ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4-bis,
comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), promosso dal Magistrato di sorveglianza di Lecce nel
procedimento di sorveglianza nei confronti di A.  S.,  con  ordinanza
del 5 aprile 2019, iscritta al n. 200 del registro ordinanze  2019  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  46,  prima
serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto  l'atto  di  costituzione  di  A.  S.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  21  luglio  2020  il  giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    uditi gli avvocati Ladislao Massari e Gianfrancesco  Castrignano'
per  A.  S.  e  l'avvocato  dello  Stato  Massimo  Giannuzzi  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 21 luglio 2020. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 5 aprile 2019, il  Magistrato  di
sorveglianza di Lecce ha sollevato - in riferimento  agli  artt.  25,
secondo comma, e 117, primo comma, della  Costituzione,  quest'ultimo
in relazione all'art. 7 della Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU) - questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, della legge  26
luglio 1975, n. 354 (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla
esecuzione delle  misure  privative  e  limitative  della  liberta'),
«cosi' come interpretato nel "diritto vivente"», nella parte  in  cui
esclude che il condannato per il delitto di cui all'art. 12, commi  1
e 3, del decreto legislativo 25 luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla condizione dello straniero), commesso e  giudicato  prima
dell'entrata in vigore della legge 17 aprile 2015, n. 43 (Conversione
in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 febbraio  2015,  n.
7, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo,  anche  di
matrice internazionale, nonche' proroga delle missioni internazionali
delle Forze armate e di  polizia,  iniziative  di  cooperazione  allo
sviluppo e sostegno ai processi  di  ricostruzione  e  partecipazione
alle  iniziative   delle   Organizzazioni   internazionali   per   il
consolidamento dei processi di  pace  e  di  stabilizzazione),  possa
fruire del beneficio del permesso premio in assenza  della  prova  di
collaborazione con la giustizia; 
    che il giudice a quo ha altresi' sollevato - in riferimento  agli
artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost. - questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, ordin.  penit.,
nella parte in cui  impone  ai  condannati  per  il  delitto  di  cui
all'art. 12, commi 1 e 3, t.u. immigrazione il divieto di fruire  del
beneficio  del  permesso   premio   in   assenza   della   prova   di
collaborazione con la giustizia; 
    che il rimettente e' chiamato a delibare l'istanza di concessione
di permesso premio, ex art. 30-ter ordin. penit., avanzata da A.  S.,
detenuto dal 22 giugno 2017 in espiazione della  pena  di  tre  anni,
nove mesi e diciotto giorni di reclusione, risultante  dal  cumulo  -
previa applicazione di tre anni di condono e detrazione di sette mesi
e diciotto giorni di custodia cautelare -  di  tre  condanne  per  il
delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina; 
    che, in punto di rilevanza, il Magistrato di sorveglianza osserva
che, ove fosse applicabile la  disciplina  penitenziaria  vigente  al
momento della commissione dei fatti di reato, A. S.  potrebbe  fruire
del  permesso  premio,  avendo  gia'  scontato  (tenuto  conto  della
custodia  cautelare  gia'  subita  e  della  liberazione   anticipata
maturata) assai piu' del  limite  minimo  di  un  quarto  della  pena
richiesto dall'art. 30-ter, comma 4, lettera  b),  ordin.  penit.,  e
soddisfacendo gli  ulteriori  requisiti  della  regolare  condotta  e
dell'assenza di pericolosita' sociale; 
    che tuttavia, per effetto dell'entrata in vigore della  legge  n.
