ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 4,
ultimo periodo, e comma 9, della legge  della  Regione  Lombardia  28
novembre 2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione  del  consumo  di
suolo e per la riqualificazione del suolo  degradato),  promosso  dal
Consiglio di Stato, sezione quarta, nel procedimento vertente tra  il
Comune di Brescia e altri e Francesco Passerini Glazel e  altri,  con
sentenza non definitiva del 4 dicembre 2017, iscritta al  n.  28  del
registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visti  gli  atti  di  costituzione   del   Comune   di   Brescia,
dell'Associazione  nazionale  dei  Comuni  italiani   (ANCI),   della
Legambiente Onlus, di Francesco Passerini  Glazel  e  altra,  nonche'
l'atto di intervento della Regione Lombardia; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  22  maggio  2019  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    uditi gli avvocati Mauro Ballerini  per  il  Comune  di  Brescia,
Alberto Fossati per  l'Associazione  nazionale  dei  Comuni  italiani
(ANCI), Emanuela Beacco per la Legambiente Onlus, Giandomenico Falcon
e Italo Ferrari per  Francesco  Passerini  Glazel  e  altra  e  Piera
Pujatti per la Regione Lombardia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con sentenza non definitiva del 4 dicembre 2017 (r. o. n.  28
del 2018), il  Consiglio  di  Stato,  sezione  quarta,  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 4, ultimo
periodo, e comma 9, della legge della Regione Lombardia  28  novembre
2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per
la riqualificazione del suolo degradato), in riferimento  agli  artt.
5, 117, secondo comma, lettera p), e 118 della Costituzione. 
    L'oggetto del giudizio amministrativo e' la variante generale  al
piano di governo del territorio (PGT) adottata nel 2015 dal Comune di
Brescia, e poi approvata, che e' stata impugnata dai  proprietari  di
alcuni immobili in quanto  fortemente  riduttiva  delle  possibilita'
edificatorie risultanti dalle precedenti previsioni urbanistiche.  Ad
avviso degli originari ricorrenti, il Comune avrebbe dovuto,  invece,
mantenere ferme tali previgenti  previsioni  ai  sensi  dell'art.  5,
comma 4, della legge reg.  Lombardia  n.  31  del  2014,  e  istruire
l'istanza da loro tempestivamente presentata, sulla base del comma  6
dello stesso articolo, volta all'approvazione del progetto  di  piano
attuativo. 
    Il  giudice  rimettente,  ricordate  in  premessa  le   finalita'
generali della legge  reg.  Lombardia  n.  31  del  2014,  dirette  a
stabilire «criteri di sostenibilita' e di minimizzazione del  consumo
di suolo», e le «definizioni di  consumo  di  suolo  e  rigenerazione
urbana», emergenti rispettivamente dagli artt. 1 e  2  della  stessa,
richiama  poi  testualmente  il  contenuto  dell'art.  5,   rubricato
«[n]orma transitoria». 
    I commi da 1 a 3  di  quest'ultima  disposizione  strutturano  un
percorso volto a integrare il piano territoriale regionale (PTR)  con
le previsioni dei nuovi contenuti introdotti dalla stessa  legge,  e,
successivamente,  ad  adeguare  a  questo  i  piani  territoriali  di
coordinamento provinciale (PTCP) e i piani di governo del  territorio
(PGT) degli enti locali. Per l'integrazione del PTR  e'  previsto  il
termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore  della  legge;
per  l'adeguamento  dei  PTCP,  di  ulteriori  dodici  mesi  da  tale
adempimento,  mentre,  per  l'adeguamento  dei  PGT,  il  termine  e'
stabilito in coincidenza con  la  prima  scadenza  del  documento  di
piano, che costituisce il primo dei tre atti in cui  si  articola  il
PGT.  Il  successivo  comma  4  disciplina  specificamente  i  poteri
comunali fino all'adeguamento del PGT sopra  ricordato  e,  comunque,
fino alla definizione nello stesso della soglia comunale del  consumo
di suolo: in tale  periodo  temporale  «i  comuni  possono  approvare
unicamente varianti del PGT e piani attuativi in variante al PGT, che
non comportino nuovo consumo di suolo, diretti alla  riorganizzazione
planivolumetrica,  morfologica,  tipologica   o   progettuale   delle
previsioni di  trasformazione  gia'  vigenti,  per  la  finalita'  di
incentivarne e accelerarne l'attuazione, esclusi gli  ampliamenti  di
attivita'  economiche  gia'  esistenti,  nonche'  quelle  finalizzate
all'attuazione degli accordi di programma a valenza regionale. Fino a
detto adeguamento sono comunque mantenute le previsioni e i programmi
edificatori del documento di piano vigente». 
    Il comma 6 dello stesso art. 5  stabilisce  che  le  istanze  dei
privati volte a sottoporre al Comune piani attuativi  conformi  o  in
variante, connessi alle  previsioni  di  PGT  vigenti  alla  data  di
entrata in vigore della legge, debbono essere presentate entro trenta
mesi da tale data; disciplina il relativo procedimento amministrativo
e dispone che la convenzione deve  essere  «tassativamente  stipulata
entro  dodici  mesi  dall'intervenuta  esecutivita'  della   delibera
comunale di approvazione definitiva». Il comma 7 prevede  l'esercizio
di poteri sostitutivi regionali nei casi  di  inerzia  o  di  ritardo
comunale negli adempimenti ora  richiamati.  Il  comma  9  prende  in
considerazione  i   «piani   attuativi,   per   i   quali   non   sia
tempestivamente  presentata  l'istanza  di  cui  al  comma  6  o   il
proponente non abbia adempiuto alla  stipula  della  convenzione  nei
termini  ivi  previsti»:  in  tali  casi,  «i  comuni,  con  motivata
deliberazione di consiglio comunale, sospendono la previsione di  PGT
sino all'esito del procedimento di adeguamento di cui al comma  3  e,
entro i successivi novanta giorni, verificano la compatibilita' delle
previsioni sospese con le prescrizioni sul consumo di suolo  previste
dal PGT,  disponendone  l'abrogazione  in  caso  di  incompatibilita'
assoluta, ovvero impegnando il proponente alle necessarie modifiche e
integrazioni negli altri casi». 
    2.-  Nell'introdurre  i  motivi  a  fondamento  del   dubbio   di
costituzionalita', il Consiglio di Stato ritiene che i commi  3  e  4
dell'art. 5 della legge reg. Lombardia n. 31  del  2014  non  possano
essere interpretati nel senso proposto dal Comune di  Brescia,  ossia
come comportanti per i Comuni unicamente il  limite  a  non  disporre
nuovo consumo di suolo. A tale esito osterebbero sia il  criterio  di
interpretazione sistematica, trattandosi di  una  norma  transitoria,
sia quello letterale,  attesa  la  perentorieta'  della  prescrizione
dell'ultimo periodo  del  comma  4,  laddove  afferma  che,  fino  al
completamento dell'adeguamento prescritto, «sono  comunque  mantenute
le previsioni e  i  programmi  edificatori  del  documento  di  piano
vigente». 
    Cio' posto  il  rimettente  ritiene  rilevanti  le  questioni  di
legittimita'   costituzionale   prospettate   in   via    subordinata
dall'appellante   amministrazione    comunale,    vertenti    proprio
sull'ultimo  periodo  del  comma  4  dell'art.  5  della  legge  reg.
Lombardia n. 31 del 2014 e, quindi, sulla legittimita' del limite  al
potere comunale di modificare le previsioni del  documento  di  piano
vigente, anche senza che cio' comporti nuovo consumo di suolo. 
    A tale riguardo si specifica che il dubbio  di  costituzionalita'
riguarda il testo  originario  della  disposizione,  precedente  alle
modifiche - che non assumerebbero quindi rilievo nella controversia -
apportate dalla sopravvenuta legge della Regione Lombardia 26  maggio
2017, n. 16, recante «Modifiche all'articolo 5 della legge  regionale
28 novembre 2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di
suolo e per la riqualificazione del suolo  degradato)».  Infatti,  la
legittimita' dell'atto amministrativo andrebbe accertata con riguardo
allo stato di fatto e di  diritto  esistente  al  momento  della  sua
emanazione; inoltre, la novella intervenuta  recherebbe  prescrizioni
di natura innovativa, che non assumono ne' carattere retroattivo, ne'
natura interpretativa. 
    3.- A sostegno della non manifesta infondatezza  delle  questioni
di  legittimita'  costituzionale  il   rimettente   premette   alcune
osservazioni  di  carattere  generale,  dirette,  da   un   lato,   a
inquadrare, anche alla luce della  giurisprudenza  costituzionale,  i
poteri di intervento dei  legislatori,  statale  e  regionale,  sulle
funzioni assegnate agli enti  locali  e  in  particolare  sui  poteri
urbanistici  dei  Comuni,  in  ragione  di   «concorrenti   interessi
generali», per poi concludere che «la problematica, come  e'  agevole
riscontrare, ruota intorno ai concetti di necessita' ed adeguatezza».
Dall'altro, a specificare che nella giurisprudenza amministrativa  si
e' affermato il riferimento a «una nozione  ampia  e  funzionalizzata
del concetto di "governo del territorio"», per la quale l'urbanistica
e il correlativo esercizio del potere di pianificazione  non  possono
essere intesi, sul piano giuridico, «solo come un coordinamento delle
potenzialita' edificatorie connesse al diritto di  proprieta',  cosi'
offrendone  una  visione  alquanto   minimale,   ma   devono   essere
ricostruiti come  intervento  degli  enti  esponenziali  sul  proprio
territorio, in funzione dello sviluppo complessivo  ed  armonico  del
medesimo». 
    Una volta ricordato che «nel sistema giuridico italiano  all'Ente
comune  e'  tradizionalmente  affidata  la  funzione   amministrativa
urbanistica», l'ultimo periodo del comma 4 e il comma 9  dell'art.  5
della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014  vengono  quindi  investiti
dal dubbio di  costituzionalita',  in  primo  luogo  con  riferimento
all'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.,  in  quanto  a)  «una
scelta di particolare rilievo»  verrebbe  compiuta  direttamente  dal
legislatore anziche' dalle amministrazioni comunali,  b)  si  sarebbe
conformato in negativo il «quomodo  di  esercizio»  di  una  funzione
amministrativa alle stesse spettanti. 
