ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  6,
lettera b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto
dei reati contro la pubblica amministrazione, nonche' in  materia  di
prescrizione del reato e in materia  di  trasparenza  dei  partiti  e
movimenti politici), modificativo dell'art.  4-bis,  comma  1,  della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario  e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'),
in relazione agli artt. 314, comma 1, 318 e 319  del  codice  penale,
nonche' dell'art. 656, comma 9, lettera a), del codice  di  procedura
penale, come integrato dall'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975, a
sua volta modificato dall'art. 1, comma 6, lettera b), della legge n.
3 del 2019, promossi dalla Corte d'appello  di  Roma,  sezione  terza
penale, con quattro ordinanze del 15  novembre  2019,  dal  Tribunale
ordinario di Lagonegro, sezione penale, con ordinanza del 22  ottobre
2019, dal Giudice per l'udienza preliminare del  Tribunale  ordinario
di Belluno, in funzione di  giudice  dell'esecuzione,  con  ordinanza
dell'8 gennaio 2020, e dal  Giudice  per  l'udienza  preliminare  del
Tribunale   ordinario   di   Tivoli,   in   funzione    di    giudice
dell'esecuzione,  con  ordinanza  del  2  dicembre  2019,   iscritte,
rispettivamente, ai numeri da 7 a  10,  16,  24  e  32  del  registro
ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
numeri 6, 8, 9 e 10, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di costituzione di M. S.; 
    udito nella camera di consiglio del 22  luglio  2020  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 22 luglio 2020. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 15 novembre 2019 (iscritta al  n.
7 del r.o. 2020), la Corte d'appello di Roma, sezione  terza  penale,
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e  117,
primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 7
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta'   fondamentali    (CEDU),    questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 656, comma 9,  lettera  a),  del  codice  di
procedura penale, come  integrato  dall'art.  4-bis  della  legge  26
luglio 1975, n. 354 (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla
esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), a sua
volta modificato dall'art. 1, comma 6,  lettera  b),  della  legge  9
gennaio 2019, n. 3 (Misure per  il  contrasto  dei  reati  contro  la
pubblica amministrazione, nonche'  in  materia  di  prescrizione  del
reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti  politici),
«nella  parte  in  cui  ha  inserito  i  reati  contro  la   pubblica
amministrazione ed,  in  particolare,  l'art.  319  quater,  comma  1
[recte:  318],  c.p.,  tra  quelli  ostativi  alla  concessione   del
beneficio penitenziario di cui all'art. 4 bis legge 26.7.1975 n.  354
[...] senza prevedere un regime transitorio che dichiari  applicabile
la norma di cui all'art. 1 comma 6 lett. b) legge 9.1.2019  n.  3  ai
soli fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore»; 
    che il giudice a quo ha altresi' sollevato - in riferimento  agli
artt. 3  e  27  Cost.  -  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del  2019,  «nella
parte in cui inserisce all'art. 4-bis,  comma  1,  dell[a]  legge  26
luglio 1975 n. 354 il riferimento al  delitto  di  cui  all'art.  318
c.p.»; 
    che  il  Collegio  rimettente  espone  di  essere  investito,  in
qualita' di giudice  dell'esecuzione,  di  un'istanza  di  temporanea
inefficacia dell'ordine di esecuzione della pena emesso nei confronti
di G. T., condannato con sentenza divenuta irrevocabile il 22 ottobre
2019, per fatti di corruzione per l'esercizio della funzione commessi
prima dell'entrata in vigore della legge n. 3 del 2019; 
    che, in punto di rilevanza delle  questioni,  il  giudice  a  quo
evidenzia come l'introduzione  -  ad  opera  dell'art.  1,  comma  6,
lettera b), della legge n. 3 del 2019 - del delitto di  cui  all'art.
