ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4,  comma
1, lettera a), 5, comma 1, lettera a), 7, comma 2, 13, 53,  59  e  61
della legge della Regione autonoma della Sardegna 11 gennaio 2019, n.
1 (Legge  di  semplificazione  2018),  promosso  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri con ricorso notificato il  18-21  marzo  2019,
depositato in cancelleria il 25 marzo 2019, iscritto  al  n.  49  del
registro ricorsi 2019 e pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto  l'atto  di  costituzione  della  Regione  autonoma   della
Sardegna; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  28  gennaio  2020  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi l'avvocato dello Stato Francesca Morici per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato  Sonia  Sau  per  la  Regione
autonoma della Sardegna; 
    deliberato nella camera di consiglio del 29 gennaio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso  iscritto  al  n.  49  del  reg.  ric.  2019,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  promosso  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 4, comma 1,  lettera  a),  5,
comma 1, lettera a), 7, comma 2, 13, 53, 59 e 61  della  legge  della
Regione autonoma della Sardegna 11  gennaio  2019,  n.  1  (Legge  di
semplificazione 2018). 
    1.1.- Sono impugnati, anzitutto, gli artt. 4,  comma  1,  lettera
a), e 5, comma 1, lettera  a),  della  citata  legge  regionale.  Con
queste disposizioni sono stati modificati, rispettivamente, l'art. 3,
comma 2,  lettera  c),  della  legge  della  Regione  autonoma  della
Sardegna 24 ottobre 2014,  n.  20  (Istituzione  del  Parco  naturale
regionale di Gutturu Mannu), e l'art. 3, comma 2, lettera  c),  della
legge della Regione autonoma della Sardegna 24 ottobre  2014,  n.  21
(Istituzione del Parco naturale regionale di Tepilora). In entrambi i
casi, si interviene sulla composizione dell'organo di  revisione  dei
conti  dei  due  Parchi  naturali   che,   da   collegiale,   diventa
monocratico. 
    Cio', secondo il ricorrente, si porrebbe in contrasto con  l'art.
24 della legge 6 dicembre 1991,  n.  394  (Legge  quadro  sulle  aree
protette),  rubricato  «Organizzazione   amministrativa   del   parco
naturale regionale», che prevede l'istituzione, nell'ente  parco,  di
un organo collegiale di  revisione  dei  conti,  e  non  monocratico.
L'art. 9 della legge statale espressamente include,  tra  gli  organi
dell'ente, «il Collegio dei revisori dei conti» (comma 2, lettera d),
e stabilisce che quest'ultimo «e' nominato con decreto  del  Ministro
del tesoro ed e' formato da  tre  componenti  scelti  tra  funzionari
della Ragioneria generale dello Stato ovvero tra iscritti  nel  ruolo
dei revisori ufficiali  dei  conti.  Essi  sono  designati:  due  dal
Ministro del tesoro,  di  cui  uno  in  qualita'  di  Presidente  del
Collegio; uno dalla regione o, d'intesa, dalle  regioni  interessate»
(comma 10, terzo periodo). La  modifica  introdotta  dalle  impugnate
disposizioni della legge regionale, pertanto, inciderebbe «in maniera
palese  sull'assetto  organizzativo  interno  dell'ente  parco,  come
predeterminato dal parametro interposto statale», venendosi  cosi'  a
determinare  «una  illegittima  variazione  novativa   organica   con
conseguenti   riflessi   sotto   il   profilo    della    regolarita'
amministrativa dell'Ente parco stesso». Verrebbe in rilievo,  secondo
il ricorrente, la materia «tutela dell'ambiente  e  dell'ecosistema»,
di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'art.  117,  secondo
comma, lettera s), della Costituzione, materia in cui rientrerebbe la
disciplina delle aree protette di cui alla gia' citata legge  quadro.
La modifica introdotta non rispetterebbe la  normativa  statale  «che
fissa criteri generali di  tutela  validi  per  tutto  il  territorio
nazionale», incidendo sulla funzionalita' dell'organo e determinando,
per tale via, anche la violazione dell'art. 97 Cost. 
    Il ricorrente precisa che, secondo la  giurisprudenza  di  questa
Corte, la  legislazione  regionale  sarebbe,  pertanto,  chiamata  ad
adeguarsi ai principi fondamentali della materia,  quali  individuati
dalla  legge  n.  394  del  1991,  poiche',  nell'ambito  delle  aree
protette, le Regioni possono derogare alla legislazione statale  solo
determinando  maggiori  livelli  di  tutela.  Nelle  materie  di  sua
competenza, infatti, il legislatore regionale  troverebbe  un  limite
negli standard di tutela  fissati  a  livello  statale,  pur  potendo
adottare misure che prescrivano livelli di tutela dell'ambiente  piu'
elevati. Lo standard minimo uniforme di tutela nazionale  sarebbe  in
particolare rispettato anche con la «predisposizione da  parte  degli
enti  gestori  delle  aree  protette  di   strumenti   organizzativi,
programmatici e gestionali per la valutazione  di  rispondenza  delle
attivita' svolte nei parchi alle esigenze di protezione dell'ambiente
e  dell'ecosistema».  Per  le  aree  protette  regionali,   dove   il
legislatore statale «ha  previsto  [...]  un  quadro  normativo  meno
dettagliato di quello  predisposto  per  le  aree  naturali  protette
nazionali», la Regione non potrebbe derogare in peius  rispetto  alle
disposizioni  della  legge   nazionale,   neanche   con   riferimento
all'organizzazione dell'ente parco (sono  in  particolare  richiamati
gli artt. 22, comma 1, lettera d, 23 e 24  della  legge  n.  394  del
1991). 
    In definitiva, sebbene la Regione autonoma della  Sardegna  «goda
di competenza legislativa di tipo primario in materia di "ordinamento
degli uffici e  degli  enti  amministrativi  della  Regione  e  stato
giuridico ed economico del  personale",  ai  sensi  dell'articolo  3,
comma 1, lettera a), dello Statuto  speciale»,  approvato  con  legge
costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  3  (Statuto  speciale  per  la
Sardegna), tale competenza dovrebbe tuttavia attuarsi  «[i]n  armonia
con la Costituzione e i  principi  dell'ordinamento  giuridico  della
Repubblica e col  rispetto  degli  obblighi  internazionali  e  degli
interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali  delle  riforme
economico-sociali della  Repubblica»  (cosi'  l'incipit  dell'art.  3
dello statuto reg. Sardegna). 
    1.2.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  impugna  anche
l'art. 7, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019 (rubricato
«Gestione dei terreni da parte dell'Agenzia Forestas»). Con il  comma
1 di questa disposizione il  legislatore  regionale  ha  previsto  il
passaggio dei «terreni pubblici del Monte Pascoli di cui  alla  legge
regionale   6   settembre   1976,   n.   44   (Riforma   dell'assetto
agro-pastorale)», per i quali  «siano  intervenute  le  scadenze  dei
contratti di affitto alla data del 31 ottobre  2018»,  alla  gestione
dell'Agenzia forestale regionale per lo  sviluppo  del  territorio  e
l'ambiente della Sardegna  (Forestas),  la  quale  «ne  acquisisce  i
terreni, le strutture, le  attrezzature  presenti».  Il  comma  2  di
questo articolo - impugnato dal  Governo  -  stabilisce  quindi  che,
«[a]l fine di garantire la continuita' gestionale dei terreni e delle
strutture   l'Agenzia   Forestas   e'   autorizzata   ad   inquadrare
temporaneamente nel proprio organico  il  personale  impegnato  dagli
affittuari  fino  alla  data  di  risoluzione  del  contratto   anche
attraverso un  percorso  triennale  di  utilizzo,  nell'ambito  delle
risorse disponibili nel proprio bilancio e nel rispetto delle vigenti
facolta' assunzionali». 
