ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 250 e 449
del codice civile, degli artt. 29,  comma  2,  e  44,  comma  1,  del
decreto del Presidente della  Repubblica  3  novembre  2000,  n.  396
(Regolamento per la revisione e la  semplificazione  dell'ordinamento
dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della legge 15
maggio 1997, n. 127), e degli artt. 5 e 8  della  legge  19  febbraio
2004,  n.  40  (Norme  in  materia   di   procreazione   medicalmente
assistita),  promosso  dal   Tribunale   ordinario   di   Pisa,   nel
procedimento vertente tra D.E. R. e altri e il Sindaco del Comune  di
Pisa, con ordinanza del 15 marzo 2018, iscritta al n. 69 del registro
ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 19, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visti gli atti di costituzione di D.E. R. e altra,  dell'avvocato
David Cerri, quale curatore speciale del minore R.G.R. R.G.,  nonche'
l'atto di intervento ad  adiuvandum  dell'Avvocatura  per  i  diritti
LGBTI, e gli atti  di  intervento  ad  opponendum  del  Centro  Studi
"Rosario Livatino" e della libera associazione di volontariato  "Vita
e'"; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  9  ottobre  2019  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli; 
    uditi gli  avvocati  Stefano  Chinotti  per  l'Avvocatura  per  i
diritti  LGBTI,  Simone  Pillon  per  la   libera   associazione   di
volontariato "Vita e'", Francesca Salvadorini  per  l'avvocato  David
Cerri, quale curatore speciale del minore R.G.R.  R.G.,  e  Alexander
Schuster per D.E. R. e altra. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Nel corso di un giudizio civile -  nel  quale  una  cittadina
statunitense e una cittadina italiana, «in proprio e nella dichiarata
qualita'  di  genitori  del  figlio  minore»  (nato   a   Pontedera),
lamentavano che «l'ufficiale dello stato civile del Comune di Pisa si
era rifiutato  di  ricevere  la  dichiarazione  di  nascita  espressa
congiuntamente dalla ricorrente cittadina  statunitense  quale  madre
gestazionale, e  dalla  ricorrente  cittadina  italiana  quale  madre
intenzionale, in  forza  del  consenso  alla  fecondazione  eterologa
(avvenuta in Danimarca)»  -  l'adito  Tribunale  ordinario  di  Pisa,
sezione civile, in composizione collegiale, ritenutane  la  rilevanza
al fine del decidere, ha  sollevato,  con  l'ordinanza  in  epigrafe,
«questione di legittimita' costituzionale della norma che si  desume»
dagli artt. 449 del codice civile; 29, comma 2, e 44, comma 1 (omesso
in  dispositivo  ma  indicato  in  motivazione),  del   decreto   del
Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento  per
la  revisione  e  la  semplificazione  dell'ordinamento  dello  stato
civile, a norma dell'articolo 2, comma  12,  della  legge  15  maggio
1997, n. 127); 250 cod. civ.; 5 e 8 della legge 19 febbraio 2004,  n.
40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita),  «nella
parte in cui non consente di formare in Italia un atto di nascita  in
cui  vengano  riconosciute  come  genitori   di   un   cittadino   di
nazionalita' straniera due persone  dello  stesso  sesso,  quando  la
filiazione sia stabilita sulla base della legge applicabile  in  base
all'art. 33 legge 218/95». 
    Il giudice a quo premette in fatto che, nella specie,  il  minore
e', come la propria madre biologica, cittadino del  Wisconsin,  Stato
per il quale «la madre intenzionale, che  [...]  e'  sposata  con  la
madre gestazionale, e ha dato per iscritto il proprio  consenso  alla
procreazione medicalmente assistita, e' genitore del minore». 
    Ritiene poi, pero', che la norma, che  si  desume  dal  combinato
disposto delle disposizioni denunciate,  impedirebbe  di  formare  in
Italia  un  atto  di  nascita  che  riconosca  al  minore  la  doppia
genitorialita' same sex, cui  egli  avrebbe  diritto  come  cittadino
statunitense, sulla base della legge nazionale che dovrebbe viceversa
trovare applicazione anche in Italia,  ex  art.  33  della  legge  31
maggio  1995,  n.  218  (Riforma  del  sistema  italiano  di  diritto
internazionale privato). 