318 del codice penale nell'elenco contenuto nell'art. 4-bis, comma 1,
ordin. penit. comporti, ai sensi dell'art. 656, comma 9, lettera  a),
cod. proc. pen., il divieto di sospensione dell'ordine di  esecuzione
della pena; sospensione che, invece, potrebbe essere accordata ove le
questioni di legittimita' costituzionale fossero accolte; 
    che, quanto alla questione relativa all'assenza di una disciplina
transitoria,     non     sarebbe     possibile     un'interpretazione
costituzionalmente orientata delle norme  censurate,  alla  luce  del
diritto vivente che ritiene soggette al principio tempus regit  actum
le disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene  detentive  e  le
misure alternative alla detenzione (sono citate, tra le altre,  Corte
di cassazione, sezioni unite penali,  sentenza  17  luglio  2006,  n.
24561 e sezione prima penale, ordinanza 18 luglio 2019, n. 31853); 
    che, secondo il giudice a quo, l'applicabilita'  immediata  delle
modifiche all'art. 4-bis ordin. penit., introdotte dall'art. 1, comma
6, lettera b), della legge n. 3 del 2019 e  riverberantisi  sull'art.
656, comma 9, lettera a), cod.  proc.  pen.,  confliggerebbe  con  la
garanzia di irretroattivita' della legge penale di cui agli artt. 25,
secondo comma, Cost. e  7  CEDU;  garanzia  che  abbraccerebbe  anche
modifiche legislative, successive alla  definitiva  inflizione  della
pena, suscettibili di ridefinirne  o  modificarne  la  portata  (sono
citate le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo,  grande
camera, 12 febbraio 2008, Kafkaris contro Cipro,  e  della  Corte  di
cassazione, sezione sesta penale, sentenza 20 marzo 2019, n. 12541); 
    che la disciplina  censurata  sarebbe  altresi'  foriera  di  una
ingiustificata disparita' di trattamento, lesiva dell'art.  3  Cost.,
tra  soggetti  che  abbiano  commesso   identici   fatti   di   reato
anteriormente o posteriormente all'entrata in vigore della legge n. 3
del 2019; 
    che,  quanto  alla  non  manifesta  infondatezza   dell'ulteriore
questione di legittimita' prospettata - che censura l'art.  1,  comma
6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui  include
il reato di cui all'art. 318 cod. pen. nel novero di quelli  elencati
all'art. 4-bis, comma 1, ordin.  penit.,  ostativi  alla  sospensione
dell'ordine di esecuzione - il Collegio rimettente,  richiamati  ampi
stralci dell'ordinanza della Corte di cassazione 18 luglio  2019,  n.
31853,  osserva  che  la  disposizione  censurata  sarebbe  anzitutto
contraria al principio di ragionevolezza, in quanto  la  condotta  di
corruzione per l'esercizio della funzione, cosi' come configurata dal
legislatore, ben potrebbe risolversi in un'occasione di  consumazione
«isolata e episodica» e non esprimerebbe «alcuno dei connotati idonei
a sostenere una accentuata e generalizzata considerazione di  elevata
pericolosita' del suo autore, trattandosi di  condotta  difficilmente
inquadrabile in contesti di criminalita' organizzata o  evocativi  di
condizionamenti omertosi», diversamente dalle condotte  riconducibili
a   fenomeni   associativi   di   tipo   mafioso   o    terroristico,
originariamente  oggetto  della  previsione  dell'art.  4-bis  ordin.
penit.; 
    che sarebbe altresi' violato l'art. 27, terzo  comma,  Cost.,  in
quanto la norma censurata  sottrarrebbe  «alla  discrezionalita'  del
tribunale  di   sorveglianza   (con   anticipazione   degli   effetti
pregiudizievoli  in  tema  di  liberta'  personale  derivante   dalla
previsione di legge di cui all'art.  656  co.  9  cod.  proc.  pen.)»