43 del 2015, che ha convertito, con modificazioni, il d.l. n.  7  del
2015, il reato di favoreggiamento  dell'immigrazione  clandestina  di
cui all'art. 12, commi 1 e 3, t.u. immigrazione e' stato incluso  nel
catalogo di cui all'art. 4-bis, comma 1, ordin.  penit.,  sicche'  la
concessione dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla
detenzione e' ora subordinata alla collaborazione del condannato  con
la giustizia, ai sensi dell'art.  58-ter  ordin.  penit.;  requisito,
quest'ultimo, che non puo' dirsi realizzato in capo ad A. S.; 
    che, in  ordine  alla  non  manifesta  infondatezza  della  prima
questione sollevata, il  giudice  a  quo  rammenta  che,  secondo  il
diritto vivente, le disposizioni concernenti l'esecuzione delle  pene
detentive e le misure alternative  alla  detenzione  soggiacciono  al
principio   tempus   regit   actum,   con    conseguente    immediata
applicabilita', a tutti i rapporti esecutivi non ancora esauriti,  di
eventuali modifiche normative  di  segno  peggiorativo  (sono  citate
Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 17  luglio  2006,
n. 24561; sezione prima penale, sentenza 9 dicembre 2009, n. 46924); 
    che, nel caso di specie, l'art. 3-bis del d.l.  n.  7  del  2015,
come convertito -  che  ha  incluso  il  delitto  di  favoreggiamento
dell'immigrazione clandestina  nell'elenco  di  cui  all'art.  4-bis,
comma 1, ordin. penit. -  non  reca  alcuna  disciplina  transitoria,
volta a limitare l'applicabilita' della modifica normativa  ai  fatti
di reato commessi successivamente alla sua entrata in vigore; 
    che  nemmeno  potrebbe   evocarsi   il   principio   di   matrice
costituzionale che, a  fronte  di  sopravvenute  modifiche  di  segno
restrittivo  dei  presupposti  per  la   concessione   dei   benefici
penitenziari,   salvaguarda   la   gia'    realizzata    progressione
trattamentale del condannato, vietando l'immotivata regressione nella
fruizione dei benefici stessi (sentenze n. 137 del 1999, n.  445  del
1997, n. 504 del 1995 e n. 306 del 1993), poiche' nel caso di specie,
alla data dell'entrata in vigore della legge n. 43 del  2015,  A.  S.
non aveva nemmeno iniziato ad espiare la pena; 
    che, tuttavia, l'affermata  natura  processuale  dell'art.  4-bis
ordin.   penit.   -   cui   consegue    l'applicazione    retroattiva
dell'ampliamento del catalogo dei reati "ostativi" ivi contemplati  -
si porrebbe in contrasto con la garanzia  di  irretroattivita'  della
legge penale sfavorevole  di  cui  all'art.  7  CEDU;  garanzia  che,
secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti  dell'uomo,
abbraccerebbe anche la fase di esecuzione delle sanzioni  penali  (e'
citata la sentenza 21 ottobre 2013, Del Rio Prada contro Spagna); 
    che le modifiche ampliative al catalogo dei reati di cui all'art.
4-bis, comma 1, ordin. penit. «decidono  i  margini  di  compressione
della liberta' personale, frustrando la possibilita' di  conoscere  e
calcolare, prima di agire, le conseguenze  della  propria  condotta»,
sicche' «[r]iconoscere [all'art.  4-bis]  natura  processuale,  cosi'
precludendo l'applicazione del principio  di  irretroattivita'  della
legge penale, appare contrario al principio di ragionevolezza»; 
    che,  quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  della   seconda
questione sollevata - attinente alla  prospettata  contrarieta'  agli
artt.  3,  primo  comma,  e  27,   primo   e   terzo   comma,   Cost.
dell'inserimento, nell'art. 4-bis ordin. penit., del  riferimento  al
delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina - il giudice
a quo osserva che la sottoposizione  a  un  regime  penitenziario  di
particolare rigore si  giustifica  per  i  condannati  per  reati  di
matrice associativa, per i quali la collaborazione con  la  giustizia
«e' certamente  indice  di  rescissione  del  legame  con  gli  altri
appartenenti al sodalizio»; 
    che invece, per gli autori di reati di tipo non associativo,  «il
recupero sociale non deve passare attraverso una rescissione drastica
di  alcun  vincolo»,  sicche'  sarebbe  irragionevole  sottoporre  al
medesimo regime ostativo delineato dall'art. 4-bis, comma  1,  ordin.
