ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 22, commi
1 e 2, e 27, comma 1, del decreto legislativo 31  dicembre  1992,  n.
546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega
al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30  dicembre  1991,  n.
413), promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Genova nel
procedimento vertente tra My Home in Portofino srl in liquidazione  e
Agenzia delle entrate, Ufficio Genova 1, con ordinanza del 1°  aprile
2009, iscritta al n. 85 del  registro  ordinanze  2019  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  24,  prima   serie
speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 6 novembre  2019  il  Giudice
relatore Aldo Carosi. 
    Ritenuto che la Commissione tributaria provinciale di Genova, con
ordinanza del 1° aprile 2009 (reg. ord. n. 85 del 2019), ha sollevato
questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 22, commi 1 e 2,
e 27, comma 1, del decreto  legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega  al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),
in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione; 
    che il rimettente  premette  di  essere  investito  del  reclamo,
promosso da My Home in Portofino  srl  in  liquidazione,  avverso  il
decreto presidenziale, emesso ai sensi dell'art. 27 del d.lgs. n. 546
del 1992, di inammissibilita' del  ricorso  con  il  quale  e'  stato
impugnato un avviso di accertamento  relativo  al  reddito  d'impresa
dell'anno 2004 ed emesso ai fini delle imposte dirette e dell'IVA; 
    che difatti la societa'  ricorrente  non  si  era  costituita  in
giudizio nel termine di trenta giorni dalla proposizione del ricorso,
come previsto dall'art. 22 del  medesimo  d.lgs.  n.  546  del  1992,
bensi' solo successivamente al menzionato  decreto  presidenziale  di
inammissibilita', dopo la tempestiva costituzione in  giudizio  della
resistente  Agenzia  delle  entrate  e  pochi  giorni   prima   della
proposizione del reclamo; 
    che, quanto alla rilevanza, essa sarebbe legata al diverso  esito
del giudizio in corso qualora venissero accolte le odierne questioni:
nel  caso  di  infondatezza,  infatti,  il  reclamo  dovrebbe  essere
rigettato con sentenza di inammissibilita' e la  ricorrente  verrebbe
definitivamente  privata  del  diritto  di  contestare   la   pretesa
impositiva oggetto dell'impugnazione; 
    che, in considerazione del tenore letterale, dovrebbe  escludersi
la possibilita' di adottare  una  interpretazione  costituzionalmente
orientata delle norme  censurate,  posto  che  l'inequivocabile  loro
formulazione non ne consentirebbe un'esegesi tale  da  condurre  alla
prosecuzione del processo nonostante la tardivita' della costituzione
in giudizio della societa' ricorrente; 
    che,  quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
ritiene irragionevole la disparita' di trattamento tra il  ricorrente
nel giudizio tributario e l'attore nel  processo  civile,  il  quale,
nell'ipotesi di mancata costituzione in giudizio nel  termine  a  lui
assegnato e di costituzione tempestiva del  convenuto,  conserva,  ai
sensi dell'art. 171, secondo comma, del codice di  procedura  civile,
la possibilita' di costituirsi fino alla prima udienza; 
    che il  riconoscimento  di  detta  facolta'  anche  nel  processo
tributario  non  rallenterebbe,  infatti,  il  giudizio  in   maniera
apprezzabile, dal momento che il ricorso potrebbe essere esaminato in
una udienza pubblica da fissare successivamente alla costituzione del
resistente nel rispetto  di  trenta  giorni  liberi,  secondo  quanto
previsto dagli artt. 30 e seguenti del d.lgs. n. 546 del 1992; 
    che in definitiva, secondo  il  rimettente,  «si  tratterebbe  di
sopprimere l'esame preliminare del ricorso, regolato dagli artt. 27 e
28, d.lgs. 31.12.1992,  n.  546  e  prevedere  la  trattazione  della
controversia con le modalita' di  cui  agli  artt.  30  e  segg.  del
decreto da ultimo citato anche in caso  di  tardiva  costituzione  in