l'apprezzamento concreto delle caratteristiche obiettive del fatto  e
della  personalita'  dell'autore,  con  conseguente  pregiudizio   ai
principi  di  individualizzazione  della   pena   e   del   finalismo
rieducativo, recentemente riaffermati da questa Corte nella  sentenza
n. 149 del 2018; 
    che il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
in giudizio; 
    che, con ordinanza del 15 novembre 2019 (iscritta  al  n.  8  del
r.o. 2020), la Corte d'appello di  Roma,  sezione  terza  penale,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25,  secondo  comma,  e  117,
primo comma,  Cost.,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  7  CEDU,
questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  656,  comma  9,
lettera a), cod. proc. pen., come integrato  dall'art.  4-bis  ordin.
penit., a sua volta modificato dall'art.  1,  comma  6,  lettera  b),
della legge n. 3 del 2019, «nella parte in cui ha  inserito  i  reati
contro la pubblica amministrazione ed,  in  particolare,  l'art.  319
quater,  comma  1  [recte:  319],  c.p.,  tra  quelli  ostativi  alla
concessione del beneficio penitenziario di un all'art.  4  bis  legge
26.7.1975 n. 354 [...] senza  prevedere  un  regime  transitorio  che
dichiari applicabile la norma di cui all'art.  1  comma  6  lett.  b)
legge 9.1.2019 n. 3 ai soli fatti commessi successivamente  alla  sua
entrata in vigore»; 
    che il giudice a quo ha altresi' sollevato - in riferimento  agli
artt. 3  e  27  Cost.  -  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del  2019,  «nella
parte in cui inserisce all'art. 4-bis,  comma  1,  dell[a]  legge  26
luglio 1975 n. 354 il riferimento al  delitto  di  cui  all'art.  319
c.p.»; 
    che il collegio rimettente e' investito, in qualita'  di  giudice
dell'esecuzione, di un'istanza di temporanea inefficacia  dell'ordine
di esecuzione della pena emesso nei confronti di  G.  M.,  condannato
con sentenza divenuta irrevocabile il 22 ottobre 2019, per  fatti  di
corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, commessi  prima
dell'entrata in vigore della legge n. 3 del 2019; 
    che, in punto di rilevanza e  non  manifesta  infondatezza  delle
questioni sollevate, il giudice a quo svolge considerazioni  analoghe
a quelle contenute nell'ordinanza iscritta al n.  7  del  r.o.  2020,
ritenendo  -  con  particolare  riferimento  al  secondo  gruppo   di
questioni - che nemmeno il reato di cui all'art. 319 cod. pen.  abbia
connotati  idonei  a  sostenere  «una  accentuata   e   generalizzata
pericolosita' del suo autore, ne' l'inserimento  di  quest'ultimo  in
contesti di criminalita' organizzata o evocativi  di  condizionamenti
omertosi», tali da giustificare l'inserimento nel novero dei reati di
cui all'art. 4-bis ordin. penit.; 
    che il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
in giudizio; 
    che, con ordinanza del 15 novembre 2019 (iscritta  al  n.  9  del
r.o. 2020), la Corte  d'appello  di  Roma,  sezione  terza  penale  -
investita di un'istanza  di  temporanea  inefficacia  dell'ordine  di
esecuzione della pena emesso nei confronti di F. F.,  condannato  con
sentenza divenuta irrevocabile  il  22  ottobre  2019  per  fatti  di
corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, commessi  prima
dell'entrata in vigore della legge n.  3  del  2019  -  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale identiche, quanto a petitum,
parametri evocati e motivazione, a quelle  proposte  con  l'ordinanza
iscritta al n. 8 del r.o. 2020; 
    che il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
in giudizio; 
    che, con ordinanza del 15 novembre 2019 (iscritta al  n.  10  del
r.o. 2020), la Corte d'appello di  Roma,  sezione  terza  penale,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3  e  27,  terzo  comma,  Cost.,
questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  656,  comma  9,
lettera a), cod. proc. pen., come integrato  dall'art.  4-bis  ordin.