    Da qui il sospettato suo contrasto: 
    «1) con gli artt. 2 e 3, Cost.,  perche'  in  modo  irragionevole
limita il diritto di  persone  che,  in  base  alla  legge  straniera
applicabile, sono legate da un rapporto  di  genitorialità-filiazione
di vedere  riconosciuta  pienamente  in  Italia  la  loro  formazione
sociale; 
    2) con l'art. 3, Cost., per irragionevole discriminazione con  la
situazione in cui il cittadino di nazionalita'  straniera  abbia  due
genitori intenzionali di sesso diverso, nel qual caso  la  formazione
dell'atto di nascita sarebbe possibile, con cio'  ponendo  in  essere
una discriminazione basata sul sesso; 
    3) con gli artt. 3 e 24,  Cost.,  perche'  irragionevolmente  non
consente  al  figlio  di  ottenere  la  prova   precostituita   della
filiazione che sussiste in base alla legge straniera applicabile,  in
assenza di motivi di ordine pubblico internazionale che  ostino  alla
sua applicazione in Italia; 
    4) con gli artt. 3 e 30, Cost., dal quale  ultimo  si  desume  il
diritto del figlio di ricevere mantenimento e istruzione dai genitori
(che tali siano  in  base  alla  legge  applicabile  al  rapporto  di
filiazione), e quindi, prima di tutto, anche secondo un  criterio  di
ragionevolezza, di vedere riconosciuta formalmente la filiazione; 
    5) con l'art. 117, [primo comma,] Cost., per  contrasto  con  gli
artt. 3 [...] e 7 [...] della Convenzione di New York del 20 novembre
1989, ratificata con  legge  176/1991,  in  quanto  non  consente  di
garantire l'interesse superiore del fanciullo,  imponendogli  di  non
vedere formalmente riconosciuta una genitorialita'  che  sussiste  in
base alla  legge  straniera  applicabile,  e  ponendo  ostacoli  alla
realizzazione della sua aspirazione a vivere con due genitori; 
    6) con l'art. 117, [primo comma,] Cost., in relazione all'art.  7
della Convenzione di New York del 20 novembre  1989,  ratificata  con
legge 176/1991, in quanto non consente  di  vedere  riconosciuta  [al
fanciullo] immediatamente alla nascita la sua filiazione che sussiste
in base alla legge straniera applicabile». 
    2.- Nel giudizio innanzi a questa Corte si sono costituite le due
ricorrenti nel procedimento principale. 
    La  difesa   delle   quali   ha   preliminarmente   eccepito   la
inammissibilita' della sollevata questione. 
    Cio',  in  primo  luogo,  perche',  nel  porla,   il   rimettente
«muove[rebbe] da un'errata  interpretazione  del  contesto  giuridico
italiano  e  dei  principi  in   materia   di   filiazione   derivata
dall'applicazione di tecniche di fecondazione  assistita».  Principi,
che - diversamente da quelli che regolano la filiazione nel peculiare
e diverso contesto del matrimonio - condurrebbero  necessariamente  a
«costituire uno stato di filiazione fra l'adulto che con  le  proprie
decisioni ha determinato la nascita di un bambino e quest'ultimo», il
quale, «in forza del consenso alle tecniche medico-riproduttive  gia'
prestato anche dalla madre intenzionale», diverrebbe «ipso iure  alla
nascita [...] figlio di entrambe». 
    In secondo luogo, e in  subordine,  «per  errata  interpretazione
delle disposizioni di diritto internazionale  privato»  in  ordine  a
«cio' che  costituisce  una  norma  di  applicazione  necessaria  nel
contesto dello stato civile». 