    Il  ricorrente  lamenta  che,  in  tal  modo,   si   avrebbe   un
inquadramento del personale, all'interno  dell'Agenzia  Forestas,  in
conseguenza del suo mero «utilizzo triennale»,  «in  assenza  di  una
procedura selettiva» e «senza uno scrutinio o una  valutazione  delle
esigenze dell'Ente e dell'attivita'  svolta».  Cio'  si  porrebbe  in
contrasto con l'art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
(Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle  dipendenze  delle
amministrazioni  pubbliche),  per  cui  nel   pubblico   impiego   le
assunzioni a tempo determinato potrebbero rispondere solo ad esigenze
temporanee ed eccezionali, esigenze  non  certo  individuabili  nella
finalita' di garantire la continuita' gestionale dei terreni e  delle
strutture. Si richiama la competenza esclusiva statale nella  materia
dell'«ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.)
che, in  quanto  trasversale,  escluderebbe  la  «residua  competenza
regionale  in  punto  di  organizzazione  anche  per   le   autonomie
speciali», pur  a  fronte  di  esplicite  statuizioni  degli  statuti
regionali  speciali  sulla  competenza  primaria  in  tema  di  stato
giuridico ed economico del personale. Anche in questo caso, pertanto,
non potrebbe giovare alla Regione resistente  l'espressa  previsione,
nel suo  statuto  speciale  (art.  3,  comma  1,  lettera  a),  della
competenza primaria nella materia dell'«ordinamento  degli  uffici  e
degli  enti  amministrativi  della  Regione  e  stato  giuridico   ed
economico del personale». 
    Sarebbe dunque  violato  il  principio  di  accesso  al  pubblico
impiego per concorso di cui all'articolo 97, quarto comma, Cost. e vi
sarebbe contrasto anche con l'articolo 117,  secondo  comma,  lettera
l),  Cost.,  che  riserva  alla  competenza  esclusiva  dello   Stato
l'ordinamento  civile  e,  quindi,  i  rapporti  di  diritto  privato
regolati dal codice civile e dai contratti collettivi. 
    1.3.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri  impugna  inoltre
l'art. 13 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019, che  introduce  un
nuovo comma 1-bis all'art. 7-bis della legge della  Regione  autonoma
della Sardegna 11 ottobre 1985, n. 23 (Norme in materia di  controllo
dell'attivita' urbanistico-edilizia, di risanamento urbanistico e  di
sanatoria  di  insediamenti  ed  opere  abusive,  di  snellimento  ed
accelerazione delle  procedure  espropriative),  avente  il  seguente
tenore: «La disposizione di cui al comma 1 si applica anche nei  casi
in  cui  le  previsioni  legislative  o  regolamentari,  comprese  le
disposizioni in materia di distanze e di requisiti igienico-sanitari,
individuano misure minime». 
    Il comma 1 dell'art. 7-bis citato, quale introdotto dall'art.  4,
comma 1, della legge della Regione autonoma della Sardegna 23  aprile
2015,  n.  8  (Norme  per  la  semplificazione  e  il   riordino   di
disposizioni  in  materia  urbanistica   ed   edilizia   e   per   il
miglioramento del patrimonio  edilizio),  si  riferisce  all'istituto
delle cosiddette tolleranze edilizie,  stabilendo  l'inapplicabilita'
delle  disposizioni  in  materia  di  parziale  difformita'  che  non
eccedano per singola unita' immobiliare il 2 per cento  delle  misure
progettuali. 
    Con la novella del 2019, il legislatore  regionale  ha  stabilito
che le regole in  materia  di  tolleranze  edilizie  debbano  trovare
applicazione anche quando altre previsioni  di  rango  legislativo  o
regolamentare   abbiano   gia'   prescritto   «misure   minime».   Ne
deriverebbe, secondo  il  ricorrente,  la  lesione  della  competenza
esclusiva statale in materia di ordinamento civile, di  cui  all'art.
117, secondo comma, lettera  l),  Cost.,  in  relazione  alle  «norme
cogenti e inderogabili» in tema di regolamentazione delle distanze di
cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile  1968,  n.
1444 (Limiti  inderogabili  di  densita'  edilizia,  di  altezza,  di
distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli
insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici  o  riservati
alle attivita'  collettive,  al  verde  pubblico  o  a  parcheggi  da
osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici  o
della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6
agosto 1967, n. 765). La disciplina sulle distanze di cui al d.m.  n.
1444 del 1968, adottata ai sensi dell'art. 41-quinquies  della  legge
17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), e' richiamata -  precisa
il ricorrente - dall'art. 2-bis del d.P.R.  6  giugno  2001,  n.  380
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia edilizia). 
    Il ricorrente  sostiene  che  le  deroghe  alle  distanze  minime
dovrebbero essere inserite in strumenti urbanistici funzionali  a  un
assetto complessivo e unitario del territorio. La  loro  legittimita'
sarebbe, infatti,  strettamente  connessa  agli  assetti  urbanistici
generali e quindi al «governo del  territorio».  Le  norme  regionali
che, invece, disciplinano le distanze tra edifici per altre finalita'
risulterebbero  invasive  della  materia  «ordinamento  civile»   (si
citano, in particolare, le sentenze di questa Corte n. 232 del 2005 e
n. 114 del 2012). 
    1.4.- Altra disposizione impugnata e' l'art. 53 della legge  reg.
Sardegna n. 1  del  2019,  rubricato  «Durata  delle  attestazioni  o
certificazioni di malattie croniche». Essa,  secondo  il  ricorrente,
interferirebbe  nella  materia,  di  competenza  statale   esclusiva,
prevista dall'art. 117,  secondo  comma,  lettera  m),  Cost.,  della
individuazione   dei   livelli    essenziali    delle    prestazioni.
L'interferenza deriverebbe, anzitutto, dalla  «lacunosa  e  generica»
disposizione di cui al comma 3,  che  -  senza  peraltro  fare  alcun
richiamo alle previsioni del decreto legislativo 28 aprile  1998,  n.
124 (Ridefinizione del  sistema  di  partecipazione  al  costo  delle
prestazioni  sanitarie  e  del  regime  delle  esenzioni,   a   norma
dell'articolo 59, comma 50, della legge 27 dicembre  1997,  n.  449),
ne' ai regolamenti attuativi - conferisce alla  Giunta  regionale  il
compito di individuare le malattie e  le  condizioni  di  salute  che
danno accesso a prestazioni sanitarie, socio-sanitarie o sociali  nel
territorio regionale. Il ricorrente  richiama  la  giurisprudenza  di
questa Corte (in particolare, le sentenze n. 282 del 2002  e  n.  338
del 2003) in cui il  «confine  fra  terapie  ammesse  e  terapie  non
ammesse»  sarebbe  stato   ricondotto   nell'ambito   dei   «principi
fondamentali della materia». 
    Oggetto di censura sono anche i commi 1 e 2 dell'art. 53  citato.
Il comma 1 cosi' dispone: «[l]e attestazioni o le  certificazioni  di
malattie croniche o di condizioni di salute  necessarie  al  fine  di
ottenere  prestazioni  sanitarie,  socio-sanitarie  o   sociali   nel
territorio regionale producono effetti sino all'eventuale regressione
della malattia o della condizione di salute ad un  livello  non  piu'
compatibile con l'ottenimento della prestazione». Il comma 2  prevede
che «[l]'eventuale regressione delle malattie o delle  condizioni  di
salute di cui al comma  1  e'  comunicata  dal  medico  curante  alle
pubbliche amministrazioni erogatrici della prestazione».  Secondo  il
ricorrente, da questo dettato normativo non  apparirebbe  chiaro  «in
che  modo  il  sanitario  curante,  istituzionalmente   deputato   ad
attestare  lo  stato  di  malattia  dell'assistito  e,   quindi,   ad
approntare diagnosi e prognosi, dovrebbe procedere all'individuazione
delle amministrazioni destinatarie della comunicazione in questione».
Ne', peraltro, sarebbero  specificate  «le  modalita'  attraverso  le
quali  il  medesimo  sanitario  curante  dovrebbe   provvedere   alla
comunicazione alle stesse amministrazioni interessate». 
    Inoltre, tale normativa - laddove delinea  il  potere/dovere  del
medico curante di  valutare,  prima  della  scadenza  dell'attestato,
l'effettivo stato di salute del paziente affetto da malattia  cronica
- non sarebbe «coerente» con quanto prevede il decreto  del  Ministro
della salute 23 novembre 2012  (Definizione  del  periodo  minimo  di
validita' dell'attestato di esenzione dalla partecipazione  al  costo
delle prestazioni sanitarie,  rilasciato  ai  sensi  del  decreto  28
maggio 1999, n. 329), secondo cui l'assistito deve essere  sottoposto
a una nuova visita medica (finalizzata al rinnovo  dell'attestato  di
esenzione)  solo  una  volta  decorso   il   periodo   di   validita'
dell'attestato, ma non  prima  della  scadenza  di  quest'ultimo.  In
definitiva, la norma  censurata  ridurrebbe  di  fatto,  in  caso  di
regressione della malattia, il periodo di validita' dell'attestato di
esenzione gia' rilasciato, ma ancora non scaduto. 
