 170, primo comma, del decreto del Presidente
della   Repubblica   5   gennaio    1967,    n.    18    (Ordinamento
dell'Amministrazione  degli  affari  esteri),  «nella  parte  in  cui
prevede che, nei confronti del soggetto  appartenente  alla  carriera
diplomatica il quale alla data di suo collocamento a  riposo  risulti
assegnato ad una sede di servizio all'estero, ai  fini  pensionistici
la  retribuzione  di  posizione  venga   computata   soltanto   nella
"...misura  minima  prevista   dalle   disposizioni   applicabili..."
anziche' in misura correlata al grado rivestito da  quel  soggetto  e
alle funzioni a lui conferibili avuto riguardo al grado stesso»; 
    che il rimettente espone di dover decidere sul ricorso di  Franco
Tempesta, collocato a riposo quando era in servizio presso  una  sede
estera e percio' beneficiario, alla stregua di un orientamento  ormai
consolidato  della  giurisprudenza  contabile,   dell'indennita'   di
posizione nella misura minima e, conseguentemente, di un  trattamento
pensionistico notevolmente inferiore a quello che avrebbe  conseguito
se fosse stato in servizio a Roma nell'ultima parte della carriera; 
    che la «rilevante sperequazione (concettuale e quantitativa)  tra
un funzionario diplomatico che abbia svolto a Roma  l'ultima  tranche
del servizio presso il MAECI ed uno che invece abbia lavorato in  una
sede estera quell'estremo  segmento  temporale»,  pur  «legittima  in
costanza del rapporto d'impiego», sarebbe irragionevole oltre la data
del pensionamento, allorche'  viene  in  rilievo  soltanto  il  grado
rivestito nell'ambito di una carriera diplomatica che e' ispirata  al
principio di unitarieta'; 
    che  sarebbe  irragionevole  la  scelta  di  attribuire   a   due
appartenenti   all'unitaria   carriera    diplomatica    «trattamenti
pensionistici  quantitativamente  assai  diversi   semplicemente   in
relazione  ad  una  circostanza  di  fatto  non  piu'   in   essere»:
l'irragionevolezza sarebbe ancora piu' evidente, in quanto basterebbe
rientrare  in  Italia  anche  solo  per  poche  settimane  prima  del
collocamento a riposo per  godere  di  un  trattamento  pensionistico
commisurato all'indennita' di posizione nell'ammontare piu' alto; 
    che l'irragionevolezza della disciplina pensionistica applicabile
alla retribuzione di posizione emergerebbe anche dal raffronto con il
trattamento riservato all'indennita' integrativa speciale, indennita'
che, pur negata in costanza del  rapporto  di  lavoro  a  chi  presti
servizio  all'estero  (art.  1-bis,   comma   1,   lettera   a,   del
decreto-legge 13 agosto  2011,  n.  138,  recante  «Ulteriori  misure
urgenti per  la  stabilizzazione  finanziaria  e  per  lo  sviluppo»,
convertito, con modificazioni, nella  legge  14  settembre  2011,  n.