    «Norme  di  applicazione  necessaria»,   concernenti   i   poteri
dell'ufficiale di stato civile, sarebbero, infatti,  solo  quelle  di
carattere  formale  e  procedurale,  e  cioe'  quelle  relative  alla
"tipicita' degli atti" che detto organo dello Stato puo' formare,  ma
non anche le norme  che  disciplinano  il  contenuto  (non  del  pari
tipico) degli atti medesimi, le quali  non  debbono  «necessariamente
rispecchiare il diritto sostanziale italiano». 
    La stessa difesa ha poi  anche  depositato  memoria  integrativa,
nella quale sottolinea, tra l'altro, come la Corte di cassazione - in
particolare con la sentenza della sezione prima del 15  giugno  2017,
n. 14878, richiamata, in senso adesivo,  dalle  Sezioni  unite  nella
piu' recente sentenza 8 maggio 2019, n.  12193  -  abbia  escluso  la
contrarieta' all'ordine pubblico internazionale della trascrizione in
Italia di atto di nascita straniero che menzioni due madri. 
    3.- Si e' costituito  anche  il  curatore  speciale  del  minore,
nominato nel giudizio a  quo,  per  il  quale  la  questione  sarebbe
irrilevante  -  «potendo  il  Tribunale  emettere  il   provvedimento
richiesto, con una interpretazione adeguatrice  e  costituzionalmente
orientata dell'ordinamento e previa l'eventuale disapplicazione delle
norme  in  apparente  contrasto»  -  ovvero  sarebbe,  in  subordine,
fondata. Cio' che  -  come  ulteriormente  argomentato  dallo  stesso
curatore con successiva memoria -, in  caso  di  accesso  al  merito,
dovrebbe  comunque  condurre  a   «dichiarare   incostituzionali   le
disposizioni riportate nell'ordinanza di rimessione». 
    4.-  Non  si  e'  costituito  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
    5.-  Hanno,  infine,  spiegato  intervento  in  questo   giudizio
incidentale  il  Centro  Studi  "Rosario  Livatino",  che  ha   anche
depositato   memoria   integrativa,   la   libera   associazione   di
volontariato "Vita e'"  e  l'Avvocatura  per  i  diritti  LGBTI:  per
sostenere, rispettivamente, il primo, la manifesta  infondatezza,  la
seconda, la inammissibilita'  o  comunque  la  non  fondatezza  della
questione;   per   rassegnare,   la   terza   associazione,   opposte
conclusioni, nel senso della sua fondatezza. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Chiamato a decidere sulla legittimita', o meno, del  rifiuto,
opposto dall'Ufficiale di stato civile di  Pisa,  alla  richiesta  di
riconoscimento congiunto di un minore nato in Italia (a Pontedera)  -
richiesta presentata da una coppia di donne (coniugate per effetto di
matrimonio contratto negli Stati Uniti),  l'una  cittadina  americana
(del Wisconsin),  quale  madre  gestazionale,  e  l'altra,  cittadina
italiana, quale «madre intenzionale», in forza del consenso  prestato
alla fecondazione eterologa (della  prima)  avviata  in  Danimarca  -
l'adito Tribunale ordinario di Pisa, sezione civile, in  composizione
collegiale, ha sollevato, con l'ordinanza di cui si e'  in  narrativa
detto,  «questione  di  legittimita'  della  norma  che  si   desume»
dall'art. 449 del codice civile, che prescrive che i  registri  dello
stato civile siano tenuti «in conformita' delle norme contenute nella
legge sull'ordinamento dello stato civile»; dall'art.  29,  comma  2,
del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000,  n.  396
(Regolamento per la revisione e la  semplificazione  dell'ordinamento
dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della legge 15
maggio 1997, n. 127), concernente le indicazioni contenute  nell'atto
di nascita, fra cui le generalita' dei genitori; dall'art. 44,  comma
1 (omesso in dispositivo ma indicato in  motivazione),  dello  stesso
d.P.R., in tema di riconoscimento del nascituro da parte  del  padre;
dall'art. 250 cod. civ., che, ai fini del riconoscimento  del  minore
nato fuori dal matrimonio, fa riferimento alla «madre» e al  «padre»;
e dagli artt. 5 e 8 della legge 19 febbraio 2004,  n.  40  (Norme  in
materia  di  procreazione  medicalmente  assistita),  per   i   quali
l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (d'ora
in poi: PMA) e'  consentito  solo  a  coppia  maggiorenne  «di  sesso
diverso». 
