ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma
125, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
di stabilita' 2015)» e dell'art. 74 del decreto legislativo 26  marzo
2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative  in  materia
di tutela e sostegno della maternita' e  della  paternita',  a  norma
dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000,  n.  53),  promossi  dalla
Corte di cassazione con ordinanze del 17  giugno  2019,  iscritte  ai
numeri 175, da 177 a 182 e da 188 a 190 del registro ordinanze 2019 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  nn.  44  e  45,
prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visti gli atti di costituzione di O. D., di R.I. H.V., di B.  O.,
di F. G., di M.K.F. B., di E. S., di N. P.,  dell'Istituto  nazionale
della previdenza sociale (INPS) e di S. E.A.,  nonche'  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 7 luglio 2020 e nella  camera  di
consiglio dell'8 luglio 2020 il Giudice relatore Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati Alberto  Guariso  per  O.  D.  e  altri,  Amos
Andreoni per N. P., Mauro Sferrazza e Vincenzo Stumpo  per  l'INPS  e
l'avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del  Consiglio
dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'8 luglio 2020. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Questa Corte e' chiamata a pronunciarsi sulla  compatibilita'
dell'art. 1, comma 125, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)» e dell'art.  74  del  decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e  della
paternita', a norma dell'articolo 15 della legge  8  marzo  2000,  n.
53), con gli artt. 3,  31,  117,  primo  comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 33 e 34 della  Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea  (CDFUE),  proclamata  a
Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre  2007
(da ora, anche: Carta). 
    La Corte di cassazione dubita della  legittimita'  costituzionale
delle previsioni citate, nella parte in cui stabiliscono il requisito
del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di  lungo  periodo  per
l'erogazione  agli  stranieri,   rispettivamente,   dell'assegno   di
natalita' e dell'assegno di maternita'. 
    2.-  Pur  tenendo  conto  delle  peculiarita'  delle  prestazioni
esaminate e del  diverso  regime  applicabile  a  ciascuna  di  esse,
l'omogeneita' delle censure rende opportuna una trattazione  unitaria
dinanzi a questa Corte, che inquadri entrambe le questioni  nel  piu'
ampio orizzonte delle prestazioni sociali agli stranieri, anche  alla
luce delle indicazioni offerte dal  diritto  dell'Unione  europea.  I
giudizi,  pertanto,  devono  essere  riuniti,  per  essere   trattati
congiuntamente. 
    3.- Si deve premettere che la Corte  di  cassazione  menziona,  a
sostegno delle censure, parametri di matrice  nazionale  e,  in  pari
tempo, molteplici previsioni della CDFUE, che  ha  lo  stesso  valore
giuridico dei trattati, alla stregua dell'art. 6,  paragrafo  1,  del
Trattato  sull'Unione  europea  (TUE),  nella  versione   consolidata
successiva al Trattato di  Lisbona,  firmato  il  13  dicembre  2007,
entrato in vigore il 1° dicembre 2009. 
    3.1.- Questa Corte  ha  ribadito  anche  di  recente  la  propria
competenza a sindacare  gli  eventuali  profili  di  contrasto  delle
disposizioni  nazionali  con  i  principi   enunciati   dalla   Carta
(ordinanza n. 117 del 2019, punto 2. del Considerato in diritto). 
    Quando e' lo stesso giudice rimettente a sollevare una  questione
di legittimita' costituzionale  che  investe  anche  le  norme  della
Carta, questa Corte non puo' esimersi dal valutare se la disposizione
censurata infranga, in pari tempo, i  principi  costituzionali  e  le
garanzie sancite dalla Carta (sentenza n. 63 del 2019, punto 4.3. del
Considerato  in   diritto).   L'integrarsi   delle   garanzie   della
Costituzione con quelle sancite dalla Carta determina,  infatti,  «un
concorso di rimedi  giurisdizionali,  arricchisce  gli  strumenti  di
tutela dei diritti fondamentali  e,  per  definizione,  esclude  ogni
preclusione» (sentenza n. 20 del 2019, punto 2.3. del Considerato  in
diritto). 
