ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  11,  comma
4-bis, del decreto-legge 28 dicembre 2013,  n.  149  (Abolizione  del
finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e  la
democraticita'  dei  partiti   e   disciplina   della   contribuzione
volontaria  e  della  contribuzione  indiretta   in   loro   favore),
convertito, con modificazioni, in legge  21  febbraio  2014,  n.  13,
promosso dalla Commissione tributaria di primo grado di  Trento,  nel
procedimento vertente tra Sergio Divina e l'Agenzia delle  entrate  -
Direzione provinciale di Trento, con ordinanza del 4  dicembre  2014,
iscritta al n. 19 del registro  ordinanze  2019  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  8,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  5  giugno  2019  il  Giudice
relatore Luca Antonini. 
    Ritenuto che con ordinanza del 4 dicembre 2014, iscritta al n. 19
del reg. ord. 2019, la  Commissione  tributaria  di  primo  grado  di
Trento ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma,  e  67
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 11, comma 4-bis, del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149
(Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni  per  la
trasparenza e  la  democraticita'  dei  partiti  e  disciplina  della
contribuzione volontaria e  della  contribuzione  indiretta  in  loro
favore), convertito, con modificazioni, in legge 21 febbraio 2014, n.
13, a norma del quale «[a]  partire  dall'anno  di  imposta  2007  le
erogazioni  in  denaro  effettuate  a  favore  di  partiti  politici,
esclusivamente tramite bonifico  bancario  o  postale  e  tracciabili
secondo  la  vigente  normativa  antiriciclaggio,   devono   comunque
considerarsi detraibili ai sensi dell'articolo 15, comma  1-bis,  del
testo unico di cui al decreto  del  Presidente  della  Repubblica  22
dicembre 1986, n. 917 [Approvazione del testo unico delle imposte sui
redditi]»; 
    che le questioni sono sorte nel corso di un  giudizio  tributario
promosso dal sig. Sergio Divina avverso  un  avviso  di  accertamento
dell'Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Trento; 
    che il rimettente premette, in punto di fatto,  che  l'avviso  di
accertamento impugnato concerne  una  maggiore  imposta  sul  reddito
delle persone fisiche (IRPEF) per l'anno di imposta  2008,  accertata
«per  effetto  del  disconoscimento  della  natura   di   "erogazioni
liberali" - e quindi della detraibilita'  dall'imposta  nella  misura
del 19% ai sensi dell'art. 15, comma 1-bis, d.P.R. 22.12.1986, n. 917
[...] - delle somme di denaro versate in quell'anno  di  imposta  dal
ricorrente» in favore del partito politico di appartenenza; 
    che, ancora in punto di  fatto,  il  rimettente  osserva  che  il
contribuente, nel ricorso introduttivo, ha sollevato varie  questioni
pregiudiziali di  merito,  tra  cui  la  contestazione  dell'«assunto
dell'Ufficio,  secondo  cui  si  sarebbe   costituito   un   rapporto
sinallagmatico» con il partito politico e, in ordine gradato rispetto
a tali difese, l'affermazione per cui «la detraibilita' dall'imposta,
nella misura del 19%, delle somme [...]  versate  dal  ricorrente  in
favore del partito politico [...] nel 2008, prescinde dalla natura di
atto di liberalita' delle erogazioni» per  effetto  del  comma  4-bis
dell'art. 11 del d.l. n. 149 del 2014; 
    che dall'ordinanza di  rimessione  risulta  che  l'Agenzia  delle
entrate  ha  replicato  deducendo,   in   particolare   quanto   alla
detraibilita' dall'IRPEF dell'erogazione effettuata dal contribuente:
a) che «di solito, oltre all'atto di donazione, il  candidato  ed  il
partito  [...]  stipulavano  un   accordo   in   cui   si   affermava
espressamente che il versamento delle somme del candidato al  partito
avveniva in correlazione con "le obbligazioni assunte"»  dal  partito
stesso; b) che cio' «esclude in  radice  lo  spirito  di  liberalita'
(inteso come mera e spontanea elargizione fine  a  se  stessa)  e  la
detraibilita'  ai  sensi  dell'art.  15  co.  1bis  d.lgs.   [d.P.R.]
