ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  12,  comma
2, lettera b), del  decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78  (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  30  luglio
2010, n. 122, promosso dal Tribunale ordinario di Trento, sezione per
le controversie di lavoro, nel procedimento  vertente  tra  G.  M.  e
l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS),  con  ordinanza
del 21 giugno 2018, iscritta al n. 162 del registro ordinanze 2018  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  46,  prima
serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  dell'INPS,  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 4 giugno 2019 il Giudice relatore
Giulio Prosperetti; 
    uditi l'avvocato Antonella Patteri per l'INPS e l'avvocato  dello
Stato  Gabriella  Palmieri  per  il  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 21 giugno 2018, il Tribunale  ordinario  di
Trento,  sezione  per  le  controversie  di   lavoro,   solleva,   in
riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 2,  lettera  b),  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio  2010,  n.  122,
nella parte in cui comporta l'individuazione delle 520  settimane  di
cui all'art. 5, comma 1, della legge 2 agosto 1990, n.  233  (Riforma
dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi), e  delle  780
settimane di cui all'art. 1, comma 18, della legge 8 agosto 1995,  n.
335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare),
coperte da contribuzione - cui si riferiscono i redditi da  computare
per la determinazione del reddito medio annuo costituente la base  di
calcolo del trattamento pensionistico - in quelle anteriori alla data
di insorgenza del diritto alla decorrenza della pensione, anziche' in
quelle anteriori alla data di maturazione dei requisiti per l'accesso
al pensionamento. 
    La disposizione  censurata  stabilisce  che  -  con  riguardo  ai
soggetti che maturano i requisiti a decorrere dal 1° gennaio 2011 per
l'accesso al pensionamento ai sensi dell'art. 1, comma 6, della legge
23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia pensionistica e  deleghe  al
Governo nel settore della previdenza pubblica, per il  sostegno  alla
previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il  riordino
degli enti di previdenza ed assistenza  obbligatoria),  e  successive
modificazioni e integrazioni, con eta' inferiori a quelle indicate al
comma 1 del medesimo  art.  12  -  il  diritto  alla  decorrenza  del
trattamento  pensionistico,  per  coloro  i   quali   conseguono   il
trattamento di pensione a carico delle gestioni per gli artigiani,  i
commercianti e i coltivatori diretti nonche' della gestione  separata
di cui all'art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, si consegua
trascorsi diciotto  mesi  dalla  data  di  maturazione  dei  previsti
requisiti. 
    1.1.-  Il  giudice  rimettente  rappresenta   che   il   giudizio
principale e' stato istaurato a seguito del  ricorso,  depositato  in
data 29 aprile 2014, da G. M. nei confronti  dell'Istituto  nazionale
per la previdenza sociale (INPS), per l'accertamento del diritto alla
pensione di anzianita' nella gestione artigiani, a decorrere  dal  1°
giugno 2013, avendo maturato, alla data  del  31  dicembre  2011,  un
numero di contributi settimanali (n. 2086)  superiore  a  quello  (n.
2080)  richiesto,  per   conseguire   il   diritto   al   trattamento
pensionistico, dall'art. 1, comma 6, lettera  b),  numero  1),  della
legge n. 243 del 2004 e dall'art. 12 del d.l. n. 78  del  2010,  come
convertito. 
    Pur concordando le parti del giudizio a quo sulla decorrenza  del
trattamento pensionistico (1° giugno  2013),  il  giudice  rimettente
riferisce che vi e' disaccordo in ordine all'entita' del trattamento:
per il ricorrente, il rateo mensile di pensione  di  anzianita'  alla
data del  1°  giugno  2013,  data  di  insorgenza  del  diritto  alla
decorrenza della pensione, ammonterebbe  ad  euro  2.703,62;  secondo
l'INPS, invece, il trattamento corrisponderebbe ad euro 2.462,85. 
    Tale difformita' e' determinata dalla diversa  individuazione  ad
opera delle parti della data rispetto alla quale devono computarsi le
ultime 520 settimane coperte da contribuzione, ai  fini  del  computo
della  cosiddetta  quota  A  del  trattamento  (inerente,  ai   sensi
dell'art. 5, comma 1, della legge n. 233 del 1990, alla contribuzione
versata dall'interessato alla gestione  speciale  per  gli  artigiani
fino al 31 dicembre 1992), e  le  ultime  780  settimane  coperte  da
contribuzione,  ai  fini  del  computo  della  cosiddetta   quota   B
(afferente, ai sensi dell'art. 1, comma 18, della legge  n.  335  del
1995, alla contribuzione versata alla medesima gestione previdenziale
dal 1° gennaio 1993): secondo il ricorrente,  tali  settimane  devono
essere individuate in quelle antecedenti al 30 novembre 2011, data di
maturazione dei  requisiti  per  il  pensionamento;  per  l'INPS,  le
predette settimane vanno invece individuate in quelle antecedenti  al
1º giugno 2013, data di insorgenza del diritto alla decorrenza  della
pensione per effetto della disposizione censurata. 
