ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 12, commi  3
e 5, della legge  della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  4
agosto 2014, n. 15 (Assestamento del bilancio  2014  e  del  bilancio
pluriennale per gli anni 2014-2016 ai sensi  dell'articolo  34  della
legge regionale 21/2007), promossi dalla Corte d'appello di  Trieste,
con due ordinanze del 28 giugno 2018, iscritte al n. 192 e al n.  194
del registro ordinanze 2018, e con  ordinanza  del  19  luglio  2018,
iscritta al n. 193 del  registro  ordinanze  2018,  tutte  pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale,
dell'anno 2019. 
    Visti gli atti di costituzione  di  Severino  Baf  ed  altri,  di
Claudio  Milo,  di  Tullio  Cargnello  e   della   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia; 
    udito nella udienza pubblica del 25  settembre  2019  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi l'avvocato Federico Sorrentino per Severino  Baf  e  altri,
l'avvocato  Giulia  Milo  per  Claudio  Milo  e  Tullio  Cargnello  e
l'avvocato  Carlo  Cester  per  la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con due ordinanze del 28 giugno 2018, iscritte ai numeri  192
e 194 del registro ordinanze 2018, e  con  ordinanza  del  19  luglio
2018, iscritta al n.  193  del  registro  ordinanze  2018,  la  Corte
d'appello di Trieste ha sollevato, in riferimento agli artt.  3,  36,
38 e 53 della Costituzione, questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 12, commi  3  e  5,  della  legge  della  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia 4 agosto 2014, n. 15 (Assestamento del bilancio
2014 e del bilancio pluriennale  per  gli  anni  2014-2016  ai  sensi
dell'articolo 34 della legge regionale 21/2007), nella parte  in  cui
ha abrogato l'art. 100, commi  3  e  4,  della  legge  della  Regione
autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  27  marzo  1996,  n.  18   (Riforma
dell'impiego regionale in attuazione  dei  principi  fondamentali  di
riforma economico sociale desumibili dalla legge 23 ottobre 1992,  n.
421), e, in particolare,  a  decorrere  dal  1°  settembre  2014,  ha
disposto la cessazione dell'erogazione del trattamento  previdenziale
aggiuntivo correlato all'indennita' di funzione dirigenziale. 
    1.1.- La Corte rimettente espone di dover  decidere  sull'appello
proposto da  alcuni  dirigenti  dell'amministrazione  regionale,  che
hanno chiesto di accertare il diritto al trattamento differenziale di
cui all'art. 100, comma 4, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia  n.
18 del 1996 e di condannare, conseguentemente,  l'amministrazione  al
pagamento delle somme dovute a far data dal 1° settembre 2014. 
    A sostegno delle domande proposte, gli appellanti  hanno  dedotto
di avere percepito una retribuzione  comprensiva  dell'indennita'  di
funzione dirigenziale, qualificata come pensionabile  dapprima  dagli
artt. 21, 25 e 140 della legge della Regione autonoma  Friuli-Venezia
Giulia 31 agosto 1981, n. 53 (Stato giuridico e trattamento economico
del personale della Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia)  e  poi,
nel 1996, con decorrenza dal 1°  ottobre  1990,  anche  dall'Istituto
nazionale   di   previdenza   e   assistenza   per    i    dipendenti
dell'amministrazione pubblica (INPDAP). 
    L'art. 100 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 1996,
nell'abrogare l'art. 140, primo, secondo, terzo  e  quarto  comma,  e
l'art.  143,  primo  comma,  secondo  periodo,   della   legge   reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 53 del 1981, avrebbe fatto salvo il  diritto
dei dirigenti cessati dal servizio entro  il  30  settembre  1990  di
percepire i trattamenti gia' previsti dalla disciplina abrogata e  il
diritto dei dirigenti cessati dal servizio in  data  successiva,  che
avessero «gia' maturato i requisiti per il trattamento  pensionistico
regionale», di beneficiare di un assegno, per un  importo  pari  alla
differenza «tra l'ammontare del maturato ai sensi della normativa  di
cui  all'articolo  140  della  legge  regionale  n.  53  del  1981  e
l'incremento  di  pensione   spettante   dall'INPDAP-CPDEL   con   la
valutazione dell'indennita' di funzione». 
    L'art. 12, comma 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  15
del 2014 avrebbe tuttavia eliminato, a  decorrere  dal  1°  settembre
2014, il trattamento differenziale, salvo che per i dirigenti cessati
dal servizio entro il 30 settembre 1990 e per il personale  al  quale
l'INPDAP non ha comunque  riconosciuto  nell'imponibile  pensionabile
utile  ai  fini  della  determinazione  della  quota  A  di  pensione
l'importo dell'indennita' di funzione o di posizione. 
    Gli appellanti sostengono che debbano essere salvaguardati  anche
i dirigenti che, pur cessati dal servizio dopo il 30 settembre  1990,
abbiano versato contributi previdenziali alla Regione  prima  del  30
settembre 1990, data in cui l'indennita' di funzione dirigenziale  e'
stata considerata pensionabile dall'INPDAP. 
    Una interpretazione  che  escludesse  tale  salvaguardia  darebbe
adito a dubbi di legittimita' costituzionale. Si  dovrebbe  ritenere,
difatti, che il legislatore regionale  abbia  imposto  un  sacrificio
definitivo e non transitorio, del tutto sproporzionato rispetto  alla
finalita'  perseguita,  trattando  in   modo   diseguale   situazioni
identiche e salvaguardando soltanto i dirigenti cessati dal  servizio
prima del 1° ottobre 1990. Sarebbe  cosi'  compromessa  l'adeguatezza
del  trattamento  pensionistico,  che  rappresenta  una  retribuzione
differita,  e  si  introdurrebbe   una   decurtazione   del   reddito
pensionistico,  che  mira  a  finanziare  la  spesa  pubblica  ed  e'
qualificabile come imposta speciale a carico di una sola categoria di
contribuenti. 
    La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia  ha  replicato  che  la
legge   regionale   sarebbe   giustificata   dalla   necessita'    di
salvaguardare gli equilibri di bilancio e da esigenze di contenimento
della spesa previdenziale e cancellerebbe «una indebita  duplicazione
di importi gia' riconosciuti dall'Ente previdenziale», senza  violare
i principi di affidamento,  di  ragionevolezza,  di  eguaglianza,  di
proporzionalita' della retribuzione, di adeguatezza  del  trattamento
pensionistico e di capacita' contributiva. 
    1.2.- In punto di rilevanza,  la  Corte  rimettente  osserva  che
soltanto con una dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle
disposizioni  censurate  gli  appellanti  potrebbero  conseguire   la
differenza tra il trattamento sancito dall'art. 140 della legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 53 del 1981  e  l'incremento  derivante  dal
computo dell'indennita' dirigenziale  nella  pensione  erogata  prima
dall'INPDAP e poi dall'Istituto nazionale  della  previdenza  sociale
(INPS). 