penit. condotte delittuose tanto diverse tra  loro,  «precludendo  ad
una categoria cosi' ampia e diversificata di condannati il diritto di
ricevere un trattamento penitenziario rivolto alla risocializzazione,
senza che sia data  al  giudice  la  possibilita'  di  verificare  in
concreto  la  permanenza  o  meno  di  condizioni  di   pericolosita'
social[e] tali da giustificare percorsi penitenziari non aperti  alla
realta' esterna»; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
siano dichiarate inammissibili o infondate; 
    che, secondo l'Avvocatura generale  dello  Stato,  il  rimettente
avrebbe erroneamente censurato l'art. 4-bis ordin. penit.,  in  luogo
dell'art. 30-ter della medesima legge, che  delinea  condizioni  piu'
rigorose per la concessione di permessi premio ai condannati per  uno
dei reati ostativi contemplati nella prima disposizione,  di  talche'
le questioni sarebbero inammissibili; 
    che,  sempre  secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,   le
questioni sarebbero in ogni caso infondate, poiche' la selezione  dei
reati da includere nel catalogo  di  cui  all'art.  4-bis,  comma  1,
ordin. penit. rientrerebbe  nell'insindacabile  discrezionalita'  del
legislatore; 
    che, secondo la giurisprudenza di questa Corte  (sono  citate  la
sentenza n.  273  del  2001  e  l'ordinanza  n.  280  del  2001),  la
collaborazione con la giustizia, quale presupposto per la concessione
dei  benefici  penitenziari,  sarebbe   «estranea   alla   sfera   di
operativita' del principio di irretroattivita' della legge penale, di
cui all'art. 25, secondo comma, Costituzione»; 
    che  si  e'  costituito  in  giudizio  A.  S.,   richiamando   le
argomentazioni  esposte  nell'ordinanza  di  rimessione  e  chiedendo
l'accoglimento  delle  questioni   di   legittimita'   costituzionale
sollevate dal Magistrato di sorveglianza di Lecce; 
    che, nella memoria illustrativa depositata il 22 giugno 2020,  A.
S., alla luce dell'intervenuta sentenza n. 32 del 2020 -  ove  questa
Corte  ha  ritenuto  sottratti  alla  garanzia  di   irretroattivita'
dell'art. 25, secondo comma, Cost. i riverberi  sulla  concedibilita'
del permesso premio derivanti  dall'inclusione  di  nuovi  titoli  di
reato nel catalogo di cui all'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. - ha
insistito per  l'accoglimento  della  sola  questione  relativa  alla
contrarieta' agli artt. 3, primo comma, e 27, primo  e  terzo  comma,
Cost. dell'inserimento del delitto di cui agli artt. 12, commi 1 e 3,
t.u. immigrazione nel catalogo di cui all'art. 4-bis ordin. penit.; 
    che, con riferimento a tale questione, A. S. richiama la sentenza
n. 253 del 2019, ove  questa  Corte  ha  ritenuto  costituzionalmente
illegittima  la  presunzione  assoluta  di  perdurante  pericolosita'
sociale collegata  dall'art.  4-bis,  comma  1,  ordin.  penit.  alla
mancata collaborazione con la  giustizia  a  norma  dell'art.  58-ter
della medesima legge, cosi' consentendo la concessione  del  permesso
premio ai condannati per i reati contemplati  da  detta  disposizione
anche in assenza di collaborazione, allorche' siano  stati  acquisiti
elementi tali da escludere sia l'attualita' di  collegamenti  con  la
criminalita' organizzata, terroristica o eversiva,  sia  il  pericolo
del ripristino di tali collegamenti; 
    che detta pronuncia  -  ad  avviso  della  parte  -  non  sarebbe
dirimente per la soluzione  della  questione  in  esame,  atteso  che
«sarebbe [...] del tutto estemporaneo - a fronte di un condannato per
il  reato  di   favoreggiamento   dell'immigrazione   clandestina   -
l'accertamento in  ordine  alla  sussistenza  di  "elementi  tali  da
escludere, sia  l'attualita'  di  collegamenti  con  la  criminalita'
organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del  ripristino
di tali collegamenti"»; 
    che la questione dovrebbe invece essere esaminata  nel  merito  e
accolta, alla luce dei rilievi svolti da questa Corte nella  sentenza
n. 331 del 2011, che ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 12, comma 4-bis, t.u.  immigrazione,  nella  parte  in  cui
stabiliva una presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia
cautelare in carcere, in presenza di gravi indizi di colpevolezza  in
ordine ai  delitti  previsti  dal  comma  3  del  medesimo  articolo,
osservando  che  i   reati   di   favoreggiamento   dell'immigrazione
clandestina non presuppongono il necessario collegamento  dell'agente
con una struttura associativa permanente, tantomeno di tipo mafioso; 
    che nella memoria  illustrativa  depositata  il  26  giugno  2020
l'Avvocatura generale dello Stato, alla luce della  sentenza  n.  253
del 2019, ha chiesto la declaratoria  di  manifesta  inammissibilita'
delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale  per  sopravvenuta
carenza di oggetto (sono richiamate le ordinanze n. 321 e n. 177  del
2013, n. 315 e n. 182 del 2012), sul rilievo che  «[p]er  effetto  di
tale pronuncia e' venuta  meno  la  preclusione  alla  fruizione  dei
permessi premio anche per i soggetti condannati per il delitto di cui
all'art. 12, comma 1, del d.lvo. n. 286/1998, in assenza della  prova
di collaborazione con la giustizia, disposta  dalla  norma  giuridica
che costituisce l'oggetto della presente  questione  di  legittimita'
costituzionale». 