148), sarebbe computata nel trattamento di quiescenza; 
    che la disparita' di trattamento non  potrebbe  rinvenire  alcuna
giustificazione nel fatto che l'eventuale computo dell'indennita'  di
posizione in misura  eccedente  quella  minima  non  sia  coperto  da
contribuzione  previdenziale:  invero,  il  ricorrente,   ove   fosse
rientrato in servizio a Roma un mese prima del collocamento a riposo,
avrebbe  goduto  dell'indennita'  di  posizione  nella  misura   piu'
favorevole, a prescindere da  ogni  valutazione  sulla  contribuzione
eventualmente versata; 
    che alla denunciata sperequazione non varrebbe  a  porre  rimedio
l'indennita' di servizio all'estero, in quanto tale voce,  sprovvista
di natura retributiva, sarebbe ininfluente ai fini pensionistici; 
    che, con atto depositato il 31 ottobre 2018, si e' costituito  in
giudizio Franco Tempesta e ha chiesto di accogliere la  questione  di
legittimita' costituzionale sollevata dalla Corte  dei  conti  o,  in
subordine, sulla scorta delle medesime argomentazioni, di dichiararla
non fondata «attraverso idonea  sentenza  interpretativa  di  rigetto
contenente  l'interpretazione  costituzionalmente  orientata»   della
disposizione censurata; 
    che,  a   sostegno   dell'irragionevolezza   della   disposizione
censurata, la parte ricorrente nel giudizio  principale  ha  invocato
l'unitarieta'  della  carriera  diplomatica,  contraddistinta   dalla
naturale alternanza di periodi di servizio in Italia e di periodi  di
permanenza all'estero, e la circostanza che la permanenza  all'estero
o  il  richiamo  in  Italia  non  derivano  da  una   libera   scelta
dell'interessato, ma da provvedimenti unilaterali del Ministero,  che
decide discrezionalmente anche il momento del rientro in Italia; 
    che, con atto depositato il 5 novembre 2018, si e' costituito  in
giudizio l'Istituto nazionale della previdenza sociale  (INPS)  e  ha
concluso per l'inammissibilita' della questione proposta,  alla  luce
delle argomentazioni illustrate da questa Corte nella sentenza n. 153
del 2018, che ha dichiarato inammissibile la medesima questione; 
    che, con atto depositato il 6 novembre 2018,  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato,  e  ha  chiesto  di  dichiarare
inammissibile  o,  in  subordine,  non  fondata   la   questione   di
legittimita' costituzionale sollevata  dalla  Corte  dei  conti,  che
ripropone la stessa questione gia' dichiarata  inammissibile  con  la
sentenza n. 153 del  2018,  in  ragione  dell'erronea  individuazione
della disposizione censurata. 
    Considerato che  la  Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale
regionale per il Lazio, giudice  unico  delle  pensioni,  dubita,  in
riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 170, primo comma, del decreto del Presidente
della   Repubblica   5   gennaio    1967,    n.    18    (Ordinamento
dell'Amministrazione degli affari esteri); 
    che la disposizione censurata,  nell'interpretazione  accreditata
dalla giurisprudenza contabile, prescrive, ai fini pensionistici,  di
computare la retribuzione di posizione  nella  misura  minima  per  i
soggetti  appartenenti  alla  carriera  diplomatica  che   concludano
all'estero il servizio attivo; 
    che tale meccanismo di computo sarebbe foriero di una  «rilevante
sperequazione»,  priva  di  ogni   giustificazione   apprezzabile   e
pregiudizievole  per  coloro  che  abbiano  concluso  all'estero   la
carriera diplomatica; 
    che la questione di legittimita' costituzionale e' manifestamente
inammissibile; 
    che una questione  in  tutto  identica  a  quella  sollevata  con
l'ordinanza di rimessione oggi all'esame di  questa  Corte  e'  stata
proposta  dallo  stesso  rimettente,  con  riguardo   alla   medesima
disposizione e in riferimento al medesimo  parametro  costituzionale,
ed e' stata dichiarata inammissibile con la sentenza n. 153 del 2018; 
    che   questa   Corte   ha   argomentato   la   declaratoria    di
inammissibilita'  sulla  base   dell'erronea   individuazione   della
disposizione censurata, riguardante il solo trattamento retributivo e
non anche i profili previdenziali che, anche in questa sede,  vengono
specificamente in rilievo; 
    che,  invero,  secondo  la  stessa  prospettiva  del  rimettente,
sarebbe  la  disciplina  previdenziale,  «in   connessione   con   la
disciplina retributiva che ne costituisce il necessario  presupposto»
(sentenza n. 153 del 2018, punto 5.2. del Considerato in diritto),  a
porsi in contrasto con i principi di eguaglianza e ragionevolezza; 
    che  tali  considerazioni  si  impongono  anche   per   l'odierna
questione e ne implicano, pertanto, la manifesta inammissibilita'. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.