    La Corte d'appello di Trieste  osserva  che,  delle  disposizioni
censurate, contraddistinte da un tenore letterale inequivocabile, non
e'   praticabile    una    interpretazione    adeguatrice.    Sarebbe
irrimediabilmente contraddittoria e viziata da «una  sorta  di  corto
circuito legislativo» un'interpretazione che attribuisse ai dirigenti
quel trattamento  differenziale  che  pure  la  legge  ha  deciso  di
sopprimere, ai fini del contenimento della spesa pubblica. 
    L'unica deroga riguarderebbe  coloro  che,  pur  avendo  ricevuto
incarichi dirigenziali, non  sarebbero  in  possesso  della  relativa
qualifica  e  percio',  in  difetto  della  disciplina  dettata   dal
legislatore regionale, non si vedrebbero  computare  l'indennita'  di
funzione nella determinazione del trattamento pensionistico. Di  tale
deroga non  potrebbero  beneficiare  gli  appellanti  nei  giudizi  a
quibus, che, al contrario, gia' si vedono valorizzare l'indennita' di
funzione   dirigenziale   nel   trattamento   pensionistico   erogato
dall'INPDAP e poi dall'INPS. 
    1.3.- In punto di  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni
sollevate, il giudice a  quo  rileva  che  ben  puo'  il  legislatore
modificare in senso sfavorevole la disciplina dei rapporti di durata,
a condizione di imporre  un  sacrificio  ragionevole,  eccezionale  o
comunque temporaneo e proporzionato. 
    Ai principi di ragionevolezza e di proporzionalita' (artt. 3,  36
e 38 Cost.) si dovrebbe conformare  anche  l'imposizione  tributaria,
quando si traduce nella «riduzione di un  trattamento  retributivo  o
pensionistico finalizzato a garantire l'equilibrio di bilancio  e  il
contenimento della spesa pubblica». 
    Le disposizioni censurate non avrebbero previsto  «una  riduzione
transitoria e parziale  della  pensione  integrativa»,  ma  avrebbero
«radicalmente e definitivamente eliminato il  diritto,  in  contrasto
con il legittimo affidamento dei titolari sulla certezza,  stabilita'
e  adeguatezza  della  loro  posizione  (gia'  retributiva   e   ora)
previdenziale». 
    In violazione del principio di eguaglianza, l'art. 12,  comma  3,
della legge  reg.  Friuli-Venezia  Giulia  n.  15  del  2014  avrebbe
riservato un trattamento deteriore ai dipendenti cessati dal servizio
dopo il 30 settembre 1990, che pure hanno versato i contributi  anche
in epoca anteriore, al pari dei dipendenti cessati dal servizio  fino
al 30 settembre 1990. 
    Pur trattandosi di una fattispecie  tributaria,  la  Regione  non
avrebbe allegato di avere imposto analogo sacrificio anche a soggetti
in posizione equiparabile, allo scopo di ridurre la spesa pubblica  e
di garantire l'equilibrio di  bilancio.  Solo  su  una  categoria  di
contribuenti graverebbe  «un  peso  di  natura  tributaria,  tale  da
incidere   sulla   adeguatezza   della   posizione   retributiva    e
previdenziale  degli  obbligati»  e  senza  alcuna  «forma  di   equo
bilanciamento di interessi». 
    La  Regione  non  avrebbe  neppure  dimostrato  l'incidenza   del
trattamento differenziale sull'equilibrio  finanziario  dell'ente,  i
risparmi  legati  all'eliminazione  del  trattamento  in  esame,   la
«coerenza  fra  accantonamenti  (del  passato)  e  prestazioni   gia'
eseguite e da erogare in futuro». 
    2.- Nel giudizio di cui al reg. ord. n. 192  del  2018,  si  sono
costituite le parti appellanti, con atto  depositato  il  24  gennaio
2019, e hanno chiesto di  accogliere  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate dalla Corte d'appello di Trieste. 
    Le  disposizioni  censurate,  destinate  a   incidere   in   modo
improvviso e imprevedibile sulla disciplina di rapporti di  durata  e
sprovviste di una causa normativa adeguata, lederebbero il  legittimo
affidamento, in contrasto con l'art. 3 Cost.  Il  mero  risparmio  di
spesa non sarebbe di per se' idoneo  a  giustificare  «il  sacrificio
dell'affidamento riposto dal  privato  nella  stabilita'  del  quadro
normativo». 
    Peraltro, nel caso di specie, la cessazione  dell'erogazione  del
trattamento  previdenziale  riguarderebbe  ottantanove   soggetti   e
determinerebbe  «un  risparmio  pubblico   di   entita'   del   tutto
trascurabile», a fronte di un sacrificio definitivo e  sproporzionato
di «diritti ormai sorti da decenni». 
    Si tratterebbe, inoltre, di un  prelievo  sulle  pensioni  lesivo
degli artt. 3 e 53 Cost., in quanto non sarebbe una misura una tantum
improntata alla solidarieta'  previdenziale  e  imposta  dalla  crisi
contingente e grave del sistema previdenziale,  secondo  i  caratteri
delineati dalla sentenza n. 173 del 2016. Le  disposizioni  in  esame
avrebbero  configurato  «un'illegittima  imposta  regionale  posta  a
carico, a  parita'  di  reddito,  dei  soli  dirigenti  regionali  in
servizio in periodi anteriori al 30 settembre  1990  e  collocati  in
quiescenza successivamente a tale data». 
    Quanto ai contributi previdenziali  sull'indennita'  di  funzione
dirigenziale, versati fino al 1° ottobre 1990, sarebbero  infruttuosi
per  i  dirigenti  regionali  collocati  in  quiescenza  dopo  il  30
settembre 1990, trattati in maniera deteriore rispetto  ai  dirigenti
regionali  collocati  in  quiescenza  prima   di   tale   data,   che
continuerebbero a percepire una pensione aggiuntiva. 
    La descritta disparita' di trattamento lederebbe  i  principi  di
ragionevolezza,  di   proporzionalita'   e   di   adeguatezza   della
retribuzione e di adeguatezza del trattamento pensionistico (artt. 3,
36 e 38 Cost.). 
    3.- Con atti depositati il 31 gennaio 2019, si sono costituite la
parte appellante nel giudizio di cui al reg. ord. n. 193 del  2018  e
la parte appellante nel giudizio di cui al reg. ord. n. 194 del 2018,
per  chiedere  l'accoglimento   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale. 
    Le parti osservano, in linea preliminare, che la declaratoria  di
illegittimita' costituzionale  condurrebbe  alla  reviviscenza  della
previsione che attribuiva il trattamento differenziale. 
