ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito della proclamazione a senatrice, nella seduta n.  140
del  31  luglio  2019,  da  parte  dell'Assemblea  del  Senato  della
Repubblica della XVIII  legislatura,  di  Emma  Pavanelli,  candidata
nella lista MoVimento  5  Stelle  (M5S)  nella  Regione  Umbria,  con
l'assegnazione del seggio non attribuito nella  Regione  Siciliana  a
causa dell'incapienza dei candidati  della  lista  M5S,  promosso  da
Gregorio De Falco, nella qualita' di senatore, con ricorso depositato
in cancelleria il 3 settembre 2019 ed iscritto al n. 3  del  registro
conflitti tra poteri dello Stato 2019, fase di ammissibilita'. 
    Udito il  Giudice  relatore  Daria  de  Pretis  nella  camera  di
consiglio del 6 aprile 2020,  svolta,  ai  sensi  del  decreto  della
Presidente della Corte del 24 marzo 2020, punto 1), lettera a); 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 aprile 2020. 
    Ritenuto che il senatore Gregorio De  Falco,  nella  qualita'  di
membro  del  Senato  della  Repubblica,  ha  promosso  conflitto   di
attribuzione tra poteri dello Stato - per violazione degli  artt.  3,
24, 48, 51, 57, 66,  72  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo  in  relazione  all'art.  6  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con  legge  4  agosto  1955,  n.  848,  e  all'art.  3  del
Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a  Parigi  il
20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge n. 848 del  1955
- nei  confronti  del  Senato  della  Repubblica  «e,  se  dichiarato
ammissibile», della senatrice Emma Pavanelli, in  relazione  all'atto
di proclamazione di  quest'ultima,  candidata  nella  Regione  Umbria
(Senato  della  Repubblica,  Atti  parlamentari,  XVIII  legislatura,
seduta n. 140  del  31  luglio  2019),  nonche'  dei  seguenti  «atti
antecedenti  e/o  presupposti»:  deliberazione  della  Giunta   delle
elezioni e delle immunita' parlamentari del Senato  della  Repubblica
di approvazione della relazione del senatore Urraro, poi trasfusa nel
Doc. XVI, n. 2 (seduta n. 31 del 26 giugno 2019);  deliberazione  del
Senato della Repubblica di approvazione del predetto Doc. XVI,  n.  2
(seduta n. 140 del 31 luglio  2019),  e  deliberazione  della  Giunta
delle elezioni  e  delle  immunita'  parlamentari  del  Senato  della
Repubblica di approvazione della relazione del senatore Crucioli  per
l'attribuzione nella Regione Umbria del seggio  non  assegnato  nella
Regione Sicilia (seduta n. 36 del 31 luglio 2019); 
    che il ricorrente premette di agire  «come  rappresentante  della
Nazione ex art. 67 Cost.,  titolare  del  diritto  ad  una  procedura
parlamentare che  avvenga  nel  rispetto  della  Costituzione  e  dei
Regolamenti  di  cui  all'articolo  64  Cost.»,  richiamando  a  tale
proposito l'ordinanza n. 17 del 2019 di questa Corte; 
    che,  preliminarmente,  la   difesa   del   senatore   De   Falco
ricostruisce  la  vicenda  che  ha  preceduto  l'odierno   conflitto,
consistente nella mancata assegnazione nella Regione Siciliana di  un
seggio al Senato e  nella  sua  assegnazione  nella  Regione  Umbria;
effetto,  questo,  prodottosi  in  conseguenza  dell'esaurimento  dei
candidati presenti nelle liste del MoVimento  5  Stelle  (M5S)  della
Regione Siciliana - a causa di quella che il ricorrente definisce una
«libera  ed  esclusiva  scelta   di   abusare   della   facolta'   di
pluricandidature  nel  numero  massimo  consentito  dalla  legge   n.