917/1986»;  c)  che  in  difetto   del   carattere   di   liberalita'
dell'erogazione non puo'  trovare  applicazione  neanche  l'art.  11,
comma 4-bis, del d.l. n. 149 del 2013, sia in ragione  della  rubrica
dell'articolo «Detrazioni per le erogazioni  liberali  in  denaro  in
favore di partiti politici», sia perche', diversamente interpretando,
si ammetterebbe «una sorta di sanatoria rispetto alle erogazioni  non
connotate da spirito di liberalita'»; 
    che il giudice tributario rimettente, non condividendo  l'assunto
dell'Agenzia   delle   entrate,   muove   dal   diverso   presupposto
interpretativo che il citato art. 11 comma 4-bis del d.l. n. 149  del
2013 non richiede il requisito della liberalita', con cio' «ponendosi
in evidente rapporto di specialita' con l'art. 15, comma 1 bis d.P.R.
917/1986 [che dispone la detraibilita' delle sole erogazioni liberali
in denaro effettuate a favore  di  partiti  e  movimenti  politici]»,
poiche',  diversamente,  «la  norma  si   presenterebbe   del   tutto
superflua, limitandosi a ribadire il contenuto  precettivo  dell'art.
15 co. 1bis d.P.R.  1986/917  [...]  in  evidente  contrasto  con  la
volonta' del legislatore, il quale - come si evince chiaramente dalla
manca[t]a  apposizione  al  sostantivo  "erogazioni"   dell'aggettivo
"liberali",  sia  dalla  locuzione  "devono   comunque   considerarsi
detraibili" - invece ha inteso estendere la sfera di applicazione (in
origine limitata alle "erogazioni liberali") dell'art.  15  co.  1bis
d.P.R. 917/1986»; 
    che a detta del giudice  a  quo  tale  interpretazione  non  muta
considerando la rubrica del menzionato art.  11  (Detrazioni  per  le
erogazioni liberali in denaro in  favore  di  partiti  politici),  in
quanto  priva  di  uno  specifico  valore   ermeneutico   soprattutto
trattandosi di novella in sede di conversione di un decreto legge; 
    che proprio in forza della suddetta interpretazione il rimettente
solleva d'ufficio questioni di legittimita' costituzionale del citato
art. 11, comma 4-bis, del d.l. n. 149 del 2013, inserito dalla  legge
di conversione n. 13 del 2014, «nella parte in cui  -  in  violazione
dell'art. 3 co. 1 e dell'art. 67  Cost.  -  consente  ai  membri  del
Parlamento,  a  partire  dall'anno  di  imposta  2007,  di   detrarre
dall'imposta lorda sui redditi un importo pari al 19 per cento per le
erogazioni in denaro anche se non liberali effettuate  in  favore  di
partiti e movimenti politici per importi compresi tra 100.000  e  200
milioni di lire (ossia tra 51,65 e 103.291,38 euro)»; 
    che in punto di rilevanza - motivate le ragioni dell'infondatezza
delle questioni pregiudiziali prospettate dal ricorrente nel giudizio
principale e premessa l'incontestata  stipula  di  «un  contratto  di
donazione mediante  il  quale  [il  contribuente]  ha  assunto  [...]
l'obbligo  di  donare»  al  partito  politico  una  somma  di  denaro
complessiva da versarsi in rate mensili  nel  periodo  corrispondente
alla durata dell'eventuale mandato parlamentare nel caso di  elezione
- il rimettente, a confutazione della natura liberale di  tale  atto,
richiama  la  disciplina  del  codice  civile  sul  fondamento  e  la
validita' della donazione (artt. 769, 771 e 772 del  codice  civile),
per concludere che, nella specie, dette  erogazioni  in  denaro  «non
possono essere considerate "erogazioni liberali" secondo  l'accezione
ex art. 15 co 1bis d.P.R. 917/1986»; 
    che, sulla scorta della predetta  interpretazione  dell'art.  11,
comma 4-bis, del d.l. n. 149 del 2013, il giudice a quo  ritiene  che
il  giudizio  non  possa  essere  definito  indipendentemente   dalla
soluzione delle suddette questioni di legittimita' costituzionale «in
quanto,  applicando  la  norma  oggetto  dello  scrutinio  richiesto,
meriterebbe  accoglimento  il  ricorso  proposto»  dal   contribuente
avverso l'avviso di accertamento; 
    che  in  punto  di  non  manifesta  infondatezza  il   rimettente
argomenta preliminarmente  dall'art.  67  Cost.  affermando  che  «il
divieto di mandato imperativo  persegue  la  finalita'  di  garantire
l'assoluta indipendenza dei membri del Parlamento  da  influenza,  da
qualunque parte  provenga  (quindi  anche  dai  partiti  politici  di
appartenenza  che  costituiscono  una  sorta  di  organo  intermedio,
previsto dall'art. 49 Cost., tra popolo e rappresentanti)»; 
    che, ad avviso del rimettente, l'art. 11, comma 4-bis,  del  d.l.