    Nel merito, le parti evidenziano che le disposizioni censurate, a
notevole distanza di tempo dal pensionamento,  avrebbero  determinato
una rilevante decurtazione del trattamento pensionistico,  in  misura
superiore al 10 per cento, e si porrebbero  cosi'  in  contrasto  con
l'art.  3  Cost.,  che  tutela  l'affidamento  nella  stabilita'  dei
rapporti tra privato e pubblica amministrazione. 
    L'art. 3 Cost. sarebbe violato anche sotto un  distinto  profilo.
Le  disposizioni  in  esame,  che  si  configurerebbero  come   leggi
provvedimento, provviste di efficacia retroattiva,  inciderebbero  in
via definitiva su un trattamento previdenziale gia'  appartenente  al
patrimonio del beneficiario. Non ricorrerebbero esigenze inderogabili
e, a tale riguardo,  non  si  potrebbe  annettere  alcun  rilievo  al
riferimento,  del  tutto  generico,  al  contenimento   della   spesa
pubblica. 
    In  violazione  degli  artt.  36  e  38  Cost.,   che   impongono
l'attribuzione   di   un    adeguato    trattamento    pensionistico,
proporzionato alla quantita' e alla qualita' del lavoro prestato,  si
trascurerebbe ogni valutazione ai fini previdenziali di un'indennita'
corrisposta in misura diversa, parametrata  alle  responsabilita'  di
ciascun dirigente. 
    L'assetto  delineato  dal  legislatore   regionale   produrrebbe,
inoltre, ingiustificate disparita' di trattamento e, in contrasto con
l'art. 53  Cost.,  imporrebbe  un  prelievo  coattivo,  destinato  al
concorso alle  spese  pubbliche,  senza  tener  conto  della  diversa
capacita' contributiva. 
    4.- Con atti depositati il 4 febbraio 2019, si e'  costituita  in
tutti i giudizi  la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  e  ha
chiesto di  dichiarare  non  fondate  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate dalla Corte d'appello di Trieste. 
    La Regione si e' limitata a osservare che la  disciplina  sarebbe
ragionevole,  in  quanto  adottata  «per  inderogabili  esigenze   di
salvaguardia degli equilibri di bilancio e  senza  violazione  alcuna
dei  principi  di  proporzionalita'  e  adeguatezza  del  trattamento
pensionistico». 
    5.- Il 2  settembre  2019,  la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia ha depositato, in tutti i giudizi, memorie illustrative  e  ha
chiesto di dichiarare inammissibili o comunque infondate le questioni
di legittimita' costituzionale. 
    Ad avviso della  Regione,  verrebbe  in  rilievo  un  trattamento
aggiuntivo,  contraddistinto  da  una  «incredibile  generosita'  dei
presupposti»  e  sproporzionato  rispetto  alla  concreta   copertura
contributiva. I  trattamenti  in  esame  presenterebbero  un  elevato
coefficiente di rendimento (il 100 per cento) dopo soli otto anni  «e
addirittura  anche  meno»,  a  fronte  dei  piu'  rigorosi  requisiti
applicabili alla pensione pubblica, che consentono il  raggiungimento
dei coefficienti piu' elevati di rendimento «non prima di 40 anni  di
servizio». 
    Tale  trattamento  sarebbe  stato  attribuito  in  considerazione
dell'originario  carattere  non  pensionabile  delle  indennita'   di
funzione spettanti ai dirigenti regionali.  Il  riconoscimento  della
tutela previdenziale anche per le  citate  indennita'  avrebbe  fatto
venir meno l'originaria ragion d'essere del trattamento aggiuntivo. 
    La Corte rimettente prescinderebbe da una prospettiva  che,  alla
stregua  di   una   interpretazione   costituzionalmente   orientata,
consideri le ragioni dell'introduzione del trattamento  aggiuntivo  e
della  sua  soppressione.  L'accoglimento  delle  questioni  proposte
determinerebbe  una  «duplicazione  del   trattamento   previdenziale
"corrispondente" all'indennita' dirigenziale». 
    L'omessa considerazione  di  tali  profili  potrebbe  riflettersi
sulla stessa  ammissibilita'  delle  questioni,  anche  in  punto  di
rilevanza. 
    Nel merito, non sarebbero fondate le censure di violazione  degli
artt. 36 e  38  Cost.,  in  quanto  l'adeguatezza  della  prestazione
previdenziale alle esigenze di vita non entra in discussione nel caso
di un trattamento che si configura come meramente aggiuntivo. 
    L'eliminazione  di  tale   trattamento,   corrisposto   allorche'
l'indennita' di funzione dirigenziale non era pensionabile, non  solo
sarebbe  giustificata,  ma  sarebbe  imposta  dai   rilievi   critici
formulati dalla Corte dei conti nel gennaio  1994  circa  la  carente
copertura contributiva del trattamento citato. 
    Peraltro, la Regione avrebbe cessato di trattenere  i  contributi
sui trattamenti aggiuntivi a decorrere dal  1990  e,  in  difetto  di
contribuzione, avrebbe continuato a  erogare  tali  trattamenti  sino
alla loro  definitiva  soppressione,  accompagnata  da  correttivi  e
aggiustamenti  volti  a  dare  «una  ragionevole  applicazione»   dei
principi  costituzionali.  Non  si  potrebbe  prospettare,  pertanto,
alcuna infruttuosita' della contribuzione versata. 
    Non sussisterebbe alcuna irragionevole disparita' di  trattamento
tra i dirigenti cessati dal servizio prima del  1990  e  i  dirigenti
che, come gli appellanti nei giudizi principali, hanno conseguito  in
una data successiva la pensione. Per i primi,  la  conservazione  del
trattamento aggiuntivo si giustificherebbe in  funzione  compensativa
del mancato riconoscimento del carattere pensionabile dell'indennita'
di funzione dirigenziale. 
    Infondate sarebbero anche le censure di violazione  dell'art.  53
Cost., poiche' non si tratterebbe di un prelievo forzoso di ricchezza
volto a sovvenire alle pubbliche spese, ma di un  mero  risparmio  di
spesa. 
    6.- Il 4 settembre 2019, hanno  depositato  memorie  illustrative
gli appellanti nei giudizi di cui al reg. ord.  nn.  193  e  194  del
2018, per sentire accogliere le  conclusioni  gia'  formulate  e  per
ribadire le argomentazioni gia' svolte. 