giudizio del ricorrente»; 
    che, inoltre, in assenza di un apprezzabile ritardo nel  processo
di accertamento e riscossione dei tributi e, dunque, di un  sensibile
pregiudizio alla tutela  dell'interesse  fiscale,  la  disciplina  in
esame si risolverebbe anche in una lesione  del  diritto  di  difesa,
garantito  dall'art.  24  Cost.,  dal  momento  che  il  contribuente
verrebbe illegittimamente privato del diritto di  agire  in  giudizio
per la tutela dei propri interessi (sono richiamate, a  riguardo,  le
sentenze n. 283 del 1987, n. 61 del 1970 e n. 157 del 1969); 
    che, infine, il regime processuale previsto dagli artt. 22  e  27
del d.lgs. n. 546 del 1992 sarebbe in contrasto anche con «i principi
del "giusto processo"», introdotti dal novellato art. 111 Cost., «non
essendo ammissibile che il processo, strumento  di  attuazione  della
tutela  giurisdizionale,  costituisca   per   il   contribuente   una
"trappola", capace di sopprimere quel diritto di agire in giudizio in
funzione dell'esercizio del quale esso e'  stato  concepito,  in  una
situazione in cui l'inerzia del ricorrente non e'  segno  univoco  di
perdita dell'interesse all'azione»; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  che  ha  innanzitutto   eccepito   l'inammissibilita'   delle
questioni: dall'ordinanza di rimessione  si  evince  difatti  che  la
ricorrente  non  si  e'  costituita  alla   prima   udienza,   bensi'
successivamente   alla   declaratoria   di    inammissibilita',    e,
conseguentemente, la questione, volta a  consentire  la  costituzione
tardiva del ricorrente in prima udienza,  sarebbe  inammissibile  per
difetto di rilevanza; 
    che, nel merito, le questioni sarebbero comunque non fondate; 
    che, riguardo alla dedotta violazione dell'art. 3  Cost.,  questa
Corte avrebbe piu' volte ritenuto che la natura impugnatoria, nonche'
le  specificita'  e  le  peculiarita'  del  processo  tributario   ne
giustifichino una disciplina differenziata; 
    che, nel caso in esame, la  previsione  censurata  non  creerebbe
alcun ostacolo  all'esercizio  dei  diritti,  ma  predisporrebbe  una
reazione immediata all'inerzia ingiustificata della  parte  a  tutela
dell'interesse pubblico alla certezza del diritto e alla  riscossione
dei tributi; 
    che il raffronto tra le discipline andrebbe  quindi  operato  con
giudizi analoghi,  di  tipo  impugnatorio,  quale,  innanzitutto,  il
processo amministrativo; 
    che anche nel processo ordinario di  cognizione,  d'altronde,  la
mancata  costituzione  dell'attore  nei  termini   comporterebbe   la
decadenza nel giudizio di appello (art. 348, primo comma, cod.  proc.
civ.), cosi' come nell'opposizione a  decreto  ingiuntivo  (art.  647
cod. proc. civ.), la mancata o ritardata costituzione  dell'opponente
determinerebbe l'improcedibilita' dell'opposizione stessa; 
    che, quanto alle censure sollevate  in  riferimento  all'art.  24
Cost.,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   ritiene   non
pertinenti i "precedenti" di questa Corte richiamati  dal  rimettente
e, comunque, generica la prospettazione della violazione del  diritto
di   difesa,   con   conseguente   inammissibilita',   prima   ancora
dell'infondatezza, della relativa questione,  cosi'  come  di  quella
sollevata in riferimento all'art. 111 Cost., non essendo chiaro quale
sia  il  meccanismo  che  configurerebbe  per  il   contribuente   la
«trappola» menzionata nell'ordinanza di rimessione; 
    che in una successiva memoria, il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha insistito nelle rassegnate conclusioni. 
    Considerato che nel corso di un procedimento di  reclamo  avverso
il decreto presidenziale  inaudita  altera  parte,  emesso  ai  sensi
dell'art. 27, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre  1992,  n.
546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega
al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30  dicembre  1991,  n.
