ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio per conflitto di  attribuzione  tra  enti,  sorto  a
seguito dei comportamenti  formali  posti  in  essere  dalle  Regioni
Lombardia e Veneto, con  riferimento  alle  funzioni  in  materia  di
riapertura delle attivita' produttive e commerciali nell'ambito della
cosiddetta  "fase  2"  dell'emergenza  epidemiologica  da   COVID-19,
promosso dal Coordinamento  delle  associazioni  e  dei  comitati  di
tutela dell'ambiente e dei diritti degli  utenti  e  dei  consumatori
(CODACONS), con ricorso notificato il 21 aprile 2020,  depositato  in
cancelleria il  23  aprile  2020,  iscritto  al  n.  3  del  registro
conflitti tra enti 2020 e pubblicato nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di costituzione della Regione  Lombardia  e  della
Regione Veneto; 
    udito  il  Giudice  relatore  Franco  Modugno  nella  camera   di
consiglio del 24 giugno 2020,  svolta  ai  sensi  del  decreto  della
Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a); 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 giugno 2020. 
    Ritenuto  che,  con  ricorso  notificato  il  21  aprile  2020  e
depositato il 23 aprile 2020, il Coordinamento delle  associazioni  e
dei comitati di tutela dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei
consumatori (CODACONS) ha  promosso  conflitto  di  attribuzioni  nei
confronti  delle  Regioni  Lombardia  e  Veneto,  in  riferimento  ai
«comportamenti formali posti in essere»  da  queste,  per  violazione
delle attribuzioni  costituzionalmente  riservate  allo  Stato  dagli
artt. 117, commi secondo, lettere d), q) e h),  terzo,  e  120  della
Costituzione; 
    che il ricorrente dichiara di agire in via suppletiva dello Stato
e chiede a questa Corte di «accertare e dichiarare a chi spettano, in
base alle norme costituzionali sopra richiamate, le attribuzioni  per
la gestione della c.d. fase 2, nell'ambito dell'emergenza COVID19»; 
    che il CODACONS, denunciando la situazione di generale «disordine
istituzionale» nei rapporti fra  Governo  e  Regioni  nella  gestione
dell'emergenza epidemiologica da COVID-19,  ritiene  che  le  Regioni
Veneto e  Lombardia,  «che  sono  anche  le  zone  piu'  colpite  dal
contagio,  hanno  espresso  numerose  volte  dichiarazioni  di  segno
opposto a quelle dello Stato»; 
    che, in particolare, il ricorrente lamenta, per un verso, che  la
Regione  Lombardia  avrebbe  «ondeggiato   fra   misure   stringenti,
l'obbligatorieta' della mascherina per i cittadini lombardi, e  fughe
in avanti»; per l'altro,  che  la  Regione  Veneto  avrebbe,  invece,
manifestato  la  volonta'  di  riapertura  anticipata  rispetto  alle
previsioni statali delle attivita' produttive e commerciali,  essendo
stato, a tal fine,  addirittura  presentato  un  «Piano  autonomo  di
riapertura di ben 17 pagine»; 
    che, pertanto, secondo il CODACONS  si  sarebbe  determinata  una
situazione di «grave caos», che rischierebbe «di infrangere  l'unita'
dello  Stato»,   poiche'   molte   Regioni   porrebbero   in   essere
comportamenti gravemente lesivi delle attribuzioni dello Stato e  «il
Governo quale rappresentante  dello  Stato»  assisterebbe  «inerte  a
questa continua invasione delle sue competenze»; 
    che, in punto di diritto, il ricorrente,  pur  riconoscendo  come
«pacifica la struttura del conflitto  di  attribuzioni  tra  Stato  e
Regioni nonche' tra Regioni», dichiara di  agire  in  via  suppletiva
dello Stato, poiche' -  aggiunge  -  l'azione,  cosi'  promossa,  non
impedirebbe  al  soggetto  originariamente  titolare  di  agire,   in
qualsiasi  momento,  per  assumere  in  proprio  la  titolarita'  del
conflitto; 
    che, riguardo  alla  legittimazione  a  sollevare  il  conflitto,
secondo il ricorrente, la giurisprudenza di questa Corte ammetterebbe
che «soggetti ed organi diversi dallo Stato-apparato  possono  essere
parti di un conflitto tra poteri [...] qualora risultino titolari  di
una "pubblica funzione costituzionalmente rilevante e garantita"»; 
    che, su tali  basi,  sussisterebbe  la  legittimazione  sotto  il
profilo soggettivo, in quanto il CODACONS sarebbe  «per  legge  [...]