    La questione e' se, ai fini dell'individuazione delle 520  e  780
settimane coperte da  contribuzione  (alle  quali  si  riferiscono  i
redditi da computare per la determinazione del  reddito  medio  annuo
costituente la base di calcolo del trattamento pensionistico),  debba
essere considerato  o  no  l'intervallo  di  tempo  tra  la  data  di
maturazione dei requisiti per l'accesso al pensionamento e la data di
insorgenza del diritto alla  decorrenza  della  pensione  (cosiddetta
finestra mobile), introdotto dall'art. 12, comma 2, lettera  b),  del
d.l. n. 78 del 2010. 
    Il rimettente ritiene che il tenore letterale della  disposizione
denunciata, in coordinato  disposto  con  le  ricordate  disposizioni
dell'art. 5, comma 1, della legge n. 233  del  1990  e  dell'art.  1,
comma 18, della legge n. 335 del 1995, nel fare espresso  riferimento
alla «decorrenza del trattamento pensionistico», impone di accogliere
la tesi dell'INPS, ovvero  di  computare  le  predette  settimane  in
riferimento a quelle anteriori a tale data di decorrenza. 
    Tuttavia, secondo  il  giudice  tridentino,  cio'  determinerebbe
conseguenze irragionevoli nell'ipotesi  in  cui,  come  nel  caso  di
specie, il lavoratore una volta maturati i requisiti  di  accesso  al
pensionamento, anziche' cessare l'attivita' lavorativa,  la  prosegua
nei  diciotto  mesi  previsti  dalla   disposizione   censurata   per
conseguire il diritto alla decorrenza della pensione, ma  produca  un
reddito  che  incide  negativamente  sull'importo   del   trattamento
altrimenti determinabile alla data di perfezionamento dei requisiti. 
    1.2.- Il rimettente, pertanto,  solleva  d'ufficio  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 2,  lettera  b),  del
d.l.  n.  78  del  2010,  nella  parte  in  cui  determinerebbe  tale
irragionevole effetto, ledendo il  principio  di  razionalita'  posto
dall'art. 3, primo comma, Cost., in quanto, pur in  presenza  di  una
ulteriore contribuzione connessa  all'attivita'  lavorativa  prestata
nel periodo intercorrente tra la data della maturazione dei requisiti
anagrafici e contributivi per la pensione di  anzianita'  e  la  data
della  sua  decorrenza,  il  trattamento  pensionistico  verrebbe   a
risultare inferiore a quello che sarebbe stato attribuito in mancanza
della predetta contribuzione, sulla base dei requisiti  anagrafici  e
contributivi maturati. 
    Il giudice a quo rappresenta di aver gia' sollevato nel  medesimo
giudizio principale, con ordinanza del 6 ottobre 2015,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, della legge n.  233
del 1990 e dell'art. l, comma  18,  della  legge  n.  335  del  1995,
dichiarata «inammissibile» da questa Corte con la sentenza n. 23  del
2018, «per non corretta individuazione della norma denunciata».  Cio'
perche' l'effetto lamentato dal rimettente non era determinato  dalle
disposizioni allora censurate, bensi' dall'art. 12, comma 2,  lettera
b), del d.l. n. 78 del 2010, poiche' e' tale disposizione a porre  il
reale thema decidendum «costituito dal rilievo e dalla qualificazione
giuridica  del  periodo  di  attesa  della   cosiddetta   "finestra",
allorche' l'assicurato prosegua l'attivita' lavorativa  e  quindi  la
contribuzione,  ai  fini  della   determinazione   dell'entita'   del
trattamento pensionistico». 