    7.- All'udienza del 25 settembre 2019, le parti  hanno  insistito
per l'accoglimento  delle  conclusioni  gia'  rassegnate  negli  atti
difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Nelle ordinanze indicate in epigrafe, la Corte  d'appello  di
Trieste dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 12,  commi
3 e 5, della legge della Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  4
agosto 2014, n. 15 (Assestamento del bilancio  2014  e  del  bilancio
pluriennale per gli anni 2014-2016 ai sensi  dell'articolo  34  della
legge regionale 21/2007), in riferimento agli artt. 3, 36,  38  e  53
della Costituzione. 
    Il rimettente  censura  le  disposizioni  citate,  in  quanto,  a
decorrere dal 1° settembre 2014, esse hanno  disposto  la  cessazione
dell'erogazione dei trattamenti pensionistici  differenziali,  legati
all'indennita' di funzione dirigenziale  e  previsti  dall'art.  100,
comma 4, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia  27
marzo 1996, n. 18 (Riforma dell'impiego regionale in  attuazione  dei
principi fondamentali di riforma economico-sociale  desumibili  dalla
legge 23 ottobre 1992, n. 421), a beneficio  di  chi,  alla  data  di
entrata in vigore della legge reg. Friuli-Venezia Giulia  n.  18  del
1996, gia' percepiva le indennita' di funzione previste  dagli  artt.
21 e 25 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia  31
agosto 1981, n. 53  (Stato  giuridico  e  trattamento  economico  del
personale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia). 
    Ad avviso  della  Corte  rimettente,  le  disposizioni  censurate
sarebbero lesive, sotto un duplice profilo, dell'art. 3 Cost. 
    In primo luogo, l'eliminazione del trattamento  differenziale,  a
far data  dal  1°  settembre  2014,  avrebbe,  infatti,  «creato  una
irragionevole  disparita'  di  trattamento,  poiche',  fra  tutti   i
dirigenti   che   hanno   versato    i    contributi    previdenziali
sull'indennita' della legge 53/1981 fino  al  30/09/1990,  ha  inciso
solo sulla posizione di coloro che (come gli appellanti) sono  andati
in pensione dopo quella data (nonostante la loro posizione,  riguardo
ai contributi versati in epoca anteriore, sia identica a  quella  dei
colleghi cessati dal servizio prima dell'1/10/1990)». 
    L'art. 3 Cost. sarebbe violato anche sotto un secondo e  distinto
profilo. Il legislatore regionale avrebbe  eliminato  arbitrariamente
il trattamento previdenziale in esame senza  documentare  i  risparmi
attesi,  ne'  l'incidenza  sull'equilibrio   finanziario   regionale.
Sarebbe stato pertanto imposto un sacrificio che non e' eccezionale e
temporaneo, ma definitivo e lesivo  del  «legittimo  affidamento  dei
titolari  sulla  certezza,  stabilita'  e  adeguatezza   della   loro
posizione (gia' retributiva e ora) previdenziale». 
    Il giudice  a  quo  assume,  inoltre,  che  l'eliminazione  della
pensione  aggiuntiva  comprometta  la  «adeguatezza  della  posizione
retributiva e previdenziale», senza stabilire «una qualche  forma  di
equo bilanciamento di interessi», e denuncia,  a  tale  riguardo,  la
violazione degli artt. 36 e 38 Cost. 
    La Corte d'appello di Trieste  ravvisa  anche  un  contrasto  con
l'art. 53 Cost., sul presupposto che l'eliminazione  del  trattamento
aggiuntivo costituisca «un peso di natura tributaria», senza  imporre
«un analogo sacrificio», anche «ad altri soggetti equiparabili  sotto
il profilo della loro posizione (attuale o pregressa)  di  dipendenti
dell'Ente e delle condizioni personali di reddito». 
    2.- I giudizi, che vertono sulla medesima disposizione, censurata
sotto identici profili, devono essere riuniti per essere  decisi  con
un'unica sentenza. 
    3.-  Alla  soluzione  dei  dubbi  di  costituzionalita'   occorre
premettere una ricognizione del complesso quadro normativo in cui  le
disposizioni censurate si collocano. 
    3.1.-  Per  i  dirigenti  regionali,  l'Istituto   nazionale   di
previdenza  e  assistenza  per  i   dipendenti   dell'amministrazione
pubblica (INPDAP) originariamente negava che l'indennita' di funzione
dirigenziale  potesse  concorrere  a   determinare   il   trattamento
pensionistico. Il  carattere  pensionabile  era  dunque  circoscritto
all'indennita'     di     funzione     spettante     ai     dirigenti
dell'amministrazione statale. 
    Nell'esercizio della potesta' legislativa  in  materia  di  stato
giuridico ed economico del personale addetto agli uffici e agli  enti
dipendenti  dalla  Regione   (art.   4,   numero   1,   della   legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante «Statuto speciale della
Regione  Friuli-Venezia  Giulia»)  e   della   potesta'   legislativa
integrativa e attuativa  nella  materia  della  previdenza  (art.  6,
numero 2, dello statuto di autonomia), il legislatore regionale,  con
la legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 53 del 1981, ha posto  rimedio
al piu' sfavorevole regime previdenziale dell'indennita' di  funzione
dei dirigenti dell'amministrazione regionale. 
    L'art. 21 della citata legge regionale, piu' volte modificato, ha
attribuito ai direttori di servizio, per la durata dell'incarico, una
«indennita' mensile, pensionabile, nella misura annua  corrispondente
al 60% dello stipendio iniziale della qualifica di dirigente», misura
elevata al 70 per cento «per  l'incarico  di  Direttore  di  servizio
autonomo,  Direttore  provinciale  dei  servizi  tecnici,   Direttore
provinciale   degli   enti   locali,   Direttore    di    ispettorati
ripartimentali delle foreste, Direttore  di  ispettorato  provinciale
dell'agricoltura». 
    L'art. 25 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 53 del  1981,
anch'esso piu' volte  modificato,  ha  riconosciuto  «[a]i  Direttori
regionali, al Vice Segretario Generale della Presidenza della  Giunta
regionale, ai Vice Segretari Generali del Consiglio regionale  ed  al
Vice Ragioniere regionale»  una  «indennita'  mensile,  pensionabile,
proporzionalmente  alla  durata  dell'incarico,  pari  al  90%  dello
stipendio in  godimento».  La  misura  dell'indennita'  raggiunge  la
percentuale del 100 per cento «per l'incarico di Segretario  Generale
della Presidenza della Giunta regionale, di Segretario  Generale  del
Consiglio  regionale,  di  Ragioniere  Generale,  di  Avvocato  della
Regione e di Direttore della programmazione». 
    L'art. 140 della legge  regionale  prevedeva  che  le  indennita'
menzionate fossero computate nel trattamento di quiescenza erogato al
personale regionale, in misura pari al 100 per cento «per il servizio
prestato con l'incarico di cui all'art. 25 per almeno 8 anni» e  «per
il servizio prestato con l'incarico di cui  all'art.  21  per  almeno
dodici anni». Delle  indennita'  in  esame  si  teneva  conto,  nella
medesima misura, anche ai fini della  determinazione  dell'indennita'
di buonuscita (art. 143 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  53
del 1981). 