chiamato a tutelare gli interessi  ed  i  diritti  di  consumatori  e
utenti», tra cui, in base al proprio statuto, il diritto alla  salute
e il diritto alla trasparenza, anche in ragione, come si  ricaverebbe
dal Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenze 20 febbraio 2020,
n. 6 e 11 gennaio 2007, n. 1 e Corte  di  cassazione,  sezione  terza
civile, sentenza 18 agosto 2011, n. 17351, del «compito di  un  certo
rilievo pubblicistico» che lo stesso svolgerebbe; 
    che, in aggiunta, la  legittimazione  del  ricorrente  troverebbe
fondamento anche  nell'art.  4-ter  delle  Norme  integrative  per  i
giudizi davanti alla Corte costituzionale, il quale, permettendo agli
«enti esponenziali, come il Codacons, di partecipare  ai  giudizi  di
legittimita'      costituzionale      sulle      leggi»,      avrebbe
«[c]ostituzionalizza[to], per cosi' dire,  la  posizione  degli  Enti
esponenziali»; 
    che, infine, il potere riconosciuto a tali  enti  di  sostituirsi
allo Stato si ricaverebbe anche da «molteplici» norme che regolano il
potere sostitutivo: l'art. 120, secondo comma, Cost., che  disciplina
il potere sostitutivo delle Stato nei confronti delle Regioni,  delle
Citta' metropolitane, delle Province e dei Comuni, «l'art.  9  TUEL»,
che prevedrebbe «la possibilita' per gli  Enti  esponenziali  di  far
valere in giudizio le azioni e i ricorsi che  spettano  al  Comune  e
alla  Provincia»,   nonche'   «[l]'art.   310   Cod.   Ambiente   che
attribui[rebbe] agli  enti  esponenziali  un  potere  sostitutivo  in
materia di danno ambientale, quando, ad.  es.  l'ente  locale  rimane
inerte»; 
    che, per quanto riguarda la sussistenza del profilo oggettivo, il
ricorrente premette che, in sede di  conflitto  di  attribuzione  tra
Stato e Regioni,  potrebbero  essere  sindacati  anche  comportamenti
degli organi istituzionali, come emergerebbe dalla sentenza di questa
Corte n. 1 del 2013; 
    che, su tale presupposto,  il  CODACONS  ritiene  che,  tanto  la
Regione Veneto, con un programma  contenente  puntuali  prescrizioni,
quanto la Regione Lombardia, con «dichiarazioni, comunicati stampa  e
interviste televisive, proprie e personali posizioni  sulla  gestione
della crisi», avrebbero posto in essere comportamenti formali  lesivi
delle competenze statali; 
    che, con tali comportamenti, avrebbero  violato  le  attribuzioni
statali sancite dall'art. 117, commi secondo, lettere d), q) e h), in
materia di "sicurezza dello Stato",  "profilassi  internazionale";  e
"ordine pubblico e sicurezza" e terzo, Cost. in  materia  di  "tutela
della  salute",  in   quanto   si   afferma   essere   evidente   che
nell'emergenza epidemiologica da COVID-19, venendo inciso «il diritto
primario alla salute, i principi fondamentali  per  la  c.d.  fase  2
spettano allo Stato, e solo norme dal carattere integrativo  spettano
alle  Regioni»,  nonche'  l'art.  120,  secondo  comma,  Cost.,   che
attribuirebbe al  Governo  il  ruolo  di  «granate  [recte:  garante]
dell'unita'  di  azione  e  indirizzo  dello  Stato»,  minato  «dalle
reiterate condotte poste in essere dalla Regione  Lombardia  e  della
[recte: dalla] Regione [Veneto]»; 
    che il ricorrente  ha,  infine,  proposto  istanza  cautelare  di
sospensione dei gravi comportamenti formali  posti  in  essere  dalle
Regioni Veneto e Lombardia, chiedendo, altresi', che  venga  ordinato
alle stesse di astenersi dal porre in essere ulteriori  comportamenti
lesivi delle attribuzioni statali; 
    che, con successiva nota, depositata in data 29 aprile  2020,  il
ricorrente ha integrato i  riferimenti  agli  atti  ritenuti  lesivi,
producendo, oltre a una serie di articoli di stampa, l'ordinanza  del
Presidente della Giunta regionale  della  Regione  Veneto  24  aprile