n. 149  del  2013,  consentendo  la  detraibilita'  dall'imposta  sui
redditi di una quota delle erogazioni in denaro a favore dei  partiti
politici «anche se effettuati da membri dal  Parlamento  e  senza  la
necessaria presenza  dello  spirito  di  liberalita'  (come,  invece,
richiesto dalla norma generale ex art. 15 co. 1bis d.P.R.  917/1986),
presuppone ed, anzi, favorisce l'instaurazione di rapporti  giuridici
di credito tra i partiti politici ed i membri del Parlamento»; 
    che proprio «l'esistenza a carico del parlamentare di  debiti  di
natura giuridica  nei  confronti  di  un  partito  politico,  con  la
conseguente  responsabilita'  patrimoniale  di  natura  personale   e
l'assoggettamento a possibili azioni di esecuzione forzata, introduce
nelle  relazioni  tra  parlamentare  e   partito   politico   fattori
potenzialmente   distorsivi   in   quanto   estranei   al    rapporto
rappresentativo», in violazione del divieto di mandato imperativo  di
cui all'art. 67 Cost.; 
    che, a detta del rimettente, l'art. 11, comma 4-bis, del d.l.  n.
149 del 2013 si pone, «altresi', in contrasto» con  il  principio  di
eguaglianza sancito  al  primo  comma  dell'art.  3  Cost.,  «laddove
consente indiscriminatamente a chiunque di detrarre dall'imposta  sui
redditi una quota delle  erogazioni  a  favore  di  partiti  politici
effettuate senza spirito di liberalita' e  quindi  in  esecuzione  di
obblighi giuridici, omettendo di considerare la peculiare  situazione
in cui versano, per effetto del  divieto  di  mandato  imperativo,  i
membri del Parlamento»; 
    che, a  quanto  deduce  il  rimettente,  l'evidente  rapporto  di
antinomia con l'art. 67 Cost., «che, nel  caso  in  esame,  funge  da
tertium   comparationis»,   configura   «la   possibilita'   di   una
manipolazione "a rime obbligate" della norma impugnata»; 
    che, secondo il giudice a quo,  la  lesione  dell'art.  3,  primo
comma, Cost., sarebbe avvalorata sotto un ulteriore profilo,  poiche'
l'introduzione della disposizione in sede di conversione del  decreto
legge e la coincidenza tra l'efficacia retroattiva della norma  e  il
tempo a disposizione dell'Amministrazione finanziaria per l'esercizio
del potere di  accertamento  «fa  dubitare  persino  degli  effettivi
caratteri di generalita' ed astrattezza della norma impugnata»; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  per
chiedere che le questioni vengano dichiarate inammissibili o comunque
manifestamente infondate; 
    che, in via preliminare,  secondo  l'Avvocatura  dello  Stato  le
considerazioni sviluppate nell'ordinanza di rimessione sono  volte  a
mettere  in  discussione  non  tanto  il  trattamento  fiscale  delle
elargizioni in esame, quanto la stessa prassi, utilizzata in  passato
da alcuni partiti politici, di finanziarsi stipulando  contratti  del
tipo di quello dedotto dal contribuente nel giudizio principale; 
    che, ancora ad avviso dell'Avvocatura, la  censura  in  relazione
all'art. 67 Cost. e' da  considerarsi  inammissibile  in  quanto  «si
colloca in una sfera del tutto estranea all'ambito  della  norma  ora
scrutinata, la quale si limita a  disciplinare  solo  il  trattamento
fiscale  del  fenomeno  che  il  rimettente  e'  andato   censurando,
concernendo  effetti  che  costituiscono,  sul   piano   logico,   un
"posterius" rispetto alla contestata "donazione" [...], sicche' -  se
pure fosse espunta dall'ordinamento la norma ora in esame che prevede
il beneficio fiscale della detrazione - non potrebbe essere raggiunto
il risultato, auspicato dal  giudice  rimettente,  di  assicurare  un
pieno rispetto dell'art. 67 Cost. nella misura in cui  non  vi  fosse
nell'ordinamento una disposizione  normativa  volta  a  vietare  tout
court simili "donazioni" dei parlamentari o candidati  al  Parlamento
in favore dei partiti politici»; 
    che, sotto un profilo piu' generale,  l'Avvocatura,  dando  conto
dell'evoluzione normativa che ha condotto  all'abrogazione  dell'art.