    Per il trattamento  di  quiescenza,  disciplinato  dall'art.  140
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 53 del 1981, il legislatore
regionale  stabiliva  che  l'amministrazione  regionale   trattenesse
«contributi mensili, calcolati sull'indennita' goduta, pari a  quelli
previsti  dalla  legislazione  della  CPDEL  per  il  trattamento  di
quiescenza». 
    3.2.- Con l'art. 38 del decreto del Presidente della Repubblica 3
agosto 1990, n. 333  (Regolamento  per  il  recepimento  delle  norme
risultanti dalla disciplina prevista  dall'accordo  del  23  dicembre
1989 concernente il personale del comparto delle regioni e degli enti
pubblici  non  economici  da  esse  dipendenti,  dei  comuni,   delle
province, delle comunita' montane, loro consorzi o  associazioni,  di
cui all'art. 4 del decreto del Presidente della  Repubblica  5  marzo
1986, n. 68), a decorrere dal 1° ottobre 1990, si e' riconosciuta  ai
dirigenti del comparto del personale degli enti locali «un'indennita'
di funzione connessa  con  l'effettivo  esercizio  delle  funzioni  e
graduata in relazione: al coordinamento di attivita',  all'importanza
della  direzione  delle  strutture  o  dei  singoli  programmi;  alla
rilevanza delle attivita' di studio, di consulenza propositiva  e  di
ricerca, di vigilanza e di ispezione, di assistenza agli organi; alla
disponibilita' richiesta in relazione all'incarico conferito». 
    Di tale indennita', «commisurata allo stipendio iniziale  secondo
appositi coefficienti varianti da 0,1 a 1» e provvista dei  caratteri
di generalita', di  fissita',  di  continuita',  si  e'  statuita  la
computabilita' nella base di calcolo della pensione. 
    Le  novita'  normative  e  la   successiva   elaborazione   della
giurisprudenza amministrativa e contabile hanno  indotto  l'INPDAP  a
porre l'accento sulla necessita'  di  «assoggettare  a  contributo  e
valutare ai fini dell'indennita' premio di servizio e del trattamento
di quiescenza l'indennita' di funzione attribuita  ai  dirigenti  del
comparto degli enti locali [...] nell'intera  misura  corrisposta  ai
dirigenti medesimi, a decorrere dal 1° ottobre  1990»  (Circolare  14
novembre 1994, n. 9). 
    3.3.- Il 12 gennaio 1994, l'ufficio di controllo sugli atti della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia  ha  censurato  la  disarmonia
della «pensionabilita', a carico della Regione, delle  indennita'  di
cui agli articoli 21 e 25» della legge reg. Friuli-Venezia Giulia  n.
53  del  1981  rispetto  alle  norme  di  riforma   economico-sociale
contenute nella legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo  per
la razionalizzazione e la revisione delle discipline  in  materia  di
sanita',  di  pubblico  impiego,   di   previdenza   e   di   finanza
territoriale), e nel decreto legislativo 30  dicembre  1992,  n.  503
(Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei  lavoratori
privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della  legge  23  ottobre
1992, n. 421). 
    Ad avviso della Corte dei conti,  il  regime  di  pensionabilita'
sancito dalla legislazione regionale non avrebbe osservato  l'obbligo
«di  omogeneita'  dei  trattamenti  pensionistici»  e  sarebbe  stato
«palesemente e gravemente  difforme  rispetto  alla  generalita'  dei
trattamenti di  quiescenza  erogati  ai  soggetti  destinatari  della
previdenza pubblica». 
    Sarebbe stato violato, in particolare,  l'obbligo  di  equilibrio
delle gestioni previdenziali, poiche' le erogazioni previdenziali  si
sarebbero  rivelate  «del  tutto  sproporzionate,  in  negativo   per
l'erario, soprattutto ove si consideri la  pensionabilita'  piena  di
una indennita' percepita per tempi brevi (otto anni) o, in  riduzione
proporzionale, anche brevissimi». 
    Sarebbe stata carente anche la copertura finanziaria degli  oneri
correlati ai trattamenti aggiuntivi, in quanto  la  Regione  autonoma
non avrebbe provveduto a calcolarli, neppure approssimativamente, e a
individuare «i mezzi sostanziali di copertura». 
    3.4.- L'art. 100 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 18 del
1996 ha inteso dare risposta ai rilievi critici formulati dalla Corte
dei conti. 
    Nell'ambito di un piu' vasto  disegno  riformatore,  che  -  come
risulta dal titolo - delinea una riforma dell'impiego  regionale  «in
attuazione dei principi  fondamentali  di  riforma  economico-sociale
desumibili dalla legge 23 ottobre 1992, n. 421», l'art. 100, comma 1,
della legge  regionale  citata  ha  preso  atto  della  «riconosciuta
pensionabilita',  a  decorrere  dal  1°  ottobre  1990,  [...]  delle
indennita' di funzione corrisposte al  personale  in  possesso  della
qualifica funzionale  di  dirigente»  e  ha  abrogato  le  previsioni
dell'art. 140 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 53 del  1981,
riguardanti il computo dell'indennita' di funzione nel trattamento di
quiescenza,  e  quelle  dell'art.  143  della   stessa   legge   reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 53 del 1981, che  imponeva  di  tener  conto
delle indennita' di funzione anche nel calcolo  delle  indennita'  di
buonuscita. 
    L'eliminazione dei trattamenti aggiuntivi e' stata  temperata  da
taluni meccanismi di salvaguardia, introdotti dall'art. 100, comma 2,
a beneficio del «personale gia' cessato  dal  servizio  entro  il  30
settembre 1990». 
    Tali previsioni sono state  successivamente  integrate  dall'art.
12, comma 1, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
30 dicembre 2014, n. 27, recante «Disposizioni per la formazione  del
bilancio pluriennale e annuale  (Legge  finanziaria  2015)»,  che  ha
salvaguardato  l'erogazione  dei  trattamenti  di   quiescenza   gia'
previsti dall'art. 140 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia  n.  53
del 1981 anche  per  il  «personale  cessato  dal  servizio  nei  cui
confronti l'Inpdap non ha riconosciuto  nell'imponibile  pensionabile
utile  ai  fini  della  determinazione  della  quota  A  di  pensione
l'importo dell'indennita' di funzione o di posizione». 