    1.5.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna,  inoltre,
l'art. 59  della  legge  reg.  Sardegna  n.  1  del  2019,  rubricato
«Disposizioni in  materia  di  formazione  professionale».  La  norma
stabilisce quanto segue: «[i] soggetti ricompresi nell'elenco di  cui
alla determinazione n. 4578 prot. n. 43229 del  4  ottobre  2018  del
Direttore generale dell'Assessorato regionale del lavoro,  formazione
professionale, cooperazione e sicurezza sociale che, alla data del 15
dicembre 2018, abbiano  fatto  ricorso  al  Tribunale  amministrativo
regionale avverso la medesima determinazione, sono iscritti d'ufficio
alla lista speciale ad esaurimento di cui all'articolo  6,  comma  1,
lettera  f)  della  legge  regionale  5  marzo  2008,  n.  3   (legge
finanziaria 2008), degli aventi diritto ai  sensi  dell'articolo  11,
comma 4, della legge regionale  11  gennaio  2018,  n.  1  (Legge  di
stabilita' 2018)». 
    Secondo  il  ricorrente  la  norma  regionale  impugnata  sarebbe
«riconducibile nella categoria delle  leggi  provvedimento»,  essendo
finalizzata «alla instaurazione di un  rapporto  di  impiego  con  la
regione per una delimitata  categoria  di  soggetti,  attraendo  alla
sfera  legislativa  quanto  e'  normalmente  affidato   all'autorita'
amministrativa».  Risulterebbe  pertanto  violato  il  principio   di
eguaglianza, di cui all'art. 3 Cost. Si fa, al riguardo,  riferimento
alla giurisprudenza  costituzionale  che,  ai  fini  di  valutare  il
rispetto dei limiti di ragionevolezza e non arbitrarieta', impone per
le  leggi-provvedimento  uno  stretto  scrutinio   di   legittimita'.
Sarebbero, inoltre, violati gli artt. 51, primo comma, e  97,  ultimo
comma, Cost., poiche' si consentirebbe l'instaurazione di un rapporto
di  impiego  con  la  Regione  senza  il  rispetto  della  necessaria
procedura concorsuale. 
    1.6.-  L'art.  61  della  legge  reg.  Sardegna  n.  1  del  2019
(rubricato «Progressioni professionali») e' impugnato dal  Presidente
del Consiglio dei ministri per contrasto con gli artt. 3, 117,  commi
primo (rectius: terzo) e secondo, lettera l), Cost., «in relazione al
Titolo terzo del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165».  La  norma  impugnata
stabilisce  quanto   segue:   «[a]l   personale   del   comparto   di
contrattazione regionale  che  abbia  maturato  i  requisiti  per  le
progressioni professionali per l'anno 2018 e non sia  transitato  nel
livello economico superiore, sono riconosciuti gli effetti  giuridici
della  progressione  con  decorrenza  dal  1°  gennaio   2018.   Tale
decorrenza ha valore ai fini del calcolo della  permanenza  effettiva
in servizio nel livello retributivo». 
    Secondo  il  Presidente  del  Consiglio   dei   ministri   questa
disposizione non preciserebbe «se si tratta di passaggi tra le  aree,
ovvero  di  passaggio  economico  all'interno   dell'area».   Se   il
significato dovesse essere inteso nel primo dei due  sensi,  dovrebbe
allora essere garantita  -  secondo  il  ricorrente  -  la  procedura
transitoria di cui all'art. 22  del  decreto  legislativo  25  maggio
2017, n. 75 (Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera  a,  e  2,
lettere b, c, d ed e e 17, comma 1, lettere a, c, e, f, g, h,  l,  m,
n, o, q, r, s e z, della legge 7 agosto 2015, n. 124, in  materia  di
riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche). 
    Qualora fosse invece esatta la seconda delle due interpretazioni,
il ricorrente sostiene che la retrodatazione introdotta  dalla  norma
censurata «confliggerebbe con gli orientamenti  consolidati  espressi
dall'Aran, dal Dipartimento della Funzione Pubblica e dalla Corte dei
Conti, che prevedono, come  decorrenza,  una  data  non  anteriore  a
quella  dell'approvazione  della  graduatoria  o  della  presa  delle
funzioni». Per tale via, si avrebbe  quindi  la  violazione  sia  dei
principi  di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  di  cui  alla
competenza concorrente prevista all'art. 117, terzo comma, Cost., sia
della  disciplina  del  rapporto  di  lavoro  alle  dipendenze  della
pubblica amministrazione, di cui alla competenza  statale  esclusiva,
prevista  per  la  materia  dell'ordinamento  civile  dall'art.  117,
secondo comma, lettera l), Cost. Quest'ultimo  titolo  di  competenza
statale -  si  aggiunge  -  sarebbe  violato  dalla  legge  regionale
impugnata anche perche' questa riconosce gli effetti giuridici  delle
progressioni de quibus «senza che siano  rispettate  le  disposizioni
contenute nel Titolo III del D.lgs. n. 165/2001 citato, relative alla
contrattazione collettiva e rappresentativita' sindacale». 
    Infine, la norma  impugnata  si  porrebbe  in  contrasto  con  il
principio di eguaglianza, di cui all'art. 3 Cost.,  «poiche'  per  il
personale delle altre Regioni, nella  stessa  situazione  lavorativa,
troverebbe applicazione un diverso trattamento contrattuale». 
    2.- Si e' costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna, in
persona del proprio Presidente pro tempore, chiedendo il rigetto  del
ricorso e svolgendo, nel merito, proprie considerazioni difensive con
riguardo alla prima, alla terza, alla  quarta  e  alla  quinta  delle
questioni sollevate dallo Stato. Nessuna  difesa,  invece,  e'  stata
svolta con riguardo alla seconda e alla quinta questione. 
    2.1.-  Sulla  prima  questione  sollevata  dal   Presidente   del
Consiglio  dei  ministri,  la  Regione  osserva   che,   secondo   la
giurisprudenza  costituzionale,  «tutela  dell'ambiente»  non  e'  da
intendersi  come  "materia"  in  senso  tecnico,   ma   come   valore
costituzionalmente  protetto,  che  investirebbe   altre   competenze
regionali, poiche' allo Stato spetterebbe solo il compito di  fissare
standard di tutela uniformi su  tutto  il  territorio  nazionale.  La
competenza esclusiva dello Stato  ai  sensi  dell'art.  117,  secondo
comma,  lettera  s),  Cost.  non  sarebbe  dunque  incompatibile  con
interventi specifici del legislatore  regionale  che  attengano  alle
proprie competenze. 
    In  tale  quadro,  il  parco  regionale   costituirebbe   «tipica
espressione dell'autonomia regionale», essendo tra l'altro  istituito
proprio con legge regionale, ai sensi dell'art. 23 della legge quadro
n. 394 del 1991.  Le  Regioni,  pertanto,  ben  potrebbero  istituire
tipologie di aree regionali protette con  finalita'  in  tutto  o  in
parte diverse da quelle previste dalla legge  statale,  «purche'  non
venga inciso il nucleo minimo di salvaguardia del patrimonio naturale
stabilito dal Legislatore statale». In tale prospettiva,  secondo  la
Regione, le regole sulla composizione  dell'organo  tecnico-contabile
non si riferirebbero ad «aspetti sostanziali catalogabili in  termini
di "tutela ambientale"» e non  sarebbero,  quindi,  ascrivibili  agli
«standard minimi di tutela ambientale».  Questa  conclusione  sarebbe
avvalorata dal fatto che quello oggetto di modifica e' un organo «che
non partecipa nemmeno alla definizione delle linee  di  indirizzo  di
governo dell'Ente parco e non e'  coinvolto  nelle  scelte  operative
finalizzate alla  conservazione  e  alla  valorizzazione  delle  aree
protette». La legge regionale impugnata sarebbe pertanto conforme  al
disposto dell'art. 24, comma 1, della legge n. 394 del 1991,  in  cui
si stabilisce che, «[i]n relazione alla peculiarita' di ciascuna area
interessata, ciascun parco naturale regionale prevede,  con  apposito
statuto, una differenziata forma  organizzativa»  e  conferisce  allo
statuto del parco regionale il compito di indicare «la composizione e
i poteri del collegio dei revisori dei conti». 