15, comma 1-bis, del d.P.R. n. 917 del 1986  a  fronte  dell'autonoma
previsione dell'art. 11, comma 4-bis,  del  d.l.  n.  149  del  2013,
ritiene che l'attuale disciplina, anche fiscale, delle  contribuzioni
volontarie ai partiti politici debba essere valutata in relazione  al
complesso della riforma trovando  cosi'  il  suo  «non  irragionevole
fondamento [...] in un'ottica di trasparenza»  e  che  «il  riscontro
dell'eventuale violazione del parametro di cui all'art. 3 della Cost.
deve essere effettuato in relazione al suddetto specifico contesto»; 
    che,  pertanto,  ad  avviso  dell'Avvocatura  dello   Stato,   le
questioni  di  costituzionalita'  formulate   «con   riferimento   al
principio  di  ragionevolezza»   debbono   ritenersi   manifestamente
infondate poiche' si tratterebbe di uno  scrutinio  che  direttamente
investe il merito delle  scelte  del  legislatore,  possibile  -  per
costante giurisprudenza - solo qualora l'opzione normativa  contrasti
in modo manifesto con il canone della ragionevolezza  (e'  citata  la
sentenza n. 313 del 1995); 
    che, infine, l'Avvocatura dello  Stato  -  ricordato  che  questa
Corte,  con  l'ordinanza  n.  244  del  2017   ha   gia'   dichiarato
manifestamente  inammissibili  questioni,  in  parte  non  dissimili,
relative al citato art. 11, comma 4-bis, del d.l. n.  149  del  2013,
osservando  che  «il  giudice  a  quo  avrebbe  dovuto   dare   conto
dell'esistenza, quantomeno, del secondo periodo  del  comma  4-bis  e
fornire adeguata motivazione in ordine alle ragioni per le  quali  la
disciplina  in  esso  contenuta  sarebbe  da  ritenere,  in  ipotesi,
inapplicabile nel caso di specie» - ritiene che, sia pure per ragioni
e in relazione a circostanze diverse, anche  nel  caso  in  esame  si
palesa   una   carenza   di   indagine   che   depone    nel    senso
dell'inammissibilita' delle questioni. 
    Considerato che con ordinanza del 4 dicembre 2014, iscritta al n.
19 del reg. ord. 2019, la Commissione tributaria di  primo  grado  di
Trento ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma,  e  67
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 11, comma 4-bis, del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149
(Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni  per  la
trasparenza e  la  democraticita'  dei  partiti  e  disciplina  della
contribuzione volontaria e  della  contribuzione  indiretta  in  loro
favore), inserito dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 13,
a  norma  del  quale  «[a]  partire  dall'anno  di  imposta  2007  le
erogazioni  in  denaro  effettuate  a  favore  di  partiti  politici,
esclusivamente tramite bonifico  bancario  o  postale  e  tracciabili
secondo  la  vigente  normativa  antiriciclaggio,   devono   comunque
considerarsi detraibili ai sensi dell'articolo 15, comma  1-bis,  del
testo unico di cui al decreto  del  Presidente  della  Repubblica  22
dicembre 1986, n. 917 [Approvazione del testo unico delle imposte sui
redditi]»; 
    che le questioni sono sorte nel corso di un  giudizio  tributario
promosso avverso un avviso  di  accertamento  concernente  -  secondo
quanto dedotto dal rimettente -  una  maggiore  imposta  sul  reddito
delle persone fisiche (IRPEF) per l'anno di imposta  2008,  accertata
«per  effetto  del  disconoscimento  della  natura   di   "erogazioni
liberali" - e quindi della detraibilita'  dall'imposta  nella  misura
del 19% ai sensi dell'art. 15, comma 1-bis, d.P.R. 22.12.1986, n. 917
[...] - delle somme di denaro versate in quell'anno  di  imposta  dal
ricorrente» in favore del partito politico di appartenenza; 
    che in punto di rilevanza il rimettente, dopo aver  adeguatamente
motivato le ragioni dell'infondatezza delle  questioni  pregiudiziali
sollevate  dal  contribuente,  esclude  lo  spirito  di   liberalita'