    Ad  analoghe  conclusioni  di  non  manifesta   infondatezza   il
Consiglio di Stato perviene con riferimento al «parametro  [...]  del
principio di sussidiarieta'».  Il  giudice  a  quo  osserva  che  «le
previsioni e i programmi edificatori del documento di piano vigente»,
richiamati dalla norma, diverrebbero «immodificabili» seppure per  un
periodo di tempo, da un lato «contenuto»,  ma,  dall'altro,  «incerto
nella sua ampiezza». Sarebbe pertanto  inibita  all'ente  locale  «la
potesta'  di  adottare  modifiche  al  proprio  Documento  di   Piano
vigente», che costituisce la parte piu' rilevante e qualificante  del
PGT, e il relativo contenuto verrebbe "cristallizzato" alla  data  di
emanazione della legge regionale n. 31 del 2014. 
    Il ruolo del Comune sarebbe in tal  modo  «confinato  nell'ambito
della mera attuazione di scelte precostituite in sede sovraordinata»,
mentre il principio di sussidiarieta' verticale richiederebbe  che  i
compiti  di  pianificazione  urbanistica   spettino   a   tale   ente
coerentemente con «l'esigenza di assicurare un ordinato  assetto  del
territorio, corrispondente agli effettivi bisogni della collettivita'
locale, essendo il  Comune  l'ente  appartenente  ad  un  livello  di
governo piu' prossimo ai cittadini». 
    A conforto di tale affermazione, il  rimettente  richiama  alcuni
principi    «costantemente     predicati     nella     giurisprudenza
amministrativa» nell'intento di «garantire  il  potere  regionale  di
partecipazione alla formazione dell'atto a complessita' diseguale  di
pianificazione generale, pur nella riaffermazione del  principio  per
cui  la  funzione  di  pianificazione  urbanistica  resta  saldamente
rimessa  alla  responsabilita'  dell'amministrazione  comunale».   In
particolare, se di regola il  Comune  non  potrebbe  disattendere  le
prescrizioni  di  coordinamento  dettate  dagli   enti   (Regione   o
Provincia)  titolari   del   relativo   potere,   potrebbe   tuttavia
«discrezionalmente concretizzarne i contenuti». 
    Pertanto, come sarebbe «illegittimo  un  atto  amministrativo  di
matrice regionale che si sostituisse alle determinazioni comunali con
riferimento a scelte discrezionali», cosi', laddove  «cio'  avvenisse
con atto di matrice legislativa», la competenza del Comune  «potrebbe
essere "difesa" rimettendo alla Corte costituzionale il  giudizio  di
legittimita' sulla legge  medesima  in  relazione  al  parametro  che
prevede ed eleva il principio di  sussidiarieta',  rappresentato  dal
combinato disposto degli articoli 5 e 118 della Carta Fondamentale». 
    Il giudice rimettente ritiene quindi  di  trovarsi  «in  presenza
proprio di tale evenienza» in quanto: a) l'art.  5,  comma  1,  della
legge reg. Lombardia n. 31 del 2014, nello stabilire un termine  alla
Regione per integrare il PTR «nulla  prevede  nella  ipotesi  in  cui
detto termine non sia  rispettato»;  b)  nelle  more  della  suddetta
integrazione, l'originario comma 4 del medesimo articolo non soltanto
conforma la potesta' urbanistica  comunale,  ma  anche  «inibisce  al
comune qualunque forma di  pianificazione  "diversa"  stabilendo  che
fino all'adeguamento di cui al comma 3  della  disposizione  predetta
(comunque  successivo  alla  integrazione  del  PTR  da  parte  della
Regione)  "sono  comunque  mantenute  le  previsioni  e  i  programmi
edificatori del Documento di Piano vigente"». 
    I dubbi  di  costituzionalita'  si  appuntano  quindi  sia  sulla
«indeterminatezza temporale della previsione», non  essendo  prevista
alcuna decadenza del barrage  interdittivo  laddove  la  Regione  non
rispetti il termine di legge, sia sulla «portata  "espropriativa"  di
competenze proprie  (consistenti  nella  potesta'  di  modificare  il
Documento  di  Piano  del  PGT)  rappresentata   dalla   prescrizione
interdittiva di cui al comma  4  dell'art.  5  della  legge»,  mentre
l'esigenza di evitare che i proprietari siano esposti, lungo le linee
di confine comunali, a vincoli eccessivamente differenziati non pare,
a giudizio del  rimettente,  integrare  una  «ragione  giustificativa
della  necessita'  di  un   "esercizio   unitario"   della   funzione
amministrativa pianificatoria». 
    4.- Con atto depositato  il  6  marzo  2018,  e'  intervenuto  in
giudizio  il  Presidente  della  Giunta  regionale  della  Lombardia,
chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o  comunque
infondate. 
    La  Regione  premette  alcune  considerazioni   sulle   finalita'
generali perseguite dalla legge reg. Lombardia n. 31  del  2014,  che
riconosce «al suolo libero il rango di risorsa e bene  comune»  dando
attuazione agli indirizzi dell'Unione europea  volti  a  raggiungere,
entro il 2050, il traguardo di un incremento  dell'occupazione  netta
di terreno  pari  a  zero.  La  complessita'  e  innovativita'  della
normativa, in quanto la Lombardia  sarebbe  stata  la  prima  Regione
italiana a emanare una legge sul consumo del  suolo,  avrebbero  reso
necessaria  una  disposizione  transitoria,   contenuta   nell'ultimo
periodo del  comma  4  dell'art.  5,  volta  a  «non  penalizzare  le
previsioni  urbanistiche  gia'  in  essere».  Piu'  precisamente,  la
«moratoria  temporale»  permetterebbe  di  verificare  la   effettiva
realizzabilita'  delle  trasformazioni  territoriali  gia'   vigenti,
«cercando  di  attuare  un   equo   bilanciamento   fra   la   tutela
dell'affidamento  del  privato  nella  stabilita'  delle   previsioni
contenute  nei  documenti  di  piano  [...]  e  i  nuovi  criteri  di
pianificazione territoriale introdotti dalla nuova  legge».  Inoltre,
si sarebbe  ritenuto  che  il  punto  di  equilibrio  dovesse  essere
«conforme su tutto il territorio regionale», per  evitare  disparita'
di trattamento. 
    Viene quindi eccepita la inammissibilita'  delle  questioni  «per
mancata   e    insufficiente    indicazione    dei    parametri    di
costituzionalita'» e, con riferimento al comma 9  dell'art.  5  della
legge reg. Lombardia n.  31  del  2014,  per  la  non  rilevanza  nel
giudizio  a  quo,  atteso  che  gli  originari   ricorrenti   avevano
depositato il progetto al Comune di Brescia nel rispetto del  termine
previsto dall'art. 5, comma 6, mentre il comma 9 disciplina l'ipotesi
di inadempimento di tale onere. 
    Quanto al merito, ad avviso della Regione  la  normativa  oggetto
del giudizio attuerebbe le previsioni di cui agli artt. 5, 117 e  118
Cost.  e  non  si  porrebbe  in  contrasto  con  esse.   Nelle   more
dell'adeguamento,  «previsto  a  cascata»,  dei  piani,  la  potesta'
urbanistica comunale poteva  in  realta'  dispiegarsi  sia  in  senso
ampliativo delle  potenzialita'  edificatorie,  anche  se  per  poche
fattispecie tipizzate, sia in  senso  riduttivo;  in  questo  secondo
caso,  il  limite  introdotto  conseguiva  alla  «chiara  scelta  del
legislatore  regionale  di  favor   nei   confronti   del   legittimo
affidamento dei cittadini e di tutela dell'esistente». In ogni  caso,
sarebbero state possibili «nuove scelte di pianificazione virtuose in
quanto  riduttive  del  consumo  di   suolo,   purche'   diversamente
indirizzate», come chiarito dal comunicato regionale 25  marzo  2015,
n. 50, recante indirizzi applicativi della legge reg. n. 31 del 2014:
le limitazioni erano riferite al solo documento di piano (e non  agli
altri due documenti che costituiscono il  PGT)  e,  al  suo  interno,
unicamente alle  «previsioni  di  trasformazione»  e  non  anche,  ad
esempio, agli «obiettivi di sviluppo». 
    Con  particolare  riferimento  al  limite  alla  modifica   delle
previsioni di trasformazione vigenti, contenuto  nell'ultimo  periodo
del comma  4  dell'art.  5  censurato,  se  ne  afferma  la  «stretta
correlazione, compresa la tempistica, con il percorso di  adeguamento
dei diversi piani». In tal modo si sarebbe perseguita la finalita' di
non discriminare i Comuni, e conseguentemente i cittadini, quanto  ai
«riferimenti di partenza, costituiti dal consumo di suolo inteso  non
come effettivo, bensi' come programmato, sulla base delle  previsioni
di trasformazione dei rispettivi strumenti di pianificazione». 
    La limitazione  posta  dalla  norma  censurata  sarebbe  comunque
temporalmente limitata a un periodo ragionevole. 
    Il principio di sussidiarieta' verticale, quindi,  sarebbe  stato
correttamente coordinato con il principio di adeguatezza,  in  quanto
l'attrazione della funzione al livello di governo  superiore  sarebbe
stata necessaria per garantirne l'adeguato esercizio, in presenza  di
esigenze di uniforme esercizio delle funzioni su tutto il  territorio
e di interessi pubblici particolarmente rilevanti quale la tutela del
territorio. 