    Norma, quella  cosi'  "desunta"  dal  giudice  a  quo,  che  da',
appunto, luogo al sospetto di illegittimita'  costituzionale,  «nella
parte in cui non consente di formare in Italia un atto di nascita  in
cui  vengano  riconosciute  come  genitori   di   un   cittadino   di
nazionalita' straniera due persone  dello  stesso  sesso,  quando  la
filiazione sia stabilita sulla base della legge applicabile  in  base
all'art. 33 legge 218/95». 
    E cio' per contrasto, secondo il rimettente: con gli artt. 2 e  3
della Costituzione, sotto il profilo dell'illegittima restrizione del
diritto - di persone che, in base alla legge  straniera  applicabile,
sono legate da un rapporto di genitorialita'/filiazione  -  a  vedere
riconosciuta in Italia la  loro  formazione  sociale;  con  l'art.  3
Cost., per  l'irragionevole  discriminazione  rispetto  alla  analoga
situazione del cittadino straniero, figlio pero' di genitori di sesso
diverso, che tale status potrebbe vedersi, invece, riconosciuto;  con
gli artt. 3 e 24 Cost., poiche' la norma non consente  al  figlio  di
ottenere la prova precostituita della  filiazione,  che  sussiste  in
base alla legge straniera applicabile, in assenza di motivi  ostativi
di ordine pubblico internazionale; con gli artt. 3 e 30 Cost.,  sotto
il profilo della illegittima restrizione del diritto  del  figlio  di
ricevere mantenimento e istruzione da entrambi i genitori, che  siano
tali secondo la sua legge nazionale; con  l'art.  117,  primo  comma,
Cost., in relazione agli artt. 3 e 7 della  Convenzione  sui  diritti
del fanciullo, fatta a New York il 20  novembre  1989,  ratificata  e
resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, sotto il profilo del
pregiudizio subito dall'interesse del fanciullo a veder  riconosciuta
anche in Italia la doppia genitorialita', sussistente secondo la  sua
legge nazionale; ancora  con  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 7 della medesima  Convenzione,  sotto  il  profilo
della lesione del diritto a  vedere  immediatamente  riconosciuto  in
Italia lo status di  figlio  di  entrambe  le  madri,  legittimamente
acquisito sulla base della legge nazionale. 
    1.1.- Nel motivare la  questione  cosi'  sollevata  il  Tribunale
ordinario  di  Pisa  muove  da  una  ferma,  e  sotto  piu'   profili
argomentata, premessa: quella per cui nel nostro ordinamento e' «allo
stato escluso che genitori di un figlio possano  essere  due  persone
dello stesso sesso». 
    Il che, a suo avviso, non impedirebbe  che  un  atto  di  nascita
formato all'estero, che riconosca la filiazione  con  genitori  dello
stesso sesso, possa essere trascritto in Italia, ove se ne escluda la
contrarieta' con l'ordine pubblico. 
    Diverso - egli aggiunge - e' pero' il caso cui l'atto di  nascita
debba essere "formato in Italia". 
    In  questo  caso,  l'ufficiale  di  stato  civile  non   potrebbe
«applicare [...]  disposizioni  straniere»,  ostandovi,  appunto,  la
norma che lo stesso Tribunale "desume" dal combinato  contesto  delle
plurime  disposizioni  denunciate  e  che   presuppone   essere   «di
applicazione  necessaria»,  quale  norma  interna  che  debba  essere
applicata nonostante il  richiamo  alla  legge  straniera,  ai  sensi
dell'art. 17 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del  sistema
italiano di diritto internazionale privato). 