dell'incontestata  stipula  del  «contratto  di  donazione»  tra   il
contribuente-candidato e il partito di appartenenza; 
    che,   pertanto,   il   rimettente,    disattesa    la    diversa
interpretazione prospettata dall'Agenzia  delle  entrate,  muove  dal
presupposto interpretativo che il citato art. 11,  comma  4-bis,  del
d.l. n. 149 del 2013 non richiede il requisito della liberalita'; 
    che sulla scorta della  predetta  interpretazione  dell'art.  11,
comma 4-bis, del d.l. n. 149 del 2013, il giudice a quo conclude  che
il   giudizio   non   possa   essere    definito    indipendentemente
dall'applicazione della norma censurata; 
    che proprio in forza  di  questa  interpretazione  il  rimettente
solleva d'ufficio questioni di legittimita' costituzionale del citato
art. 11, comma 4-bis, del d.l. n. 149 del 2013, inserito dalla  legge
di conversione n. 13 del 2014, «nella parte in cui  -  in  violazione
dell'art. 3 co. 1 e dell'art. 67  Cost.  -  consente  ai  membri  del
Parlamento,  a  partire  dall'anno  di  imposta  2007,  di   detrarre
dall'imposta lorda sui redditi un importo pari al 19 per cento per le
erogazioni in denaro anche se non liberali effettuate  in  favore  di
partiti e movimenti politici per importi compresi tra 100.000  e  200
milioni di lire (ossia tra 51,65 e 103.291,38 euro)»; 
    che, ad avviso del rimettente, l'art. 11, comma 4-bis,  del  d.l.
n. 149  del  2013,  consentendo  la  detraibilita'  dall'imposta  sui
redditi di una quota delle erogazioni in denaro a favore dei  partiti
politici «anche se effettuati da membri dal  Parlamento  e  senza  la
necessaria presenza  dello  spirito  di  liberalita'  (come,  invece,
richiesto dalla norma generale ex art. 15 co. 1bis d.P.R.  917/1986),
presuppone ed, anzi, favorisce l'instaurazione di rapporti  giuridici
di credito tra i partiti politici ed i membri del Parlamento»; 
    che, a detta del rimettente, l'art. 11, comma 4-bis, del d.l.  n.
149 del 2013 si pone, «altresi', in contrasto» con  il  principio  di
eguaglianza sancito  al  primo  comma  dell'art.  3  Cost.,  «laddove
consente indiscriminatamente a chiunque di detrarre dall'imposta  sui
redditi una quota delle  erogazioni  a  favore  di  partiti  politici
effettuate senza spirito di liberalita' e  quindi  in  esecuzione  di
obblighi giuridici, omettendo di considerare la peculiare  situazione
in cui versano, per effetto del  divieto  di  mandato  imperativo,  i
membri del Parlamento»; 
    che, nella prospettiva del  rimettente,  l'evidente  rapporto  di
antinomia con l'art. 67 Cost. «che,  nel  caso  in  esame,  funge  da
tertium   comparationis»,   configura   «la   possibilita'   di   una
manipolazione "a rime obbligate" della norma impugnata»; 
    che, secondo il giudice a quo,  la  lesione  dell'art.  3,  primo
comma, Cost., sarebbe avvalorata sotto un ulteriore profilo,  poiche'
l'introduzione della disposizione in sede di conversione del  decreto
legge e la coincidenza tra l'efficacia retroattiva della norma  e  il
tempo a disposizione dell'Amministrazione finanziaria per l'esercizio
del potere di  accertamento  «fa  dubitare  persino  degli  effettivi
caratteri di generalita' ed astrattezza della norma impugnata»; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  per
chiedere che le questioni vengano dichiarate inammissibili o comunque
manifestamente infondate; 
    che, ad avviso dell'Avvocatura generale,  «[l]'effettiva  portata
della disposizione contenuta nell'art.  11  co.  4  bis  deve  essere
valutata in relazione al contesto complessivo della legge di riforma»
volta all'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti politici; 
    che, in questa prospettiva, l'Avvocatura ha inoltre ricordato che
questa Corte con l'ordinanza n. 244 del 2017 ha  gia'  dichiarato  la
manifesta inammissibilita' di  questioni,  in  parte  non  dissimili,