penit., a sua volta modificato dall'art.  l,  comma  6,  lettera  b),
della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui ha inserito il reato di
cui all'art. 319 cod. pen. nell'elenco di cui all'art.  4-bis,  comma
l, ordin. penit.; 
    che  il  collegio  rimettente  ha  altresi'  sollevato   in   via
subordinata, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma,  e  117,
primo comma,  Cost.,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  7  CEDU,
questioni  di  legittimita'  costituzionale  del  medesimo  combinato
disposto, nella parte in cui non ha previsto  un  regime  transitorio
che dichiari applicabile la modifica normativa ai soli fatti commessi
successivamente alla sua entrata in vigore; 
    che il giudice a quo deve esaminare  le  istanze  di  nullita'  o
inefficacia o sospensione  degli  ordini  di  esecuzione  della  pena
emessi nei confronti di M. C., A. T., M. S. e M. P.,  condannati  con
sentenza divenuta irrevocabile  il  22  ottobre  2019  per  fatti  di
corruzione per  un  atto  contrario  ai  doveri  d'ufficio,  commessi
anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 3 del 2019; 
    che, in punto di rilevanza delle questioni e di impossibilita' di
adottare  un'interpretazione   costituzionalmente   orientata   della
disciplina censurata, il Collegio  rimettente  svolge  considerazioni
sovrapponibili a quelle esposte nell'ordinanza iscritta al n.  7  del
r.o. 2020; 
    che, in ordine alla non manifesta  infondatezza  delle  questioni
sollevate, il giudice a quo ritiene - in esito ad  un'estesa  analisi
della giurisprudenza costituzionale pertinente - che l'inclusione del
delitto  di  cui  all'art.  319  cod.  pen.   sia   irragionevole   e
suscettibile di  comprimere  indebitamente  la  funzione  rieducativa
della  pena,  non  essendo  ravvisabili  motivazioni   della   scelta
legislativa, ulteriori rispetto a ragioni  di  mera  deterrenza,  che
possano  giustificare  l'estensione  a  tale   delitto   del   regime
"ostativo" di cui all'art. 4-bis, primo comma, ordin. penit., ne'  il
necessario  periodo  di  osservazione  intramuraria  discendente  dal
divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione; di qui  le  censure
di contrarieta' del combinato disposto censurato agli artt. 3  e  27,
terzo comma, Cost.; 
    che, quanto alle  questioni  sollevate  in  via  subordinata,  il
Collegio rimettente osserva che la mancata  previsione  di  una  tale
disciplina transitoria «si traduce [...] nel passaggio a  sorpresa  e
non  prevedibile,  al  momento  della  commissione  del  reato,  alla
sanzione con necessaria incarcerazione»:  cio'  che  si  porrebbe  in
aperto contrasto  con  la  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, e in particolare con la sentenza 21 dicembre 2013,
Del Rio Prada contro Spagna, che ha esteso il divieto di applicazione
retroattiva  di  cui  all'art.  7  CEDU  a  modifiche  normative  che
comportino la ridefinizione o la modifica della  portata  della  pena
inflitta, con conseguente violazione -  assieme  -  degli  artt.  25,
secondo comma, e 117, primo comma, Cost.; 
    che la disciplina  censurata  sarebbe  altresi'  foriera  di  una
ingiustificata disparita' di trattamento, lesiva dell'art.  3  Cost.,
tra  soggetti  che  abbiano  commesso   identici   fatti   di   reato
anteriormente o posteriormente all'entrata in vigore della legge n. 3
del 2019; 
    che il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
in giudizio; 
    che si e' costituito in giudizio M. S., illustrando  diffusamente
la giurisprudenza della Corte EDU in tema di legalita' dei delitti  e
delle pene e chiedendo l'accoglimento delle questioni di legittimita'
costituzionale sollevate dalla Corte d'appello di Roma; 
    che, con ordinanza del 22 ottobre 2019 (iscritta  al  n.  16  del