    Del resto, osserva la Regione, il modello monocratico dell'organo
di revisione contabile «e' gia' ampiamente presente in  altri  Parchi
Regionali». Tale modello non determinerebbe minori livelli di  tutela
ambientale, anche perche' «la configurazione monocratica  dell'organo
di controllo, determinando un contenimento dei costi della struttura,
consente  all'Ente  Parco  di  destinare  maggiori  risorse  per  gli
interventi di tutela ambientale». 
    2.2.-  Sulla  terza  questione  sollevata  dal   Presidente   del
Consiglio dei ministri, concernente la norma  sulle  distanze  minime
(di cui all'art. 13 della legge reg. Sardegna  n.  1  del  2019,  che
introduce un nuovo  comma  1-bis  all'art.  7-bis  della  legge  reg.
Sardegna n. 23 del 1985), la Regione resistente  eccepisce  una  «non
corretta   interpretazione»   della   norma   impugnata,   che    non
autorizzerebbe l'approvazione di un progetto in  difformita'  (ovvero
in deroga) alle disposizioni legislative e regolamentari  in  materia
di distanze, ma semplicemente consentirebbe di  evitare  le  sanzioni
conseguenti a un abuso per violazione  delle  distanze  previste  nel
progetto  approvato,  anche  per  l'ipotesi  in  cui   nello   stesso
trovassero  applicazione  le  misure  minime  previste  da  leggi   o
regolamenti, purche' la predetta difformita'  si  mantenga  entro  il
limite  del  2  per  cento.  Del  resto,  soggiunge  la   resistente,
l'impugnata norma «riproduce, anche  letteralmente,  la  disposizione
contenuta nell'articolo 34, comma 2-ter, del decreto  legislativo  n.
380 del 2001» e  si  sarebbe  resa  necessaria  a  causa  «di  alcune
difficolta' interpretative e comportamenti disomogenei  degli  Uffici
tecnici delle amministrazioni  comunali  riscontrati  nel  territorio
regionale». 
    2.3.-  Sulla  quarta  questione  sollevata  dal  Presidente   del
Consiglio dei ministri, concernente la durata  delle  attestazioni  e
dei certificati di malattie croniche (di cui all'art. 53 della  legge
reg. Sardegna n. 1 del 2019), la Regione  resistente  richiama  nelle
proprie difese il periodo minimo di durata dei  certificati  e  delle
attestazioni previsto dal d.m. 23 novembre 2012, evidenziando che  la
norma impugnata «deve essere interpretata alla luce di quanto in esso
disposto e non intesa nel senso di voler derogare al  periodo  minimo
ivi previsto». 
    2.4.-  Sulla  sesta  questione  sollevata  dal   Presidente   del
Consiglio dei ministri, la Regione resistente precisa che l'impugnato
art. 61 della legge reg. Sardegna  n.  1  del  2019  «ha  ad  oggetto
progressioni  economiche  di  tipo  orizzontale   all'interno   della
categoria/area di appartenenza» e sarebbe volta a  «far  decorrere  i
soli effetti giuridici dal 1° gennaio 2018, mentre quelli economici a
partire dall'annualita' in cui le risorse da destinare al  fondo  per
le progressioni saranno disponibili, ovvero il 2019». In  ogni  caso,
si precisa, l'art. 61 impugnato  «verra'  attuato  nel  rispetto  del
limite  di  spesa  complessiva  per  il  trattamento  accessorio   in
applicazione  dei  principi  generali  in  materia   previsti   dalla
normativa statale». 
    3.- Con memoria successivamente  depositata,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha replicato alle  deduzioni  difensive  della
Regione, insistendo per l'accoglimento del ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri  ha  impugnato  gli
artt. 4, comma 1, lettera a), 5, comma 1, lettera a), 7, comma 2, 13,
53 e 61 della legge della Regione autonoma della Sardegna 11  gennaio
2019, n. 1 (Legge di semplificazione 2018), deducendo, sotto  diversi
profili, la violazione delle  proprie  competenze  legislative  quali
delineate dall'art. 117, commi secondo e terzo,  della  Costituzione,
nonche', per alcune delle norme impugnate, la violazione degli  artt.
3, 51, primo comma, e 97, quarto  comma,  Cost.  E'  anche  impugnato
l'art. 59 della legge reg. Sardegna n. 1  del  2019,  per  violazione
degli artt. 3, 51, primo comma, e 97, quarto comma, Cost. 
    2.- Le materie cui afferiscono le disposizioni impugnate sono tra
di loro diverse e sono tutte potenzialmente riconducibili  ad  ambiti
di competenza legislativa regionale  secondo  quanto  previsto  dalle
norme  dello  Statuto  speciale  di  autonomia  approvato  con  legge
costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  3  (Statuto  speciale  per  la
Sardegna). 
    2.1.- La possibile inerenza delle varie disposizioni impugnate  a
materie di competenza  statutaria  regionale  impone  un  preliminare
vaglio di ammissibilita' delle questioni sollevate. Questa  Corte  ha
gia' affermato che dal ricorso, «valutato nel  suo  complesso»,  deve
desumersi il riferimento ai parametri statutari  che,  nella  materia
oggetto della  singola  questione,  possono  fondare  interventi  del
legislatore regionale (da ultimo, sentenza n. 16 del 2020, punto 4.1.
del Considerato in diritto). Dal contesto del  ricorso  deve  dedursi
l'impossibilita'   di   operare   il   sindacato   di    legittimita'
costituzionale in base allo statuto  speciale.  Al  riguardo,  e'  da
ritenersi  «sufficiente,  ma  necessaria,  un'indicazione,  sia  pure
sintetica al riguardo, in ordine all'estraneita' della  materia  alla
sfera di attribuzioni stabilita dallo stesso» (sentenze  n.  147  del
2019, n. 142 del  2015  e  n.  288  del  2013).  In  particolare,  e'
ammissibile  il  ricorso  «che  non  sia  sfornito   degli   elementi
argomentativi  minimi  richiesti,  che  vanno   valutati   anche   in
considerazione della radicalita'  della  prospettazione  operata  dal
Governo» (sentenze n. 153 del 2019 e n. 142 del 2015). 
    Il  ricorso  ora  esaminato  si  fonda  su   argomentazioni   che
riflettono compiutamente i requisiti indicati dalla giurisprudenza di
questa Corte, sia per la radicalita' della  prospettazione  avanzata,
sia per la coerente  illustrazione  delle  singole  materie  ritenute
estranee alle attribuzioni riservate alla Regione  dallo  statuto  di
autonomia. 
    Le censure sono state  sollevate  con  riferimento  a  titoli  di
competenza  statale   esclusiva,   in   alcuni   casi   espressamente
confrontati con la competenza statutaria della Regione  resistente  e
con i  relativi  limiti.  In  altri  casi,  esse  sono  sostenute  da
riferimenti alla giurisprudenza di questa  Corte  che  ha  ricondotto
alla competenza legislativa statale norme  di  Regioni  ad  autonomia
speciale oggetto di impugnativa (sentenza n. 153 del 2019, punto 2.1.
del Considerato in  diritto).  In  tal  modo,  il  ricorrente  -  con
implicito richiamo alla cosiddetta clausola di maggior favore di  cui
all'art.  10  della  legge  costituzionale  18  ottobre  2001,  n.  3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione)  -  ha
dato sufficientemente conto delle condizioni per l'applicazione delle
norme di  competenza  di  cui  al  Titolo  V  della  Parte  II  della
Costituzione nei confronti della Regione ad autonomia speciale, sulla
base del raffronto fra il regime della  funzione,  definito  in  base
allo stesso Titolo V,  e  la  parallela,  a  sua  volta  complessiva,
disciplina della funzione risultante dallo statuto speciale (sentenza
n. 119 del 2019, punto 2 del Considerato in diritto). 