    Pertanto, il rimettente evidenzia  di  aver  proposto  una  nuova
questione in riferimento all'art. 12, comma 2, lettera b),  del  d.l.
n. 78 del 2010 e, dunque, su una norma  diversa  da  quelle  indicate
nella precedente  ordinanza  di  rimessione.  In  proposito  richiama
l'orientamento della giurisprudenza costituzionale  (sono  citate  le
sentenze n. 189 del 2001, n. 433 del 1995, n. 451 del  1989,  n.  930
del 1988 e le ordinanze n. 399 del 2002 e n. 164 del  1987),  secondo
cui l'art. 24, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale),
preclude la riproponibilita' della medesima questione di legittimita'
costituzionale,  da  parte  dello  stesso  giudice,  soltanto  se  la
precedente pronuncia abbia natura  decisoria,  di  talche'  non  osta
all'esame   nel   merito   della   questione   la   declaratoria   di
inammissibilita' basata su una mera lacuna della prima  ordinanza  di
rimessione. 
    Riguardo alla rilevanza della questione, il giudice a quo afferma
che il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla  sua
soluzione  poiche',  dato  il  ricordato   tenore   letterale   della
disposizione censurata, la domanda proposta dal  ricorrente  dovrebbe
essere parzialmente rigettata. 
    In  ordine  alla  non  manifesta  infondatezza,   il   rimettente
evidenzia che, qualora nei diciotto mesi tra la data  di  maturazione
dei requisiti per l'accesso al pensionamento e quella  di  decorrenza
del diritto al trattamento l'interessato  non  avesse  svolto  alcuna
attivita' lavorativa, l'INPS gli avrebbe  attribuito,  alla  data  di
decorrenza del diritto  alla  pensione,  un  rateo  mensile  di  euro
2.703,62, anziche' quello inferiore concretamente riconosciutogli, in
quanto, nell'ipotesi in  cui  in  detto  periodo  non  fossero  stati
versati contributi, esso sarebbe stato considerato neutro. 
    Alla stregua delle considerazioni svolte, il Tribunale  ordinario
di Trento ritiene «contraria al principio di razionalita', insito nel
precetto  ex  art.  3  comma  1  Costituzione,  sia  nel   senso   di
razionalita' pratica, sia nel senso di  razionalita'  formale,  cioe'
del principio logico di non contraddizione  (in  questo  senso  Corte
costituzionale n. 113 del 2015 e n. 172  del  1996),  una  norma  che
determini in  presenza  di  ulteriore  contribuzione  un  trattamento
pensionistico inferiore a quello  che  sarebbe  stato  attribuito  in
mancanza di quella stessa contribuzione». 
    Secondo il rimettente,  il  lavoratore  una  volta  conseguiti  i
requisiti  per  l'accesso  al  pensionamento  non  puo'  subire   una
riduzione  del  trattamento  maturato  a  tale   data   se   prosegue
l'attivita'  lavorativa,  essendo  illogico  che  il  versamento   di
un'ulteriore   contribuzione   determini   una   diminuzione    della
prestazione. 
    Aggiunge il giudice a quo che la norma censurata «comporta che la
contribuzione conseguita successivamente al  momento  di  maturazione
dei requisiti per l'accesso al pensionamento  produce  un  duplice  e
contrastante effetto sul trattamento pensionistico». Cio'  in  quanto
«i redditi prodotti nel periodo dei diciotto mesi vengono considerati
sotto un duplice aspetto: quale contribuzione  ai  fini  del  computo
della pensione secondo  il  sistema  retributivo,  sia  ai  fini  del
computo della quota D secondo il sistema contributivo». Ad avviso del
giudice a quo, «appare contraddittorio che una  stessa  contribuzione
venga  considerata  due  volte  ai  fini  della  determinazione   del
trattamento pensionistico e, per di piu',  nel  contempo,  diminuisca
una quota (nel caso in esame due) e  ne  incrementi  un'altra  (senza
peraltro compensare la prima perdita)». 
    2.- L'INPS, nel costituirsi nel giudizio incidentale, ha  chiesto
di dichiarare inammissibile o infondata la questione di  legittimita'
costituzionale. 
    2.1.- In ordine alla inammissibilita', l'Istituto deduce  che  il
giudice rimettente ha «omesso di interpretare la norma scrutinata nel
quadro del diritto vivente,  laddove,  al  contrario  di  quanto  dal
medesimo reputato, il ridetto articolo 12 del decreto legge n. 78 del
2010 si palesa immune da ogni dubbio di illegittimita' ove  letto  in
coerenza con i principi affermati da  codesta  Corte  e  dalla  Corte
suprema di cassazione sia in punto di  neutralizzazione  dei  periodi
contributivi sfavorevoli, sia in punto di identificazione del momento
perfezionativo del diritto a  pensione  quando  la  decorrenza  venga
fissata  in  regime   di   posticipazione   normativa   dell'accesso»
(cosiddetto regime delle "finestre"). 