r.o. 2020), il Tribunale ordinario di Lagonegro, sezione  penale,  ha
sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo  comma,  Cost.  -
questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  6,
lettera b), della legge n. 3 del 2019, nella parte in  cui  inserisce
nell'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. il riferimento al delitto  di
cui all'art. 314, primo comma, cod. pen.; 
    che il rimettente  e'  investito  di  un'istanza  di  sospensione
dell'ordine di esecuzione della pena emesso nei confronti di  A.  M.,
condannata con sentenza divenuta irrevocabile il 26  marzo  2019  per
fatti di peculato commessi fino al 25 luglio 2014; 
    che, ad avviso del giudice  a  quo,  la  disposizione  censurata,
includendo il delitto  di  peculato  nell'elenco  dei  reati  di  cui
all'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit., ostativi, secondo l'art. 656,
comma 9, lettera a), cod. proc. pen., alla sospensione dell'ordine di
esecuzione della pena, avrebbe inciso su norme  di  natura  meramente
processuale,  sicche'  non  verrebbe  in  rilievo  il  principio   di
irretroattivita'  della   legge   penale   sfavorevole   (e'   citata
l'ordinanza n. 31853 del 2019 della Corte di cassazione); 
    che tuttavia l'inserimento del delitto di peculato nell'elenco di
cui  all'art.  4-bis,  comma  1,  ordin.  penit.  porrebbe  dubbi  di
compatibilita' con gli artt. 3 e 27, terzo comma,  Cost.,  in  specie
rilevanti poiche', ove  le  questioni  fossero  ritenute  fondate  da
questa Corte, l'istanza di A. M. dovrebbe essere accolta; 
    che, in particolare, la disposizione censurata sarebbe  contraria
all'art. 3 Cost., in quanto irragionevole e foriera di disparita'  di
trattamento, atteso che il legislatore «ha inserito  nell'ordinamento
penitenziario (con  riverberi  peggiorativi  anche  nell'espletamento
della fase iniziale dell'esecuzione) una condizione  ostativa  per  i
condannati per peculato destinata ad operare indistintamente sia  nei
confronti di coloro  i  quali  denotino  effettivamente  una  elevata
pericolosita' e ritrosia alla rieducazione in quanto  particolarmente
radicati nelle prassi malsane che talvolta affliggono  la  p.a.,  sia
nei confronti di coloro i quali, ad  esempio  per  la  occasionalita'
della condotta e per la avulsione da contesti allargati  e  capillari
di cattiva gestione della cosa pubblica, denotino  gia'  prima  facie
una migliore propensione all'emenda»; 
    che sarebbe altresi' violato l'art. 27, terzo  comma,  Cost.,  in
quanto «rendere inaccessibile, se non  a  stringenti  condizioni,  la
misura alternativa alla detenzione a soggetti per i quali tale misura
si  paleserebbe  di  per  se'  idonea  alla  rieducazione,   esaspera
l'aspetto  generalpreventivo  e  punitivo  della  pena  ed   accresce
nell'individuo quel senso  di  sfiducia  nell'ordinamento  che  trova
quale naturale effetto la refrattarieta' alle tecniche rieducative»; 
    che il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
in giudizio; 
    che, con ordinanza dell'8 gennaio 2020 (iscritta  al  n.  24  del
r.o. 2020), il Giudice per l'udienza preliminare presso il  Tribunale
ordinario di Belluno, in  funzione  di  giudice  dell'esecuzione,  ha
sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo  comma,  Cost.  -
questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  6,
lettera b), della legge n. 3 del 2019, nella parte in  cui  inserisce
nell'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. il riferimento al delitto  di
cui all'art. 314, primo comma, cod. pen.; 
    che il rimettente e' investito  di  un  incidente  di  esecuzione
promosso dal pubblico ministero per il rigetto dell'istanza di revoca
o sospensione dell'ordine di esecuzione della pena,  presentata  alla