2020, n. 42, recante «Misure urgenti in  materia  di  contenimento  e
gestione dell'emergenza epidemiologica da virus  COVID-19.  Ulteriori
disposizioni.» e un «[d]ocumento predisposto dal comune di Milano con
le sue  proposte  per  la  cosiddetta  fase  2  pubblicato  sul  sito
istituzionale dello stesso Comune il 24 aprile 2020»; 
    che la Regione Lombardia si e' costituita in  giudizio  con  atto
depositato il 25 maggio 2020, chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile e, comunque sia, infondato; 
    che  la   difesa   di   parte   resistente,   premessa   un'ampia
ricostruzione della disciplina  normativa  dell'emergenza  sanitaria,
sociale ed economica  causata  dalla  diffusione  della  pandemia  da
COVID-19, tesa a dimostrare che  «l'adozione  di  misure  restrittive
delle liberta' individuali e della iniziativa  economica,  attraverso
DPCM»,  puo'  essere  accompagnata  da  interventi   regionali   piu'
restrittivi per adattare  le  singole  disposizioni  alla  situazione
sanitaria della singola Regione, afferma  che  la  Regione  Lombardia
avrebbe «sempre cercato il coordinamento con il Governo» e si sarebbe
sempre attenuta alla «"centralizzazione" delle  istruzioni  per  fare
fronte alla pandemia»; 
    che,  in  diritto,  la  Regione  Lombardia  ritiene  il   ricorso
inammissibile per  carenza  del  requisito  soggettivo,  innanzitutto
perche'  non  sarebbe  configurabile  il  potere  di  agire  in   via
suppletiva in sede di conflitto di attribuzione fra Stato e  Regioni,
ai sensi dell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ne'  vi
sarebbero altre norme di legge che attribuirebbero  ad  associazioni,
quali il CODACONS, il potere di agire in rappresentanza  dello  Stato
in sede di conflitto fra enti, e, sotto questo  secondo  aspetto,  le
previsioni normative  richiamate  dal  ricorrente  a  sostegno  della
propria azione nulla avrebbero «in comune con il procedimento oggetto
dell'odierna disamina»; 
    che, pertanto, il CODACONS non potrebbe -  in  linea  con  quanto
affermato dalla giurisprudenza  di  questa  Corte  -  vantare  alcuna
titolarita'  di  funzioni  costituzionalmente  rilevanti,   tali   da
legittimarlo alla proposizione del conflitto; 
    che, ai fini della  legittimazione,  neppure  rileverebbe  l'art.
4-ter delle Norme integrative, in  quanto  quest'ultimo  non  avrebbe
apportato alcuna modifica alla legittimazione  a  introdurre  giudizi
davanti alla Corte costituzionale, ma si sarebbe limitato a prevedere
la possibilita', per le formazioni  sociali  senza  scopo  di  lucro,
oppure per  i  soggetti  istituzionali,  se  portatori  di  interessi
collettivi  o  diffusi  attinenti  alla  questione   in   discussione
(rispetto ai quali -  cosi'  si  sostiene  -  CODACONS  non  avrebbe,
comunque sia,  alcuna  titolarita'),  di  presentare  brevi  opinioni
scritte; 
    che,  secondo  la  Regione   Lombardia   il   conflitto   sarebbe
inammissibile anche per carenza del requisito oggettivo; 
    che  la  resistente  (richiamando  ampiamente  la  giurisprudenza
costituzionale) sostiene, infatti, che, seppur in sede  di  conflitto
di attribuzione sia stata ammessa la possibilita'  di  sindacare  non
solo atti, bensi' anche  comportamenti  degli  organi  istituzionali,
oggetto del conflitto dovrebbe, comunque sia, essere un comportamento
significante, a rilevanza esterna, poiche' finalizzato  all'esercizio
di una precisa competenza ed effettivamente lesivo (per  invasione  o
menomazione) delle altrui competenze; 
    che tali  elementi  difetterebbero  nel  ricorso,  in  quanto  il
CODACONS  avrebbe  preteso  di  individuare  tali  comportamenti   in
«dichiarazioni, comunicati stampa e interviste televisive»; 
    che, in tal modo, il  ricorrente  non  solo  avrebbe  diretto  la