    Cio' che poi induce il rimettente a sospettare il contrasto della
norma cosi' desunta  con  i  parametri  costituzionali  evocati,  con
riguardo ad una fattispecie - come quella sub  iudice  -  in  cui  la
madre biologica ed il minore sono cittadini di uno  Stato  (lo  Stato
federato degli Stati Uniti d'America del Wisconsin) per il quale  «la
madre intenzionale, che [...] e' sposata con la madre gestazionale, e
ha  dato  per  iscritto  il  proprio   consenso   alla   procreazione
medicalmente assistita, e' [anch'essa] genitore del minore». Per  cui
in  base  alla  propria  legge  nazionale  -  che  dovrebbe   trovare
applicazione anche in Italia, ex art. 33 della predetta legge n.  218
del 1995 - quel minore avrebbe diritto alla genitorialita' delle  due
donne che hanno consensualmente avviato e  portato  a  compimento  il
progetto di  fecondazione  eterologa  che  ha  dato  luogo  alla  sua
nascita. 
    2.-   Preliminarmente   va   confermata   l'allegata   ordinanza,
pronunciata   in   udienza,   con   la   quale   e'   stata   esclusa
l'ammissibilita'  degli  interventi   del   Centro   Studi   "Rosario
Livatino", della libera associazione  di  volontariato  "Vita  e'"  e
dell'Avvocatura per i diritti LGBTI. 
    3.- In via ancora preliminare vanno  esaminate  le  eccezioni  di
inammissibilita' - ostative, in  tesi,  all'esame  del  merito  della
questione  -  rispettivamente  formulate  dalle  due  ricorrenti  nel
procedimento principale e dall'ivi  nominato  curatore  speciale  del
minore. 
    3.1.- Precede, sul piano logico, l'eccezione con  cui  la  difesa
delle suddette ricorrenti sostiene l'erroneita' della interpretazione
da cui muove il  rimettente,  relativamente  al  «contesto  giuridico
italiano  e  [ai]  principi  in  materia   di   filiazione   derivata
dall'applicazione di tecniche di fecondazione assistita». 
    Non pertinentemente - sostiene detta difesa - il Tribunale pisano
avrebbe richiamato le disposizioni codicistiche che  disciplinano  la
filiazione nell'ambito del matrimonio, poiche' sarebbe solo in quello
specifico contesto che i figli non possono che avere un «padre» e una
«madre», mentre non sarebbe possibile «[senza] compiere una petizione
di principio dedurre [...] che  ogni  figlio  [comunque  nato]  debba
avere un padre e  una  madre  [...]».  Atteso  che  «[i]l  matrimonio
senz'altro mantiene delle peculiarita' quanto alle regole di  accesso
alla  genitorialita'  [...].  Tuttavia  non  ne  mantiene   piu'   il
monopolio». 
    Con  riguardo  alle  nuove  tecniche  procreative   l'ordinamento
italiano imporrebbe, infatti, «un chiaro principio di responsabilita'
genitoriale,  che  dipende  dalla  sostanza  (la  responsabilita'  di
determinare con la propria volonta' la generazione di una vita, senza
possibilita' di resipiscenza) e non dalla forma». 
    In applicazione di un tale principio il rimettente avrebbe dovuto
direttamente riconoscere che il  diritto  interno  non  impedisce  la
dichiarazione di nascita espressa congiuntamente dalle due donne, che
a torto, dunque, l'ufficiale di stato  civile  avrebbe  rifiutato  di
accogliere. Dal che l'irrilevanza della questione sollevata. 
    3.1.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    E' pur vero che la genitorialita' del nato a seguito del  ricorso
a tecniche di PMA e' legata anche  al  "consenso"  prestato,  e  alla
"responsabilita'" conseguentemente assunta, da  entrambi  i  soggetti
che hanno deciso di accedere ad una tale tecnica procreativa. 
    Tanto, infatti, si desume sia dall'art. 8 della legge n.  40  del
2004 - per  cui,  appunto,  i  nati  a  seguito  di  un  percorso  di
fecondazione medicalmente assistita hanno lo stato di «figli nati nel
matrimonio»  o  di  «figli  riconosciuti»  della  coppia  che  questo
percorso ha avviato - sia dal successivo art. 9  della  stessa  legge
che, con riguardo alla fecondazione di tipo eterologo,  coerentemente
stabilisce che il «coniuge o il convivente» (della  madre  naturale),
pur in assenza di un suo apporto biologico, non possa, comunque,  poi
esercitare  l'azione  di   disconoscimento   della   paternita'   ne'
l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita'. 