    In particolare, l'Istituto afferma che  il  Tribunale  rimettente
«non ha valutato se il calcolo della pensione del lavoratore autonomo
che acceda alla pensione in base al  regime  delle  finestre  di  cui
all'art. 12 del decreto-legge n. 78 del 2010 debba essere  effettuato
applicando la "neutralizzazione" o "sterilizzazione"  dei  contributi
sfavorevoli versati successivamente al raggiungimento  del  requisito
anagrafico». 
    Cio' in riferimento alla sopravvenuta sentenza n. 173 del 2018 di
questa  Corte,  che  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 5, comma 1, della legge n. 233  del  1990  e  dell'art.  1,
comma 18, della legge n. 335 del 1995, nella parte in  cui,  ai  fini
della  determinazione  delle   rispettive   quote   del   trattamento
pensionistico, nel caso di prosecuzione della contribuzione da  parte
dell'assicurato lavoratore autonomo  che  abbia  gia'  conseguito  la
prescritta anzianita' contributiva minima, non prevedono l'esclusione
dal  computo  della  contribuzione   successiva   ove   comporti   un
trattamento pensionistico meno favorevole. 
    Secondo  l'Istituto,  l'applicazione  di  tale  decisione   rende
irrilevante la questione posta dal giudice  rimettente,  poiche'  «il
periodo corrispondente all'attesa della finestra di uscita, in quanto
accreditato   successivamente   al   raggiungimento   del   requisito
contributivo, dovrebbe  essere  neutralizzato,  se  sfavorevole».  Ad
avviso  dell'INPS,  «non  appare   pertanto   rilevante   che   nella
fattispecie si applichi lo slittamento previsto dall'art.  12,  comma
2, lettera b), del decreto-legge n. 78 del 2010». 
    2.2.- Sotto altro profilo, l'INPS deduce  la  infondatezza  della
ricostruzione operata  dal  Tribunale  rimettente  del  regime  delle
"finestre"   e   della   sua   incisivita'   nel   procedimento    di
perfezionamento del diritto alla pensione. 
    L'Istituto previdenziale ritiene che le argomentazioni svolte  in
proposito dal rimettente muovono dal presupposto  che  il  diritto  a
pensione sia maturato al momento  del  raggiungimento  dei  requisiti
stabiliti dall'art. 6 (recte: art. 1, comma 6) della legge n. 243 del
2004, con la conseguenza che il periodo di slittamento derivante  dal
sistema  delle  "finestre"  diventerebbe   ultroneo   rispetto   alla
maturazione del  diritto  a  pensione,  e  che  la  decorrenza  della
pensione non rappresenterebbe il momento che fissa la data fino  alla
quale la contribuzione versata deve essere considerata  per  ricavare
il reddito base utile ai fini del calcolo della pensione. 
    Tuttavia tale assunto del giudice rimettente  contrasterebbe,  ad
avviso dell'INPS, con i principi affermati  dalla  giurisprudenza  di
legittimita' (viene citata, in particolare, la sentenza  della  Corte
di cassazione, sezione  lavoro,  24  agosto  2007,  n.  18041)  sugli
effetti dello slittamento temporale  determinato  dal  sistema  delle
"finestre", introdotto per le pensioni  di  anzianita'  dall'art.  1,
comma 2-bis, del decreto-legge 19  settembre  1992,  n.  384  (Misure
urgenti in materia di previdenza, di sanita' e di  pubblico  impiego,
nonche' disposizioni fiscali), convertito, con  modificazioni,  nella
legge 14 novembre 1992, n. 438, e dall'art. 1, comma 29, della  legge
n. 335 del 1995. 
    In particolare, l'INPS evidenzia che la Corte  di  cassazione  ha
chiarito che il momento di perfezionamento del diritto al trattamento
pensionistico diviene  il  momento  in  cui  e'  decorso  il  periodo
previsto dalla  normativa,  ovvero  va  identificato  nella  data  di
apertura della "finestra" indicata caso per caso dalla legge. In  tal
modo,  il  tempo  diventa  elemento  costitutivo  del  diritto   alla
pensione, poiche' la decorrenza del periodo stabilito dal legislatore
perfeziona il relativo diritto. Ne consegue che le  ultime  settimane
contributive  da   prendere   in   considerazione   ai   fini   della
determinazione  del  trattamento  sono  quelle  corrispondenti  «agli
ultimi versamenti contributivi prima della cessazione  dell'attivita'
lavorativa». Fermo restando che «nel computo delle  ultime  settimane
contributive utili, pur assunta come data di  riferimento  quella  di
decorrenza della pensione, debbano essere neutralizzate le  settimane
sfavorevoli successive al raggiungimento del requisito contributivo». 