propria azione verso comportamenti che non possono essere considerati
alla stregua di comportamenti significanti e che non  possono  essere
qualificati neppure come atti  preparatori  o  non  definitivi  della
pubblica amministrazione, ma non avrebbe neppure esplicitato in  modo
chiaro quali sarebbero poi le  dichiarazioni  lesive  della  potesta'
statale, non avendo chiaramente  individuato  le  dichiarazioni,  ne'
fornito  elementi  atti  a  comprendere  il  comportamento  regionale
reputato lesivo delle competenze statali; 
    che tali carenze, a parere della Regione Lombardia, starebbero  a
dimostrare che questa Corte sarebbe stata adita  «a  scopo  meramente
consultivo», dal che deriverebbe l'inammissibilita' del  ricorso,  in
quanto   la   giurisprudenza   costituzionale   avrebbe   negato   la
possibilita' di ricorrere  al  conflitto  di  attribuzione  per  tale
finalita' (si richiama espressamente la sentenza n. 1 del 2013  e  le
decisioni in questa citate); 
    che, in disparte l'inammissibilita', secondo la Regione Lombardia
sarebbe in ogni caso intervenuta  la  cessazione  della  materia  del
contendere,  determinata  da   «un   sopravvenuto   mutamento   della
situazione esistente al momento della proposizione del  ricorso»,  in
quanto  il  d.P.C.m.  17  maggio  2020  (Disposizioni  attuative  del
decreto-legge 25 marzo  2020,  n.  19,  recante  misure  urgenti  per
fronteggiare  l'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19,   e   del
decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, recante ulteriori misure urgenti
per fronteggiare  l'emergenza  epidemiologica  da  COVID-19)  sarebbe
stato adottato conformemente alle  «linee  guida  per  la  riapertura
delle  attivita'  economiche  e  produttive  della  Conferenza  delle
Regioni e delle Province Autonome del 16 maggio 2020»; 
    che, nel merito, la resistente, rileva come le censure  contenute
nel ricorso sarebbero meramente assertive,  poiche'  il  CODACONS  si
sarebbe limitato a elencare le disposizioni costituzionali violate  e
non avrebbe argomentato  sui  denunciati  profili  di  lesione  delle
attribuzioni costituzionali; 
    che, infine,  la  Regione  Lombardia  afferma  non  doversi  dare
seguito  all'istanza  cautelare,  in  quanto  questa  sarebbe   stata
«proposta da Codacons in relazione all'imminenza  della  data  del  4
maggio», anche in ragione del fatto che il trascorrere del tempo  non
avrebbe comportato le conseguenze dannose paventate, ma anzi  avrebbe
visto assumere atti legislativi e  provvedimenti  amministrativi  che
sarebbero  stati  «ritenuti  idonei  alla   gestione   dell'andamento
dell'epidemia dalle Autorita' di volta in volta competenti»; 
    che si e' costituita in giudizio anche  la  Regione  Veneto,  con
atto depositato il 28 maggio  2020,  chiedendo  che  il  ricorso  sia
dichiarato inammissibile e, comunque sia, infondato; 
    che,  in  fatto,  la  resistente  offre  un'ampia,   puntuale   e
articolata ricostruzione degli avvenimenti che hanno segnato la  fase
dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, tesa a dimostrare  che  la
resistente, «pur  convinta  delle  proprie  idee,  sollecitate  dalla
cittadinanza e dal mondo economico»,  non  avrebbe  posto  in  essere
comportamenti contrari al criterio della leale  collaborazione,  cio'
che del resto spiegherebbe «perche' [...] lo Stato non  ha  sollevato
conflitt[o] di attribuzioni»; 
    che,  secondo  la  Regione  Veneto,   il   canone   della   leale
collaborazione sarebbe stato seguito anche  per  il  «"Piano  per  la
ripartenza"», rispetto al quale il Presidente della Giunta regionale,
pur avendo espresso il timore delle ricadute  sociali  ed  economiche
per la sua mancata  e  pronta  attuazione,  avrebbe,  in  ogni  caso,