Procura generale presso  la  Corte  d'appello  di  Venezia  -  e  poi
trasmessa per competenza alla Procura della Repubblica bellunese - da
F. D.P., condannato, con sentenza irrevocabile dal  15  aprile  2019,
inter alia per fatti di peculato commessi da luglio  2014  ad  aprile
2015; 
    che il giudice a quo - ritenuta la propria competenza, per  avere
la sentenza della Corte d'appello di Venezia riformato la  precedente
pronuncia del GUP solo in punto di pena, e per essere stata frattanto
emessa ulteriore  sentenza  del  GUP,  divenuta  irrevocabile  il  30
dicembre 2019  -  osserva  in  punto  di  rilevanza  delle  questioni
sollevate che, dal loro accoglimento, deriverebbe la possibilita'  di
per F.  D.P.  di  ottenere  l'immediata  sospensione  dell'ordine  di
esecuzione per richiedere la concessione di misure  alternative  alla
detenzione; 
    che, quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente,
richiamati ampi stralci dell'ordinanza n. 31853 del 2019 della  Corte
di  cassazione,  lamenta  l'irragionevolezza   dell'inserimento   del
delitto di cui all'art. 314, primo comma, cod. pen. nel  catalogo  di
cui all'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. (atteso che la condotta di
peculato  sarebbe  «difficilmente  inquadrabile  -  sul  piano  della
frequenza statistica delle forme di manifestazione - in  contesti  di
criminalita' organizzata o evocativi di condizionamenti omertosi»)  e
la contrarieta' all'art. 27, terzo comma,  Cost.,  in  ragione  della
sottrazione «alla discrezionalita' del tribunale di sorveglianza (con
anticipazione degli  effetti  pregiudizievoli  in  tema  di  liberta'
personale derivante dalla previsione di legge  di  cui  all'art.  656
comma 9 del codice di procedura penale)» dell'apprezzamento  concreto
delle  caratteristiche  obiettive  del  fatto  e  della  personalita'
dell'autore,   con   conseguente   pregiudizio   ai    principi    di
individualizzazione della pena e del finalismo rieducativo; 
    che,   nel   sollevare   dette    questioni    di    legittimita'
costituzionale, il rimettente ha contestualmente sospeso  l'efficacia
dell'ordine di esecuzione della pena nei confronti di F. D.P.; 
    che il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
in giudizio; 
    che, con ordinanza del 2 dicembre 2019 (iscritta  al  n.  32  del
r.o. 2020), il Giudice per l'udienza preliminare presso il  Tribunale
ordinario di Tivoli,  in  funzione  di  giudice  dell'esecuzione,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27, 111 e 117  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 7 CEDU, questioni di  legittimita'
costituzionale dell'art. 6, comma 1 (recte: 1, comma 6), lettera  b),
della legge n. 3 del 2019, «nella parte in cui, ampliando  il  novero
dei reati c.d. "ostativi", ai sensi  dell'art.  4  bis  L.  354/1975,
includendovi i reati contro la pubblica amministrazione,  ha  mancato
di prevedere un regime intertemporale»; 
    che  il  rimettente  deve  delibare  un'istanza  di   sospensione
dell'ordine di esecuzione emesso nei confronti di K. B., destinatario
di una sentenza di applicazione della pena ex  art.  444  cod.  proc.
pen. (irrevocabile dal 2 febbraio 2019), per  i  reati  di  cui  agli
artt. 322, secondo comma, cod. pen., e 73, commi 1 e 4, del d.P.R.  9
ottobre  1990,  n.  309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza); 
    che, quanto alla rilevanza delle questioni sollevate, il  giudice
a quo osserva che la «certa natura processuale delle  norme  previste
dalla L. 354/1975» imporrebbe il rigetto dell'istanza di K. B. e  che
un diverso esito sarebbe prospettabile solo in caso  di  accoglimento
delle questioni sollevate; 
    che, quanto alla non manifesta infondatezza di queste ultime,  il
rimettente richiama ampi stralci della sentenza  20  marzo  2019,  n.