    2.3.- Da ultimo, l'Istituto rileva che  «non  appare  conferente,
ne' rilevante al fine del vaglio della  questione  posta,  il  dubbio
espresso dal Giudice remittente secondo cui  "appare  contraddittorio
che una stessa contribuzione venga  considerata  due  volte  ai  fini
della determinazione del trattamento pensionistico e,  per  di  piu',
nel contempo, diminuisca una quota (nel  caso  in  esame  due)  e  ne
incrementi un'altra (senza peraltro compensare la prima perdita)"». 
    Premesso  che,  in  base  al  sistema  pensionistico,  le  ultime
settimane contributive sono, generalmente, le piu' favorevoli perche'
corrispondenti ai redditi piu'  alti  percepiti  dal  lavoratore,  in
quanto, normalmente, il reddito viene incrementato nel tempo rispetto
al livello iniziale, l'Istituto evidenzia che «una medesima settimana
collocata nell'ultimo periodo lavorativo viene  inclusa  nel  computo
del reddito o  retribuzione  medi  ai  fini  della  liquidazione  del
trattamento in regime retributivo, sia della quota A sia della  quota
B. La medesima settimana dovra'  poi  essere  valorizzata  anche  per
commisurare la quota finale  liquidata  in  regime  contributivo.  Si
tratta,  all'evidenza,  di  criteri   di   calcolo,   stabiliti   dal
legislatore in coerenza con la necessita'  di  tener  conto  che  nel
tempo, durante il periodo assicurativo,  vengono  talvolta  mutati  i
criteri di liquidazione». 
    Precisa l'INPS che il  periodo  contributivo  dal  2012  in  poi,
poiche' viene valorizzato col sistema  contributivo,  non  incrementa
una quota, ne' ne diminuisce altre, in quanto il reddito percepito in
quel periodo costituisce un elemento di calcolo che viene  utilizzato
nel computo di ciascuna quota,  secondo  le  regole  particolari  che
regolano ognuna di esse. 
    3.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e' intervenuto chiedendo
di dichiarare inammissibile e comunque infondata la questione. 
    3.1.- In punto di inammissibilita', il Presidente  del  Consiglio
dei ministri deduce che  il  giudice  rimettente  si  e'  limitato  a
censurare il solo art. 12, comma 2, lettera b), del d.l.  n.  78  del
2010, mentre, secondo la sentenza di questa Corte  n.  23  del  2018,
«l'effetto censurato» dal giudice a quo non  scaturisce  dalle  «sole
disposizioni censurate» nella  precedente  ordinanza  di  rimessione,
vale a dire gli artt. 5, comma 1, della legge n. 233 del  1990  e  1,
comma 18, della legge n. 335 del 1995. Pertanto il giudice a quo  non
avrebbe, ancora una volta,  individuato  correttamente  le  norme  di
riferimento che costituiscono il sistema complessivamente considerato
e vigente in  relazione  alla  sollevata  questione  di  legittimita'
costituzionale. 
    3.2.- In ordine alla infondatezza, il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri assume che la censura di  illegittimita'  costituzionale
prospettata dal giudice rimettente non avrebbe pregio. 
    Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, il sistema  della
"finestra"  costituirebbe  un  contemperamento  fra   interessi   del
lavoratore e contenimento della spesa pubblica, sorretto dall'art. 81
Cost.  e  dalla  necessita'  di  assolvere  gli  obblighi  scaturenti
dall'appartenenza  dell'Italia   all'Unione   europea.   Inoltre   la
legittimita'  della  norma   censurata   sarebbe   confermata   dalla
circostanza che essa «non e' innovativa,  dal  momento  che  all'atto
dell'adozione della stessa gia' risultava  vigente  un  regime  delle
decorrenze dei trattamenti, determinato anche ai sensi della legge n.