relative al citato art. 11, comma 4-bis, del d.l. n.  149  del  2013,
osservando  che  «il  giudice  a  quo  avrebbe  dovuto   dare   conto
dell'esistenza, quantomeno, del secondo periodo  del  comma  4-bis  e
fornire adeguata motivazione in ordine alle ragioni per le  quali  la
disciplina  in  esso  contenuta  sarebbe  da  ritenere,  in  ipotesi,
inapplicabile nel caso di specie»; 
    che l'Avvocatura dello Stato ritiene che, «sia pure per ragioni e
in  relazione  a  circostanze  diverse  da  quelle  esaminate   nella
richiamata ord. 244/2017, anche nel  caso  in  esame  si  palesa  una
carenza di indagine» che depone nel senso dell'inammissibilita' delle
questioni; 
    che, in effetti,  successivamente  all'ordinanza  di  rimessione,
l'art. 1, comma 141, della legge 23 dicembre 2014,  n.  190,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di  stabilita'  2015)»,  ha  aggiunto  un  secondo
periodo al comma 4-bis del citato art. 11, ai sensi del  quale  «[l]e
medesime erogazioni continuano a considerarsi detraibili ai sensi del
citato articolo  15,  comma  1-bis,  ovvero  ai  sensi  del  presente
articolo, anche quando i relativi versamenti sono  effettuati,  anche
in forma di donazione, dai candidati  e  dagli  eletti  alle  cariche
pubbliche in conformita'  a  previsioni  regolamentari  o  statutarie
deliberate  dai  partiti  o  movimenti  politici  beneficiari   delle
erogazioni medesime»; 
    che  tale  disposizione  ha  chiaramente  efficacia   retroattiva
riferendosi alle «medesime erogazioni» di cui al primo periodo  dello
stesso comma 4-bis,  ovverossia  quelle  in  denaro,  tracciabili,  a
favore dei partiti politici «[a] partire dall'anno di imposta 2007»; 
    che tale efficacia retroattiva trova conferma  nella  circostanza
che il legislatore, nella formulazione del cennato  secondo  periodo,
ha operato un rinvio all'abrogato (a decorrere dal 1°  gennaio  2014)
art. 15, comma 1-bis, del t.u. imposte reddito per il passato, e  «ai
sensi del presente articolo» [id est: art. 11, comma 2, del  d.l.  n.
149 del 2013] a regime; 
    che il sopravvenuto secondo periodo del comma 4-bis dell'art.  11
del d.l. n. 149 del 2013, nel disporre che «continuano a considerarsi
detraibili» i versamenti in denaro, tracciabili, effettuati «anche in
forma di  donazione,  dai  candidati  e  dagli  eletti  alle  cariche
pubbliche, in conformita' a  previsioni  regolamentari  o  statutarie
deliberate  dai  partiti  politici   beneficiari   delle   erogazioni
medesime», ha arricchito il quadro normativo rilevante; 
    che nell'ordinanza di  rimessione  il  giudice  a  quo  definisce
«incontestato» che il ricorrente nel giudizio principale -  candidato
- ha stipulato  con  il  partito  di  riferimento  un  «contratto  di
donazione», pur confutandone la natura di erogazione liberale; 
    che in forza della  retroattivita'  dello  ius  superveniens,  si
impone il riesame della perdurante rilevanza delle questioni da parte
del  rimettente,  al  quale  compete  valutare  se   la   fattispecie
"donazione interessata" dedotta nel giudizio a quo possa accedere  al
regime di detraibilita'; 
    che  tale  conclusione  appare  del  tutto  coerente  con  quanto
stabilito dall'ordinanza n. 244 del 2017, che -  con  riferimento  ad
una questione  relativa  all'anno  di  imposta  2007  -  ha  ritenuto
determinante che il vaglio del rimettente si estendesse al menzionato
secondo periodo del comma 4-bis dell'art. 11  del  d.l.  n.  149  del
2013; 
    che  va  disposta,  pertanto,  la  restituzione  degli  atti   al
rimettente per una nuova valutazione della rilevanza delle  questioni
sollevate, alla  luce  del  mutato  quadro  normativo  (ex  plurimis,
ordinanze n. 154 del 2018, n. 266 del 2015, n. 253 del 2014,  n.  316
del 2012, n. 458 del 2006). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
67, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale