ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  17,  comma
30-ter, secondo periodo, del decreto-legge  1°  luglio  2009,  n.  78
(Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga  di  termini),  convertito,
con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato
dall'art. 1, comma 1, lettera c),  numero  1),  del  decreto-legge  3
agosto  2009,  n.  103  (Disposizioni  correttive  del  decreto-legge
anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, nella legge
3 ottobre 2009, n. 141,  promosso  dalla  Corte  dei  conti,  sezione
giurisdizionale per la Regione Liguria, nel procedimento vertente tra
il Procuratore regionale della Corte dei conti per la Liguria e A. A.
ed altri, con ordinanza del 22 maggio 2018, iscritta al  n.  164  del
registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 22  maggio  2019  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera. 
    Ritenuto che con ordinanza del 22 maggio 2018 la Corte dei conti,
sezione  giurisdizionale  per  la  Regione  Liguria,   ha   sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma  30-ter,
secondo  periodo,  del  decreto-legge   1°   luglio   2009,   n.   78
(Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga  di  termini),  convertito,
con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato
dall'art. 1, comma 1, lettera c), n. 1), del decreto-legge  3  agosto
2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi  n.
78 del 2009), convertito, con modificazioni, nella  legge  3  ottobre
2009, n. 141, per violazione degli artt. 3, 97, comma secondo, e 103,
comma secondo, della Costituzione; 
    che la Procura contabile aveva evocato in giudizio, per ottenerne
la condanna al risarcimento del danno all'immagine  delle  rispettive
amministrazioni di appartenenza, ventotto appartenenti  alla  Polizia
di Stato e alla Polizia penitenziaria, precedentemente  sottoposti  a
processo penale perche' - in occasione delle manifestazioni  svoltesi
a Genova nel luglio 2001, durante il vertice fra i Capi di Stato e di
Governo denominato "G8" - si  erano  resi  responsabili  di  condotte
delittuose all'interno della caserma "Nino Bixio", sita a  Bolzaneto,
ed individuata quale sito penitenziario provvisorio per la  presa  in
carico dei manifestanti arrestati; 
    che, in particolare, all'esito del giudizio,  conclusosi  con  la
sentenza  della  Corte  di  cassazione,  quinta  sezione  penale,  10
settembre 2013, n. 37088, otto imputati  avevano  riportato  condanna
definitiva  per  i  delitti  di  «falsita'  ideologica  commessa  dal
pubblico ufficiale in atti  pubblici»,  «abuso  di  autorita'  contro
arrestati o detenuti» e «lesioni  personali»;  diciotto  erano  stati
condannati definitivamente soltanto agli effetti civili, essendo  nel
frattempo intervenuta la prescrizione del reato, e  due  erano  stati
assolti,  permanendo  la  loro  responsabilita'  in  sede   contabile
soltanto in via sussidiaria, per colpa grave  consistita  nell'omesso
esercizio dei poteri di controllo o vigilanza; 
    che la norma impugnata prevede che  le  procure  regionali  della
Corte dei conti possono esercitare l'azione per il  risarcimento  del
danno all'immagine nei soli casi e modi previsti  dall'art.  7  della
legge 27 marzo 2001, n.  97  (Norme  sul  rapporto  tra  procedimento
penale e procedimento disciplinare ed effetti  del  giudicato  penale
nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche); 
    che tale ultima disposizione,  a  sua  volta,  delimita  l'ambito
applicativo  dell'azione  risarcitoria  al  solo  caso  di   sentenza
irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti  di
amministrazioni, enti pubblici o  enti  a  prevalente  partecipazione
pubblica per i delitti contro la  pubblica  amministrazione  previsti
nel Capo I del Titolo II del Libro II del codice penale; 
    che, con riguardo alla rilevanza, il rimettente premette che,  in
applicazione della disposizione impugnata, la domanda di risarcimento
del danno  all'immagine  dovrebbe  essere  dichiarata  improponibile,
cosi' come eccepito da tutti i convenuti, non essendo  nel  frattempo
perento  il  termine   quinquennale   di   prescrizione   dell'azione
risarcitoria, che - sospeso durante l'intera durata del  procedimento
penale - inizia a decorrere dal deposito della sentenza definitiva di
condanna; 
    che, per quanto  attiene  alla  non  manifesta  infondatezza,  si
assume  in  primo  luogo  la  violazione  dell'art.  3   Cost.,   per
l'irragionevolezza intrinseca della norma  impugnata,  che  restringe