413), con cui e' stata dichiarata l'inammissibilita' del ricorso  per
tardiva  costituzione  del  ricorrente,  la  Commissione   tributaria
provinciale di Genova,  con  l'ordinanza  in  epigrafe  indicata,  ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale degli artt.  22  e
27 del medesimo d.lgs. n. 546 del 1992, per violazione degli artt. 3,
24 e 111 della Costituzione; 
    che, in base alle disposizioni censurate,  il  ricorrente,  entro
trenta   giorni   dalla   proposizione   del    ricorso,    a    pena
d'inammissibilita', si  costituisce  in  giudizio  depositando  nella
segreteria della commissione tributaria adita, o trasmettendo a mezzo
posta, il ricorso notificato, consegnato o  spedito  per  posta,  con
fotocopia  della  ricevuta  di  deposito  o  della   spedizione   per
raccomandata a mezzo del servizio postale  (art.  22,  comma1,  primo
periodo); l'inammissibilita' del ricorso e' rilevabile  d'ufficio  in
ogni stato e grado del giudizio, anche  se  la  parte  resistente  si
costituisce regolarmente (art. 22, comma 2);  infine,  il  presidente
della sezione, scaduti i termini  per  la  costituzione  in  giudizio
delle  parti,  esamina  preliminarmente  il  ricorso  e  ne  dichiara
l'inammissibilita' nei  casi  espressamente  previsti,  se  manifesta
(art. 27, comma 1); 
    che, secondo il rimettente, le questioni sarebbero rilevanti,  in
quanto, in base  alle  disposizioni  censurate,  il  reclamo  sarebbe
infondato e il ricorso inammissibile e, d'altronde,  sarebbe  esclusa
la possibilita' di  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata
delle menzionate disposizioni,  in  considerazione  del  loro  chiaro
tenore letterale; 
    che,  nel  merito,  le  questioni  sarebbero  non  manifestamente
infondate, innanzitutto in  relazione  all'art.  3  Cost.,  sotto  il
profilo  della  irragionevole  disparita'  di  trattamento   tra   il
ricorrente nel giudizio tributario e l'attore nel processo civile, il
quale, ai sensi dell'art. 171, secondo comma, del codice di procedura
civile, nell'ipotesi di mancata costituzione in giudizio nel  termine
a lui assegnato  e  di  costituzione  tempestiva  del  convenuto,  ha
facolta' di costituirsi tardivamente fino alla prima udienza; 
    che e'  inoltre  dedotta  la  lesione  dell'art.  24  Cost.,  per
violazione del diritto  di  difesa,  in  quanto,  in  assenza  di  un
apprezzabile ritardo nel processo di accertamento  e  di  riscossione
dei tributi, la tutela dell'interesse fiscale non potrebbe privare il
contribuente del diritto di agire  in  giudizio  per  la  tutela  dei
propri interessi; 
    che sarebbero infine violati i  principi  del  «giusto  processo»
introdotti dall'art.  111  Cost.  «non  essendo  ammissibile  che  il
processo,  strumento  di  attuazione  della  tutela  giurisdizionale,
costituisca per il contribuente una "trappola", capace di  sopprimere
quel diritto di agire in  giudizio  in  funzione  dell'esercizio  del
quale esso e' stato concepito, in una situazione in cui l'inerzia del
ricorrente  non  e'   segno   univoco   di   perdita   dell'interesse
all'azione»; 
    che, in via  preliminare,  l'eccezione  di  inammissibilita'  per
difetto di rilevanza sollevata dall'Avvocatura generale  dello  Stato
in ragione del fatto che il ricorrente non  si  fosse  costituito  in
prima udienza, bensi' nella segreteria della commissione  tributaria,
deve essere rigettata poiche' oggetto delle  questioni  in  esame  e'
proprio la facolta' di costituirsi in udienza, preclusa alla luce del
vigente assetto normativo,  il  quale  consente  la  declaratoria  di
inammissibilita' in limine litis ai sensi dell'art. 27 del d.lgs.  n.
546 del 1992; 
    che,  difatti,  il  rimettente  mira  a  eliminare  la   sanzione
dell'inammissibilita' del ricorso in caso di tardiva costituzione del
ricorrente, allorche'  la  parte  resistente  si  sia  costituita  e,
conseguentemente, a precludere la declaratoria di inammissibilita' in
sede di esame preliminare del  ricorso  ai  sensi  dell'art.  27  del
d.lgs. n. 546 del 1992; 
    che, secondo  il  rimettente,  per  effetto  del  rinvio  operato
dall'art. 1, comma 2,  del  d.lgs.  n.  546  del  1992,  in  caso  di
accoglimento  delle  questioni,  diverrebbe  applicabile  il   regime
previsto dall'art. 171, secondo comma, cod. proc.  civ.,  prospettato
come tertium comparationis; 
    che, cosi' delimitato il petitum, nel merito, le  questioni  sono
manifestamente infondate; 
    che, com'e' noto, il legislatore gode di  ampia  discrezionalita'
nella conformazione degli istituti  processuali,  fermo  restando  il
limite della manifesta irragionevolezza (ex plurimis, sentenze n.  45
del 2019; n. 225, n. 77 e n. 45 del 2018); 
    che, in particolare, questa Corte ha piu' volte chiarito «che non
esiste un principio costituzionale di necessaria  uniformita'  tra  i
diversi tipi di processo (ex plurimis sentenze n. 165  e  n.  18  del
2000,  n.  82  del  1996;  ordinanza  n.  217  del  2000),  e,   piu'
specificatamente, un principio di uniformita' del processo tributario
e di quello civile (tra le altre, ordinanze n. 316 del 2008,  n.  303
del 2002, n. 330 e n. 329 del 2000, n. 8 del 1999)» (sentenza n.  199
del 2017); 
    che, con riferimento all'art. 3 Cost., e'  affermazione  costante
quella per cui la giurisdizione tributaria, rispetto a quella  civile
ed amministrativa, conserva una sua specificita' (ex multis  sentenze
n. 165 del 2000 e n. 53 del 1998), correlata sia alla  configurazione
del processo tributario come processo impugnatorio, sia  al  rapporto
sostanziale  oggetto  del  giudizio,  rapporto  «che   attiene   alla
fondamentale ed imprescindibile esigenza dello Stato  di  reperire  i
mezzi per  l'esercizio  delle  sue  funzioni  attraverso  l'attivita'
dell'Amministrazione finanziaria, la quale  ha  il  potere-dovere  di
provvedere, con atti autoritativi, all'accertamento  ed  alla  pronta
riscossione dei tributi» (sentenza n. 53 del 1998); 
    che, alla luce di tali premesse e in  relazione,  specificamente,
all'asserita lesione del principio di eguaglianza, con riferimento al
tertium comparationis dedotto nell'odierno giudizio  (art.  171  cod.