    Infine, non sarebbero state «intaccate le  funzioni  fondamentali
dei Comuni in materia di pianificazione territoriale  e  governo  del
territorio» in quanto tali enti non avrebbero  «dismesso  le  proprie
funzioni in materia urbanistica». In ogni caso, l'art. 14, comma  27,
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, in  legge  30  luglio  2010,  n.  122,
ricomprende tra le funzioni fondamentali dei Comuni la pianificazione
urbanistica ed edilizia di ambito comunale e la  partecipazione  alla
pianificazione territoriale di livello sovracomunale, ma precisa  che
restano ferme sia le funzioni di coordinamento regionale  che  quelle
di programmazione delle Regioni, nelle materie di cui  all'art.  117,
terzo e quarto comma, Cost. 
    5.- Con atto depositato il 9  marzo  2018  si  e'  costituito  in
giudizio il Comune di  Brescia,  chiedendo  che  le  questioni  siano
dichiarate  fondate,  sulla   base   di   argomenti   sostanzialmente
corrispondenti  a  quelli  illustrati  nell'atto   di   promovimento,
rimarcando in modo particolare il carattere  «meramente  ordinatorio»
del termine di «quanto meno trenta mesi» al barrage interdittivo  dei
poteri pianificatori comunali. 
    6.- Con atto depositato il 13 marzo 2018 si  sono  costituiti  in
giudizio Francesco Passerini  Glazel  e  Maria  Annunciata  Passerini
Glazel Pagano, parti appellate e appellanti incidentali nel  giudizio
a quo, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  e
comunque infondate. 
    In primo luogo, dopo aver premesso che la legge regionale, da  un
lato, assume come presupposto «una nozione di consumo di suolo, detta
"giuridica"» e, dall'altro, stabilisce un progressivo adeguamento  ai
nuovi  obiettivi   di   tutti   gli   strumenti   di   pianificazione
territoriale, la difesa delle suddette parti  sostiene  la  «generale
infondatezza  delle  questioni»  in  quanto  l'atto  di  promovimento
avrebbe erroneamente qualificato l'intervento regionale in  relazione
a parametri non pertinenti. 
    La disciplina della  fase  transitoria,  infatti,  sarebbe  stata
necessaria poiche' diretta a evitare che i  Comuni,  di  fronte  alla
limitazione della loro capacita'  di  attribuzione  di  potenzialita'
edificatoria, potessero «essere tentati di "riguadagnarne" a spese di
situazioni    che    essi    stessi    avevano    giudicato    adatte
all'urbanizzazione». In ogni caso, anche nel periodo  transitorio  il
Comune potrebbe introdurre liberamente varianti al piano delle regole
e al piano dei servizi del PGT. 
    Le disposizioni regionali,  pienamente  competenti  a  provvedere
nella materia del governo del territorio,  si  sarebbero  limitate  a
disciplinare l'attuazione delle previsioni urbanistiche comunali  nel
periodo di transizione tra il vecchio e il nuovo regime  del  consumo
di suolo, al fine  di  permettere  un'attuazione  della  riforma  «in
condizioni di uguaglianza nei diversi comuni», non integrando affatto
«esercizio della funzione di pianificazione» e non contenendo «alcuna
valutazione circa l'opportunita' di assegnare al territorio  comunale
una destinazione o l'altra». 
    La censura riferita all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  p),
Cost. sarebbe, innanzitutto, infondata  in  quanto  tale  norma  «non
esclude ma presuppone» che nella materia del governo  del  territorio
sia la legge regionale ad allocare le  funzioni  amministrative  agli
enti locali. Se, poi, la censura fosse  interpretata  come  «presunta
sottrazione di una  specifica  funzione  fondamentale  che  la  legge
statale concretamente attribuisce ai Comuni», se ne dovrebbe rilevare
l'inammissibilita', in quanto  l'atto  di  promovimento  non  avrebbe
indicato, come parametro interposto, le norme legislative statali che
tali attribuzioni fonderebbero.  La  questione  rimarrebbe,  in  ogni
caso, infondata: l'art. 14, comma 27, del d.l. n. 78 del  2010,  come
convertito, farebbe salve le funzioni  regionali,  dando  atto  della
sussistenza, nella materia, di concorrenti interessi  intestati  alla
Regione;  inoltre,  le  disposizioni  censurate  non  comporterebbero
affatto   «uno   spostamento   della   funzione   amministrativa   di
pianificazione  ad  un  altro  livello  (e  segnatamente  al  livello
regionale)», in quanto la temporanea inibizione solo  di  determinate
modifiche del documento di piano, lasciando in ogni caso  intatta  la
titolarita' del  potere  di  modifica  in  capo  al  Comune,  avrebbe
considerato sia l'interesse del Comune  all'attuazione  del  «proprio
stesso piano», sia l'interesse dei privati  «quale  riconosciuto  dal
Comune conforme all'interesse pubblico». 
    Anche le censure incentrate sugli artt. 5 e 118  Cost.  sarebbero
per un verso inammissibili e comunque infondate. La  doglianza  sulla
mancata previsione di un termine finale al barrage  interdittivo  dei
poteri  pianificatori  del  Comune  sarebbe  inammissibile,  sia  per
difetto di rilevanza, sia perche' involverebbe  scelte  discrezionali
del legislatore (non essendo perspicuo il termine che  sarebbe  stato
omesso).  A  sostegno  della  non  fondatezza,  invece,  starebbe  la
erroneita' del presupposto  interpretativo:  decorso  il  termine  di
trenta mesi fissato per la presentazione delle istanze di  attuazione
del programma edificatorio, riprenderebbe «la possibilita' del Comune
di  mutare  la  destinazione  urbanistica   dell'area»   secondo   la
disciplina dell'art. 5, comma 9, della legge reg. Lombardia n. 31 del
2014. Non si sarebbe, pertanto, «in presenza di un "barrage" privo di
termine di scadenza». 
    Sarebbe,  inoltre,  insussistente  la  asserita  violazione   del
principio di sussidiarieta' verticale, e non pertinente il  parametro
invocato,  in  quanto:  a)  l'effetto  della  norma   censurata   non
equivarrebbe a  uno  spostamento  della  funzione  di  pianificazione
urbanistica; b) sarebbe solo regolata  l'attuazione  dei  piani  gia'
approvati dai Comuni, senza attrazione al livello regionale di alcuna
funzione di pianificazione e senza "scelte" di piano; c) il potere di
pianificazione rimarrebbe «pienamente conservato» ai  Comuni;  d)  in
ogni  caso,  le  misure  conservative  sarebbero  giustificate  dalla
necessita' di salvaguardare interessi in modo uniforme  su  tutto  il
territorio regionale. 
    Inoltre, quand'anche si volessero ricondurre le  norme  impugnate
nell'ambito dei fenomeni governati dal principio  di  sussidiarieta',
sarebbe  palese  la  presenza  dei  requisiti  che   legittimerebbero
l'attrazione di una funzione, ovvero la sussistenza di  interessi  di
carattere   sovracomunale   e   il   rispetto   del   principio    di
proporzionalita'. 
    La difesa delle parti prospetta, in chiusura, anche un  ulteriore
motivo di inammissibilita' della questione riferita agli  artt.  5  e
118 Cost. perche' quelli che il giudice  a  quo  definisce  "profili"
della stessa, apparirebbero «invece come due distinte questioni,  tra
loro logicamente incompatibili»: la mancata previsione di un  termine
al barrage interdittivo e la illegittimita' di ogni  barrage,  inteso
come intervento regionale su un piano comunale. 
    Sarebbe, infine, inammissibile la questione riferita al  comma  9
dell'art. 5 della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014, perche' l'atto
introduttivo, pur  menzionandolo  nel  dispositivo,  non  conterrebbe
alcuna motivazione sul dubbio di costituzionalita' e sulla rilevanza. 
    7.- Con atto depositato il 22  febbraio  2018  si  e'  costituita
l'Associazione nazionale dei Comuni  italiani  (ANCI),  interveniente
nel giudizio principale, chiedendo di dichiarare fondate le questioni
sollevate.  La  norma  censurata,  nelle   more   del   processo   di
integrazione e adeguamento dei piani della Regione e delle  Province,
avrebbe   «completamente   esautorato   i   comuni   lombardi   dalla
possibilita' di pianificare il proprio territorio» impedendo loro non
solo a)  di  incrementare  il  consumo  di  suolo,  ma  anche  b)  di
revisionare o eliminare le scelte di consumo gia'  effettuate  con  i
loro strumenti pianificatori. Quest'ultimo limite, a  differenza  del
primo che potrebbe  trovare  una  sua  giustificazione,  non  sarebbe
coerente, anche in termini di adeguatezza, con l'interesse  regionale
alla riduzione del consumo di suolo, perche' impedirebbe ai Comuni di
procedervi in autonomia e, anzi, incentiverebbe il consumo  di  suoli
gia' destinati alla trasformazione. 
    Inoltre, a differenza di quanto disciplinato per il  procedimento
di  adeguamento  dei  piani  regionali  e  provinciali,  non  sarebbe
prevista la partecipazione degli enti infraregionali per il  caso  in
cui,  nella   fase   transitoria,   «i   comuni   intendano   ridurre
autonomamente   le   previsioni   espansive   dei   loro    strumenti
urbanistici»; ancora,  «essi  devono  subire  il  blocco  della  loro
potesta', non in relazione a oggetti specifici, che possono al limite
giustificare  l'attrazione  del  potere  verso  la  Regione»,  ma  in
relazione «al contenuto del Documento di Piano, atto fondamentale del
PGT con  cui  si  definiscono  le  strategie  per  la  pianificazione
comunale». 
    Infine, neppure si potrebbe  sostenere  che  il  divieto  imposto
«risponda  alla  necessita'  della  Regione   di   "fotografare"   la
situazione pianificatoria comunale, al fine di procedere con  il  suo
piano a indicare le soglie di riduzione assegnate ai singoli comuni»,
perche' sarebbe stato lo stesso legislatore regionale, all'interno di
un impianto complessivo rimasto immutato, a eliminare, con  la  legge
reg. Lombardia n. 16 del 2017, «il vincolo di  immodificabilita'»,  a
dimostrazione che «per l'integrazione del piano regionale non era ne'
necessario ne' rilevante conservare immutate le previsioni dei  piani
comunali». 