    L'art. 100, comma 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 18
del 1996 faceva  salvi  «i  diritti  acquisiti  dal  personale,  gia'
cessato o in servizio, in godimento  delle  indennita'  di  cui  agli
articoli 21 e 25 della legge regionale n. 53 del 1981» alla  data  di
entrata in vigore della medesima  legge  regionale  del  1996.  Della
salvaguardia si giovava anche il «personale titolare degli  incarichi
conferiti con contratto di diritto privato» e il «personale  inserito
nell'albo ai sensi dell'articolo 8, comma 2, lettere b) e  c),  della
legge regionale 27 marzo 2002, n. 10». 
    Il citato art. 100, al successivo comma 4, precisava,  quanto  al
trattamento di quiescenza,  che  la  salvaguardia  si  concretizzava,
all'atto   del   collocamento   a   riposo,    «con    l'attribuzione
dell'eventuale assegno derivante dalla differenza tra l'ammontare del
maturato ai sensi della normativa di cui all'articolo 140 della legge
regionale n.  53  del  1981  e  l'incremento  di  pensione  spettante
dall'INPDAP-CPDEL con la valutazione dell'indennita' di funzione». 
    3.5.- Le disposizioni censurate incidono proprio sulle ultime due
previsioni dell'art. 100 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 18
del 1996. 
    Le censure del rimettente riguardano l'art. 12,  comma  3,  della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 15 del 2014, nella parte  in  cui
sopprime il trattamento differenziale attribuito dall'art. 100, comma
4, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 18  del  1996  a  coloro
che, alla data di entrata in vigore  di  tale  legge,  gia'  godevano
delle indennita' di funzione (art. 100, comma 3, egualmente  abrogato
dalla disposizione censurata). 
    Il giudice a quo censura anche l'art. 12, comma  5,  della  legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 15 del 2014, che conferma la cessazione
dell'erogazione dei trattamenti differenziali,  a  far  data  dal  1°
settembre 2014. 
    4.- Le questioni sollevate dalla Corte d'appello di  Trieste  non
incorrono  nei  profili  d'inammissibilita'  eccepiti  dalla  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia nella memoria illustrativa  depositata
in vista dell'udienza. 
    La difesa della Regione imputa alla Corte rimettente, in punto di
rilevanza delle questioni, di non avere esplorato  la  praticabilita'
di una interpretazione costituzionalmente orientata e  di  non  avere
tenuto nel debito conto le ragioni che  sorreggono  l'intervento  del
legislatore regionale. 
    4.1.- A fronte di un dato normativo  dal  tenore  inequivocabile,
che implica l'eliminazione dei trattamenti aggiuntivi a  partire  dal
1° settembre 2014, l'interpretazione adeguatrice non puo' che  cedere
il passo all'incidente di costituzionalita'. E'  la  stessa  Regione,
peraltro, a condividere la premessa interpretativa dalla quale  muove
la Corte rimettente e a diffondersi sulle ragioni che giustificano la
scelta legislativa di eliminare i trattamenti aggiuntivi. 
    4.2.- Neppure l'eccezione di inadeguata ponderazione  del  quadro
normativo  e  dei  principi  costituzionali  richiamati  puo'  essere
accolta. 
    La Corte rimettente ha ricostruito con dovizia di riferimenti  il
contesto normativo e i profili di  contrasto  con  i  precetti  della
Carta fondamentale. 
    La rilevanza delle questioni, che la Regione revoca in dubbio, e'
suffragata, in realta', dall'applicabilita'  nei  giudizi  principali
delle disposizioni censurate,  che  precludono  l'accoglimento  delle
domande dei dirigenti. 
    Le argomentazioni della Regione in ordine ai profili  preliminari
ora menzionati investono, a ben considerare, il merito delle  censure
e, pertanto, nella disamina del merito devono essere valutate. 
    4.3.- La  Corte  d'appello  di  Trieste  prende  le  mosse  dalla
plausibile premessa ermeneutica che le disposizioni censurate abbiano
eliminato,  a  decorrere  dal  1°  settembre  2014,   i   trattamenti
aggiuntivi e che  a  diversa  conclusione  non  possano  condurre  le
previsioni introdotte  nell'art.  100,  comma  2,  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 1996 dall'art.  12,  comma  1,  della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 27 del 2014. 
    Con ampia  motivazione,  il  giudice  a  quo  argomenta  che  gli
appellanti nei giudizi principali non possono  essere  equiparati  ai
dirigenti cessati dal servizio «nei cui  confronti  l'Inpdap  non  ha
riconosciuto  nell'imponibile  pensionabile  utile  ai   fini   della
determinazione della quota A di pensione l'importo dell'indennita' di
funzione o di posizione». Solo per tali lavoratori, invero, la  legge
regionale, da  ultimo  modificata  dalla  legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia n. 27  del  2014,  dispone  la  salvaguardia  dei  trattamenti
aggiuntivi, allo scopo di tutelare coloro che hanno svolto  incarichi
dirigenziali, senza poter vantare la relativa qualifica, e non  hanno
pertanto beneficiato del computo dell'indennita'  di  funzione  nella
determinazione del trattamento pensionistico. 
    Il rimettente reputa «palesemente assurda e  contradditoria»  una
diversa interpretazione, che perpetui  l'erogazione  dei  trattamenti
aggiuntivi anche per le parti dei giudizi a quibus. 
    Una  siffatta  interpretazione  sarebbe  contraddetta,  in  primo
luogo, dalla lettera della legge. Per i dirigenti regionali che hanno
proposto  appello,  l'INPDAP  prima  e   successivamente   l'Istituto
nazionale  della  previdenza  sociale   (INPS)   hanno   riconosciuto
l'indennita' di funzione dirigenziale nel  trattamento  previdenziale
liquidato. Non  sarebbe  dunque  sostenibile  l'applicazione  di  una
disciplina, che  presuppone  il  radicale  disconoscimento,  ai  fini
previdenziali, dell'indennita' di funzione. 
    L'interpretazione, che e' stata adombrata nei giudizi  principali
per essere riproposta  nell'udienza  pubblica  dagli  appellanti  nel
giudizio di cui al reg. ord. n. 192 del 2018, genererebbe «una  sorta
di  corto  circuito  legislativo»,   secondo   la   valutazione   non
implausibile  del  giudice  a  quo.  I   trattamenti   differenziali,
soppressi dalla legge reg. Friuli-Venezia  Giulia  n.  15  del  2014,
sarebbero stati reintrodotti, con una scelta incoerente,  gia'  dalla
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 27 del 2014. 
    Gli argomenti addotti  dalla  Corte  rimettente  sono  avvalorati
dall'analisi dei lavori preparatori della legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia n. 27 del 2014, che si invoca a  sostegno  della  salvaguardia
dei trattamenti  aggiuntivi.  Nel  corso  dell'approvazione  di  tale
legge, e'  stato  discusso  un  emendamento  (12.1.),  finalizzato  a
ripristinare la disciplina previgente del trattamento  differenziale.