    Ma  tutto  cio'  sempreche'  quelle  coinvolte  nel  progetto  di
genitorialita' cosi' condiviso siano coppie «di sesso  diverso».  Per
quanto espressamente disposto dall'art. 5 della predetta legge n.  40
del 2004, le coppie dello stesso  sesso  non  possono  accedere  alle
tecniche di PMA. 
    Con la recente sentenza n. 221  del  2019,  questa  Corte  -  nel
respingere le censure di  illegittimita'  costituzionale  rivolte  al
predetto art. 5 e all'art. 12, commi 2, 9 e 10, nonche' gli artt.  1,
commi 1 e 2, e 4 della legge n. 40 del 2004, per  asserito  contrasto
con i parametri di cui agli artt. 2, 3, 11, 31,  secondo  comma,  32,
primo comma, e 117, primo comma,  Cost.,  quest'ultimo  in  relazione
agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, e con altre disposizioni sovranazionali -  ha,  tra  l'altro,
affermato che «[l]'esclusione dalla PMA delle coppie formate  da  due
donne non e'  [...]  fonte  di  alcuna  distonia  e  neppure  di  una
discriminazione  basata  sull'orientamento  sessuale».  Ha,  inoltre,
ricordato come in questo senso si sia espressa la Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, per la quale una legge nazionale  che  riservi  il
ricorso all'inseminazione artificiale a coppie eterosessuali sterili,
attribuendole una finalita' terapeutica, non puo' essere  considerata
fonte di una ingiustificata disparita' di trattamento  nei  confronti
delle coppie omosessuali, rilevante agli effetti degli artt. 8  e  14
CEDU: cio'  proprio  perche'  la  situazione  delle  seconde  non  e'
paragonabile  a  quella  delle  prime  (Corte  europea  dei   diritti
dell'uomo, sentenza 15 marzo 2012, Gas e Dubois contro Francia). 
    Ha, conclusivamente, quindi, considerato come la scelta  espressa
dal legislatore del 2004 si  riveli  «non  eccedente  il  margine  di
discrezionalita'  del  quale  il  legislatore  fruisce  in   subiecta
materia, pur rimanendo  quest'ultima  aperta  a  soluzioni  di  segno
diverso, in parallelo all'evolversi dell'apprezzamento sociale  della
fenomenologia considerata». 
    Ad opposte conclusioni neppure puo' poi  condurre  la  successiva
legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra
persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), che -  pur
riconoscendo la dignita' sociale e giuridica delle coppie formate  da
persone dello stesso sesso - non consente, comunque,  la  filiazione,
sia adottiva che per fecondazione assistita, in loro favore. 
    Dal rinvio che il comma 20 dell'art. 1 di detta legge opera  alle
disposizioni sul matrimonio  (cosiddetta  clausola  di  salvaguardia)
restano, infatti, escluse, perche' non richiamate,  quelle,  appunto,
che regolano la paternita', la maternita' e l'adozione legittimante. 
    Resiste, dunque, a censura l'affermazione,  assunta  in  premessa
dal Tribunale pisano, che «allo stato», nel  nostro  ordinamento,  e'
«escluso che genitori di un figlio possano essere due  persone  dello
stesso sesso». 
    3.2.- Sotto altro subordinato profilo,  la  stessa  difesa  delle
ricorrenti sostiene che il Tribunale ordinario di Pisa - nel ritenere
che all'ufficiale di stato civile, che forma un atto di nascita,  sia
preclusa la possibilita' di applicare leggi  di  altro  Stato  -  sia
incorso in una «errata interpretazione della interazione delle  norme
internazionalprivatistiche  con  quelle   sostanziali   che   reggono
l'ordinamento dello stato civile». 