    In quanto giurisdizione nazionale  ai  sensi  dell'art.  267  del
Trattato  sul  funzionamento   dell'Unione   europea   (TFUE),   come
modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e
ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, questa Corte - come  di
recente ha  affermato  nell'interpellare  la  Corte  di  giustizia  -
esperisce il rinvio pregiudiziale «ogniqualvolta cio' sia  necessario
per chiarire il significato e gli effetti delle norme della Carta;  e
potra', all'esito di tale  valutazione,  dichiarare  l'illegittimita'
costituzionale della  disposizione  censurata,  rimuovendo  cosi'  la
stessa dall'ordinamento nazionale con effetti erga omnes»  (ordinanza
n. 117 del 2019, punto 2. del Considerato in diritto). 
    Il rinvio pregiudiziale si colloca «in un quadro di costruttiva e
leale cooperazione fra i diversi sistemi di garanzia,  nel  quale  le
Corti costituzionali sono chiamate a valorizzare il  dialogo  con  la
Corte  di  giustizia  [...],  affinche'  sia  assicurata  la  massima
salvaguardia dei diritti a livello sistemico (art. 53  della  CDFUE)»
(sentenza n. 269 del 2017, punto 5.2. del  Considerato  in  diritto).
L'intervento chiarificatore che si richiede alla Corte  di  giustizia
e' funzionale, altresi', alla garanzia  di  uniforme  interpretazione
dei diritti e degli obblighi che discendono dal diritto dell'Unione. 
    3.2.- Pertanto si ritiene necessario,  prima  di  decidere  sulle
questioni di legittimita' costituzionale  sollevate  dalla  Corte  di
cassazione,   interrogare   la   Corte   di   giustizia   sull'esatta
interpretazione delle disposizioni rilevanti del diritto  dell'Unione
europea che incidono sul diritto nazionale. 
    Questa Corte ravvisa, infatti, una connessione inscindibile tra i
principi e i diritti costituzionali evocati dalla Corte di cassazione
e quelli riconosciuti dalla Carta, arricchiti dal diritto secondario,
tra loro complementari e  armonici.  Spetta  dunque  a  questa  Corte
salvaguardarli in una prospettiva di massima espansione. 
    In  un  campo  segnato  dall'incidenza  crescente   del   diritto
dell'Unione, non si puo' non privilegiare il dialogo con la Corte  di
giustizia,  in  quanto  depositaria   del   «rispetto   del   diritto
nell'interpretazione e  nell'applicazione  dei  trattati»  (art.  19,
paragrafo  1,  del  Trattato  sull'Unione  europea).  Il  divieto  di
discriminazioni  arbitrarie  e   la   tutela   della   maternita'   e
dell'infanzia, salvaguardati dalla Costituzione  italiana  (artt.  3,
primo comma, e 31 Cost.), devono, difatti, essere interpretati  anche
alla  luce  delle  indicazioni   vincolanti   offerte   dal   diritto
dell'Unione europea (ex artt. 11 e 117, primo  comma,  Cost.).  Sulla
portata e sulla latitudine di tali garanzie, che si  riverberano  sul
costante evolvere dei precetti  costituzionali,  in  un  rapporto  di
mutua implicazione e  di  feconda  integrazione,  si  concentrano  le
questioni pregiudiziali che in questa sede si ritiene  di  sottoporre
al vaglio della Corte di giustizia. 
    4.- Occorre, in primo luogo, ricostruire nei suoi tratti salienti
la disciplina nazionale applicabile e le disposizioni pertinenti  del
diritto dell'Unione europea,  che  con  la  disciplina  nazionale  si
intersecano. 
    5.- Quanto al diritto nazionale, si devono svolgere  le  seguenti
precisazioni. 
    5.1.- Per quel che  attiene  all'assegno  di  natalita',  vengono
anzitutto in rilievo le disposizioni dell'art. 1,  comma  125,  della
legge n. 190 del 2014. 
    La norma censurata dispone che, per ogni figlio nato  o  adottato
tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre  2017,  «e'  riconosciuto  un
assegno di importo pari  a  960  euro  annui  erogato  mensilmente  a
decorrere  dal  mese  di  nascita  o  adozione».  Tale  assegno   «e'
corrisposto fino al compimento del terzo  anno  di  eta'  ovvero  del
terzo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito  dell'adozione»
e persegue la finalita' «di incentivare la  natalita'  e  contribuire
alle spese per il suo sostegno». 
    L'assegno e' corrisposto dall'Istituto nazionale della previdenza
sociale (INPS) «a condizione che il nucleo familiare di  appartenenza
del genitore richiedente l'assegno sia in  una  condizione  economica
corrispondente a un valore dell'indicatore della situazione economica
equivalente (ISEE), stabilito ai sensi  del  regolamento  di  cui  al
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n.