    8.- Con atto  depositato  il  12  marzo  2018  si  e'  costituita
Legambiente Onlus, interveniente nel giudizio  principale,  chiedendo
di dichiarare fondate le questioni sollevate. 
    La  legge  regionale   limiterebbe   in   modo   sostanziale   la
possibilita'  per  i  Comuni  di  intervenire  sui  propri  strumenti
urbanistici,  cosi'  ledendo,   senza   precisi   limiti   temporali,
l'autonomia pianificatoria loro costituzionalmente riconosciuta. Tale
autonomia, infatti, implicherebbe anche una «dimensione  diacronica»,
ovvero il potere di modulare nel tempo gli atti di regolazione  delle
trasformazioni  sul  territorio,   «adeguando   le   proprie   scelte
all'evoluzione  del  contesto  economico  e  sociale  [...]  ed  alla
sensibilita' della comunita' amministrata». 
    Oltre a cio', si segnala che la legge della Regione Lombardia  11
marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), all'art.  13
assegna l'approvazione del PGT alla  esclusiva  competenza  comunale,
essendosi superata la natura di tale  piano  come  atto  complesso  a
imputazione  congiunta  comunale  e  regionale,  mentre  demanda   la
salvaguardia   degli   interessi   sovracomunali    correlati    alle
trasformazioni territoriali al PTR e al  PTCP.  A  tale  riguardo  si
richiama il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42  (Codice  dei
beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge
6 luglio 2002, n. 137), il quale delineerebbe una  precisa  scelta  a
favore del contenimento del consumo di suolo: in forza del  principio
di prevalenza della pianificazione paesaggistica sugli  strumenti  di
pianificazione urbanistica comunali, si dovrebbe  concludere  che  la
Regione potrebbe limitare  la  pianificazione  urbanistica  comunale,
anche tramite prescrizioni cogenti e misure di salvaguardia,  ma  nel
segno della protezione del paesaggio, ivi compreso il  minor  consumo
di territorio. La normativa statale di principio, al  contrario,  non
abiliterebbe la Regione ad opzioni di  segno  opposto,  impedendo  ai
Comuni di variare i propri strumenti nella direzione della  riduzione
del consumo di suolo. 
    9.- In prossimita' dell'udienza sono state depositate  tempestive
memorie da parte della Regione  Lombardia,  del  Comune  di  Brescia,
delle parti private e dell'ANCI. 
    9.1.- A integrazione degli argomenti gia' illustrati, la  memoria
della  Regione  sottolinea  che  la  censura  di   violazione   della
competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117,  secondo  comma,
lettera p), Cost. sarebbe infondata, in quanto la  legge  statale  e'
«soltanto attributiva  di  funzioni  fondamentali»  (si  richiama  la
sentenza n. 22 del 2014), mentre «l'organizzazione della funzione» di
pianificazione  territoriale  rimarrebbe  attratta  nella  competenza
concorrente in materia di governo del territorio. 
    Quanto alle censure riferite al principio di  sussidiarieta',  si
sostiene che la «penetrante analisi richiesta dal Consiglio di Stato»
comporterebbe «un controllo delle scelte, lato sensu  politiche,  del
legislatore, che e' sottratto alle competenze della Corte»  (si  cita
la sentenza n. 95 del 1966). 
    Infine, si da' notizia della entrata in vigore della integrazione
del PTR, ai sensi della legge  reg.  Lombardia  n.  31  del  2014,  a
seguito della pubblicazione  del  comunicato  regionale  20  febbraio
2019, n. 23, nel Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia n.  11,
serie avvisi e concorsi, del 13 marzo 2019; si da'  inoltre  atto  di
successive modifiche, cio' a  significare  che  l'entrata  in  vigore
delle norme sul  consumo  di  suolo  implicherebbe  un'attivita'  «in
continuo divenire». 
    9.2.- La memoria del Comune di Brescia replica alle  osservazioni
della Regione e  delle  parti  private  in  particolare  evidenziando
l'infondatezza della finalita' di tutelare l'affidamento dei privati,
atteso  che  in  capo  ad  essi  potrebbe   sorgere   una   posizione
differenziata  solo  nel  vigore  di  una   convenzione   urbanistica
(circostanza che non ricorrerebbe nel  caso  in  giudizio);  inoltre,
sarebbe la stessa disciplina urbanistica lombarda (art. 8, commi 3  e
4, della legge reg. n. 12 del 2005) a prevedere che il  documento  di
piano non produce effetti diretti sul regime giuridico  dei  suoli  e
che e' sempre modificabile. 
    Con riferimento alla durata della compressione delle attribuzioni
comunali, si contesta che questa sia limitata al  periodo  di  trenta
mesi: la stessa si protrarrebbe, invece, fino  alla  conclusione  del
processo di integrazione del PTR e di adeguamento degli  altri  piani
(PTCP e PGT), in maniera incoerente con la «piena liberta' di azione»
del pianificatore comunale. 
    9.3.- La memoria delle parti Passerini Glazel e  altra  evidenzia
alcuni passaggi delle altre difese ravvisandovi  una  estensione  dei
parametri  del  giudizio,   inammissibile   rispetto   al   perimetro
individuato dal giudice rimettente. 
    Inoltre, sottopone un profilo di  inammissibilita'  e,  al  tempo
stesso, di non fondatezza della questione ritenendo che il  Consiglio
di  Stato   non   abbia   «considerato   la   diversa   potenzialita'
interpretativa della disposizione regionale  contestata».  Ad  avviso
delle parti private, per effetto della legge regionale n. 31 del 2014
la limitazione del consumo di suolo sarebbe diventata «nel sistema  a
regime,  un'autonoma  motivazione  del  provvedimento»  comunale   di
riduzione delle aree edificabili.  Nel  periodo  transitorio,  pero',
sarebbe stato viceversa preservato «l'esistente  -  incluso  il  gia'
pianificato - da una possibile riduzione  di  consumo»  autonomamente
decisa dalle singole amministrazioni comunali. Cio' non escluderebbe,
tuttavia, che queste possano modificare i documenti di piano,  «anche
riducendo gli ambiti di trasformazione in essi  previsti»,  motivando
«non per la specifica finalita' della riduzione del consumo del suolo
[...] ma  per  una  delle  diverse  possibili  ragioni  attinenti  al
perseguimento del  miglior  equilibrio  territoriale».  Pertanto,  la
normativa  contestata   potrebbe   essere   interpretata   come   non
sostitutiva  degli  altri  strumenti  di  pianificazione  previsti  a
salvaguardia delle aree agricole  e  di  valore  ambientale,  ma  con
valenza aggiuntiva «introducendo, accanto ad essi, nuovi contenuti di
pianificazione, ai quali  corrispondono  nuovi  poteri  pianificatori
conformativi». Si sottolinea,  infine,  il  ruolo  del  «piano  delle
regole», elemento costitutivo del PGT, per la sua connessione con gli
obiettivi della legge  reg.  Lombardia  n.  31  del  2014  e  per  la
possibilita'  di  essere  oggetto  di  variante  anche  nel   periodo
transitorio. 
    Per il resto, la memoria sviluppa gli argomenti  gia'  illustrati
nella  comparsa  di  costituzione  e  contesta  quelli  delle  difese
avversarie. Con specifico riguardo al richiamo, da parte della difesa
di Legambiente, al principio di minor consumo di territorio contenuto
nel cod. beni culturali, si osserva che il  Consiglio  di  Stato  non
avrebbe rilevato  tale  aspetto  e  che,  comunque,  la  legislazione
regionale andrebbe proprio in quella direzione,  fermo  restando  che
costituirebbe invece «una questione di merito legislativo»  stabilire
l'entrata in vigore del regime piu'  restrittivo  e  disciplinare  la
fase transitoria. 
    9.4.- La memoria dell'ANCI confuta, in particolare,  gli  assunti
della difesa  delle  parti  private  a  giustificazione  delle  norme
impugnate. I Comuni, infatti, non avrebbero interesse  a  ridurre  le
previsioni per riguadagnare spazi di nuova  edificazione.  Questo  in
quanto il dato di partenza per le  valutazioni  di  competenza  della
Regione ai fini della integrazione del PTR sarebbe il territorio gia'
giuridicamente consumato alla data di entrata in vigore della  legge,
che non potrebbe essere aumentato, mentre eventuali  diminuzioni  non
inciderebbero sul parametro  quantitativo  da  cui  la  Regione  deve
partire per definire i limiti delle nuove  espansioni.  Pertanto,  la
limitazione imposta ai Comuni non sarebbe strumentale  all'attuazione
della  riforma,  ne'  giustificabile  come   funzione   propria   del
legislatore  regionale,  non  rispondendo  ad  alcuna   esigenza   di
garantire omogeneita' su tutto il territorio. 
    Inoltre, si sottolinea che, rispetto allo scopo  della  riduzione
del consumo di suolo, insito nella legge,  la  preferenza  assicurata
alla tutela  dell'affidamento  del  privato  sarebbe  ingiustificata,
cosi' come sarebbe illogica la norma transitoria  che,  impedendo  ai
Comuni di diminuire autonomamente il consumo di suolo,  perseguirebbe
un intento opposto alla tutela degli interessi generali  legittimanti
l'incisione sulle funzioni degli enti locali da parte del legislatore
regionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con sentenza non definitiva del 4 dicembre 2017 (r. o. n.  28
del 2018), il  Consiglio  di  Stato,  sezione  quarta,  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 4, ultimo
periodo, e comma 9, della legge della Regione Lombardia  28  novembre
2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per
la riqualificazione del suolo degradato), in riferimento  agli  artt.
5, 117, secondo comma, lettera p), e 118 della Costituzione. 
    Il giudice rimettente  deve  decidere  della  legittimita'  della
variante generale al piano di governo del territorio  (PGT)  adottata
nel 2015 dal Comune  di  Brescia,  e  poi  approvata,  impugnata  dai
proprietari di alcuni immobili in quanto fortemente  riduttiva  delle
possibilita'  edificatorie  risultanti  dalle  precedenti  previsioni
urbanistiche, che invece il Comune avrebbe dovuto mantenere ferme  ai
sensi dell'art. 5, comma 4, della legge  reg.  Lombardia  n.  31  del
2014. 