165/2017 nelle liste dei collegi plurinominali» - e della contestuale
elezione di tutti i candidati del M5S nei collegi  uninominali  della
medesima Regione; 
    che la denunciata menomazione delle attribuzioni  del  ricorrente
deriverebbe  dall'incostituzionalita'  della  procedura  seguita  per
l'adozione delle deliberazioni parlamentari impugnate, che  sarebbero
state poste in essere in violazione  dei  «presidi  apprestati  dalla
Costituzione», dai regolamenti parlamentari e dalla legge,  a  tutela
dell'indipendenza    del    mandato    parlamentare,    oltre     che
dell'imparzialita' e della correttezza  delle  operazioni  elettorali
successive allo scrutinio; 
    che, in particolare, il senatore De  Falco  lamenta  l'«ingerenza
del Senato nelle operazioni elettorali di competenza degli organi  ad
esclusiva composizione magistratuale», che si  sarebbe  concretizzata
nel «mette[re] per la prima volta nelle mani degli eletti i  conteggi
che legittimano le loro stesse elezioni (e non gia'  il  giudizio  ex
post sulla relativa convalida)»; 
    che, in  questo  modo,  gli  eletti  sarebbero  «sottoposti  alla
potenziale   "attrazione   in   autodichia"   delle    loro    stesse
proclamazioni»; 
    che l'«attrazione in autodichia» sarebbe quindi «un atto abnorme»
in deroga ai principi  di  imparzialita',  terzieta'  e  indipendenza
dell'organo chiamato a proclamare i risultati elettorali,  desumibili
dagli artt. 3, 48, secondo e terzo comma, 51, 57 e 66 Cost.; 
    che sarebbe altresi' violato l'art. 117, primo comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 3 Prot. addiz. CEDU; 
    che a sostegno degli atti impugnati non potrebbe essere  invocata
«l'eccezionale disciplina delle eventuali proclamazioni in subentro»,
non essendo applicabile al caso in esame il parere della  Giunta  per
il regolamento del Senato del 7 giugno 2006, secondo cui, in mancanza
di una disciplina specifica, e' ragionevole ipotizzare che  l'Ufficio
elettorale  regionale  non  abbia  il  potere  di  proclamazione   in
relazione alle «successive vicende del seggio», la' dove quest'ultimo
si renda vacante in corso  di  legislatura,  e  che  siffatto  potere
spetti alla Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari; 
    che, quindi,  il  regolamento  del  Senato  della  Repubblica  17
febbraio  1971  e  successive  modifiche  sarebbe   stato   «in   via
consuetudinaria integrato»  da  una  norma  corrispondente  a  quella
dell'art. 17-bis, comma 3, del regolamento della Camera dei  deputati
18 febbraio 1971 e successive modifiche,  secondo  cui,  in  caso  di
vacanza «per qualsiasi causa» di  un  seggio,  «il  Presidente  della
Camera proclama eletto il candidato che segue immediatamente l'ultimo
eletto nell'ordine accertato dalla Giunta delle elezioni»; 
    che, sul presupposto della natura «meramente amministrativa e non
giurisdizionale»  dell'attivita'  in  esame,  la  trattazione   delle
doglianze dei controinteressati sarebbe posposta «alla  fase  (futura
ed  eventuale)  dei  ricorsi»,  con  la  conseguente  violazione  del
principio del contraddittorio, previsto, tra l'altro, nel regolamento
di verifica dei poteri del Senato; 
    che, nel merito, la violazione dell'art. 66  Cost.  discenderebbe
dall'attribuzione  alle  Camere  (nella  specie,  alla  Giunta  delle
elezioni del Senato) di competenze che la  Costituzione  non  assegna
loro; 
    che sarebbero parimenti violati gli artt. 48 e 72, primo e quarto
comma,  Cost.,  che  prevedono  «la  riserva  di  legge   formale   e
procedurale in materia elettorale», in quanto sarebbe stata assegnata
alla Giunta delle elezioni del  Senato  una  competenza  «[s]enza  un
titolo di ammissione»; 
    che sarebbero violati anche gli artt. 57, primo e  quarto  comma,
48 e 66 Cost., in ragione del  fatto  che  non  spettava  all'Ufficio
elettorale regionale indicare  l'organo  competente  a  risolvere  le