159, non superiore a 25.000 euro annui». 
    Allorche' «il  nucleo  familiare  di  appartenenza  del  genitore
richiedente l'assegno sia in una condizione economica  corrispondente
a un valore dell'ISEE, stabilito ai sensi del citato  regolamento  di
cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  159  del
2013, non superiore a 7.000 euro annui», l'importo  annuo  di  960,00
euro e' raddoppiato. 
    L'assegno e'  stato  concesso  anche  «per  ogni  figlio  nato  o
adottato dal 1° gennaio  2018  al  31  dicembre  2018»  per  il  piu'
circoscritto periodo di un anno, «fino al compimento del  primo  anno
di eta' ovvero del primo anno di  ingresso  nel  nucleo  familiare  a
seguito dell'adozione» (art. 1, comma 248, della  legge  27  dicembre
2017, n. 205, recante «Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020»). 
    La prestazione e' stata estesa a «ogni figlio nato o adottato dal
1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2019», sempre  per  la  durata  di  un
anno, «fino al compimento del primo anno di  eta'  ovvero  del  primo
anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito dell'adozione», e con
una maggiorazione del venti per cento per ogni figlio  successivo  al
primo (art. 23-quater, comma 1, del decreto-legge 23 ottobre 2018, n.
119, recante «Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria»,
convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n. 136). 
    Da  ultimo,  l'assegno  di  natalita'  e'  stato  riconosciuto  a
beneficio di «ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2020  al  31
dicembre 2020», sempre «fino al compimento del  primo  anno  di  eta'
ovvero del primo anno di ingresso  nel  nucleo  familiare  a  seguito
dell'adozione». La  prestazione,  cosi'  delineata,  consiste  in  un
importo variabile in rapporto alle condizioni economiche  del  nucleo
familiare: «a) 1.920 euro qualora il nucleo familiare di appartenenza
del genitore richiedente l'assegno sia in  una  condizione  economica
corrispondente a un valore dell'indicatore della situazione economica
equivalente (ISEE), stabilito ai sensi  del  regolamento  di  cui  al
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n.
159, non superiore a 7.000 euro  annui;  b)  1.440  euro  qualora  il
nucleo familiare di appartenenza del genitore  richiedente  l'assegno
sia in una condizione economica corrispondente a un valore  dell'ISEE
superiore alla soglia di cui alla lettera a) e non superiore a 40.000
euro; c) 960 euro qualora il nucleo  familiare  di  appartenenza  del
genitore  richiedente  l'assegno  sia  in  una  condizione  economica
corrispondente a  un  valore  dell'ISEE  superiore  a  40.000  euro».
L'ammontare dell'assegno e' aumentato del venti per  cento  per  ogni
figlio successivo al  primo  (art.  1,  comma  340,  della  legge  27
dicembre 2019, n. 160, recante «Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2020-2022»). 
    Questa Corte si interroga anche sulle  proroghe  dell'assegno  di
natalita', disposte da norme successive rispetto a quella  denunciata
dalla  Corte  di  cassazione.  Pur  nel  susseguirsi  delle   diverse
discipline,  che  denotano  il  carattere   non   strutturale   della
provvidenza, permane inalterato - per i  cittadini  non  appartenenti
all'Unione europea - il requisito del permesso di  soggiorno  UE  per
soggiornanti di lungo periodo, censurato dal rimettente. L'assegno di
natalita', nella versione originaria e nelle proroghe successivamente
disposte dal legislatore, e' riconosciuto, difatti, «per i  figli  di
cittadini italiani o di uno Stato membro  dell'Unione  europea  o  di
cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno  di  cui
all'articolo 9 del testo  unico  delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998,  n.  286,  e
successive modificazioni, residenti in Italia». 
    Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, di
cui all'art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, e' a tempo  indeterminato,
e' rilasciato dal questore entro novanta  giorni  dalla  richiesta  e
presuppone il «possesso, da almeno cinque anni,  di  un  permesso  di
soggiorno  in  corso  di  validita'»   e   la   dimostrazione   della
«disponibilita'  di  un  reddito  non  inferiore  all'importo   annuo
dell'assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai  familiari,
di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati  nell'articolo
29, comma 3, lettera b) e di  un  alloggio  idoneo  che  rientri  nei
parametri minimi previsti dalla legge regionale per  gli  alloggi  di
edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito  dei  requisiti
di  idoneita'  igienico-sanitaria   accertati   dall'Azienda   unita'
sanitaria locale competente per territorio». 