l'ambito  oggettivo  dei  presupposti  per   l'azione   risarcitoria,
limitandolo ai soli delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica
amministrazione ed escludendolo per altre  condotte  delittuose  «ben
piu' gravi sia a livello di allarme sociale che di  incidenza  lesiva
sul  prestigio  della   pubblica   amministrazione»,   quali   quelle
contemplate nel giudizio principale; 
    che  secondo  il  rimettente,  inoltre,   escludere   l'esercizio
dell'azione risarcitoria in presenza di un qualsiasi «illecito, anche
penalmente non rilevante, che denota l'inefficienza  dell'apparato  e
la sua incapacita' di agire, secondo il canone sancito dall'art.  97,
secondo comma, Cost.», comporterebbe una violazione del principio  di
buon  andamento  dell'azione  amministrativa,  non   consentendo   la
risarcibilita'  del  danno  all'immagine  «nei   casi   di   maggiore
inefficienza dell'amministrazione»; 
    che, in secondo luogo, il  rimettente  denunzia  l'illegittimita'
costituzionale della norma impugnata nella parte in cui prevede che i
reati vengano previamente accertati con sentenza di condanna  passata
in giudicato; 
    che  da  tale  limitazione  e'  fatta  anzitutto  discendere  una
violazione dell'art. 3 Cost., per la disparita' di trattamento che ne
deriva  a  carico  dell'amministrazione  che  intenda  agire  per  il
risarcimento  del  danno  all'immagine  in  sede  diversa  da  quella
contabile, poiche' «e' solo il pubblico ministero contabile che  deve
attendere il passaggio in giudicato della sentenza di condanna»; 
    che, ancora, l'irrazionalita' della previsione di  un  necessario
giudicato di condanna si  evidenzia  con  riferimento  alle  ipotesi,
analoghe a quelle  di  specie,  nelle  quali  il  giudice  penale  ha
accertato la responsabilita'  dell'imputato,  condannandolo  ai  soli
fini civili solo perche' nel frattempo e' intervenuta la prescrizione
del reato; 
    che, sotto  altro  profilo,  la  coerenza  interna  della  scelta
legislativa sarebbe incrinata dalla  presenza,  nell'ordinamento,  di
singole  disposizioni  che  consentono  l'esercizio  dell'azione   in
presenza di fatti di reato non accertati  con  sentenza  di  condanna
definitiva, quando non di fatti non costituenti reato; 
    che, infine, siffatta limitazione comporterebbe anche  violazione
del principio di effettivita' della giurisdizione in  sede  contabile
(art. 103, comma secondo, Cost.), poiche'  pur  in  presenza  di  una
condotta dannosa per l'amministrazione, accertata in sede giudiziale,
il rimedio risarcitorio verrebbe negato; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni  sollevate  vengano  dichiarate
inammissibili e manifestamente infondate; 
    che, in particolare, la difesa erariale  ha  evidenziato  che  le
censure formulate dal rimettente sono le stesse gia'  sottoposte,  in
piu' occasioni, allo  scrutinio  di  questa  Corte  e  giudicate  non
fondate, non sussistendo, per il resto, elementi nuovi dei  quali  si
renda necessaria la valutazione. 
    Considerato che la Corte dei conti, sezione  giurisdizionale  per
la Regione Liguria, con ordinanza del 22 maggio  2018,  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma  30-ter,
secondo  periodo,  del  decreto-legge   1°   luglio   2009,   n.   78
(Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga  di  termini),  convertito,
con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato
dall'art. 1, comma 1, lettera c),  numero  1),  del  decreto-legge  3
agosto  2009,  n.  103  (Disposizioni  correttive  del  decreto-legge
anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, nella legge
3 ottobre 2009, n. 141, per  violazione  degli  artt.  3,  97,  comma
secondo, e 103, comma secondo, della Costituzione; 
    che la norma censurata prevede che  le  procure  regionali  della
Corte dei conti esercitino l'azione per  il  risarcimento  del  danno
all'immagine nei soli casi e modi previsti dall'art. 7 della legge 27
marzo 2001, n. 97 (Norme  sul  rapporto  tra  procedimento  penale  e
procedimento  disciplinare  ed  effetti  del  giudicato  penale   nei
confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche); 
    che il richiamato art. 7 della legge n. 97 del 2001, a sua volta,
fa riferimento, ai fini della delimitazione  dell'ambito  applicativo
dell'azione risarcitoria,  alle  sentenze  irrevocabili  di  condanna
pronunciate, nei confronti dei dipendenti  di  amministrazioni  o  di
enti pubblici ovvero di enti a  prevalente  partecipazione  pubblica,