proc. civ.), assume dunque particolare rilievo la specificita'  della
giurisdizione  tributaria,  correlata   a   un   giudizio   di   tipo
impugnatorio,  instaurato  entro  stretti  limiti  di  decadenza,  di
provvedimenti autoritativi, in cui la definitivita'  della  posizione
sostanziale in essi racchiusa e' garanzia di  certezza  e  stabilita'
dei rapporti giuridici tributari; 
    che,   peraltro,   con   specifico   riferimento   alla   tardiva
costituzione dell'opponente nel procedimento per  decreto  ingiuntivo
(art. 647 cod. proc. civ.), questa Corte, chiamata  a  scrutinare  la
pretesa disparita' di  trattamento  rispetto  alla  disciplina  della
costituzione in giudizio dell'attore nel processo ordinario, ha  gia'
osservato che i termini posti, in quell'occasione,  a  raffronto  dal
rimettente sono privi di omogeneita' e  quindi  non  comparabili,  in
quanto, attesa la  natura  impugnatoria  dell'opposizione  a  decreto
ingiuntivo, il parallelo sarebbe potuto eventualmente  porsi  con  la
disciplina  della  costituzione  in  giudizio   dell'appellante,   in
relazione  alla   quale   doveva   comunque   escludersi   l'asserita
diseguaglianza,  essendo  prevista  anche  per  l'appellante  analoga
sanzione  di  improcedibilita'  in  caso  di   costituzione   tardiva
(ordinanze n. 154 del 2005 e n. 239 del 2000); 
    che, in conclusione, l'eterogeneita' dell'elemento  di  raffronto
del giudizio di eguaglianza comporta la manifesta infondatezza  della
relativa questione (ordinanze n. 202 del 2018, n. 290 del 2016  e  n.
165 del 2015); 
    che, del pari, sono manifestamente infondate le censure sollevate
in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost.; 
    che,  con  riferimento  ai   predetti   parametri,   secondo   la
giurisprudenza di questa Corte, la discrezionalita'  del  legislatore
nella conformazione degli istituti  processuali  incontra  il  limite
nella esigenza che «non vengano imposti  oneri  tali  o  non  vengano
prescritte modalita'  tali  da  rendere  impossibile  o  estremamente
difficile  l'esercizio  del  diritto  di  difesa  o  lo   svolgimento
dell'attivita' processuale» (sentenza n. 121 del 2016; tra le  tante,
nello stesso senso, sentenze n. 199 del 2017, n. 44 del 2016, n.  117
del 2012 e n. 237 del 2007); 
    che l'onere della costituzione in giudizio del  ricorrente  entro
trenta giorni dall'ultima notifica, di  per  se'  non  eccessivamente
gravoso, non e' manifestamente irragionevole in quanto,  come  dianzi
evidenziato, funzionale al consolidamento dell'atto amministrativo  e
alla tutela dell'interesse pubblico alla certezza e stabilita'  della
pretesa finanziaria oggetto del provvedimento impugnato; 
    che, infine, dalle argomentazioni che precedono consegue anche il
rigetto della questione sollevata in riferimento all'art. 111 Cost. -
peraltro  genericamente  evocato  -  in  quanto  priva  di  autonomia
rispetto a quella riferita all'art. 24 Cost. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.