335/1995 citata, con posticipo delle medesime rispetto alla  data  di
maturazione  dei  requisiti».   Sempre   secondo   l'Avvocatura,   la
disposizione in esame «ha, dunque, rimodulato la  determinazione  dei
preesistenti periodi di posticipo della decorrenza con  lo  scopo  di
migliorare  la  sostenibilita'  economico-finanziaria   del   sistema
pensionistico e della finanza pubblica». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale ordinario di Trento,
sezione per le controversie  di  lavoro,  dubita  della  legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  all'art.  3,  primo  comma,   della
Costituzione, dell'art. 12, comma 2, lettera b), del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di  stabilizzazione
finanziaria  e  di   competitivita'   economica),   convertito,   con
modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui
comporterebbe  che  il  trattamento  pensionistico  sia   determinato
facendo riferimento agli ultimi dieci anni, ovvero le  520  settimane
di cui all'art. 5, comma  1,  della  legge  2  agosto  1990,  n.  233
(Riforma dei trattamenti pensionistici dei  lavoratori  autonomi),  e
agli ultimi quindici anni - ovvero le 780 settimane di  cui  all'art.
1, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma  del  sistema
pensionistico obbligatorio e complementare), di  redditi  coperti  da
contribuzione che precedono la data di insorgenza  del  diritto  alla
decorrenza  della  pensione,  anziche'  quella  di  maturazione   dei
requisiti per l'accesso al pensionamento. 
    In  punto  di  fatto,  il  giudice  riferisce  che  il   giudizio
principale riguarda la determinazione del  trattamento  pensionistico
di anzianita' di un lavoratore autonomo che ha maturato  i  requisiti
anagrafici e contributivi il 30 novembre 2011,  ma  ha  acquisito  il
diritto alla decorrenza della pensione diciotto mesi dopo, cioe'  dal
1°  giugno  2013,  per  effetto  della  cosiddetta  finestra  mobile,
introdotta dall'art. 12, comma 2, lettera b),  del  d.l.  n.  78  del
2010, come convertito. 
    Pur avendo  proseguito  l'attivita'  lavorativa  e  la  correlata
contribuzione nel predetto periodo di diciotto mesi,  a  seguito  del
reddito prodotto, che ha inciso negativamente sulla base  di  computo
del  trattamento  come   determinato   ai   sensi   delle   ricordate
disposizioni della legge n. 233 del 1990 e della  legge  n.  335  del
1995, il lavoratore ricorrente si e'  visto  calcolato  dall'Istituto
nazionale per la previdenza sociale (INPS) un rateo mensile  di  euro
2.462,85,  invece  che  di  euro   2.703,62,   quale   "virtualmente"
risultante alla data di maturazione del requisito contributivo. 
    Il giudice  a  quo  ritiene  irragionevole,  e  dunque  contraria
all'art. 3 Cost., una normativa in base  alla  quale  il  trattamento
pensionistico determinabile alla data del conseguimento del requisito
contributivo  venga  a  essere  ridotto,   nonostante   la   maggiore
contribuzione versata successivamente a tale data. L'irragionevolezza
sarebbe tanto piu' evidente in quanto, se il  lavoratore  non  avesse
lavorato durante  il  periodo  della  "finestra",  si  sarebbe  visto
liquidare un trattamento maggiore di quello attribuibile alla data di
accesso al trattamento pensionistico, pur avendo versato  una  minore
contribuzione. 
    Il rimettente rappresenta di aver  gia'  sollevato  nel  medesimo
giudizio principale, con ordinanza del 6 ottobre 2015,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, della legge n.  233
del 1990 e dell'art. l, comma 18, della legge n.  335  del  1995,  ma
tale questione con sentenza n.  23  del  2018  era  stata  dichiarata
«inammissibile»  «per  non  corretta   individuazione   della   norma
denunciata». Cio' in quanto questa Corte aveva rilevato che l'effetto
lamentato dal rimettente non era prodotto dalle  disposizioni  allora
censurate, bensi' dall'art. 12, comma 2, lettera b), del d.l.  n.  78
del 2010 e che era, dunque, tale disposizione a porre il reale  thema
decidendum della questione sollevata, «costituito dal rilievo e dalla
qualificazione giuridica  del  periodo  di  attesa  della  cosiddetta
"finestra", allorche' l'assicurato prosegua l'attivita' lavorativa  e
quindi la contribuzione, ai fini  della  determinazione  dell'entita'
del trattamento pensionistico». 
    Pertanto, il rimettente evidenzia  di  aver  proposto  una  nuova
questione in riferimento all'art. 12, comma 2, lettera b),  del  d.l.
n. 78 del 2010 e, dunque, su una norma  diversa  da  quelle  indicate
nella precedente ordinanza di rimessione. 
    1.1.- L'INPS e il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  hanno
chiesto  di  dichiarare  inammissibile  o   comunque   infondata   la
questione. 