    Considerato  che  il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Lecce  ha
sollevato - in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 117, primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 7 della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta'   fondamentali   (CEDU)   -   questioni   di    legittimita'
costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio  1975,
n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle
misure  privative  e  limitative   della   liberta'),   «cosi'   come
interpretato nel "diritto vivente"», nella parte in cui  esclude  che
il condannato per il delitto di cui all'art. 12, commi  1  e  3,  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla  condizione  dello  straniero),  commesso  e  giudicato   prima
dell'entrata in vigore della legge 17 aprile 2015, n. 43 (Conversione
in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 febbraio  2015,  n.
7, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo,  anche  di
matrice internazionale, nonche' proroga delle missioni internazionali
delle Forze armate e di  polizia,  iniziative  di  cooperazione  allo
sviluppo e sostegno ai processi  di  ricostruzione  e  partecipazione
alle  iniziative   delle   Organizzazioni   internazionali   per   il
consolidamento dei processi di  pace  e  di  stabilizzazione),  possa
fruire del beneficio del permesso premio in assenza  della  prova  di
collaborazione con la giustizia; 
    che il giudice a quo ha altresi' sollevato - in riferimento  agli
artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost. - questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, ordin.  penit.,
nella parte in cui  impone  ai  condannati  per  il  delitto  di  cui
all'art. 12, commi 1 e 3, t.u. immigrazione il divieto di fruire  del
beneficio  del  permesso   premio   in   assenza   della   prova   di
collaborazione con la giustizia; 
    che e' infondata l'eccezione dell'Avvocatura generale dello Stato
di inammissibilita' delle questioni per erronea individuazione  della
norma censurata; 
    che, infatti, le censure del giudice a quo non si appuntano sulla
previsione di un periodo di espiazione di pena piu' lungo  di  quello
ordinariamente necessario per la concessione del permesso  premio  ai
condannati per i delitti indicati  dai  commi  1,  1-ter  e  1-quater
dell'art. 4-bis ordin. penit.  (art.  30-ter,  comma  4,  lettera  c,
ordin. penit.), bensi' sull'inclusione del reato  di  favoreggiamento
dell'immigrazione clandestina nel catalogo dell'art. 4-bis, comma  1,
sicche' correttamente sono state sollevate questioni di  legittimita'
costituzionale di quest'ultima disposizione; 
    che va altresi' disattesa  l'eccezione  dell'Avvocatura  generale
dello Stato di  inammissibilita'  delle  questioni  per  sopravvenuta
carenza dell'oggetto, in  ragione  dell'intervenuta  pronuncia  della
sentenza n. 253 del 2019; 
    che, per effetto di  detta  pronuncia,  l'art.  4-bis,  comma  1,
ordin. penit. e' stato caducato nella parte in cui non prevedeva che,
ai detenuti per i delitti ivi  previsti,  potessero  essere  concessi
permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a
norma dell'art. 58-ter del medesimo ordin.  penit.,  allorche'  siano
stati acquisiti elementi  tali  da  escludere,  sia  l'attualita'  di
collegamenti  con  la  criminalita'   organizzata,   terroristica   o
eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti; 
    che, dalla motivazione dell'ordinanza  di  rimessione  in  esame,
emerge che il giudice a  quo  non  ha  inteso  censurare  in  se'  la
rigidita' del meccanismo di collaborazione con la giustizia  previsto
dall'art.  4-bis,  comma  1,  ordin.   penit.   (nella   formulazione
antecedente alla sentenza n. 253  del  2019)  per  la  fruizione  del
permesso premio, ma ha  appuntato  i  propri  dubbi  di  legittimita'
costituzionale   sull'inclusione   nell'elenco   delle    fattispecie
"ostative",  contemplate  da  tale  disposizione,  del   delitto   di