controversie riguardanti l'assegnazione dei seggi rimasti vacanti, il
quale, peraltro, non potrebbe che  essere  l'assemblea  plenaria  del
Senato e non la Giunta delle elezioni; 
    che gli atti impugnati si porrebbero, inoltre, in contrasto  con:
a) l'art. 57, terzo e quarto comma, Cost., perche' avrebbero alterato
il rapporto tra popolazione e numero dei  senatori  (avendo  l'Umbria
gia' beneficiato del numero minimo di sette senatori); b) l'art.  48,
secondo  comma,  Cost.,  sotto  il  profilo  dell'eguaglianza  e  del
carattere personale del voto, perche' il "peso"  della  scelta  degli
elettori umbri sarebbe maggiore  di  quello  degli  altri  e  perche'
risulterebbe eletto, con i voti degli elettori siciliani, un senatore
candidato nella Regione Umbria; c) l'art.  51,  primo  comma,  Cost.,
perche' lo slittamento dei  seggi  da  una  Regione  a  un'altra  non
assicurerebbe la candidatura in condizioni di eguaglianza; 
    che, in definitiva, sarebbe  stata  sacrificata  «soprattutto  la
volonta'  popolare»,  «[c]ompresa  quella  consacrata   nella   legge
elettorale», che, per il Senato, prevede il limite dei confini  della
circoscrizione regionale per lo "slittamento" fuori della  lista  del
collegio plurinominale; 
    che, sempre secondo la difesa del senatore De Falco,  la  mancata
proclamazione di un  senatore  del  M5S  sarebbe  la  conseguenza  di
«scelte sbagliate» della legge 3 novembre 2017, n. 165 (Modifiche  al
sistema di elezione della Camera dei  deputati  e  del  Senato  della
Repubblica. Delega al  Governo  per  la  determinazione  dei  collegi
elettorali uninominali e plurinominali), tra  cui  la  previsione  di
liste bloccate, la mancata previsione di elezioni suppletive, in casi
analoghi a quello  oggetto  dell'odierno  conflitto,  e  l'abuso  del
ricorso a pluricandidature; 
    che la via maestra da  percorrere  sarebbe  stata  «la  revisione
della legge elettorale eliminando le  contraddizioni  anche  soltanto
potenziali con il dettato costituzionale»; 
    che, pertanto, questa Corte, adita per conflitto di attribuzione,
dovrebbe sollevare dinanzi a  se  stessa  questione  di  legittimita'
costituzionale delle anzidette previsioni  della  legge  n.  165  del
2017,  sussistendo  «un  evidente  rapporto  di   continenza   e   di
presupposizione tra l'esposta questione specifica dedotta nel ricorso
per conflitto e le molteplici questioni di costituzionalita' nascenti
dai dubbi che si affacciano»; 
    che, quanto al  profilo  soggettivo  dell'odierno  conflitto,  il
ricorrente richiama l'ordinanza n.  17  del  2019  di  questa  Corte,
sottolineando che «quando sono  in  gioco  [...]  principi  e  valori
costituzionali    fondamentali,     l'unica     soluzione     offerta
dall'ordinamento, nel generale fallimento di tutti gli  altri  rimedi
interni  al  Parlamento,  e'  l'ammissibilita'  di  un  ricorso   per
conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato   di   singoli
parlamentari»; 
    che,  quanto  al  profilo  oggettivo,  la  menomazione  lamentata
sarebbe stata perpetrata  mediante  il  cattivo  uso  del  potere  di
autodichia  ex  art.  66  Cost.  e   sarebbe   consistita   «in   una
proclamazione della titolarita' originaria del seggio, [...] avvenuta
direttamente  da  parte  d'organi  di  composizione  politica,  senza
un'adeguata istruttoria tecnica, in violazione della riserva di legge
[degli articoli] 48 e 51 Cost. e con  una  falsa  applicazione  della
normativa vigente per la Camera dei deputati»; 
    che,  in  conclusione,   il   ricorrente   chiede   che,   previa
dichiarazione di ammissibilita', questa Corte accolga il ricorso  per
conflitto e dichiari  che  non  spettava  al  Senato  procedere  alla
proclamazione di una senatrice, a seguito della vacanza di un  seggio
per mancanza di  candidati  della  lista  cui  spettava,  in  Regione
diversa da quella di candidatura. 