    Il richiedente, inoltre, deve preventivamente superare una  prova
di conoscenza della lingua italiana e non deve essere pericoloso  per
l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. 
    5.2.- L'assegno di maternita' e' disciplinato  dall'art.  74  del
d.lgs. n. 151 del 2001. 
    L'assegno spetta per ogni figlio nato dal 1° gennaio 2001, o  per
ogni  minore  in  affidamento  preadottivo  o   in   adozione   senza
affidamento dalla  stessa  data,  «alle  donne  residenti,  cittadine
italiane o comunitarie o in possesso di  carta  di  soggiorno»,  oggi
permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. 
    L'assegno e'  concesso  alle  donne  che  non  beneficiano  della
indennita' di maternita' connessa a rapporti di lavoro subordinato  o
autonomo o allo svolgimento di una libera professione (artt. 22, 66 e
70 del d.lgs. n. 151 del 2001) e presuppone il possesso, in  capo  al
nucleo familiare di appartenenza della madre, di  risorse  economiche
non superiori «ai valori dell'indicatore della  situazione  economica
(ISE), di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  109,  tabella
1, pari a lire 50 milioni annue con riferimento ai  nuclei  familiari
con tre componenti». 
    6.-  Nell'odierno  giudizio,  sono   numerose   le   disposizioni
rilevanti del diritto dell'Unione europea. 
    6.1.- La Corte  di  cassazione  ha  evocato,  tra  le  molteplici
previsioni della Carta, anche l'art. 34. Quest'ultimo  garantisce  il
diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale, come quella
per la tutela della maternita' (paragrafo 1), e il diritto di «[o]gni
persona che risieda o si sposti  legalmente  all'interno  dell'Unione
[...] alle prestazioni di sicurezza sociale e ai  benefici  sociali»,
in  conformita'  alle  previsioni  del  diritto  dell'Unione  e  alle
legislazioni e alle prassi nazionali (paragrafo 2). 
    6.2.- Con  riferimento  alle  prestazioni  di  sicurezza  sociale
spettanti ai cittadini dei paesi terzi, la direttiva 2003/109/CE  del
Consiglio del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di
paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo e  trasposta  con
il decreto  legislativo  8  gennaio  2007,  n.  3  (Attuazione  della
direttiva 2003/109/CE relativa allo  status  di  cittadini  di  Paesi
terzi soggiornanti di lungo periodo), garantisce ai  soggiornanti  di
lungo periodo lo stesso trattamento dei cittadini nazionali per  quel
che riguarda, in particolare, le «prestazioni  sociali,  l'assistenza
sociale  e  la  protezione  sociale  ai  sensi   della   legislazione
nazionale» (art. 11, paragrafo 1, lettera d). 
    6.3.- Quanto alla direttiva 2011/98/UE del Parlamento  europeo  e
del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una  procedura  unica
di domanda per il rilascio di un permesso unico,  essa  interviene  a
estendere tali prestazioni agli stranieri titolari del permesso unico
di lavoro. 
    6.3.1.-  Tale  direttiva  ha  quale  base  giuridica  l'art.  79,
paragrafo 2, lettere a) e b), TFUE e deve essere ricondotta  all'art.
34 della Carta. Essa - come chiarisce il considerando  n.  8  -  «non
dovrebbe riguardare i cittadini di paesi terzi che hanno acquisito lo
status di soggiornanti di lungo  periodo  ai  sensi  della  direttiva
2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status
dei  cittadini  di  paesi  terzi  che  siano  soggiornanti  di  lungo
periodo», in quanto tali cittadini, muniti di un  tipo  specifico  di
permesso  di  soggiorno,  possono  rivendicare   uno   «status   piu'
privilegiato». 
    La  direttiva  2011/98/UE  si  prefigge  di   «garantire   l'equo
trattamento  dei  cittadini   dei   paesi   terzi   che   soggiornano
regolarmente nel territorio degli Stati membri» (considerando n.  2),
di dare ulteriore impulso a «una politica di immigrazione coerente» e
di «ridurre la disparita' di diritti tra i cittadini dell'Unione e  i
cittadini di paesi terzi  che  lavorano  regolarmente  in  uno  Stato
membro»  (considerando  n.  19),  creando,  anche  per  tale  via,  i
presupposti dell'integrazione economica dei cittadini di paesi terzi. 