favoreggiamento dell'immigrazione clandestina  di  cui  all'art.  12,
commi 1 e 3, t.u. immigrazione; 
    che, dunque, il frammento normativo  dell'art.  4-bis,  censurato
dall'ordinanza di rimessione, e'  diverso  da  quello  colpito  dalla
declaratoria di illegittimita' costituzionale della sentenza  n.  253
del  2019,  sicche'  le  odierne  questioni  non  possono   ritenersi
inammissibili per sopravvenuta carenza dell'oggetto; 
    che e' peraltro innegabile che le censure del rimettente - e,  in
particolare,   la   doglianza   relativa    all'irragionevolezza    e
contrarieta' alla funzione rieducativa della pena dell'inserzione del
delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina nel catalogo
di cui all'art. 4-bis, comma  1,  ordin.  penit.,  che  e'  opportuno
esaminare  per  prima  -  muovano  dal   presupposto   interpretativo
dell'imprescindibilita' della collaborazione  con  la  giustizia  per
l'ottenimento del permesso premio; 
    che il rimettente osserva come l'indefettibile  necessita'  della
collaborazione si giustifichi con riguardo ai condannati per reati di
matrice associativa,  per  i  quali  sarebbe  «certamente  indice  di
rescissione del legame con gli altri appartenenti al  sodalizio»,  ma
risulti contraria agli artt. 3, primo comma, e 27,  primo  e  secondo
comma, Cost. in relazione ai condannati per reati non necessariamente
rivelatori di legami con forme di  criminalita'  organizzata,  per  i
quali  «il  recupero  sociale  non  deve   passare   attraverso   una
rescissione drastica di alcun vincolo»; 
    che da  tale  incedere  argomentativo  risulta  evidente  che  le
censure sono strettamente intrecciate con  il  tema  dell'assolutezza
della presunzione di perdurante pericolosita' sociale del condannato,
che l'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit.  riconnetteva  alla  mancata
collaborazione con la giustizia; 
    che, tuttavia, il presupposto  interpretativo  da  cui  muove  il
rimettente  risulta  profondamente  modificato   dalla   sopravvenuta
sentenza  n.  253  del   2019,   che   ha   dichiarato   parzialmente
incostituzionale l'art. 4-bis, comma 1,  ordin.  penit.  proprio  per
quel  che  attiene  all'assolutezza  di   tale   presunzione,   cosi'
consentendo la concessione del permesso premio anche  in  assenza  di
collaborazione con la giustizia,  a  norma  dell'art.  58-ter  ordin.
penit., allorche' siano stati acquisiti elementi tali  da  escludere,
sia l'attualita' di collegamenti  con  la  criminalita'  organizzata,
terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino degli stessi; 
    che, «secondo la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  a
fronte   del   sopraggiungere   di   pronunce    di    illegittimita'
costituzionale  (ordinanza  n.  26  del  2009)  spetta   al   giudice
rimettente  valutare  in  concreto  l'incidenza  delle   sopravvenute
modifiche sia in ordine alla rilevanza, sia in riferimento  alla  non
manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale
sollevate (ex plurimis, ordinanze n. 182 del 2019 e n. 154 del 2018)»
(ordinanza n. 49 del 2020); 
    che tale verifica assume rilievo pregiudiziale rispetto all'esame
dell'ulteriore   vizio   di   legittimita'   costituzionale   dedotto
nell'ordinanza di rimessione e relativo alla  mancata  previsione  di
una disciplina transitoria  volta  a  limitare  l'applicabilita'  del
disposto  dell'art.  4-bis,  comma  1,  ordin.   penit.,   modificato
dall'art. 3-bis, comma 1, del d.l. n. 7 del 2015, come convertito, ai
fatti di reato successivi  alla  modifica  stessa,  posto  che  anche
questa  seconda   censura   muove   dal   presupposto   che   sarebbe
costituzionalmente  illegittima  l'applicazione   retroattiva   della
«presunzione assoluta di pericolosita' [...] inserita nell'art. 4-bis
ord. pen.»; 
    che, pertanto, deve essere disposta la restituzione degli atti al
rimettente per un nuovo esame della rilevanza e della  non  manifesta
infondatezza  delle  questioni,  alla  luce   del   mutato   contesto
normativo.