    Considerato che il senatore Gregorio De Falco, nella qualita'  di
membro  del  Senato  della  Repubblica,  ha  promosso  conflitto   di
attribuzione tra poteri dello Stato - per violazione degli  artt.  3,
24, 48, 51, 57, 66,  72  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo  in  relazione  all'art.  6  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con  legge  4  agosto  1955,  n.  848,  e  all'art.  3  del
Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a  Parigi  il
20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge n. 848 del  1955
- nei  confronti  del  Senato  della  Repubblica  «e,  se  dichiarato
ammissibile», della senatrice Emma Pavanelli, in relazione agli  atti
sopra indicati; 
    che  in  questa  fase  del  giudizio  la  Corte  e'  chiamata   a
deliberare, in camera di consiglio  e  senza  contraddittorio,  sulla
sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall'art.
37, primo comma, della legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a
decidere se il conflitto insorga tra organi competenti  a  dichiarare
definitivamente la volonta' del potere  cui  appartengono  e  per  la
delimitazione della sfera di  attribuzioni  determinata  per  i  vari
poteri da norme costituzionali; 
    che il conflitto e' stato sollevato da un  singolo  parlamentare,
nei confronti del Senato della Repubblica e di un altro parlamentare,
per asserita lesione delle proprie prerogative costituzionali; 
    che  la  legittimazione  del  singolo   parlamentare   e'   stata
riconosciuta  da   questa   Corte   a   tutela   delle   attribuzioni
costituzionali di cui agli artt. 67, 68, 69, 71, primo  comma,  e  72
Cost., «inerenti al diritto di parola, di proposta e di voto, che gli
spettano come singolo rappresentante della  Nazione,  individualmente
considerato, da esercitare  in  modo  autonomo  e  indipendente,  non
rimuovibili  ne'  modificabili   a   iniziativa   di   altro   organo
parlamentare» (ordinanza n. 17 del 2019;  nello  stesso  senso  anche
ordinanze n. 60 del 2020, n. 275 e n. 274 del 2019); 
    che nella medesima ordinanza n.  17  del  2019  questa  Corte  ha
precisato che il singolo parlamentare puo'  ritenersi  legittimato  a
sollevare conflitto di attribuzione  solo  quando  siano  prospettate
«violazioni   manifeste   delle   prerogative   costituzionali    dei
parlamentari [...] rilevabili nella loro evidenza  gia'  in  sede  di
sommaria  delibazione»  e,  di  conseguenza,  e'  necessario  che,  a
fondamento della propria legittimazione, il parlamentare  «alleghi  e
comprovi una sostanziale negazione o  un'evidente  menomazione  della
funzione costituzionalmente attribuita al ricorrente, a tutela  della
quale e' apprestato il rimedio giurisdizionale innanzi a questa Corte
ex art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953»; 
    che nessuna delle anzidette attribuzioni costituzionali viene  in
rilievo  nel  caso  di  specie,  ne'  e'  sufficiente  a  fondare  la
legittimazione  del  ricorrente  la  rivendicazione  di  un  generico
interesse del singolo parlamentare alla legittimita' del procedimento
di assegnazione del seggio rimasto vacante; 
    che per contro il senatore ricorrente si duole della  menomazione
di attribuzioni che  -  per  sua  stessa  affermazione  -  dovrebbero
competere a un organo terzo (l'Ufficio elettorale regionale o  quello
centrale), in luogo del quale lo stesso ricorrente non e' legittimato
a far valere la denunciata lesione delle attribuzioni; 
    che, in ogni caso, le censure mosse dal  ricorrente  attengono  a
«violazioni o scorrette applicazioni dei regolamenti  parlamentari  e
delle prassi di ciascuna Camera», che, per costante giurisprudenza di
questa Corte, «non possono trovare ingresso nei giudizi per conflitto
di attribuzioni fra poteri dello Stato» (ordinanza n.  17  del  2019;
nello stesso senso, sentenza n. 379 del 1996 e ordinanza n.  149  del
2016); 
    che pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.