    In questa prospettiva si  inquadra  la  scelta  di  «definire  un
insieme di diritti al fine, in particolare, di specificare i  settori
in cui e' garantita la parita' di trattamento tra i cittadini di  uno
Stato membro e i cittadini di paesi terzi che non beneficiano  ancora
dello status di soggiornanti di lungo periodo», in  modo  da  «creare
condizioni  di  concorrenza  uniformi  minime   nell'Unione»   e   da
«riconoscere  che  tali  cittadini  di  paesi  terzi   contribuiscono
all'economia dell'Unione con il loro lavoro e i  loro  versamenti  di
imposte» (considerando n. 19). 
    Lo scrutinio di questa Corte concerne il diritto alla parita'  di
trattamento nel settore della sicurezza sociale, come  definito  «dal
regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del  Consiglio,
del  29  aprile  2004,  relativo  al  coordinamento  dei  sistemi  di
sicurezza sociale» (considerando n. 24 della direttiva).  Gli  Stati,
nell'organizzare i rispettivi  regimi  di  sicurezza  sociale  e  nel
fissare «le  condizioni  per  la  concessione  delle  prestazioni  di
sicurezza sociale nonche' l'importo di tali prestazioni e il  periodo
durante  il  quale  sono  concesse»  (considerando  n.  26),   devono
osservare tali prescrizioni. 
    6.3.2.- In questo contesto si colloca l'art. 12 della  direttiva,
richiamato dalla Corte di cassazione nel sollevare  le  questioni  di
legittimita'  costituzionale.  A  tale   disposizione   hanno   fatto
riferimento sia le Corti d'appello che hanno pronunciato le  sentenze
impugnate, sia tutte le parti dei giudizi, anche se  con  valutazioni
contrastanti. 
    I «cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in  uno  Stato
membro a fini diversi dall'attivita' lavorativa a norma  del  diritto
dell'Unione o nazionale, ai quali e' consentito lavorare e  che  sono
in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE)
n. 1030/2002» (art. 3, paragrafo 1, lettera  b)  e  «i  cittadini  di
paesi terzi che sono  stati  ammessi  in  uno  Stato  membro  a  fini
lavorativi a norma del diritto  dell'Unione  o  nazionale»  (art.  3,
paragrafo  1,  lettera  c)  beneficiano  dello   stesso   trattamento
riservato ai cittadini dello Stato  membro  in  cui  soggiornano  per
quanto concerne, in particolare, «i settori della  sicurezza  sociale
definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004»  (art.  12,  paragrafo  1,
lettera e). 
    L'art. 3, paragrafo 1, del  regolamento  (CE)  n.  883/2004,  nel
delimitarne l'ambito di applicazione ratione materiae, stabilisce che
le previsioni dello stesso si  applichino  a  tutte  le  legislazioni
relative ai settori di sicurezza sociale riguardanti «le  prestazioni
di  maternita'  e  di  paternita'  assimilate»  (lettera  b)  e   «le
prestazioni familiari» (lettera j), che l'art.  1,  lettera  z),  del
medesimo regolamento definisce come «tutte le prestazioni in natura o
in denaro destinate a compensare i carichi familiari,  ad  esclusione
degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni  speciali  di
nascita o di adozione menzionati nell'allegato I». 
    6.3.3.- L'art. 12,  paragrafo  2,  lettera  b),  della  direttiva
dispone che il diritto alla parita' di trattamento nel settore  della
sicurezza sociale possa essere limitato dagli  Stati  membri  e  che,
tuttavia, non possa essere ristretto «per i lavoratori di paesi terzi
che svolgono o hanno svolto un'attivita' lavorativa  per  un  periodo
minimo di sei mesi e sono registrati come disoccupati». 
    Con riguardo ai sussidi  familiari,  gli  Stati  membri  possono,
inoltre, decidere  di  non  applicare  il  principio  di  parita'  di
trattamento «ai cittadini di paesi terzi che sono stati autorizzati a
lavorare nel territorio di  uno  Stato  membro  per  un  periodo  non
superiore a sei mesi, ai cittadini di  paesi  terzi  che  sono  stati
ammessi a scopo di studio o  ai  cittadini  di  paesi  terzi  cui  e'
consentito lavorare in forza di un visto». 