    2.-   Vanno   preliminarmente   esaminate   le    eccezioni    di
inammissibilita' sollevate dall'INPS e dal Presidente  del  Consiglio
dei ministri. 
    2.1.- L'INPS ha eccepito che il giudice rimettente avrebbe omesso
di interpretare la disposizione  censurata  nel  quadro  del  diritto
vivente,  ovvero  alla  luce  della  giurisprudenza  della  Corte  di
cassazione sulla "finestra", secondo  cui  il  decorso  del  relativo
periodo temporale e' elemento costitutivo  del  diritto  a  pensione,
nonche' dell'insegnamento della stessa Cassazione e di  questa  Corte
in ordine al principio di "neutralizzazione" dei periodi contributivi
sfavorevoli successivi alla maturazione del requisito contributivo  e
anagrafico previsto per il trattamento pensionistico. 
    A  tale  ultimo  riguardo  l'Istituto  richiama  la  sopravvenuta
sentenza n.  173  del  2018  di  questa  Corte  che  ha  riconosciuto
applicabile anche  ai  lavoratori  autonomi  iscritti  alle  gestioni
speciali dell'INPS il predetto principio. Ad avviso  dell'INPS,  tale
decisione  renderebbe,  difatti,  irrilevante  l'odierna   questione,
comportando la  neutralizzazione  delle  settimane  di  contribuzione
sfavorevoli conseguite dal lavoratore interessato durante il  periodo
della "finestra" e, dunque,  successivamente  al  raggiungimento  del
requisito contributivo per il trattamento pensionistico. 
    2.2.- L'eccezione va disattesa. 
    In disparte dalla valutazione nel merito  di  quanto  argomentato
dall'Istituto, la dedotta omissione interpretativa  non  e'  comunque
ravvisabile. Difatti, l'ordinanza di rimessione e'  antecedente  alla
sentenza n. 173 del 2018, e dunque al momento della sua  proposizione
la  questione  in  oggetto   era   prospettabile,   stante   l'ambito
applicativo  del  principio  di   neutralizzazione   come   all'epoca
risultava dalla  giurisprudenza  costituzionale  che  lo  riconosceva
applicabile in riferimento,  in  via  generale,  alle  sole  gestioni
pensionistiche dei lavoratori dipendenti  iscritti  all'assicurazione
generale obbligatoria (a partire dalla sentenza  n.  428  del  1992),
oltre che a specifiche gestioni previdenziali (sentenza  n.  433  del
1999, relativa al trattamento pensionistico degli agenti di commercio
iscritti all'ENASARCO), e dunque non al trattamento previdenziale dei
lavoratori autonomi iscritti alle gestioni INPS. 
    2.3.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri  ha  eccepito  la
inammissibilita' della questione per non avere il giudice  rimettente
individuato correttamente le  norme  che  assumono  rilievo  ai  fini
dell'odierna questione, essendosi limitato  a  censurare  l'art.  12,
comma 2, lettera b), del d.l. n. 78  del  2010,  la'  dove  l'effetto
lamentato scaturisce, secondo quanto evidenziato  dalla  sentenza  di
questa Corte  n.  23  del  2018,  anche  da  altre  disposizioni:  in
particolare, da quelle di cui all'art. 5, comma 1, della legge n. 233
del 1990 e all'art. 1,  comma  18,  della  legge  n.  335  del  1995,
relative alla individuazione delle  settimane  contributive  utili  a
determinare la base pensionabile per i lavoratori  autonomi  iscritti
alle gestioni speciali dell'INPS. 
    2.4.- L'eccezione non e' fondata. 
    Pur  nella   stringatezza   dell'esposizione   sul   punto,   dal
complessivo tenore dell'ordinanza comunque si evince che  il  giudice
rimettente fa derivare l'effetto lamentato  dal  coordinato  disposto
della   disposizione   oggi   censurata   con    quelle    richiamate
dall'Avvocatura generale dello Stato e oggetto della  questione  gia'
sollevata  con  la  precedente  ordinanza   dallo   stesso   giudice,
dichiarata inammissibile da questa Corte con la sentenza  n.  23  del
2018. 
    3.- Nel merito la questione non e' fondata. 
    3.1.- Il giudice  rimettente  denuncia  la  illegittimita'  della
norma censurata, la' dove a suo avviso determinerebbe l'irragionevole
effetto, come tale lesivo del principio posto dall'art. 3 Cost.,  che
l'ulteriore contribuzione versata dal lavoratore durante  il  periodo
di attesa per la decorrenza del trattamento ("finestra"),  invece  di
incrementare il trattamento calcolabile alla data di maturazione  del
requisito contributivo, ne possa comportare una riduzione. 