12541, ove la Corte di cassazione, sezione sesta penale, ha  ritenuto
non manifestamente infondato - ancorche', nella specie, irrilevante -
il dubbio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  6,
lettera b), della legge n. 3 del 2019, in riferimento agli artt. 117,
primo comma, Cost. e 7 CEDU, cosi' come interpretato  nella  sentenza
della Corte EDU 21 ottobre 2013, Del Rio  Prada  contro  Spagna,  sul
rilievo che «l'avere il legislatore cambiato in itinere le "carte  in
tavola" senza prevedere alcuna norma transitoria [...] si traduce nel
passaggio - a sorpresa e dunque non prevedibile  -  da  una  sanzione
patteggiata "senza assaggio di pena" ad una sanzione  con  necessaria
incarcerazione, giusta il [...] combinato disposto  degli  artt.  656
comma 9 lett. a) c.p.p. e 4 bis ordin. penit.»; 
    che l'assenza, nei reati contro la pubblica  amministrazione,  di
connotati di accentuata pericolosita' dell'autore - evidenziata dalla
Corte di cassazione nell'ordinanza n. 31853 del 2019  -  avrebbe  poi
reso ancor meno prevedibile l'inserimento degli stessi  nel  catalogo
di cui all'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit.; 
    che il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
in giudizio. 
    Considerato che, con tre ordinanze  di  rimessione  di  contenuto
analogo (iscritte ai numeri 7,  8  e  9  del  r.o.  2020),  la  Corte
d'appello  di  Roma,  sezione  terza  penale,  ha  sollevato   -   in
riferimento agli artt. 3, 25, secondo  comma,  e  117,  primo  comma,
della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  7  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta'   fondamentali   (CEDU)   -   questioni   di    legittimita'
costituzionale dell'art. 656, comma 9,  lettera  a),  del  codice  di
procedura penale, come  integrato  dall'art.  4-bis  della  legge  26
luglio 1975, n. 354 (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla
esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), a sua
volta modificato dall'art. 1, comma 6,  lettera  b),  della  legge  9
gennaio 2019, n. 3 (Misure per  il  contrasto  dei  reati  contro  la
pubblica amministrazione, nonche'  in  materia  di  prescrizione  del
reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti  politici),
nella  parte  in  cui  ha  inserito  i  delitti  contro  la  pubblica
amministrazione - e, segnatamente,  quelli  di  cui  agli  artt.  318
(ordinanza iscritta al n. 7 del r.o. 2020) e 319 (ordinanze  iscritte
ai numeri 8 e 9 del r.o. 2020) del codice  penale  -  nell'elenco  di
quelli "ostativi" ai sensi dell'art. 4-bis, comma 1,  ordin.  penit.,
cosi'  determinando  il  divieto  di   sospensione   dell'ordine   di
esecuzione della pena ai sensi dell'art. 656, comma  9,  lettera  a),
cod. proc. pen.,  senza  prevedere  l'applicabilita'  della  modifica
normativa ai soli fatti di reato commessi  successivamente  alla  sua
entrata in vigore; 
    che il Collegio rimettente ha altresi' sollevato - in riferimento
agli artt. 3 e 27 Cost. - questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3  del  2019,  nella
parte in cui inserisce all'art. 4-bis,  comma  1,  ordin.  penit.  il
riferimento ai delitti di cui agli artt. 318 (ordinanza  iscritta  al
n. 7 del r.o. 2020) e 319 (ordinanze iscritte ai numeri  8  e  9  del
r.o. 2020) cod. pen.; 
    che con ulteriore ordinanza (iscritta al n. 10 del r.o. 2020)  la
Corte d'appello di Roma,  sezione  terza  penale,  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3 e  27,  terzo  comma,  Cost.,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a),  cod.
proc. pen., come integrato dall'art. 4-bis ordin. penit., a sua volta
modificato dall'art. l, comma 6, lettera b), della  legge  n.  3  del
2019, nella parte in cui ha inserito il reato  di  cui  all'art.  319
cod. pen. nell'elenco di cui all'art. 4-bis, comma l, ordin.  penit.;
e, in via subordinata, in  riferimento  agli  artt.  3,  25,  secondo
comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione  all'art.