    6.3.4.-  Con  il  decreto  legislativo  4  marzo  2014,   n.   40
(Attuazione della direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura unica
di domanda per il rilascio di  un  permesso  unico  che  consente  ai
cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio  di
uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di
Paesi terzi che soggiornano regolarmente in  uno  Stato  membro),  lo
Stato italiano ha disciplinato il  permesso  unico  che  consente  ai
cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio  di
uno Stato membro e non  si  e'  avvalso  in  maniera  espressa  della
facolta' di introdurre le deroghe indicate  dalla  direttiva.  Quanto
all'art. 12, paragrafo 1,  lettera  e),  della  direttiva,  lo  Stato
italiano  ha  ritenuto  di  non  farne  oggetto  di   una   specifica
disposizione di recepimento. 
    6.4.-  La  Corte  di  giustizia  ha  affrontato  il  tema   della
compatibilita' del diritto nazionale con le prescrizioni dell'art. 12
della  direttiva  2011/98/UE  con  riguardo  all'assegno  ai   nuclei
familiari con almeno tre  figli  minori,  disciplinato  dall'art.  65
della legge del 23 dicembre 1998, n. 448, recante «Misure di  finanza
pubblica per la stabilizzazione  e  lo  sviluppo»,  e  concesso  agli
stranieri  a  condizione  che  siano  titolari  di  un  permesso  per
soggiornanti UE di lungo periodo  (sentenza  21  giugno  2017,  nella
causa C-449/16, Kerly Del Rosario Martinez Silva). 
    La Corte di giustizia ha affermato  che  l'assegno  in  esame  e'
riconducibile  alle  prestazioni  di   sicurezza   sociale,   perche'
attribuito in base  a  criteri  obiettivi  che  prescindono  da  ogni
valutazione individuale o discrezionale delle esigenze  personali,  e
perche' costituisce «una prestazione in denaro destinata,  attraverso
un contributo pubblico al bilancio familiare, ad alleviare gli  oneri
derivanti dal mantenimento dei figli» (punto 24.). 
    La Corte  di  giustizia,  anche  in  considerazione  del  mancato
esercizio della facolta' di deroga da parte dello Stato italiano,  ha
ritenuto che «l'articolo  12  della  direttiva  2011/98  deve  essere
interpretato nel senso che esso osta a una normativa  nazionale  come
quella oggetto del procedimento principale, in  base  alla  quale  il
cittadino di un paese terzo, titolare di un permesso unico  ai  sensi
dell'articolo 2, lettera c), di tale direttiva, non puo'  beneficiare
di una prestazione come l'ANF [assegno ai nuclei familiari con almeno
tre figli minori], istituito dalla legge n. 448/1998» (punto 32.). 
    6.5.- Non ha attinenza alcuna con le questioni qui  sollevate  la
causa pendente dinanzi alla Corte di giustizia (causa  C-302/19).  La
Corte di cassazione ha chiesto se sia compatibile con l'art. 12 della
direttiva 2011/98/UE una  legislazione  nazionale  che,  nel  computo
degli appartenenti al nucleo  familiare,  al  fine  del  calcolo  del
diverso istituto dell'assegno per  il  nucleo  familiare,  esclude  i
familiari del lavoratore titolare del permesso unico ed  appartenente
a Stato terzo, qualora gli stessi risiedano  presso  il  paese  terzo
d'origine. 
    7.- Alla luce del quadro normativo che si e' tratteggiato, questa
Corte ritiene necessario  sollecitare  alla  Corte  di  giustizia  un
chiarimento sulle seguenti disposizioni del diritto dell'Unione,  che
incidono   sulla   soluzione   delle   questioni   di    legittimita'
costituzionale devolute all'esame di questa Corte e  che  sono  state
oggetto del contraddittorio fra le parti lungo tutto il dipanarsi dei
giudizi. 
    7.1.- Occorre chiedere alla Corte di giustizia se l'art. 34 della
Carta debba essere interpretato nel  senso  che  nel  suo  ambito  di
applicazione  rientrino  l'assegno  di  natalita'  e   l'assegno   di
maternita', in base all'art. 3, paragrafo 1, lettere  b)  e  j),  del
regolamento (CE) n. 883/2004, richiamato dall'art. 12,  paragrafo  1,
lettera e), della direttiva 2011/98/UE, e se,  pertanto,  il  diritto
dell'Unione debba essere interpretato nel senso di non consentire una
normativa nazionale che  non  estende  agli  stranieri  titolari  del
permesso unico di cui alla medesima direttiva  le  provvidenze  sopra
citate,  gia'  concesse  agli  stranieri  titolari  di  permesso   di
soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. 