    «Il vulnus dell'interpretazione proposta dal  giudice  rimettente
risiede[rebbe] nella ricostruzione  non  condivisibile  di  cio'  che
costituisce una  norma  di  applicazione  necessaria».  Tale  infatti
sarebbe quella che definisce la tipologia degli atti che  l'ufficiale
di stato civile puo' compiere, e la  procedura  correlativa,  mentre,
quanto  al  contenuto  dell'atto,  questo   dipenderebbe   da   norme
sostanziali, anche di provenienza straniera, quando  ne  ricorrano  i
presupposti secondo le norme di diritto internazionale privato. 
    3.2.1.- Questa  seconda  eccezione  -  sostanzialmente  replicata
anche dal curatore speciale del minore -  resta  assorbita,  poiche',
con riguardo al  rapporto  tra  norma  interna  e  norma  di  diritto
internazionale privato, sussistono  motivi  di  inammissibilita'  che
attengono alla stessa individuazione  dell'oggetto  della  questione,
prima ancora che ad una erroneita' delle sue premesse interpretative. 
    Il collegio rimettente, pur, infatti, ritiene che «alla luce  del
diritto vivente [...], si deve  escludere  che  l'applicazione  della
legge   del   Wisconsin    sia    contraria    all'ordine    pubblico
internazionale». 
    Afferma anche che  «il  giudizio  sulla  contrarieta'  all'ordine
pubblico della legge straniera non e' diverso a seconda che si tratti
di recepire un atto straniero, o di fare diretta  applicazione  della
legge straniera». 
    Ma  dalle  plurime  disposizioni  (di   fonte   anche   meramente
regolamentare), che elenca in dispositivo, desume poi - come detto  -
una "norma di applicazione necessaria" che impedirebbe che, nell'atto
di nascita di un minore in Italia, possa farsi  applicazione  di  una
legge straniera, ancorche' legge nazionale del minore stesso. 
    «Norme di  applicazione  necessaria»,  per  testuale  definizione
dell'art. 17 della legge n. 218 del  1995,  sono  appunto  le  «norme
italiane che, in considerazione del loro oggetto e  del  loro  scopo,
debbono  essere  applicate  nonostante   il   richiamo   alla   legge
straniera». 
    Il Tribunale ordinario di Pisa non chiarisce, pero', se la "norma
desunta" - della quale auspica la caducazione, «nella  parte  in  cui
non consente di formare in Italia un atto di nascita in  cui  vengano
riconosciute come genitori di un cittadino di nazionalita'  straniera
due persone dello stesso sesso, quando la  filiazione  sia  stabilita
sulla base della legge applicabile in base all'art. 33 legge  218/95»
- sia: (a) la stessa norma interna sulla eterogenitorialita', di  cui
egli presupponga, e chieda a questa Corte di rimuovere, la necessaria
applicabilita' in sede di formazione  (ma  non  anche,  peraltro,  di
trascrizione) dell'atto di nascita di un minore cittadino  straniero;
ovvero (b)  una  norma  sulla  "azione  amministrativa",  regolatrice
dell'attivita' dell'ufficiale di stato civile, che gli impedirebbe di
formare l'atto di nascita di un minore straniero in cui si  riconosca
al medesimo uno status previsto dalla sua legge nazionale, ma non  da
quella italiana. 
    A  rendere   non   superabile   tale   irrisolta   alternativita'
dell'oggetto della questione sta poi il fatto che  il  rimettente  si
limita a denunciare il solo frammento - ritenuto in contrasto  con  i
parametri evocati - di una norma  virtuale  che,  pero',  non  indica
nella sua interezza e che potrebbe, nella sua parte  residua,  essere
appunto egualmente ricondotta sia all'una  che  all'altra  delle  due
ipotesi normative sopra considerate. 
    Mentre, per di piu', le disposizioni, maggiormente  attinenti  al
tema dell'incidente di costituzionalita', con le quali il legislatore
ha individuato le norme di applicazione  necessaria  nella  specifica
materia della filiazione (artt. 33, comma 4, e 36-bis della legge  n.
218 del 1995), non sono prese in esame dal giudice a quo. 
    Da qui appunto l'inammissibilita' della questione.