per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti dal Capo  I
del Titolo II del Libro II del codice penale; 
    che, con una prima censura, si assume la violazione degli artt. 3
e 97, comma secondo, Cost. perche' la  norma  impugnata  escluderebbe
irragionevolmente la responsabilita' dei  pubblici  dipendenti  nelle
ipotesi di condotte che, pur non integrando alcuna delle  fattispecie
delittuose indicate, sono caratterizzate da  obiettivo  disvalore  ed
arrecano   pregiudizio   al   prestigio   dell'amministrazione,    ed
arrecherebbe un vulnus al principio  di  buon  andamento  dell'azione
amministrativa,  eliminando  ogni  conseguenza,   sul   piano   della
responsabilita'  amministrativa,  del  comportamento   infedele   del
pubblico dipendente; 
    che,  con  un  secondo  nucleo  di  censure,  si  assume  poi  la
violazione degli artt. 3 e 103,  comma  secondo,  Cost.,  poiche'  la
previsione  di  un  giudicato  penale  di  condanna  per  l'esercizio
dell'azione risarcitoria da parte del PM contabile configurerebbe una
disparita' di trattamento rispetto ai casi in  cui  l'amministrazione
si tutela in una diversa  sede  giurisdizionale,  senza  patire  tale
limitazione; 
    che ad avviso  del  rimettente,  inoltre,  la  stessa  previsione
sarebbe   intrinsecamente   irragionevole,   escludendo   la   tutela
risarcitoria per il caso in cui, accertati in giudizio ai fini  della
responsabilita' civile i fatti di reato, quest'ultimo debba  comunque
essere dichiarato estinto per prescrizione, rendendo  altresi'  priva
di efficacia la tutela innanzi al giudice contabile; 
    che le questioni sono rilevanti, poiche' il giudizio  principale,
introdotto prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 26 agosto 2016, n.
174 (Codice di giustizia contabile, adottato ai  sensi  dell'articolo
20 della legge 7 agosto 2015, n. 124), non  risente  delle  modifiche
introdotte da quest'ultimo alla disciplina del risarcimento del danno
all'immagine della  pubblica  amministrazione,  e  la  proponibilita'
della  relativa  azione  va  dunque  valutata  alla   stregua   della
disciplina previgente; 
    che la prima questione e' manifestamente infondata; 
    che, con riguardo  all'ambito  oggettivo  di  applicazione  della
norma in esame, questa  Corte,  con  la  sentenza  n.  355  del  2010
(successivamente confermata dalle ordinanze n. 219,  221  e  286  del
2011), ha affermato anzitutto che rientra «nella discrezionalita' del
legislatore, con il solo limite della non manifesta  irragionevolezza
e  arbitrarieta'  della  scelta,   conformare   le   fattispecie   di
responsabilita' amministrativa, valutando le esigenze cui si  ritiene
di dover fare fronte»; 
    che  la  stessa  decisione  ha  conseguentemente   ritenuto   non
manifestamente irragionevole la scelta del legislatore di  consentire
il risarcimento «soltanto  in  presenza  di  condotte  illecite,  che
integrino gli estremi di specifiche fattispecie delittuose,  volte  a
tutelare, tra l'altro, proprio il buon andamento,  l'imparzialita'  e
lo stesso prestigio dell'amministrazione»; 
    che la finalita' della norma impugnata e' dunque quella  di  dare
coerenza alla disciplina del danno  all'immagine  all'interno  di  un
complessivo  disegno  legislativo  volto  a   ridurre   i   casi   di
responsabilita' amministrativa, «all'evidente scopo di consentire  un
esercizio dell'attivita'  di  amministrazione  della  cosa  pubblica,
oltre che piu' efficace ed efficiente, il piu'  possibile  scevro  da
appesantimenti, ritenuti dal legislatore eccessivamente onerosi,  per
chi e' chiamato, appunto, a porla in essere»  (sentenza  n.  355  del
2010); 
    che  tale  scelta,  peraltro,  non  esclude   la   ragionevolezza
dell'identificazione, all'interno di tale  disegno,  di  ulteriori  e
specifiche ipotesi di responsabilita', che si giustificano in ragione
della loro specialita'; 
    che i principi cosi' sintetizzati non sono posti  in  discussione
dalle  censure  formulate,  che  non  sottopongono  a  questa   Corte
argomenti e profili non considerati nei precedenti sopra richiamati; 
    che a fronte di tale valutazione in ordine alla prima  questione,
l'ulteriore nucleo di censure diviene privo di rilevanza rispetto  al
giudizio principale, poiche' osta in ogni  caso  alla  proponibilita'
dell'azione risarcitoria il fatto che le condotte accertate a  carico
dei convenuti non rientrano nel novero dei reati che la consentono; 
    che   la   seconda   questione   e',   pertanto,   manifestamente
inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.