    7.1.1.-  Quanto   all'assegno   di   natalita',   esso   non   e'
riconducibile  all'assegno  speciale  di  nascita   o   di   adozione
menzionato nell'Allegato  I  del  regolamento  indicato,  in  cui  si
elencano in maniera  tassativa  le  prestazioni  escluse  dall'ambito
applicativo ratione materiae  del  regolamento.  Nessuna  prestazione
italiana vi figura. 
    Ne' ricorre l'ipotesi  dell'anticipo  sugli  assegni  alimentari,
corrispondenti  agli  «anticipi  recuperabili,  intesi  a  compensare
l'incapacita'  di  un  genitore  ad  adempiere  al  proprio   obbligo
giuridico di mantenere la sua prole, che e' un obbligo derivante  dal
diritto di famiglia» (considerando n.  36).  L'assegno  di  natalita'
differisce da tale fattispecie, esclusa dall'ambito  applicativo  del
regolamento, per la dirimente ragione che non  consiste  in  anticipi
recuperabili e non si  correla  all'incapacita'  di  un  genitore  di
adempiere agli obblighi di mantenimento della prole. 
    Poiche' nessuna delle ipotesi tipiche di esclusione  ricorre  nel
caso in esame, si deve, dunque, accertare se la prestazione citata si
possa qualificare come prestazione familiare. 
    A questa Corte e' nota la copiosa giurisprudenza della  Corte  di
giustizia,  che  annovera  tra  le  prestazioni  ricomprese   ratione
materiae nell'ambito applicativo del  regolamento  (CE)  n.  883/2004
tutte quelle prestazioni attribuite ai beneficiari, «prescindendo  da
ogni valutazione individuale  e  discrezionale  delle  loro  esigenze
personali, in base ad una situazione definita ex lege»  e  riferibili
«ad uno dei rischi espressamente elencati nell'articolo 3,  paragrafo
1, del regolamento n. 883/2004» (fra  le  piu'  recenti,  sentenza  2
aprile 2020, nella causa C-802/18, Caisse pour l'avenir des  enfants,
punto 36.). In tale valutazione, sono  ininfluenti  le  denominazioni
adottate dal legislatore nazionale,  le  modalita'  di  finanziamento
delle singole prestazioni o il  meccanismo  giuridico  cui  lo  Stato
membro fa ricorso per attuarle (sentenza 24 ottobre 2013, nella causa
C-177/2012,  Lachheb,   punto   32.),   poiche'   occorre   piuttosto
considerare il contenuto e le finalita' delle prestazioni. 
    Quanto alle prestazioni  familiari  di  cui  al  citato  art.  1,
lettera z), del  regolamento,  la  Corte  di  giustizia  UE  ha  gia'
precisato che consistono  in  «un  contributo  pubblico  al  bilancio
familiare,  destinato  ad   alleviare   gli   oneri   derivanti   dal
mantenimento dei figli» (fra le molte, la  gia'  citata  sentenza  21
giugno 2017, nella causa C-447/17, e sentenza del 19 settembre  2013,
nelle cause C-216/12 e C-217/12, Hliddal e Bornand, punto 55.). 
    L'assegno  di  natalita',  anche  in  ragione   delle   rilevanti
innovazioni che ha registrato nel volgere degli ultimi anni, presenta
tuttavia aspetti inediti rispetto  alle  prestazioni  familiari  gia'
vagliate dalla Corte di giustizia, come l'assegno ai nuclei familiari
con almeno tre figli minori, esaminato nella sentenza 21 giugno 2017,
nella causa C-449/16. Proprio su tale peculiarita' si fonda la scelta
di ricorrere alla Corte di  giustizia  con  un  procedimento  in  via
pregiudiziale. 
    Il beneficio in esame, inizialmente riconosciuto per tre  anni  e
poi per un solo anno, e' oggi ancorato a criteri  oggettivi  definiti
per legge, strutturato in termini universali e  modulato  in  base  a
scaglioni di reddito. Riconducibile al novero  delle  prestazioni  di
sicurezza sociale,  esso  rivela  una  pluralita'  di  funzioni,  che
potrebbero  renderne  incerta  la  qualificazione  come   prestazione
familiare. 
    Si coglierebbe, in primo luogo, una funzione premiale, desumibile
dallo stesso dettato normativo (art. 1, comma 125, della legge n. 190
del 2014), che enuncia «il  fine  di  incentivare  la  natalita'»,  e
segnalata dalla  difesa  dello  Stato  e  dall'INPS.  Tale  finalita'
sarebbe  confermata  dall'evoluzione   della   disciplina,   che   ha
configurato in termini universali la prestazione e  ha  previsto  una
maggiorazione per i figli successivi al primo. 