    Tutte le questioni sono, pertanto, ammissibili e si puo'  passare
all'esame del merito. 
    3.- Con la prima delle  questioni  promosse,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  censura  le  previsioni  della  legge  reg.
Sardegna n. 1 del 2019 che - con riferimento a due  specifici  parchi
naturali regionali, quello di  Gutturu  Mannu,  istituito  con  legge
della  Regione  autonoma  della  Sardegna  24  ottobre  2014,  n.  20
(Istituzione del Parco naturale regionale di Gutturu Mannu), e quello
di  Tepilora,  istituito  con  legge  della  Regione  autonoma  della
Sardegna 24 ottobre 2014,  n.  21  (Istituzione  del  Parco  naturale
regionale di Tepilora) - ha trasformato  l'organo  di  revisione  dei
conti da collegiale a monocratico (artt. 4, comma 1, lettera a, e  5,
comma 1, lettera a, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019). 
    Secondo il Presidente del Consiglio dei  ministri,  la  struttura
monocratica confliggerebbe con quanto previsto dalla legge  quadro  6
dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), i cui artt.
9 e 24 prescrivono espressamente la conformazione collegiale,  e  non
monocratica, dell'organo  di  revisione  dei  conti  e  impongono  la
presenza  nel  collegio  di  un   membro   designato   dal   Ministro
dell'economia e delle finanze.  Risulterebbe,  pertanto,  violata  la
competenza esclusiva statale nella materia  «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema», di cui all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),
Cost., per mancato rispetto dei criteri generali di tutela, stabiliti
dalla legge quadro  e  validi  per  tutto  il  territorio  nazionale.
L'incisione  sull'assetto  organizzativo   dell'ente   parco,   quale
predeterminato dalla norma statale - che costituirebbe espressione di
uno standard di tutela  dell'ambiente  -,  avrebbe  anche  «riflessi»
sulla «regolarita' ed efficienza dell'attivita'» dell'ente parco, con
conseguente violazione dell'art. 97 Cost. 
    Nel ricordare che, a norma dello  statuto  speciale,  la  Regione
autonoma della Sardegna gode di competenza legislativa primaria nella
materia dell'«ordinamento degli uffici e  degli  enti  amministrativi
della Regione e stato  giuridico  ed  economico  del  personale»,  il
ricorrente evidenzia che tale competenza deve attuarsi «[i]n  armonia
con la Costituzione e i  principi  dell'ordinamento  giuridico  della
Repubblica e col  rispetto  degli  obblighi  internazionali  e  degli
interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali  delle  riforme
economico-sociali della Repubblica» (art. 3 statuto reg. Sardegna). 
    3.1.- La questione non e' fondata. 
    Il parametro di competenza legislativa evocato dal ricorrente non
e' conferente, poiche'  -  diversamente  da  quanto  sostenuto  -  la
struttura collegiale dell'organo  di  revisione  contabile  dell'ente
parco, pur se prevista dalla legge quadro n. 394 del 1991,  non  puo'
essere ricondotta a uno «standard di tutela ambientale»  inderogabile
da parte delle Regioni. 
    Come osserva anche il ricorrente,  tale  legge  quadro  e'  stata
reiteratamente ricondotta dalla  giurisprudenza  costituzionale  alla
materia, di competenza statale esclusiva, della «tutela dell'ambiente
e dell'ecosistema» (da ultimo, sentenze n. 121 del 2018 e n. 36 e  74
del 2017), in specie laddove,  con  riguardo  alle  aree  protette  -
comprensive anche dei parchi regionali (sentenza n. 44  del  2011)  -
prescrive  che  gli  enti  gestori  devono  dotarsi   «di   strumenti
programmatici e gestionali per la valutazione  di  rispondenza  delle
attivita' svolte nei parchi alle esigenze di protezione dell'ambiente
e dell'ecosistema» (sentenze n. 121 del 2018, n. 74 del 2017, n.  171
del 2012, n. 263 e n. 44 del 2011 e n. 387 del 2008). 
    Il limite che incontra la legislazione regionale e' dunque quello
che  si  evince  dalla  regolazione  statale  assunta   a   "standard
inderogabile" di tutela ambientale. Tale non e'  la  previsione,  che
viene in rilievo nel  presente  giudizio,  secondo  cui  l'organo  di
revisione dell'ente parco ha  struttura  collegiale,  con  necessaria
partecipazione di un componente designato dal Ministro  dell'economia
e delle finanze (artt. 9 e 24  della  legge  n.  394  del  1991).  Si
tratta, a ben vedere, di una  previsione  che  non  attiene  in  modo
diretto  alla  tutela  e  valorizzazione  degli  aspetti   culturali,
paesaggistici  e  ambientali  del  territorio,   finalita'   il   cui
perseguimento  costituisce  l'aspetto  qualificante  del  titolo   di
competenza legislativa statale nella materia ambientale (sentenze  n.
178 del 2018, n. 193 del 2010 e n. 51 del 2006). 
    La scelta operata dalla  Regione  autonoma  della  Sardegna,  con
l'istituzione di  un  organo  di  revisione  dei  conti  a  struttura
monocratica,  non  e'  tale  da  compromettere,  come  sostenuto  dal
ricorrente con argomenti  peraltro  apodittici,  la  funzionalita'  e
l'efficienza dell'ente parco. Cio'  induce  a  ritenere  non  fondato
anche il profilo di censura sollevato con riferimento al principio di
«buon andamento dell'amministrazione» di cui all'art. 97 Cost. 
    4.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri  ha  poi  impugnato
l'art. 7, comma 2, della legge  reg.  Sardegna  n.  1  del  2019.  La
disposizione censurata autorizza l'Agenzia forestale regionale per lo
sviluppo del territorio e l'ambiente della  Sardegna  (Forestas),  al
dichiarato fine di «garantire la continuita' gestionale dei terreni e
delle strutture» che la stessa acquisisce ai sensi del comma  1,  «ad
inquadrare  temporaneamente  nel  proprio   organico   il   personale
impegnato  dagli  affittuari  fino  alla  data  di  risoluzione   del
contratto  anche  attraverso  un  percorso  triennale  di   utilizzo,
nell'ambito delle risorse disponibili  nel  proprio  bilancio  e  nel
rispetto delle vigenti facolta' assunzionali». 
    Le censure del ricorrente si riferiscono  alla  violazione  della
competenza    legislativa    statale    esclusiva    nella    materia
dell'ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.) e
del   principio   di   accesso   agli   impieghi   nelle    pubbliche
amministrazioni mediante concorso (art. 97, quarto comma, Cost.).  Il
Presidente del  Consiglio  dei  ministri  espressamente  richiama  la
competenza legislativa primaria della Regione autonoma della Sardegna
nella  materia  dell'«ordinamento   degli   uffici   e   degli   enti
amministrativi della Regione  e  stato  giuridico  ed  economico  del
personale», quale prevista dall'art. 3,  lettera  a),  dello  statuto
reg.  Sardegna.  Egli  afferma  che,  secondo  quanto  prescritto  da
quest'ultimo,  la  competenza  legislativa  primaria  della   Regione
autonoma deve attuarsi «[i]n armonia con la Costituzione e i principi
dell'ordinamento giuridico della  Repubblica  e  col  rispetto  degli
obblighi internazionali e degli interessi  nazionali,  nonche'  delle
norme fondamentali delle riforme economico-sociali della  Repubblica»
(art. 3 statuto reg. Sardegna). 
    4.1.- La questione e' fondata. 
    Questa Corte ha piu' volte affermato che, quanto al riparto delle
competenze tra Stato e Regioni, la disciplina del rapporto di  lavoro
alle dipendenze della pubblica amministrazione, come  rivisitato  dal
decreto  legislativo  30  marzo  2001,   n.   165   (Norme   generali
sull'ordinamento del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni
pubbliche), rientra nella  materia  «ordinamento  civile»,  riservata
alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 175 e n.
160 del 2017). 
    Con riferimento alla Regione autonoma  Sardegna,  si  deve  tener
conto  della  competenza  legislativa  primaria  in  tema  di  «stato
giuridico ed economico del personale» di cui  all'art.  3,  comma  1,
lettera a), dello statuto di autonomia, competenza che, per  espressa
previsione statutaria, deve essere  esercitata  nel  «rispetto  [...]
delle  norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali   della
Repubblica» (sentenza n. 154 del 2019). 