riconosciuto la spettanza al Governo della «decisione finale»; 
    che, in punto  di  diritto,  la  resistente  ritiene  il  ricorso
inammissibile in quanto difetterebbe in capo al CODACONS il requisito
soggettivo richiesto: «non essendo ne' lo Stato ne' una Regione»; 
    che non pertinente  sarebbe,  peraltro,  il  richiamo  fatto  dal
ricorrente alla giurisprudenza  sul  conflitto  di  attribuzione  tra
poteri, disciplinato dall'art. 37 della legge n. 87 del 1953; 
    che, inoltre, fornirebbe  prova  indiretta  dell'inammissibilita'
del conflitto proprio il richiamo, nel  ricorso  introduttivo,  delle
pronunce della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, le quali
si limiterebbero a valorizzare l'apporto in sede di giudizio civile e
di quello amministrativo degli enti associativi per  «l'applicazione,
in parte qua, di fonti non di rango costituzionale», contesti, questi
ultimi,  nei  quali  le  questioni  non  possiederebbero  alcun  tono
costituzionale e non  atterrebbero  alla  «spettanza  o  meno  di  un
potere»; 
    che neppure pertinente, ai fini della sussistenza  del  requisito
soggettivo,  sarebbe  il  richiamo   all'art.   4-ter   delle   Norme
integrative: la  disposizione,  recante  «la  non  equivoca  dicitura
"Amici curiae"», il quale non disciplinerebbe  «alcuna  soggettivita'
costituzionale», ma permetterebbe soltanto  ad  alcuni  soggetti  «di
ampliare l'orizzonte conoscitivo della Corte»; 
    che, inoltre, la proposizione di un ricorso non  sarebbe  affatto
un atto dovuto, ma la scelta, da parte dello Stato e  delle  Regioni,
di attivarsi sarebbe questione  che  coinvolge  profili  di  politica
costituzionale e istituzionale, e del resto gli enti associativi, pur
svolgendo «attivita' di sicuro rilievo comunitario»,  non  dovrebbero
interferire con i  compiti  affidati  dalla  Costituzione  agli  enti
territoriali; 
    che, altresi', difetterebbe il requisito  oggettivo,  poiche'  il
ricorso sarebbe sprovvisto  dei  caratteri  dell'attualita'  e  della
concretezza, in quanto l'elaborazione di un piano, il quale  peraltro
e' stato anche trasmesso al Governo, non potrebbe ritenersi in  alcun
modo lesivo delle attribuzioni dello Stato; 
    che, inoltre, dal ricorso non si  ricaverebbero  neppure  precise
indicazioni per la determinazione e qualificazione dei  comportamenti
lesivi; 
    che  altro  profilo  di   inammissibilita'   risiederebbe   nella
contestazione  generica  e  congiunta  dell'operato   della   Regione
Lombardia e della Regione Veneto, senza che sia possibile distinguere
le posizioni dell'una e dell'altra al fine dell'individuazione  delle
presunte menomazioni delle attribuzioni statali; 
    che nel merito, la Regione Veneto ritiene il  ricorso  infondato,
in quanto il rispetto del principio  di  leale  collaborazione  nelle
«relazioni centro-periferia», emerso dalla ricostruzione della  parte
in fatto, renderebbe le denunciate lesioni  degli  artt.  117,  commi
secondo, lettere d), q) e h), terzo, e  120,  comma  secondo,  Cost.,
insussistenti «per carenza  di  atti  e  comportamenti  lesivi  delle
competenze spettanti allo Stato»; 
    che la  resistente,  infine,  sostiene  che  non  potrebbe  darsi
seguito all'istanza cautelare, in quanto sarebbe priva  di  qualsiasi
fondamento giuridico,  non  avendo  la  Regione  Veneto  leso  alcuna
attribuzione dello Stato; 
    che, con  memoria  depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  il
ricorrente risponde alle eccezioni sollevate dalle Regioni  Lombardia
e Veneto  e,  nella  sostanza,  ribadisce  le  deduzioni  svolte  nel
ricorso; 
    che  anche  la  Regione  Lombardia  e  la  Regione  Veneto  hanno
depositato memorie, nelle quali, a  loro  volta,  hanno  ribadito  le
deduzioni svolte nell'atto di costituzione. 