    Peraltro, il fatto che la stessa  formulazione  originaria  della
legge individuasse nel reddito del nucleo familiare il presupposto di
concessione dell'assegno parrebbe conferire rilievo  alle  condizioni
di disagio della famiglia beneficiaria, associando alla finalita'  di
incentivare la natalita' quella di «contribuire alle spese per il suo
sostegno». Tali elementi potrebbero  dare  rilevanza  alla  ulteriore
finalita' di sostenere il nucleo familiare in  condizioni  economiche
precarie e di assicurare ai minori le cure essenziali. Tale finalita'
potrebbe emergere anche dalle recenti modifiche  normative  che,  pur
configurando  l'assegno  come  provvidenza  universale,  ne  modulano
l'importo in ragione delle diverse soglie di reddito e,  dunque,  del
diverso grado di bisogno. 
    Alla luce di  tali  considerazioni,  il  carattere  premiale  non
parrebbe esclusivo, a fronte del concorrente obiettivo di offrire  un
contributo pubblico al bilancio  della  famiglia,  secondo  i  tratti
distintivi delle prestazioni familiari di cui all'art. 1, lettera z),
del regolamento (CE) n. 883/2004. 
    7.1.2.- Quanto all'assegno di maternita', si chiede alla Corte di
giustizia se esso debba essere incluso nella  garanzia  dell'art.  34
CDFUE, letto alla luce del diritto secondario, che mira ad assicurare
«uno stesso insieme  comune  di  diritti,  basato  sulla  parita'  di
trattamento con i cittadini dello Stato membro» a tutti  i  cittadini
di paesi terzi che soggiornano e lavorano  regolarmente  negli  Stati
membri, vincolando questi ultimi all'indicato obiettivo. 
    8.- In base all'art. 105 del regolamento di procedura della Corte
di giustizia del 25 settembre  2012,  si  richiede  che  il  presente
rinvio pregiudiziale sia deciso con procedimento accelerato. 
    Dalle questioni sottoposte all'odierno vaglio di questa  Corte  e
ampiamente dibattute nella giurisprudenza, non e'  da  escludere  che
traggano origine numerosi ulteriori rinvii pregiudiziali da parte dei
giudici comuni. 
    L'ampiezza del contenzioso pendente attesta  un  grave  stato  di
incertezza sul significato  da  attribuire  al  diritto  dell'Unione.
L'orientamento  diffuso   nella   giurisprudenza   di   merito,   che
attribuisce efficacia diretta  alle  previsioni  dell'art.  12  della
direttiva 2011/98/UE, non e' seguito dall'amministrazione  competente
a erogare le provvidenze, mentre la Corte di cassazione,  chiamata  a
garantire l'uniforme interpretazione del  diritto  nazionale,  si  e'
rivolta a questa Corte per ottenere una pronuncia  con  effetti  erga
omnes. 
    L'incertezza, che e' necessario dirimere in maniera sollecita, e'
tanto piu' grave in quanto riguarda sia il settore  nevralgico  della
politica comune dell'immigrazione dell'Unione europea nello spazio di
liberta', sicurezza  e  giustizia,  sia  il  tema  della  parita'  di
trattamento tra cittadini dei paesi terzi  e  cittadini  degli  Stati
membri in cui soggiornano, che di tale politica rappresenta  elemento
qualificante e propulsivo. 
    La risposta al quesito posto  da  questa  Corte  e'  destinata  a
incidere sulla erogazione di prestazioni a tutela della maternita'  e
dei bisogni dei minori. 
    Visti gli artt. 267 del Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea, e 3 della legge 13 marzo 1958, n. 204, recante «Ratifica  ed
esecuzione dei seguenti Accordi internazionali firmati a Bruxelles il
17 aprile 1957: a) Protocollo sui privilegi e sulle  immunita'  della
Comunita' economica europea; b) Protocollo sullo Statuto della  Corte
di giustizia della Comunita' economica  europea;  c)  Protocollo  sui
privilegi e sulle  immunita'  della  Comunita'  europea  dell'energia
atomica; d) Protocollo sullo Statuto della Corte di  giustizia  della
Comunita'  europea   dell'energia   atomica   (stralcio:   protocolli
Euratom)».