    Ricordate in premessa le finalita' generali  di  tale  legge,  il
Consiglio di Stato  richiama  poi  testualmente  il  contenuto  della
suddetta  disposizione,  che,  disciplinando  la   fase   transitoria
occorrente alla integrazione e all'adeguamento  dei  piani  in  vista
della riduzione del consumo di suolo,  prevede,  all'ultimo  periodo,
che, fino a che tale adeguamento non sia completato,  «sono  comunque
mantenute le previsioni e i programmi edificatori  del  documento  di
piano vigente». 
    2.- Una volta esclusa la possibilita' di un'interpretazione delle
norme  nel  senso  proposto  dal  Comune  di  Brescia,   ossia   come
comportanti per i Comuni unicamente il limite a  non  disporre  nuovo
consumo di suolo, il rimettente ritiene  rilevanti  le  questioni  di
legittimita'   costituzionale   prospettate   in   via    subordinata
dall'appellante amministrazione comunale, senza che assumano  rilievo
le modifiche apportate dalla legge della Regione Lombardia 26  maggio
2017, n. 16, recante «Modifiche all'articolo 5 della legge  regionale
28 novembre 2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di
suolo e per la riqualificazione  del  suolo  degradato)».  Motiva  al
riguardo, richiamando sia il principio  del  tempus  regit  actum  in
materia di sindacato sulla legittimita' di atti  amministrativi,  sia
la natura innovativa delle disposizioni sopravvenute, peraltro  prive
di carattere retroattivo o interpretativo. 
    3.- A sostegno della non manifesta infondatezza  delle  questioni
di legittimita' costituzionale, il rimettente, dopo aver inquadrato i
poteri di intervento dei  legislatori,  statale  e  regionale,  sulle
funzioni assegnate agli enti  locali  e  in  particolare  sui  poteri
urbanistici dei Comuni, ricorda che nel  sistema  giuridico  italiano
all'ente   Comune   e'   tradizionalmente   affidata   la    funzione
amministrativa urbanistica. 
    Il comma 4, ultimo periodo, e il comma 9 dell'art. 5 della  legge
reg. Lombardia n. 31 del 2014 vengono quindi investiti dal dubbio  di
costituzionalita', in  primo  luogo  con  riferimento  all'art.  117,
secondo comma, lettera p),  Cost.,  in  quanto:  a)  «una  scelta  di
particolare rilievo» verrebbe compiuta direttamente  dal  legislatore
regionale anziche' dalle  amministrazioni  comunali;  b)  si  sarebbe
conformato in negativo il «quomodo  di  esercizio»  di  una  funzione
amministrativa alle stesse spettanti. 
    Ad  analoghe  conclusioni  di  non  manifesta   infondatezza   il
Consiglio di Stato perviene con riferimento al «parametro  [...]  del
principio di sussidiarieta'», poiche'  i  contenuti  edificatori  del
documento di piano vigente verrebbero "cristallizzati" alla  data  di
emanazione  della  legge  regionale  n.  31   del   2014,   divenendo
immodificabili per un periodo di tempo «incerto nella sua  ampiezza».
Sarebbe pertanto inibita all'ente locale  «la  potesta'  di  adottare
modifiche al proprio Documento di Piano vigente», che costituisce  la
parte piu' rilevante e qualificante del PGT. 
    Il rimettente richiama quindi alcuni principi  consolidati  della
giurisprudenza amministrativa in forza dei quali sarebbe «illegittimo
un atto amministrativo di matrice regionale che si  sostituisse  alle
determinazioni comunali con riferimento a scelte  discrezionali».  Da
cio'  deduce  che  laddove  questa  sostituzione  avvenga  con   atto
legislativo si concretizzerebbe una  lesione  degli  artt.  5  e  118
Cost., che nel caso specifico deriverebbe sia dalla  indeterminatezza
temporale  della  previsione  del  barrage  interdittivo,  sia  dalla
portata "espropriativa" delle  competenze  comunali,  senza  che  sia
rilevabile alcuna esigenza  giustificativa  della  necessita'  di  un
esercizio unitario a livello regionale. 
    4.-  Preliminarmente,  deve  ritenersi  non  rilevante   che   le
questioni  siano  state  promosse  con  la  forma  di  sentenza   non
definitiva anziche' di ordinanza. Infatti, «il giudice a quo  -  dopo
la positiva valutazione concernente la rilevanza e la  non  manifesta
infondatezza  della  stessa  -  ha  disposto   la   sospensione   del
procedimento  principale  e  la  trasmissione  del   fascicolo   alla
cancelleria di questa Corte; sicche' a tali atti,  anche  se  assunti
con la forma di sentenza, deve  essere  riconosciuta  sostanzialmente
natura di ordinanza, in conformita' a quanto  previsto  dall'art.  23
della legge 11 marzo 1953, n. 87» (da ultimo,  sentenza  n.  126  del
2018, ivi richiami). 
    5.- Sempre in via preliminare, va rilevato che le questioni  sono
correttamente sollevate nei confronti del testo originario  dell'art.
5, commi 4, ultimo periodo, e 9, della legge reg. Lombardia n. 31 del
2014,  applicabile  ratione  temporis  alla  fattispecie  controversa
(sentenza n.  39  del  2018).  Infatti,  come  ritenuto  dal  giudice
rimettente, le modifiche introdotte a opera dell'art. 1  della  legge
reg. Lombardia  n.  16  del  2017  sono  ininfluenti  ai  fini  della
decisione  che  a  esso  spetta,  poiche'  l'oggetto   del   giudizio
incidentale e' un provvedimento da  valutare  in  base  al  principio
tempus regit actum (ex plurimis, sentenze n. 7 del 2019 e n.  52  del
2018). Inoltre,  la  motivazione  dell'atto  di  rimessione  contiene
plausibili  argomenti  nel  senso  della  natura   innovativa   delle
disposizioni sopravvenute, escludendone il  carattere  retroattivo  o
interpretativo. 
    6.- Sia la Regione Lombardia che le parti appellate nel  giudizio
a quo hanno eccepito la inammissibilita'  delle  questioni  aventi  a
oggetto l'art. 5, comma 9, della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014:
tale disposizione sarebbe menzionata nel solo  dispositivo  dell'atto
di promovimento, mancando alcuna motivazione sulla rilevanza di  essa
nel giudizio a quo e sul  dubbio  di  costituzionalita'  alla  stessa
riferito. 
    6.1.- L'eccezione e' fondata, sotto  l'assorbente  profilo  della
mancanza di motivazione sulla rilevanza. 
    Nel testo antecedente alle modifiche apportate dalla  legge  reg.
Lombardia n. 16 del 2017, il censurato art. 5, comma  9,  regola  due
casi che possono verificarsi nel periodo transitorio: quello  in  cui
nel termine di trenta mesi dalla entrata in vigore  della  legge  non
sia presentata una istanza per l'approvazione di un piano  attuativo,
come consentito dal comma 6 dello stesso articolo, e quello in cui il
proponente non stipuli la  convenzione  di  un  piano  attuativo  nel
termine tassativo di dodici mesi dalla esecutivita' della delibera di
approvazione, parimenti previsto dal comma 6. 
    In tali casi, «i comuni, con motivata deliberazione di  consiglio
comunale,  sospendono  la  previsione  di  PGT  sino  all'esito   del
procedimento di adeguamento di cui al comma 3 e, entro  i  successivi
novanta giorni, verificano la compatibilita' delle previsioni sospese
con  le  prescrizioni  sul  consumo  di  suolo  previste   dal   PGT,
disponendone l'abrogazione  in  caso  di  incompatibilita'  assoluta,
ovvero  impegnando  il  proponente  alle   necessarie   modifiche   e
integrazioni negli altri casi». 
    Cio' premesso, l'atto di rimessione, in effetti, non motiva sulla
necessita' di dare applicazione al citato  comma  9.  Tale  esigenza,
anzi, e' da escludere in considerazione dei plurimi riferimenti  alla
fattispecie concreta oggetto del giudizio principale, come  descritta
nell'atto di rimessione: le situazioni considerate dall'art. 5, comma
9, non vengono in rilievo nel giudizio a quo,  emergendo  chiaramente
che le parti private hanno presentato il progetto di piano  attuativo
nel termine previsto dal comma 6 dello stesso articolo. Non si  verte
quindi nell'ambito applicativo dell'art. 5, comma 9, della legge reg.
Lombardia n. 31 del 2014. 
    Le relative questioni sono pertanto inammissibili per difetto  di
motivazione sulla rilevanza (da ultimo, sentenza n. 194  del  2018  e
ordinanza n. 202 del 2018). 
    7.- Le restanti eccezioni -  riferibili  alle  residue  questioni
aventi a oggetto l'art. 5, comma 4, ultimo periodo, della legge  reg.
Lombardia n. 31 del 2014 - non sono fondate. 
    7.1.- Infondata  e'  anzitutto  l'eccezione  di  inammissibilita'
proposta  dalla  Regione  Lombardia  «per  mancata  e   insufficiente
indicazione dei parametri di costituzionalita'». 
    Quanto alla motivazione del contrasto con l'art. 5 Cost. (che  la
difesa regionale ritiene omessa), in realta' l'atto  di  promovimento
la esplicita in modo adeguato nel combinato disposto con  l'art.  118
Cost. (punti 3.5. e 3.8.2. del Diritto) e argomenta sul  collegamento
tra il criterio di allocazione della funzione urbanistica e il  ruolo
dell'ente comunale in  quanto  esponenziale  del  proprio  territorio
(punti 3.5.a, 3.5.d, 3.5.e e 3.7.3 del Diritto). 
    Per gli stessi motivi risulta infondata l'eccezione riferita alla
asserita grave lacunosita' della motivazione del contrasto con l'art.
118 Cost., in relazione al quale il giudice  a  quo  svolge,  invece,
ulteriori e adeguate specifiche argomentazioni. 