    Considerato  che  il  Coordinamento  delle  associazioni  e   dei
comitati di tutela dell'ambiente e dei diritti  degli  utenti  e  dei
consumatori (CODACONS) ha promosso conflitto di attribuzione tra enti
nei confronti delle Regioni Lombardia e Veneto,  in  riferimento  «ai
comportamenti formali posti in  essere»  da  queste,  per  violazione
delle attribuzioni  costituzionalmente  riservate  allo  Stato  dagli
artt. 117, commi secondo, lettere d), q) e h), terzo,  e  120,  comma
secondo, della Costituzione; 
    che  il  ricorrente  dichiara  espressamente  di  agire  in   via
suppletiva dello Stato e  chiede  a  questa  Corte  di  «accertare  e
dichiarare a chi spettano, in base alle  norme  costituzionali  sopra
richiamate, le attribuzioni  per  la  gestione  della  c.d.  fase  2,
nell'ambito dell'emergenza COVID19»; 
    che va innanzitutto rilevato, sotto il  profilo  soggettivo,  che
l'art. 39, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla
costituzione  e  sul  funzionamento  della   Corte   costituzionale),
attribuisce la legittimazione a proporre  ricorso  per  lo  Stato  al
«Presidente del Consiglio dei ministri o [ad] un Ministro da [questi]
delegato» e per la Regione al «Presidente della Giunta  regionale  in
seguito a deliberazione della Giunta stessa»; 
    che, in  forza  del  chiaro  tenore  letterale  della  richiamata
disposizione, la costante giurisprudenza di questa Corte ha  ritenuto
che «"nessun elemento  letterale  o  sistematico  [...]  consente  di
superare la chiara limitazione soggettiva che si ricava  dagli  artt.
134 della Costituzione e 39, terzo comma, della citata  legge  n.  87
del 1953"» (sentenza n. 130 del 2009); 
    che, consapevole di cio', il ricorrente deduce di «agire  in  via
suppletiva dello Stato» e che  tale  azione  sarebbe  ammissibile  in
quanto non impedirebbe al soggetto originariamente titolare di agire,
in qualsiasi momento, per assumere  in  proprio  la  titolarita'  del
conflitto; 
    che la predetta azione suppletiva e' del tutto estranea al nostro
ordinamento e la sua prospettazione e' quindi inidonea a superare  la
chiara e inequivoca  limitazione  soggettiva  alla  proposizione  del
conflitto tra enti; 
    che il conflitto e' carente anche del requisito oggettivo; 
    che, secondo la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  e'  ritenuto
idoneo a innescare un conflitto intersoggettivo di attribuzione anche
un comportamento, purche' questo sia un «comportamento  significante,
imputabile allo  Stato  o  alla  Regione»,  «dotato  di  efficacia  e
rilevanza esterna e -  anche  se  preparatorio  o  non  definitivo  -
diretto, in ogni caso, «"ad esprimere in modo chiaro ed inequivoco la
pretesa di esercitare una data competenza, il cui  svolgimento  possa
determinare una invasione  nella  altrui  sfera  di  attribuzioni  o,
comunque, una menomazione altrettanto attuale delle  possibilita'  di
esercizio della medesima" (sentenza n. 332  del  2011;  nello  stesso
senso, sentenze n. 382 del 2006, n. 211 del 1994 e n. 771 del  1988)»
(cosi' sentenza n. 22 del 2020); 
    che, nel caso  di  specie,  i  menzionati  elementi  non  possono
ritenersi sussistenti; 
    che, infatti,  oggetto  di  contestazione  sono  comportamenti  -
ovverosia dichiarazioni riportate dagli organi di stampa  e  ritenute
«imputabili» alla Regione Lombardia, peraltro non meglio  specificate
ne' rispetto ai contenuti ne' con riguardo ai soggetti  istituzionali
che le avrebbero poste in essere, e il «Progetto  per  la  riapertura
delle attivita' produttive» della Regione Veneto del 17 aprile 2020 -
evidentemente sprovvisti dei  richiamati  requisiti  di  efficacia  e
rilevanza  esterna  e,  comunque  sia,  intrinsecamente  inidonei   a
esprimere in modo chiaro e inequivoco la pretesa  di  esercitare  una
competenza  invasiva  della  sfera  di  attribuzioni   costituzionali
statali; 
    che, pertanto, la minaccia di lesione e' puramente congetturale e
il conflitto e' promosso a fini meramente consultivi, come del  resto
emerge chiaramente dal ricorso,  con  il  quale  viene  espressamente
chiesto a questa Corte di «accertare e dichiarare a chi spettano,  in
base alle norme costituzionali sopra richiamate, le attribuzioni  per
la gestione della c.d. fase 2, nell'ambito dell'emergenza COVID19»; 
    che, in conclusione, l'iniziativa del ricorrente si  mostra  come
una forzatura dei meccanismi di instaurazione del conflitto tra enti,
dal  che  deriva  la  manifesta  inammissibilita'  del  conflitto   e
l'assorbimento della connessa istanza di sospensione. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.