L'emendamento, accompagnato anche da una quantificazione degli  oneri
finanziari, non e' stato approvato. 
    Anche sul versante delle premesse interpretative su cui  si  basa
il sospetto  di  illegittimita'  costituzionale,  non  si  ravvisano,
pertanto, ragioni di inammissibilita' delle questioni proposte. 
    5.- Le questioni sollevate dalla Corte d'appello di  Trieste  non
sono fondate, in tutti i disparati profili in cui si articolano. 
    5.1.- Le censure muovono dal presupposto che  l'eliminazione  dei
trattamenti aggiuntivi configuri un  prelievo  coattivo,  lesivo  del
principio di capacita' contributiva sancito dall'art.  53  Cost.,  in
quanto non risulta che analoga imposizione gravi  su  altri  soggetti
che si trovano in condizioni equiparabili. 
    Tale presupposto non e' fondato. 
    Per giurisprudenza  costante  di  questa  Corte,  la  fattispecie
tributaria postula il ricorrere di una disciplina legale «finalizzata
in via prevalente  a  provocare  una  decurtazione  patrimoniale  del
soggetto passivo,  svincolata  da  ogni  modificazione  del  rapporto
sinallagmatico» (sentenza n. 178 del 2015, punto 9.1. del Considerato
in diritto) e, sul piano teleologico, la destinazione  delle  risorse
derivanti dal prelievo e connesse  a  un  presupposto  economicamente
rilevante, rivelatore  della  capacita'  contributiva,  «a  sovvenire
pubbliche spese» (fra le molte, sentenza n. 89 del 2018,  punto  7.1.
del Considerato in diritto). 
    La  scelta  legislativa  di  interrompere,  a  decorrere  dal  1°
settembre  2014,  l'erogazione  dei   trattamenti   differenziali   e
l'eliminazione, solo per il futuro, di un  trattamento  previdenziale
aggiuntivo non si atteggiano come prelievo a carico del  beneficiario
della pensione, ma come misura di razionalizzazione (sentenze n.  250
del 2017, punto 6.4. del Considerato in diritto, e n.  70  del  2015,
punto 4. del Considerato in diritto). 
    Tale circostanza impedisce di ravvisare i tratti distintivi della
fattispecie tributaria. 
    Peraltro, la scelta del legislatore regionale si raccorda  a  una
innovazione che si riverbera sullo stesso rapporto sinallagmatico, in
quanto fa riscontro  al  riconoscimento  del  carattere  pensionabile
dell'indennita' di funzione nel sistema della previdenza generale. La
modificazione imposta dal  legislatore  regionale  non  si  configura
dunque quale prelievo di natura tributaria, di norma disancorato  dal
rapporto sinallagmatico. 
    Alla  fattispecie  sottoposta  all'odierno   scrutinio   non   si
attagliano neppure le enunciazioni di principio di questa Corte,  che
presuppongono il ricorrere  di  un  contributo  di  solidarieta'  sui
trattamenti pensionistici di importo piu' elevato,  riconducibile  al
paradigma dell'art. 53 Cost. (sentenza n. 116 del 2013)  o  dell'art.
23  Cost.,   quando   e'   ispirato   a   criteri   di   solidarieta'
endoprevidenziale (sentenza n. 173 del 2016). 
    5.2.- Del pari non e' fondata la censura di arbitraria disparita'
di trattamento rispetto al personale cessato dal servizio entro il 30
settembre 1990, che, per effetto dell'art. 100, comma 2, della  legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 18 del  1996,  continua  a  beneficiare
delle prestazioni previdenziali aggiuntive. 
    Si deve osservare che spetta all'apprezzamento discrezionale  del
legislatore, in coerenza con il generale  canone  di  ragionevolezza,
delimitare la sfera di applicazione delle normative che si  succedono
nel tempo. Non contrasta di per se' con il principio  di  eguaglianza
il trattamento differenziato applicato  alle  stesse  fattispecie  in
momenti diversi nel tempo (sentenza n. 104 del 2018, punto  7.1.  del
Considerato in diritto). 
    Nel  caso  di  specie,  i   limiti   posti   dal   principio   di
ragionevolezza non sono stati travalicati. 
    L'erogazione  del  trattamento  integrativo   a   beneficio   dei
dirigenti cessati dal servizio entro il 30 settembre  1990  e'  stata
salvaguardata poiche' tali dirigenti, in rapporto  all'indennita'  di
funzione,  non  avrebbero  altrimenti   goduto   di   alcuna   tutela
previdenziale, riconosciuta per  i  dirigenti  regionali  soltanto  a
decorrere dal 1° ottobre 1990. 
    La posizione di tali lavoratori, cessati dal  servizio  in  epoca
anteriore, non soltanto ha  raggiunto  un  piu'  elevato  livello  di
consolidamento  rispetto  a  quella  degli  appellanti  nei   giudizi
principali, ma a questa non  puo'  essere  equiparata  in  virtu'  di
un'ulteriore considerazione. Per i  dirigenti  cessati  dal  servizio
dopo il 1° ottobre 1990,  l'indennita'  di  funzione  e'  gia'  stata
valorizzata  a  fini  pensionistici  nel  sistema  della   previdenza
generale a decorrere dal 1° ottobre 1990. 
    La denunciata disparita' di trattamento ha dunque  un  fondamento
non manifestamente irragionevole. 
    5.3.-  Possono  essere  esaminate   congiuntamente,   in   quando
investono profili inscindibilmente connessi, le censure relative alla
violazione  del  principio  di  ragionevolezza  e  della  tutela  del
legittimo affidamento nonche'  alla  compromissione  dell'adeguatezza
della posizione retributiva e previdenziale. 
    Neppure sotto tale profilo le questioni sono fondate. 
    Per i rapporti previdenziali, riconducibili  alla  categoria  dei
rapporti  di  durata,  di  regola  «non  si  puo'  discorrere  di  un
affidamento legittimo nella loro immutabilita'» (sentenza n. 127  del
2015, punto 8.1. del Considerato in diritto). 
    Nel caso sottoposto all'odierno vaglio della Corte, il  mutamento
determinato dalle disposizioni censurate, che opera soltanto  per  il
futuro  e  non  intacca  le  erogazioni  gia'  corrisposte,  non   e'
arbitrario ed e' anzi sorretto da una ratio adeguata. 
    Inserita in un complesso di misure di assestamento  del  bilancio
regionale,   la   disciplina   censurata   elimina   un   trattamento
previdenziale di particolare  favore,  come  gia'  evidenziato  dalla
Corte dei conti. 