    Anche il contrasto con il  parametro  costituito  dall'art.  117,
secondo comma,  lettera  p),  Cost.  risulta  adeguatamente  motivato
(punto 3.6. del Diritto), atteso che il rimettente lo  ravvisa  negli
effetti  della  prescrizione  normativa  censurata   sulla   funzione
urbanistica spettante al Comune. 
    8.-  La  Regione  Lombardia  ravvisa   l'inammissibilita'   delle
questioni anche  per  l'incertezza  sulla  disposizione  che  sarebbe
oggetto delle censure, ovverosia se tale debba considerarsi  l'intero
comma 4 dell'art. 5 della legge reg. Lombardia n. 31 del  2014  o  il
solo ultimo periodo. 
    8.1.- L'eccezione e' infondata. 
    Dirimenti sono plurimi passaggi motivazionali della sentenza  non
definitiva nei quali il Consiglio di Stato fa  specifico  riferimento
solo  all'ultimo  periodo  del  citato  comma   4,   peraltro   anche
specificamente individuato (punto 3.1.3.) come  prescrizione  la  cui
eventuale dichiarazione di  incostituzionalita'  produrrebbe  effetti
nel giudizio a quo. 
    9.- Ad avviso di Passerini Glazel e altra, le questioni sollevate
con riferimento  all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  p),  Cost.
sarebbero inammissibili poiche' l'atto di promovimento avrebbe omesso
di indicare, come parametro interposto, le norme legislative  statali
a fondamento  della  specifica  funzione  fondamentale  concretamente
attribuita ai Comuni. 
    9.1.- L'eccezione e' infondata. 
    Come  gia'  chiarito  (supra,  punto  7.1.),  le  questioni  sono
specificamente motivate in maniera adeguata;  inoltre,  il  complesso
degli argomenti esposti dal giudice a quo  (citando  copiosamente  la
giurisprudenza  rilevante  al  riguardo)  consente   agevolmente   di
ritenere che  la  funzione  fondamentale  di  pertinenza  del  Comune
ascritta  al  parametro  evocato  e'  quella   della   pianificazione
urbanistica  ed   edilizia   del   territorio   comunale.   Ai   fini
dell'ammissibilita'  della  censura  sulla  legge  regionale  non  e'
richiesta anche la formale indicazione delle norme attributive  della
funzione fondamentale, trattandosi peraltro di materia  rimessa  alla
competenza esclusiva statale. 
    10.- Un'ulteriore eccezione di inammissibilita',  proposta  dalla
difesa delle  predette  parti  private,  si  appunta  sulla  ritenuta
«formulazione di due domande in via alternativa  e  non  subordinata»
con riferimento al contrasto con gli artt. 5 e 118 Cost. 
    10.1.- L'eccezione e' infondata. 
    Le censure alle quali  si  riferisce  l'eccezione  costituiscono,
piuttosto, argomenti a sostegno dell'unitario contrasto ravvisato con
il principio di  sussidiarieta'  verticale,  espresso  dal  combinato
disposto degli artt. 5 e 118 Cost.; si tratta  di  profili  tra  loro
connessi e comunque convergenti nel "verso" dell'eventuale  pronuncia
di fondatezza delle questioni. 
    11.- Nella memoria presentata  in  prossimita'  dell'udienza,  la
difesa  delle  stesse  parti  ha   prospettato   una   eccezione   di
inammissibilita' per avere il giudice rimettente omesso di verificare
la  possibilita'  di  un'interpretazione  conforme  a   Costituzione:
pertanto, le  limitazioni  alle  funzioni  comunali  sarebbero  state
intese «nel modo piu' ampio [...] anche al di la' da quanto richiesto
dalla lettera» della legge. 
    11.1.- L'eccezione e' infondata. 
    Dall'atto di rimessione emerge  che  il  Consiglio  di  Stato  ha
correttamente utilizzato  i  suoi  poteri  di  interpretazione  delle
disposizioni rilevanti ai fini della  decisione.  Per  un  verso,  la
lettura propostane dal Comune di Brescia - che avrebbe in radice reso
non necessaria la questione di legittimita' costituzionale - e' stata
motivatamente esclusa (punto 2.2. del Diritto). In un altro passaggio
dell'atto introduttivo, invece, il rimettente ha parimenti escluso di
poter accogliere una diversa  interpretazione  offerta  dalla  difesa
delle  parti  private  e  quindi  di  poter  fugare  il   dubbio   di
costituzionalita'. In particolare, secondo il giudice a  quo,  se  e'
vero che la legge regionale non preclude la possibilita' di apportare
varianti al piano delle regole e al piano dei servizi  (due  dei  tre
atti  in  cui  si  articola  il  PGT),  «e'  vero  altresi'  che   la
prescrizione  interdittiva  contenuta  nella  legge  riguarda  l'atto
maggiormente   rilevante   e   qualificante   della    programmazione
urbanistica comunale, rappresentato dal documento di Piano». 
    A fronte di cio', nell'argomentare  le  diverse  opzioni  che  il
rimettente avrebbe potuto considerare, la difesa finisce per  entrare
nella  valutazione  del  merito   della   questione.   Infatti,   «se
l'ermeneusi prescelta sia  da  considerare  la  sola  persuasiva,  e'
profilo che esula  dall'ammissibilita'  e  attiene,  per  contro,  al
merito della questione di legittimita' costituzionale (sentenze n. 83
e 42 del 2017, n. 240, n. 95 e n. 45 del  2016,  n.  262  del  2015)»
(sentenza n. 132 del 2018). 
    12.- Nel merito le questioni aventi a  oggetto  l'ultimo  periodo
dell'art. 5, comma 4, della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014, sono
fondate. 
    12.1.- E' utile premettere che la legge reg. Lombardia n. 31  del
2014   persegue   innovative    finalita'    generali,    consistenti
nell'orientare gli interventi  edilizi  prioritariamente  verso  aree
gia' urbanizzate, degradate o dismesse e  nel  prevedere  consumo  di
suolo esclusivamente se la riqualificazione  e  la  rigenerazione  di
aree  gia'  edificate  si  dimostri  tecnicamente  ed  economicamente
insostenibile (art. 1). 
    Essa quindi, da un lato, traguarda le piu' recenti concezioni  di
territorio, considerato non piu' solo  come  uno  spazio  topografico
suscettibile di  occupazione  edificatoria  ma  rivalutato  come  una
risorsa  complessa  che  incarna  molteplici  vocazioni  (ambientali,
culturali, produttive, storiche)  e,  dall'altro,  e'  avvertita  sul
fatto che il consumo di suolo rappresenta una  delle  variabili  piu'
gravi del problema della pressione antropica sulle risorse naturali. 
    In quest'ottica la legge regionale si distingue per aver definito
il  suolo  come  «bene  comune   di   fondamentale   importanza   per
l'equilibrio ambientale, la salvaguardia della salute, la  produzione
agricola finalizzata alla alimentazione umana e/o animale, la  tutela
degli ecosistemi naturali e la  difesa  dal  dissesto  idrogeologico»
(art. 1, comma 2). 
    La legge regionale quindi, nelle sue finalita' generali, dimostra
di inserirsi in un processo evolutivo diretto a riconoscere una nuova
relazione tra la comunita' territoriale e l'ambiente che la circonda,
all'interno della quale si e' consolidata la consapevolezza del suolo
quale risorsa naturale eco-sistemica non rinnovabile,  essenziale  ai
fini dell'equilibrio ambientale, capace  di  esprimere  una  funzione
sociale e di incorporare  una  pluralita'  di  interessi  e  utilita'
collettive, anche di natura intergenerazionale. 
    Si tratta di una prospettiva che risulta,  peraltro,  conforme  -
come correttamente ricorda la difesa della Regione Lombardia  -  agli
indirizzi espressi in sede  europea  fin  dalla  comunicazione  della
Commissione  del  22  settembre  2006,  "Strategia  tematica  per  la
protezione del suolo",  e  piu'  recentemente  dall'approvazione  del
cosiddetto Settimo programma di azione per l'ambiente  (decisione  n.
1386/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del  20  novembre
2013). 
    Nell'attuazione delle suddette finalita', l'art.  2  della  legge
reg. Lombardia n. 31 del 2014 fornisce le definizioni di  consumo  di
suolo e di rigenerazione urbana, prevedendo, al comma 2, che il piano
territoriale regionale (PTR) «precisa le modalita' di  determinazione
e quantificazione degli indici che  misurano  il  consumo  di  suolo,
validi  per  tutto  il  territorio  regionale,  disaggrega  [...]   i
territori delle [province e della  citta'  metropolitana]  in  ambiti
omogenei, in dipendenza dell'intensita' del  corrispondente  processo
urbanizzativo ed esprime i conseguenti  criteri,  indirizzi  e  linee
tecniche da applicarsi negli strumenti di governo del territorio  per
contenere il consumo di suolo». 
    12.2.- In questo quadro normativo si inseriscono le norme oggetto
di censura, che disciplinano la fase transitoria  volta  ad  adeguare
gli  strumenti  di  pianificazione   territoriale   stabiliti   dalla
legislazione lombarda ai criteri previsti per il perseguimento  delle
suddette finalita'. 
    Nel periodo occorrente alla integrazione dei contenuti del  piano
territoriale regionale (PTR) e al successivo  adeguamento  dei  piani
territoriali di coordinamento  provinciale  (PTCP)  e  dei  piani  di
governo del territorio (PGT), l'art. 5, comma 4, nel testo originario
censurato,  dispone  che  «i  comuni  possono  approvare   unicamente
varianti del PGT e piani  attuativi  in  variante  al  PGT,  che  non
comportino nuovo consumo  di  suolo,  diretti  alla  riorganizzazione
planivolumetrica,  morfologica,  tipologica   o   progettuale   delle
previsioni di  trasformazione  gia'  vigenti,  per  la  finalita'  di
incentivarne e accelerarne l'attuazione, esclusi gli  ampliamenti  di
attivita'  economiche  gia'  esistenti,  nonche'  quelle  finalizzate
all'attuazione degli accordi di programma a valenza regionale». 