    I  profili  concernenti  l'assunzione   e   l'inquadramento   del
personale   pubblico   privatizzato,   riconducibili   alla   materia
dell'ordinamento civile, comportano l'applicabilita',  anche  per  la
Regione autonoma della Sardegna, dell'art.  36,  comma  2,  del  t.u.
pubblico impiego, nella  parte  in  cui  introduce  il  limite  delle
«esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o  eccezionale»  che
devono sussistere per giustificare la stipula di contratti di  lavoro
subordinato a tempo determinato (sentenza n. 217 del 2012). 
    L'assunzione temporanea di personale presso  l'Agenzia  Forestas,
cosi' come previsto dall'art. 7,  comma  2,  della  legge  regionale,
travalica questo limite.  Non  vi  e'  certezza  circa  il  carattere
temporaneo ed eccezionale delle scelte poste in essere dalla  Regione
autonoma.  Per  l'inquadramento  dei  lavoratori,  che  si  definisce
temporaneo, non e' invero previsto alcun termine finale  certo.  Tale
termine non  puo'  ricavarsi  ne'  dal  passaggio  in  cui  la  norma
autorizza l'inquadramento «anche attraverso un percorso triennale  di
utilizzo»,   lasciando    cosi'    spazio    alla    discrezionalita'
dell'amministrazione nel calibrare diversamente, dal punto  di  vista
temporale, l'impiego dei lavoratori, ne' dal riferimento,  del  tutto
generico,  che  viene  compiuto  alla  «data   di   risoluzione   del
contratto». 
    La natura eccezionale dell'inquadramento  non  appare  confermata
dalla finalita' che il legislatore regionale individua  nell'esigenza
di  «garantire  la  continuita'  gestionale  dei  terreni   e   delle
strutture», senza  che  la  Regione  autonoma  offra  ragguagli  piu'
circostanziati al riguardo. 
    Pertanto, la previsione dell'assunzione  di  lavoratori  a  tempo
determinato, di cui all'impugnato art. 7, comma 2, della  legge  reg.
Sardegna  n.  1  del  2019,  in  assenza  di  adeguati  elementi  che
comprovino la sussistenza di un'effettiva  situazione  temporanea  ed
eccezionale, come stabilito dall'art. 36, comma 2, del t.u.  pubblico
impiego, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima. 
    Resta assorbita l'ulteriore censura relativa all'art. 97 Cost.. 
    5.- Oggetto di impugnazione da parte dello Stato e' anche  l'art.
13 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019,  nella  parte  in  cui  -
mediante l'introduzione di un nuovo comma 1-bis all'art. 7-bis  della
legge della Regione autonoma della Sardegna 11 ottobre  1985,  n.  23
(Norme in materia di controllo  dell'attivita'  urbanistico-edilizia,
di risanamento urbanistico e di sanatoria di  insediamenti  ed  opere
abusive,   di   snellimento   ed   accelerazione   delle    procedure
espropriative) - introduce  l'istituto  delle  cosiddette  tolleranze
edilizie  di  cantiere  in  tutti  i  casi  in  cui  «le   previsioni
legislative o regolamentari, comprese le disposizioni in  materia  di
distanze  e  di  requisiti  igienico-sanitari,   individuano   misure
minime». 
    Il ricorrente richiama la competenza esclusiva statale in materia
di ordinamento civile, prevista dall'art. 117, secondo comma, lettera
l), Cost., insieme alle norme che regolano  le  distanze  di  cui  al
decreto del Ministro per i lavori pubblici 2  aprile  1968,  n.  1444
(Limiti inderogabili di densita' edilizia, di  altezza,  di  distanza
fra  i  fabbricati  e  rapporti  massimi  tra  spazi  destinati  agli
insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici  o  riservati
alle attivita'  collettive,  al  verde  pubblico  o  a  parcheggi  da
osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici  o
della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6
agosto 1967, n. 765).  La  lesione  di  tale  competenza  sarebbe  da
individuare nel limite posto alle Regioni per  la  definizione  delle
distanze minime tra costruzioni, che puo'  essere  derogato  soltanto
per soddisfare interessi pubblici legati al  governo  del  territorio
(si richiama la sentenza di questa  Corte  n.  232  del  2005).  Tali
deroghe, aggiunge il ricorrente, devono comunque essere  inserite  in
strumenti urbanistici funzionali a conformare un assetto  complessivo
e unitario di determinate zone del territorio. 
    Viene dunque in rilievo  un  limite  di  carattere  generale  per
l'esercizio della competenza primaria di cui gode la Regione autonoma
della Sardegna nella  materia  «edilizia  ed  urbanistica»  (art.  3,
lettera f, dello statuto reg. Sardegna),  nel  quadro  della  pretesa
riconducibilita'  della  disciplina  impugnata   a   una   competenza
esclusiva statale, in linea con la  giurisprudenza  di  questa  Corte
(sentenze n. 81 e n. 153 del 2019 e n. 201 del 2018). 
    5.1.- La questione non e' fondata. 
    La disposizione regionale impugnata si colloca entro  la  cornice
dettata dalla normativa statale in materia di  cosiddetta  tolleranza
di cantiere. La norma cui fare riferimento e' l'art. 34, comma 2-ter,
del d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia), inserito  dall'art.
5, comma 2, lettera a), numero 5), del decreto-legge 13 maggio  2011,
n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia),
convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106. 
    Nell'affermare che «non si ha  parziale  difformita'  del  titolo
abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura
o superficie coperta che non eccedano per singola unita'  immobiliare
il 2 per cento delle  misure  progettuali»,  il  legislatore  statale
circoscrive l'ambito di applicabilita' delle cosiddette tolleranze di
cantiere  alle  sole  difformita'  parziali  dal   titolo   edilizio.
Riferisce inoltre tali difformita' alle misure  progettuali  e  cosi'
include anche l'evenienza che queste ultime coincidano con le  misure
legali minime. 
    Pertanto, l'art. 7-bis della legge reg. Sardegna n. 23 del  1985,
come  modificato  dalla  norma  impugnata  dal  Governo   -   laddove
prescrive, attraverso il comma 1-bis impugnato, che  gli  scostamenti
del 2 per cento, rispetto alle misure  progettuali,  non  determinano
parziale difformita' e che tale  regola  vale  anche  per  le  misure
minime individuate dalle disposizioni in materia  di  distanze  e  di
requisiti igienico-sanitari - si sottrae alla  denunziata  violazione
della  normativa  statale   evocata,   poiche'   e'   sostanzialmente
ricognitivo delle medesime regole dettate  dalla  legislazione  dello
Stato. E' alla luce di tale legislazione che si deve interpretare  la
disposizione censurata. 
    6.- L'art. 53 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019,  rubricato
«Durata delle attestazioni o certificazioni di malattie croniche», e'
impugnato dal Presidente del Consiglio dei  ministri  per  violazione
dell'art.  117,  secondo   comma,   lettera   m),   Cost.,   giacche'
determinerebbe un'invasione della competenza statale esclusiva  nella
materia  della   «determinazione   dei   livelli   essenziali   delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono  essere
garantiti su tutto il territorio nazionale». 
    In particolare, la norma regionale introdurrebbe  una  disciplina
differenziata, valida per la sola Regione  autonoma  della  Sardegna,
con  riferimento  alla  durata  del  periodo  minimo   di   validita'
dell'attestato di  esenzione  dalla  partecipazione  al  costo  delle
prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e sociali.  Tale  disposizione
sarebbe difforme rispetto a quanto previsto dal  decreto  legislativo
28 aprile 1998, n. 124 (Ridefinizione del sistema  di  partecipazione
al costo delle prestazioni sanitarie e del regime delle esenzioni,  a
norma dell'articolo 59, comma 50, della legge 27  dicembre  1997,  n.
449) e dai relativi regolamenti attuativi. 
    Lo Stato rivendica, dunque, un titolo di  competenza  legislativa
incompatibile  con  quello  statutariamente  previsto  dall'art.   4,
lettera i), dello statuto reg. Sardegna che include, tra  le  materie
di competenza concorrente, quella dell'«igiene e sanita' pubblica». 