    Tale effetto risulterebbe ancor piu' paradossale ove si consideri
che, se il lavoratore non avesse proseguito  l'attivita'  lavorativa,
l'importo del trattamento pensionistico sarebbe stato  piu'  elevato,
in quanto la base di  calcolo  sarebbe  rimasta  "cristallizzata"  in
quella piu' elevata determinabile al momento  del  conseguimento  del
requisito contributivo e anagrafico. 
    3.2.- La questione nei termini cosi' prospettati  dal  giudice  a
quo avrebbe avuto una sua consistenza. 
    Con  riferimento  al   sistema   pensionistico   dei   lavoratori
subordinati, la giurisprudenza costituzionale (ex plurimis,  sentenza
n. 82 del 2017) ha ripetutamente evidenziato l'irragionevolezza di un
meccanismo di determinazione della  retribuzione  pensionabile,  che,
pur preordinato a garantire al lavoratore una piu' favorevole base di
calcolo per la liquidazione della  pensione,  conduceva  a  risultati
antitetici,  in  quanto  correlata  all'ultimo  scorcio  della   vita
lavorativa,   incidendo   in   senso   riduttivo    sulla    pensione
potenzialmente gia' maturata. 
    Sebbene  l'ordinanza  tralasci  di   illustrare   gli   indirizzi
giurisprudenziali in materia e,  in  particolare,  quelli  in  ordine
all'ambito applicativo del principio  di  "neutralizzazione",  a  ben
vedere  il  giudice  rimettente  ne   invoca   l'applicazione   nella
situazione  oggetto   del   giudizio   principale,   concernente   il
trattamento pensionistico di un  lavoratore  autonomo  iscritto  alla
competente gestione speciale INPS. 
    3.3.- Senonche',  la  questione  cosi'  prospettata  dal  giudice
rimettente risulta oramai superata  dalla  sopravvenuta  sentenza  di
questa Corte n. 173 del  2018,  che  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 1, della legge n. 233  del  1990  e
dell'art. 1, comma 18, della legge n. 335 del 1995, «nella  parte  in
cui,  ai  fini  della  determinazione  delle  rispettive   quote   di
trattamento   pensionistico,   nel   caso   di   prosecuzione   della
contribuzione da parte dell'assicurato lavoratore autonomo che  abbia
gia' conseguito la prescritta  anzianita'  contributiva  minima,  non
prevedono l'esclusione dal computo della contribuzione successiva ove
comporti un trattamento pensionistico meno favorevole». 
    L'intervenuto riconoscimento dell'operativita' del  principio  di
"neutralizzazione" anche per  i  lavoratori  autonomi  iscritti  alle
gestioni speciali dell'INPS ne consente  dunque  l'applicazione  allo
specifico caso in esame, cosi' risolvendo  i  dubbi  di  legittimita'
prospettati dal rimettente. 
    Difatti, in conformita' all'indirizzo  espresso  dalla  Corte  di
cassazione (ex plurimis, sezione lavoro, sentenze 24 agosto 2007,  n.
18041, e 26 giugno 2017, n. 15879), il momento di perfezionamento del
diritto alla pensione e' costituito dalla decorrenza del  periodo  di
slittamento per l'accesso al trattamento pensionistico, come previsto
dalla disposizione denunciata. Tuttavia, applicando il  principio  di
"neutralizzazione", non si dovra'  tener  conto  della  contribuzione
successiva alla data  di  perfezionamento  del  prescritto  requisito
contributivo, ove essa determini, per effetto del reddito  conseguito
dall'interessato durante il periodo della "finestra",  una  riduzione
del trattamento calcolabile alla predetta data di perfezionamento del
requisito. 
    3.4.- Sotto tale profilo risultano dunque corrette  le  ricordate
considerazioni  svolte  dall'INPS  circa  l'effetto  dirimente  della
sentenza di questa Corte n. 173 del  2018  sulla  odierna  questione:
applicando il principio di "neutralizzazione",  la  norma  censurata,
viene,  difatti,  a  risultare  immune   dai   dedotti   profili   di
illegittimita', non comportando, in combinato disposto con gli  artt.
5, comma 1, della legge n. 233 del 1990 e 1, comma 18, della legge n.
335 del 1995, l'effetto pregiudizievole lamentato dal rimettente.