    L'ultimo periodo di tale disposizione stabilisce  che  «[f]ino  a
detto adeguamento sono comunque mantenute le previsioni e i programmi
edificatori del documento di piano vigente». 
    Tale  divieto  di  ius  variandi  in   relazione   ai   contenuti
edificatori del documento di piano viene in ogni caso scandito, dalla
ricordata  disposizione,  fino  alla  conclusione  del  processo   di
adeguamento,  anche  se  poi  effettivamente  declinato  secondo  due
diverse scadenze temporali: la prima prevista dal comma 6  assegnando
ai privati il termine di  trenta  mesi  per  la  presentazione  delle
istanze  di  attuazione  del  programma  edificatorio;   la   seconda
stabilita dal comma 9 per le ipotesi in  cui  a)  entro  il  predetto
termine di trenta mesi non siano stati presentati progetti  da  parte
dei soggetti interessati alla realizzazione  di  un  piano  attuativo
ovvero  b)  se  presentati,  non  sia  stata  stipulata  la  relativa
convenzione entro dodici  mesi  dall'approvazione.  Anche  in  queste
ultime due ipotesi, comunque,  il  Comune  e'  vincolato  al  vigente
documento di piano «sino all'esito del procedimento di adeguamento di
cui al comma 3». 
    La sospensione della potesta' di apportare modifiche ai contenuti
edificatori del documento di piano  viene  quindi  ad  assumere,  sul
piano giuridico, un carattere temporalmente  limitato  ma  indefinito
nella sua ampiezza, risultando in ogni caso collegata -  costituisce,
infatti,  una  circostanza  di  mero  fatto  che  i  privati  abbiano
presentato  l'istanza  entro  il  termine  di  trenta   mesi   -   al
concretizzarsi del processo di adeguamento, per il  quale  i  termini
previsti  dalla  sequenza  procedimentale  individuata  dalla   legge
regionale hanno carattere  meramente  ordinatorio.  Del  resto,  come
dichiarato dalla difesa della Regione, e' solo con  la  pubblicazione
avvenuta nel Bollettino Ufficiale  della  Regione  Lombardia  n.  11,
serie avvisi e concorsi, del 13 marzo 2019 che e'  divenuta  efficace
la integrazione del PTR alla quale, invece, secondo  quanto  previsto
dall'art. 5, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 31 del  2014,  la
Regione avrebbe dovuto provvedere entro dodici mesi dalla entrata  in
vigore della predetta legge. 
    12.3.- In questi  termini  la  disposizione  dell'ultimo  periodo
dell'art. 5, comma 4, della legge reg. Lombardia n. 31  del  2014  si
pone in violazione del  combinato  disposto  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera p), Cost.,  relativamente  alla  competenza  esclusiva
statale sulle funzioni fondamentali, e degli artt. 5 e 118,  primo  e
secondo comma, Cost., con riguardo  al  principio  di  sussidiarieta'
verticale. 
    La  funzione  di  pianificazione   urbanistica,   infatti,   come
giustamente rileva il giudice rimettente, nel nostro  ordinamento  e'
stata tradizionalmente rimessa all'autonomia  dei  Comuni  fin  dalla
legge 25 giugno 1865, n. 2359  (Sulle  espropriazioni  per  causa  di
utilita' pubblica). 
    Tutta la complessa  evoluzione  che  ha  condotto  allo  sviluppo
dell'ordinamento regionale ordinario, a una piu' ampia concezione  di
urbanistica e quindi alla  consapevolezza  della  necessita'  di  una
pianificazione sovracomunale, non ha travolto questo  presupposto  di
fondo, tanto che il legislatore nazionale ha qualificato, attuando il
nuovo Titolo V della Costituzione,  come  funzioni  fondamentali  dei
Comuni «la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito  comunale
nonche' la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello
sovracomunale» (art. 14, comma 27, lettera d,  del  decreto-legge  31
maggio  2010,  n.  78  recante  «Misure   urgenti   in   materia   di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica»,
convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122,  come
sostituito dall'art. 19, comma 1,  lettera  a,  del  decreto-legge  6
luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti  per  la  revisione
della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini  nonche'
misure  di  rafforzamento  patrimoniale  delle  imprese  del  settore
bancario», convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012,  n.
135). 
    Il legislatore statale ha quindi sottratto allo specifico  potere
regionale di allocazione  ai  sensi  dell'art.  118,  secondo  comma,
Cost., la funzione di pianificazione comunale, stabilendo che  questa
rimanga assegnata, in linea di massima,  al  livello  dell'ente  piu'
vicino al cittadino, in cui storicamente essa  si  e'  radicata  come
funzione propria, e l'ha riconosciuta  come  parte  integrante  della
dotazione  tipica  e  caratterizzante  dell'ente  locale.  Ha   cosi'
stabilito un regime giuridico comune sottratto, per questo aspetto  e
salvo  quanto  si   dira'   in   seguito,   alle   potenzialita'   di
differenziazione insite nella potesta' allocativa delle Regioni nelle
materie di loro competenza. 
    12.4.- Se quindi la funzione di pianificazione  comunale  rientra
in quel nucleo di funzioni  amministrative  intimamente  connesso  al
riconoscimento  del  principio  dell'autonomia  comunale,  cio'   non
comporta, tuttavia, che la legge regionale non  possa  intervenire  a
disciplinarla,  anche  in  relazione  agli  ambiti  territoriali   di
riferimento, e financo a conformarla in nome della verifica  e  della
protezione  di  concorrenti  interessi  generali  collegati   a   una
valutazione  piu'  ampia  delle  esigenze  diffuse   sul   territorio
(sentenza n. 378 del 2000). 
    Anche dopo  l'approvazione  della  riforma  del  Titolo  V  della
Costituzione,  infatti,  questa  Corte  ha  ribadito,  con   riguardo
all'autonomia  dei  Comuni,  che  «essa  non  implica   una   riserva
intangibile di funzioni, ne' esclude che  il  legislatore  competente
possa modulare  gli  spazi  dell'autonomia  municipale  a  fronte  di
esigenze generali che giustifichino ragionevolmente la limitazione di
funzioni gia' assegnate agli enti locali» (sentenza n. 160 del 2016). 
    Non sono mancate occasioni, inoltre, in cui questa Corte ha anche
espressamente escluso che «il "sistema della pianificazione"  assurga
a principio cosi'  assoluto  e  stringente  da  impedire  alla  legge
regionale - che e' fonte normativa  primaria  sovraordinata  rispetto
agli strumenti urbanistici locali - di prevedere interventi in deroga
a tali strumenti» (sentenza n. 245  del  2018;  nello  stesso  senso,
sentenza n. 46 del 2014). 
    La competenza concorrente in materia di governo  del  territorio,
infatti,  abilita  fisiologicamente  la  legislazione   regionale   a
intervenire   nell'ambito   di   disciplina   della    pianificazione
urbanistica; del resto, come correttamente ricorda  la  difesa  della
Regione e delle parti private, e' la stessa norma  che  individua  le
funzioni fondamentali comunali a prevedere che  rimangono  ferme  «le
funzioni di programmazione e di  coordinamento  delle  regioni,  loro
spettanti nelle materie  di  cui  all'articolo  117,  commi  terzo  e
quarto, della Costituzione» (art. 14, comma 27, del d.l.  n.  78  del
2010, come sostituito dall'art. 19, comma 1, lettera a, del  d.l.  n.
95 del 2012, come convertito). 
    12.5.- All'interno del delicato rapporto tra l'autonomia comunale
e quella regionale, tuttavia, questa Corte ha avuto modo di precisare
anche che  «il  potere  dei  comuni  di  autodeterminarsi  in  ordine
all'assetto  e  alla  utilizzazione  del   proprio   territorio   non
costituisce elargizione che le regioni, attributarie di competenza in
materia urbanistica siano libere di compiere» (sentenza  n.  378  del
2000) e che la suddetta competenza regionale  «non  puo'  mai  essere
esercitata in modo che ne risulti vanificata l'autonomia dei  comuni»
(sentenza n. 83 del 1997). 
    Su   questo   piano,   e'   quindi   richiesto   uno    scrutinio
particolarmente rigoroso laddove la normativa regionale non si limiti
a conformare, mediante previsioni normative alle quali i Comuni  sono
tenuti a uniformarsi, le previsioni urbanistiche nell'esercizio della
competenza concorrente in tema  di  governo  del  territorio,  quanto
piuttosto comprima l'esercizio stesso della potesta'  pianificatoria,
come nel caso di specie, paralizzandola per un periodo temporale. 
    In questi casi, dove emerge  come  il  punto  di  equilibrio  tra
regionalismo e municipalismo non sia  stato  risolto  una  volta  per
tutte dal riformato impianto del  Titolo  V  della  Costituzione,  il
giudizio di costituzionalita' non  ricade  tanto,  in  via  astratta,
sulla legittimita' dell'intervento del legislatore regionale, quanto,
piuttosto, su una valutazione in concreto, in ordine  alla  «verifica
dell'esistenza  di  esigenze  generali  che  possano  ragionevolmente
giustificare le disposizioni legislative  limitative  delle  funzioni
gia' assegnate agli enti locali» (sentenza n. 286 del 1997). 
    Viene quindi  in  causa  il  variabile  livello  degli  interessi
coinvolti,  cui  ha  riconosciuto  specifica  valenza  costituzionale
l'affermazione del  principio  di  sussidiarieta'  verticale  sancito
nell'art. 118 Cost., che porta questa Corte a  valutare,  nell'ambito
di una funzione riconosciuta come  fondamentale  ai  sensi  dell'art.
117, secondo comma, lettera p),  Cost.,  quanto  la  legge  regionale
toglie all'autonomia comunale e quanto di questa residua, in nome  di
quali  interessi  sovracomunali  attua  questa   sottrazione,   quali
compensazioni procedurali essa prevede e per quale periodo  temporale
la dispone. 