    6.1.-  La  questione  non  e'  fondata,  nei  sensi  di   seguito
precisati. 
    6.2. - Il quadro normativo statale di riferimento, inerente  alla
partecipazione dell'utente  alla  spesa  sanitaria  e  alle  relative
esenzioni, si  collega,  da  un  lato,  a  una  diffusa  esigenza  di
razionalizzazione della spesa sanitaria e, dall'altro, all'urgenza di
rispondere ai bisogni dei cittadini affetti da particolari patologie. 
    Nel  delegare  il  Governo  all'adozione  di  una  disciplina  di
riordino della materia, la legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per
la stabilizzazione della finanza pubblica) ha espressamente indicato,
tra i principi e i criteri direttivi, il necessario collegamento  tra
il diritto all'esenzione  e  il  «bisogno  di  prestazioni  sanitarie
legate a particolari patologie» (art. 59, comma 50, lettera d). 
    Il d.lgs. n. 124 del 1998 ha quindi stabilito, «[n]ell'ambito dei
livelli essenziali di assistenza efficaci, appropriati  ed  uniformi,
garantiti dal Servizio sanitario nazionale alla totalita' dei  propri
assistiti», forme e modalita' di partecipazione dell'utenza al  costo
delle prestazioni sanitarie (artt. 2 e  3).  All'art.  5  il  decreto
delegato ha introdotto forme di esenzione «in relazione a particolari
condizioni di malattia», rinviando a successivi decreti del  Ministro
della sanita' quanto all'individuazione  delle  malattie  croniche  o
invalidanti e delle malattie rare che danno diritto all'esenzione. 
    Il Ministro della sanita' ha adottato il d.m. 28 maggio 1999,  n.
329 (Regolamento  recante  norme  di  individuazione  delle  malattie
croniche e invalidanti ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera a),
del d.lgs. 29 aprile 1998,  n.  124),  in  cui  si  individuano,  con
apposito elenco, le malattie croniche e invalidanti che danno diritto
all'esenzione.  In  particolare,  si   e'   stabilito   che   compete
all'azienda unita'  sanitaria  locale  del  luogo  di  residenza  del
paziente l'apposita attestazione di  esenzione,  sulla  base  di  una
certificazione medica che viene «rilasciata dai presidi delle aziende
unita' sanitarie locali, dalle aziende ospedaliere o  dagli  istituti
ed enti di cui all'articolo 4, comma 12, del decreto  legislativo  n.
502  del  1992,  e  successive  modifiche  ed  integrazioni,   o   da
istituzioni sanitarie  pubbliche  di  Paesi  appartenenti  all'Unione
europea» (art. 4, comma  1).  Il  Ministro  della  sanita'  e'  anche
intervenuto con riferimento alle malattie rare,  mediante  l'adozione
del decreto ministeriale 18  maggio  2001,  n.  279  (Regolamento  di
istituzione della rete nazionale delle malattie rare e  di  esenzione
dalla partecipazione al costo delle relative  prestazioni  sanitarie,
ai  sensi  dell'articolo  5,  comma  1,  lettera  b),   del   decreto
legislativo 29 aprile 1998, n. 124). 
    Con il  decreto  del  Ministro  della  salute  23  novembre  2012
(Definizione  del  periodo  minimo  di  validita'  dell'attestato  di
esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni  sanitarie,
rilasciato ai sensi del decreto 28 maggio 1999, n. 329), adottato  in
base all'art. 4, comma 4-bis, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5
(Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e  di  sviluppo),
convertito nella legge 4 aprile 2012, n. 35, si e' poi  stabilita  la
durata minima dell'attestato di esenzione per ciascuna delle malattie
croniche individuate dal d.m. n. 329 del 1999,  differenziandola  «in
relazione   alle   diverse   patologie   e   alla   possibilita'   di
miglioramento, valutata in base alle evidenze scientifiche». 
    La disciplina statale appena richiamata  -  laddove  prevede  che
l'esenzione deve essere stabilita «tenuto conto [...] del bisogno  di
prestazioni sanitarie legate a particolari patologie» (art. 59, comma
50, lettera d, della  legge  n.  449  del  1997)  e  individua  nelle
«condizioni di malattia croniche o  invalidanti»  e  nelle  «malattie
rare» i presupposti che «danno diritto all'esenzione» (art. 5,  comma
1, del d.lgs. n. 124 del 1998) - mette in stretta correlazione questo
diritto con l'effettivo insorgere della  malattia.  A  tal  fine,  lo
stato patologico deve essere comprovato  da  adeguata  certificazione
medica che va rilasciata, quanto alle malattie croniche, nelle  forme
e nei modi previsti dal d.m. n. 329  del  1999.  Tale  certificazione
pone  il  paziente  nella  condizione  di  ottenere  l'attestato   di
esenzione, la cui durata minima e' definita dal gia' citato  d.m.  23
novembre 2012 e la cui validita'  e'  funzionalmente  collegata  alla
titolarita' del diritto all'esenzione, quindi  all'effettivo  bisogno
del paziente. 
    6.3.-  L'art.  53  della  legge  reg.  Sardegna  n.  1  del  2019
interviene a disciplinare la durata delle attestazioni di  esenzione,
limitatamente a quelle che si  riferiscono  alle  malattie  croniche,
come si desume dalla sua rubrica. La disposizione in esame stabilisce
al comma 1 che, in caso di regressione della malattia «ad un  livello
non  piu'   compatibile   con   l'ottenimento   della   prestazione»,
l'attestazione di  esenzione  non  produce  piu'  effetti.  Lo  Stato
lamenta  che,  in  tal  modo,   si   deroghi   alla   durata   minima
dell'attestazione quale stabilita dal d.m.  23  novembre  2012  e  si
incida sul livello essenziale  delle  prestazioni  sanitarie  fissato
dalla legge statale tutte le volte in cui, prima della  scadenza,  si
verifichi una regressione della malattia. 
    Tale assunto non puo' essere condiviso. 
    Dalle  disposizioni  prima  citate  e  dalla  ratio   dell'intera
normativa statale si evince chiaramente  che  al  sussistere  o  meno
della malattia si collega il diritto all'esenzione o  il  venir  meno
dello stesso al cessare della malattia, anche qualora non sia  ancora
esaurito il periodo minimo di validita' dell'attestato. 
    La previsione  di  cui  al  comma  2  dell'art.  53  della  legge
regionale impugnata (secondo  cui  «[l]'eventuale  regressione  delle
malattie o delle condizioni di salute di cui al comma 1 e' comunicata
dal medico curante alle pubbliche  amministrazioni  erogatrici  della
prestazione») deve essere  interpretata  quale  coerente  svolgimento
della regola di cui al comma precedente.  Essa  fa  riferimento  alle
medesime modalita'  di  accertamento  medico  che  la  legge  statale
prescrive ai fini dell'attestazione di esenzione  e  dunque  conferma
che l'eventuale  regressione  della  malattia  deve  essere  comunque
certificata da una delle strutture pubbliche  indicate  dall'art.  4,
comma 1,  del  d.m.  n.  329  del  1999.  La  stessa  struttura  deve
provvedere a inoltrare il certificato, per i successivi  adempimenti,
all'amministrazione  che  ha  curato  l'emissione  dell'attestato  di
esenzione, cioe' alla ASL territorialmente competente. 
    In  modo  conforme  alla  normativa  statale,   infine,   occorre
interpretare anche il comma 3 della disposizione impugnata, che onera
la Giunta regionale, su proposta dell'assessore competente in materia
di sanita', di individuare «le malattie e le condizioni di salute  di
cui al comma 1, inserendole in un apposito elenco da pubblicarsi  sul
Bollettino ufficiale della Regione autonoma della Sardegna  (BURAS)».
L'elenco regionale delle malattie e delle condizioni  di  salute  che
fanno sorgere il  diritto  all'esenzione  dai  costi  delle  relative
prestazioni sanitarie, non puo' che essere ricognitivo di quello gia'
esistente a  livello  statale  nel  recepire  l'individuazione  delle
malattie croniche e invalidanti che, ai sensi dell'art. 5,  comma  1,
lettera a), del d.lgs. n. 124 del 1998, e' contenuta nel d.m. n.  329
del 1999. 