    La  valorizzazione  a  fini  previdenziali   dell'indennita'   di
funzione dirigenziale e' stata introdotta dall'art. 140  della  legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 53 del 1981 allo scopo di ovviare a una
disparita' di trattamento tra dirigenti statali, beneficiari  di  una
tutela previdenziale con riguardo all'indennita'  di  funzione,  e  i
dirigenti regionali, esclusi da tale tutela. 
    La disciplina speciale apprestata dal  legislatore  regionale  ha
perso la sua ragion  d'essere  allorche'  e'  stato  riconosciuto  il
carattere pensionabile  dell'indennita'  di  funzione  dei  dirigenti
regionali. 
    Il legislatore regionale, nel dare parziale  seguito  ai  rilievi
critici della Corte dei conti, ha scelto di  eliminare  a  regime  le
prestazioni  previdenziali  connesse   all'indennita'   di   funzione
dirigenziale (art. 100, comma  1,  della  legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia  n.  18  del  1996),  pur  conservando  l'erogazione   di   un
trattamento aggiuntivo per chi, alla data di entrata in vigore  della
riforma del 1996, gia' godeva delle indennita' di  funzione  previste
dalla legislazione regionale (art. 100, comma  3,  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 1996). 
    La salvaguardia si sostanziava, al momento  del  collocamento  in
quiescenza,  nell'erogazione  di  un  eventuale  assegno   denominato
"differenziale",  in  quanto  pari  alla  differenza  tra   l'importo
maturato alla stregua della piu'  favorevole  disposizione  dell'art.
140  della  legge  reg.  Friuli-Venezia  Giulia  n.  53  del  1981  e
«l'incremento  di  pensione  spettante   dall'INPDAP-CPDEL   con   la
valutazione dell'indennita' di funzione» (art. 100,  comma  4,  della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 1996). 
    L'eliminazione di tale assegno differenziale, a decorrere dal  1°
settembre 2014, non entra in conflitto con i parametri costituzionali
evocati dal rimettente. 
    Non  e'  decisivo  l'argomento  che   fa   leva   sulla   carente
illustrazione delle esigenze finanziarie e dei risparmi attesi.  Come
ha chiarito questa Corte (sentenza n. 20 del  2018,  punto  2.1.  del
Considerato in diritto), «[l]a valenza significativa di tale dato  si
inquadra [...] nell'ambito di uno scrutinio  piu'  ampio,  diretto  a
ponderare  ogni  elemento  rivelatore  dell'arbitrarieta'   e   della
sproporzione del sacrificio  imposto  agli  interessi  costituzionali
rilevanti». 
    Neanche il richiamo alla pretesa esiguita' dei  risparmi  che  la
misura in esame determina o al lungo tempo  che  e'  trascorso  dalla
salvaguardia  del  trattamento  di  favore  e'  dirimente  e  vale  a
cristallizzare l'assetto normativo pregresso. 
    Nella valutazione  a  piu'  ampio  raggio  che  questa  Corte  e'
chiamata a compiere, si deve osservare che le innovazioni  introdotte
dal   legislatore   regionale   non   minano   l'adeguatezza   e   la
proporzionalita' della tutela previdenziale,  da  vagliare  piuttosto
secondo un'ottica «globale e complessiva, che non si esaurisca  nella
parziale considerazione delle singole componenti», in  ragione  della
«molteplicita' di variabili  sottese»  al  bilanciamento  attuato  di
volta in volta dal legislatore (sentenza n. 259 del 2017, punto  3.1.
del Considerato in diritto). 
    Le  disposizioni  censurate  non  sacrificano  dunque  il  nucleo
intangibile dei diritti tutelati dagli artt. 36 e 38 Cost. 
    Le parti ricorrenti nei  giudizi  a  quibus  gia'  fruiscono,  in
riferimento all'indennita' di funzione dirigenziale, della tutela che
accorda  il  sistema  della  previdenza  generale,  gestito  dapprima
dall'INPDAP e ora dall'INPS. 
    La proporzionalita' e l'adeguatezza della  tutela  previdenziale,
ora  salvaguardate  nel  contesto  della  previdenza  generale,   non
impongono di estendere indefinitamente - nella forma  di  un  assegno
differenziale - il godimento di un trattamento favorevole, ancorato a
un diverso contesto  normativo,  che  non  computava  in  alcun  modo
l'indennita'  di  funzione  dirigenziale  nella  determinazione   del
trattamento  di  quiescenza,  e  non  proporzionato   rispetto   alle
provviste contributive effettivamente versate. 
    L'esigenza di ripristinare criteri di equita' e di ragionevolezza
e di rimuovere le sperequazioni  e  le  incongruenze,  insite  in  un
trattamento di favore, e' da ritenersi  preponderante  rispetto  alla
tutela dell'affidamento, addotta dalla Corte  rimettente  a  sostegno
delle censure (sentenza n. 108 del 2019). 
    Non  e'  persuasivo,  pertanto,  il  riferimento   al   carattere
definitivo e non transitorio del sacrificio imposto, che questa Corte
ha richiamato nello scrutinio di misure destinate a protrarsi per  un
tempo indefinito e a comprimere  il  nucleo  essenziale  dei  diritti
coinvolti (sentenze n. 178 del 2015 e n. 70 del 2015  e,  da  ultimo,
sentenza n. 159 del 2019, punto 9. del Considerato in diritto). Nella
fattispecie oggi  all'esame  di  questa  Corte,  non  si  ravvisa  un
sacrificio  intollerabile  dei  diritti  fondamentali   connessi   al
rapporto previdenziale, in quanto la tutela dei dirigenti pensionati,
con riguardo  alla  singola  voce  dell'indennita'  di  funzione,  e'
assicurata in termini coerenti con  la  disciplina  della  previdenza
pubblica. 
    Ne'  serve  richiamare  l'argomento   dell'infruttuosita'   della
contribuzione versata.  I  dirigenti  regionali  hanno  continuato  a
godere di un trattamento aggiuntivo fino al 1°  settembre  2014,  pur
avendo versato alla Regione i contributi solo fino  al  30  settembre
1990. 
    Successivamente - secondo la ricostruzione offerta dalla  Regione
e non contestata dagli appellanti nei giudizi a quibus -  la  Regione
ha  cessato  di  trattenere   i   contributi,   pur   continuando   a
corrispondere il trattamento differenziale. 
    Dopo il 30 settembre 1990, i contributi,  versati  alla  gestione
dell'INPDAP prima e  poi  dell'INPS,  hanno  comunque  comportato  il
riconoscimento di  una  adeguata  tutela  previdenziale  in  rapporto
all'indennita' di funzione. 
    Pertanto, non vi e' contrasto alcuno con gli artt. 36 e 38 Cost. 
    6.- Dalle considerazioni svolte, discende la  non  fondatezza  di
tutte le questioni sollevate dalla Corte d'appello di Trieste.