    Il giudizio di proporzionalita' deve percio' svolgersi, dapprima,
in astratto sulla legittimita' dello scopo perseguito dal legislatore
regionale e quindi in concreto con  riguardo  alla  necessita',  alla
adeguatezza e al corretto bilanciamento degli interessi coinvolti. 
    Si tratta allora di verificare se  la  norma  di  cui  all'ultimo
periodo dell'art. 5, comma 4, della legge reg. Lombardia  n.  31  del
2014 sia proporzionata rispetto al tipo di interessi coinvolti, e  in
particolare, in questo caso, rispetto alle finalita' affermate, su un
piano piu' generale, dalla stessa legge regionale  in  cui  la  norma
s'inserisce. Se infatti emergesse che la sottrazione ai Comuni  della
potesta' pianificatoria, anziche' costituire il  minimo  mezzo  utile
per perseguire gli scopi del legislatore  regionale,  si  ponesse  in
contraddizione con questi ultimi, si dovrebbe concludere che la norma
verrebbe illegittimamente  a  incidere  sulla  funzione  fondamentale
allocata dal legislatore statale al livello locale. 
    12.6.- A questo riguardo si deve riscontrare innanzitutto che  il
livello  regionale  e'  strutturalmente  quello   piu'   efficace   a
contrastare il fenomeno del consumo di suolo,  perche'  in  grado  di
porre limiti ab externo e generali  alla  pianificazione  urbanistica
locale: del resto proprio in questa direzione, come la Lombardia,  si
sono mosse anche altre Regioni, approvando leggi dirette  a  limitare
il consumo del suolo. 
    Per questo profilo, quindi, lo scopo perseguito  dal  legislatore
regionale rientra, senza dubbio, nell'ambito del legittimo  esercizio
della competenza regionale e di per se'  appare  compatibile  con  la
pianificazione urbanistica locale. 
    D'altro canto, tuttavia, la  norma  impugnata,  precludendo  ogni
modifica al documento di piano quand'anche di carattere riduttivo,  e
percio'  volta  a  contenere  il  consumo  di  suolo,   finisce   per
paralizzare la potesta' pianificatoria del Comune al di la' di quanto
strettamente  necessario  a  perseguire  l'obiettivo,   e   anzi   in
contraddizione con quest'ultimo. 
    La suddetta norma impugnata, come si e' visto, viene  a  bloccare
diacronicamente la potesta' pianificatoria comunale, incidendo su uno
dei suoi elementi piu' rilevanti proprio ai fini del fenomeno che  si
vorrebbe limitare; e', infatti, il documento di piano,  che  contiene
le  scelte  piu'  significative  ai  fini  della  trasformazione  del
territorio: le destinazioni d'uso, gli indici edificatori e  le  aree
soggette a trasformazione (art. 8 della legge reg.  Lombardia  n.  12
del 2005). 
    Poco rileva, a tal fine, quanto evidenzia la difesa  delle  parti
private, ovvero che,  secondo  la  disciplina  regionale,  anche  nel
periodo transitorio, i Comuni rimangono comunque liberi di modificare
il piano delle regole e il piano dei servizi del PGT. 
    Rimane fermo, in  ogni  caso,  che  cristallizzando  i  contenuti
edificatori del documento  di  piano,  la  norma  impugnata  viene  a
sottrarre all'ente locale  la  possibilita'  di  esprimere  un  nuovo
indirizzo politico amministrativo diretto, sia pure,  alla  riduzione
del consumo di suolo. 
    E' ben vero quanto ancora afferma la difesa delle  stesse  parti,
ovvero che la norma censurata "non  sceglie  al  posto"  dei  singoli
Comuni lombardi,  sostituendo  cioe'  direttamente  una  specifica  e
diversa decisione regionale a quelle che questi hanno assunto, bensi'
produce solo l'effetto di  mantenerli  coerenti  alla  pianificazione
territoriale che questi stessi hanno, in  un  determinato  momento  e
fino all'entrata in vigore della legge regionale, compiuto. 
    Tuttavia, se da un lato  e'  corretto  affermare  che,  anche  da
questo punto di vista, i Comuni non vengono  completamente  spogliati
di una loro funzione fondamentale,  dall'altro  e'  evidente  che  la
norma  impugnata,   all'interno   della   complessiva   funzione   di
pianificazione  urbanistica  comunale,  ne  ritaglia  uno   specifico
contenuto, quello della potestas variandi e  la  sottrae  ai  Comuni,
ritenendoli inidonei a svolgerla in nome di una esigenza di esercizio
unitario rispondente a non ben definiti interessi generali. 
    Incidendo sul principio  di  inesauribilita'  della  funzione  di
pianificazione urbanistica, la norma regionale  priva  quindi  l'ente
locale di una quota rilevante della suddetta  funzione  fondamentale,
che, al  di  la'  di  letture  minimalistiche,  e'  diretta,  secondo
l'orientamento ormai uniforme  della  giurisprudenza  amministrativa,
non solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli,  ma
anche allo sviluppo complessivo e armonico del territorio, nonche'  a
realizzare finalita' economico-sociali  della  comunita'  locale,  in
attuazione  di  valori  costituzionalmente   tutelati   (da   ultimo,
Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenze 9 maggio 2018, n.  2780,
22 febbraio 2017, n. 821 e 10 maggio 2012, n. 2710). 
    La rigidita' insita nella  norma  censurata  e'  quindi  tale  da
incidere in modo non proporzionato sull'autonomia  dell'ente  locale,
non  solo  perche'  impedisce   la   rivalutazione   delle   esigenze
urbanistiche in  precedenza  espresse  (che  peraltro,  in  astratto,
potevano anche provenire da maggioranze politiche locali  diverse  da
quelle poi in carica), ma soprattutto perche', al  tempo  stesso,  la
preclude quando questa  sia  rivolta  alla  protezione  degli  stessi
interessi generali sottostanti alle finalita' di  fondo  della  legge
regionale e quindi coerenti con queste. 
    In sostanza, l'enunciato  censurato,  cristallizzando  le  scelte
urbanistiche in vigore al  momento  dell'intervento  del  legislatore
regionale, paradossalmente, comporta un giudizio di inadeguatezza del
Comune a esercitare la potestas variandi anche quando questo  intenda
svolgerla  nella  stessa  direzione  dei  principi  di  coordinamento
fissati dal legislatore regionale, ma  "in  anticipo"  rispetto  alla
prevista applicazione a regime. 
    La sola  giustificazione  a  fondamento  dell'esercizio  unitario
regionale della quota di funzione sottratta ai Comuni  sembra  allora
essere quella - affermata dalla difesa regionale e da quella  privata
- di tutelare l'affidamento dei soggetti coinvolti al mantenimento di
determinate previsioni urbanistiche. Tuttavia nemmeno tale  argomento
e' dirimente all'interno del giudizio di  proporzionalita',  anzi  si
dimostra palesemente inconferente perche' in materia urbanistica tale
affidamento e' normalmente ritenuto tutelabile, dalla  giurisprudenza
amministrativa,  solo  a  fronte  di   convenzioni   gia'   stipulate
(Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenze 12 maggio 2016, n. 1907
e 7 novembre 2012, n. 5665, oltre alle pronunce richiamate supra); la
norma in questione, invece, verrebbe a garantirlo in un momento molto
anteriore rispetto a quello in cui matura un'aspettativa  qualificata
al mantenimento della destinazione urbanistica. 
    Nella valutazione di proporzionalita'  deve  essere  considerata,
inoltre, la durata della sottrazione della potestas variandi  che  la
norma censurata impone ai Comuni: questa, come si e'  visto,  non  e'
assistita da un termine certo e congruo; il periodo della sottrazione
risulta,  infatti,  in  ultima  analisi  rimesso,  per  effetto   del
combinato disposto dei commi 4 e  9  dell'art.  5  della  legge  reg.
Lombardia  n.  31  del  2014,  alla  discrezionalita'  della  Regione
nell'approvare l'adeguamento del PTR. 
    Infine, occorre anche considerare che  a  fronte  della  suddetta
limitazione, che rende i Comuni meri  esecutori  di  una  valutazione
compiuta dal livello di  governo  superiore,  non  viene  prevista  a
favore dei primi alcuna possibilita' di una  motivata  interlocuzione
con il secondo, in contrasto con quanto questa Corte ha affermato  in
ordine  alla  necessita'  di  «garantire   agli   stessi   forme   di
partecipazione  ai  procedimenti  che  ne  condizionano  l'autonomia»
(sentenza n. 126 del 2018). 
    Nemmeno,  da  ultimo,  puo'  acquistare  consistenza  l'argomento
addotto dalla difesa della  Regione  in  ordine  alla  necessita'  di
"fotografare" la  situazione  pianificatoria  comunale,  al  fine  di
procedere con il PTR a indicare le soglie di riduzione  assegnate  ai
singoli Comuni; dirimente  al  riguardo  e'  quanto  affermato  dalla
difesa dell'ANCI: quando lo stesso legislatore regionale, modificando
la disciplina transitoria con la legge reg. Lombardia n. 16 del 2017,
ha  eliminato  il  vincolo  di  immodificabilita'  delle   previsioni
espansive del documento di piano, si e' dimostrato  per  tabulas  che
per l'integrazione del piano regionale non era  ne'  necessario,  ne'
rilevante conservare immutate le previsioni dei piani comunali. 
    12.7.- Si deve quindi  concludere  che  la  norma  impugnata  non
supera,  ai  sensi  del  legittimo   esercizio   del   principio   di
sussidiarieta' verticale, il test di  proporzionalita'  con  riguardo
all'adeguatezza   e   necessarieta'   della    limitazione    imposta
all'autonomia comunale in merito a una funzione amministrativa che il
legislatore  statale  ha  individuato  come  connotato   fondamentale
dell'autonomia  comunale.  Essa  pertanto  deve   essere   dichiarata
costituzionalmente illegittima nella parte in  cui  non  consente  ai
Comuni di apportare varianti che riducono le previsioni e i programmi
edificatori nel documento di piano vigente.