    La  disposizione  regionale  in  esame,  cosi'  interpretata,  si
sottrae alle censure di incostituzionalita' sollevate dal  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
    7.- L'art. 59 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019,  rubricato
«Disposizioni in materia di formazione professionale», stabilisce che
«[i] soggetti ricompresi nell'elenco di cui  alla  determinazione  n.
4578 prot. n.  43229  del  4  ottobre  2018  del  Direttore  generale
dell'Assessorato  regionale  del  lavoro,  formazione  professionale,
cooperazione e sicurezza sociale che, alla data del 15 dicembre 2018,
abbiano fatto ricorso al Tribunale amministrativo  regionale  avverso
la  medesima  determinazione,  sono  iscritti  d'ufficio  alla  lista
speciale ad esaurimento di cui all'articolo 6, comma  1,  lettera  f)
della legge regionale 5 marzo 2008, n. 3  (legge  finanziaria  2008),
degli aventi diritto ai sensi dell'articolo 11, comma 4, della  legge
regionale 11 gennaio 2018, n. 1 (Legge di stabilita' 2018)». 
    Il  Presidente  del   Consiglio   dei   ministri   impugna   tale
disposizione per contrasto con gli artt. 3, 51, primo  comma,  e  97,
ultimo comma, Cost., evidenziando il mancato rispetto della procedura
concorsuale. 
    7.1.- La questione e' fondata. 
    La norma impugnata consente l'ingresso nei ruoli della Regione  a
una ben precisa categoria di soggetti, mediante loro  iscrizione,  ex
lege, nella speciale «lista ad  esaurimento»  che  -  secondo  quanto
prevede l'art. 6, comma 1, lettera  f),  della  legge  della  Regione
autonoma della Sardegna 5 marzo 2008, n. 3, recante «Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione (Legge
finanziaria 2008)» -  terra'  gli  stessi  soggetti  «a  disposizione
dell'Amministrazione regionale» (cosi' il citato art. 6  della  legge
reg. Sardegna n. 3 del 2008). 
    Questa Corte  ha  ripetutamente  affermato  che,  secondo  quanto
prevede l'art. 97, quarto  comma,  Cost.,  la  selezione  concorsuale
costituisce la forma generale e  ordinaria  di  reclutamento  per  le
amministrazioni pubbliche, quale strumento per assicurare efficienza,
buon andamento  e  imparzialita'.  La  facolta'  del  legislatore  di
introdurre deroghe a tale regola, con la  previsione  di  un  diverso
meccanismo di selezione per il reclutamento del  personale  pubblico,
deve essere delimitata in modo rigoroso alla sola ipotesi in cui esse
siano strettamente funzionali al buon andamento  dell'amministrazione
e  sempre  che  ricorrano  peculiari  e  straordinarie  esigenze   di
interesse pubblico idonee a giustificarle (ex plurimis, sentenze  nn.
5 e 36 del 2020, n. 40 del 2018 e n. 110 del 2017). 
    Nel caso di specie, la norma impugnata  consente  l'ingresso  nei
ruoli regionali di nuovo  personale  proveniente  dall'esterno  senza
fare riferimento  ad  alcuna  forma  di  selezione  e  senza  nemmeno
richiamare peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico. 
    Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 59 della  legge  reg.  Sardegna  n.  1  del  2019.  Restano
assorbite le ulteriori censure relative agli  artt.  3  e  51,  primo
comma, Cost. 
    8.- L'art. 61 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2019,  rubricato
«Progressioni professionali»,  stabilisce  che  «[a]l  personale  del
comparto di contrattazione regionale che abbia maturato  i  requisiti
per  le  progressioni  professionali  per  l'anno  2018  e  non   sia
transitato nel livello economico  superiore,  sono  riconosciuti  gli
effetti giuridici della progressione con decorrenza  dal  1°  gennaio
2018. Tale decorrenza ha valore ai fini del calcolo della  permanenza
effettiva in servizio nel livello retributivo». 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri invoca  gli  artt.  3  e
117, commi secondo, lettera l), e primo (rectius: terzo) comma Cost.,
«in relazione al Titolo terzo del D.lgs.  30  marzo  2001,  n.  165»,
evidenziando  la  violazione  del  principio   di   eguaglianza   che
deriverebbe,   rispetto   al   personale   delle    altre    Regioni,
dall'applicazione di un diverso trattamento  contrattuale  pur  nella
medesima situazione lavorativa. 
    Lo Stato  invoca,  dunque,  la  violazione  di  un  parametro  di
competenza legislativa esclusiva idoneo  a  conformare,  mediante  il
richiamo alle «norme fondamentali di riforma economico-sociale  della
Repubblica», la competenza statutaria primaria della Regione autonoma
nella materia «ordinamento degli uffici e degli  enti  amministrativi
della Regione e stato giuridico ed economico del personale» (art.  3,
lettera a, dello statuto reg. Sardegna). 
    8.1.- La questione non e' fondata. 
    Si deve preliminarmente sgombrare il campo  dal  dubbio,  che  lo
stesso ricorrente  solleva,  relativo  al  fatto  che  la  norma  qui
impugnata faccia riferimento  a  progressioni  verticali.  La  difesa
della Regione - senza che lo Stato abbia  replicato  -  ha  chiarito,
richiamando le graduatorie approvate nel 2018,  che  essa  fa  invece
riferimento  a   progressioni   economiche   di   tipo   orizzontale,
all'interno della medesima categoria o area di appartenenza. 
    Le censure sollevate investono la previsione che fa decorrere gli
effetti giuridici delle progressioni dal  2018.  Essa  contrasterebbe
con   «gli   orientamenti   consolidati   espressi   dall'Aran,   dal
Dipartimento della Funzione Pubblica e dalla Corte dei Conti», da cui
si evincerebbe che la decorrenza  giuridica  delle  progressioni  non
potrebbe  essere  fissata   ad   «una   data   anteriore   a   quella
dell'approvazione della graduatoria o della presa delle funzioni». La
non conformita' con la disciplina normativa  statale  e'  argomentata
mediante  richiamo  alle  norme  del  t.u.  pubblico  impiego  e,  in
particolare, al necessario rispetto delle procedure previste  per  lo
svolgersi della contrattazione collettiva. 
    Tale presupposto argomentativo non e' fondato. 
    Il  tenore  stesso  della  norma  regionale   conferma   che   le
progressioni di cui si discute sono state completate in  armonia  con
quanto indicato dal contratto collettivo di lavoro di riferimento. Ai
fini del riconoscimento giuridico della progressione, la disposizione
impugnata richiede  l'avvenuta  maturazione  dei  «requisiti  per  le
progressioni professionali» nel comparto di contrattazione  regionale
che viene in considerazione, con  implicito  richiamo,  dunque,  alla
relativa fonte contrattuale collettiva. 
    Tali progressioni  sono  caratterizzate  da  una  retrodatazione,
poiche' gli effetti giuridici decorrono «dal 1° gennaio 2018», quindi
da un momento antecedente all'approvazione  della  graduatoria  e,  a
maggior ragione, dall'effettiva presa di servizio.  Questa  soluzione
non  si  pone  in  contrasto  con  gli   «orientamenti   consolidati»
dell'Agenzia  per  la  rappresentanza   negoziale   delle   pubbliche
amministrazioni (ARAN), del Dipartimento della Funzione Pubblica  e/o
della Corte dei conti, da cui si  ricava  che  «la  decorrenza  delle
progressioni non possa essere anteriore al  primo  gennaio  dell'anno
nel quale risulta approvata la graduatoria delle stesse»  (cosi',  in
particolare, la delibera della Corte dei conti, sez. contr. Calabria,
20 marzo 2018, n. 57,  che  richiama  gli  indirizzi  dell'ARAN).  In
termini analoghi si e' pronunciata la Ragioneria generale dello Stato
(parere prot. n. 49781, del 24 marzo 2017) e  la  stessa  ARAN  (nota
prot. n. 7086, del 13 settembre 2016). 
    In  definitiva,  non  si  rinvengono,   nella   norma   regionale
impugnata, profili di contrasto con il sistema  delineato  a  livello
statale, ne' sussistono diversita' tra  il  trattamento  contrattuale
applicato in Sardegna e quello di altre Regioni.