7  CEDU,  questioni  di  legittimita'  costituzionale  del   medesimo
combinato disposto, nella parte in cui  non  ha  previsto  un  regime
transitorio che dichiari applicabile la modifica  normativa  ai  soli
fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore; 
    che  il  Tribunale  ordinario  di   Lagonegro,   sezione   penale
(ordinanza iscritta al n. 16  del  r.o.  2020),  ha  sollevato  -  in
riferimento agli artt. 3 e 27, terzo  comma,  Cost.  -  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 6, lettera  b),  della
legge n. 3 del 2019, nella parte in cui  inserisce  nell'art.  4-bis,
comma 1, ordin. penit. il riferimento al delitto di cui all'art. 314,
primo comma, cod. pen.; 
    che questioni di legittimita' costituzionale  analoghe  a  quelle
oggetto dell'ordinanza iscritta al n. 16 del  r.o.  2020  sono  state
sollevate dal Giudice per l'udienza preliminare presso  il  Tribunale
ordinario  di  Belluno,  in  funzione  di   giudice   dell'esecuzione
(ordinanza iscritta al n. 24 del r.o. 2020); 
    che, infine, il  Giudice  per  l'udienza  preliminare  presso  il
Tribunale ordinario di Tivoli, in funzione di giudice dell'esecuzione
(ordinanza iscritta al  n.  32  del  r.o.  2020),  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27, 111 e 117  Cost.,  quest'ultimo
in   relazione   all'art.   7   CEDU,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 6, comma 1 (recte: 1, comma 6), lettera  b),
della legge n. 3 del 2019, «nella parte in cui, ampliando  il  novero
dei reati c.d. "ostativi", ai sensi  dell'art.  4  bis  L.  354/1975,
includendovi i reati contro la pubblica amministrazione,  ha  mancato
di prevedere un regime intertemporale»; 
    che le sette  ordinanze  di  rimessione  sollevano  questioni  di
legittimita' costituzionale analoghe e pertanto e' opportuno  riunire
ai fini della decisione i relativi giudizi; 
    che questa Corte, con sentenza n. 32 del 2020, ha dichiarato, tra
l'altro,  «l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  6,
lettera b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto
dei reati contro la pubblica amministrazione, nonche' in  materia  di
prescrizione del reato e in materia  di  trasparenza  dei  partiti  e
movimenti  politici),  in  quanto  interpretato  nel  senso  che   le
modificazioni introdotte all'art. 4-bis,  comma  1,  della  legge  26
luglio 1975, n. 354 (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla
esecuzione delle misure privative e  limitative  della  liberta')  si
applichino  anche  ai  condannati  che  abbiano  commesso  il   fatto
anteriormente all'entrata in vigore della legge n.  3  del  2019,  in
riferimento alla disciplina delle misure alternative alla  detenzione
previste dal Titolo I, Capo VI, della legge n. 354  del  1975,  della
liberazione condizionale prevista dagli artt. 176 e  177  del  codice
penale  e  del  divieto  di  sospensione  dell'ordine  di  esecuzione
previsto dall'art. 656, comma 9, lettera a), del codice di  procedura
penale»; 
    che le ordinanze di  rimessione  che  vengono  ora  all'esame  di
questa Corte sono  state  pronunciate  nell'ambito  di  incidenti  di
esecuzione promossi da  condannati  per  delitti  di  corruzione  per
l'esercizio della funzione (ordinanza  iscritta  al  n.  7  del  r.o.
2020),  corruzione  per  un  atto  contrario  ai   doveri   d'ufficio
(ordinanze iscritte ai numeri 8, 9 e  10  del  r.o.  2020),  peculato
(ordinanze iscritte ai numeri 16 e 24 del r.o.  2020)  e  istigazione
alla corruzione (ordinanza iscritta al n. 32 del r.o. 2020), commessi
anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 3 del 2019; 
    che, «secondo la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  a
fronte   del   sopraggiungere   di   pronunce    di    illegittimita'
costituzionale  (ordinanza  n.  26  del  2009)  spetta   al   giudice
rimettente  valutare  in  concreto  l'incidenza  delle   sopravvenute
modifiche sia in ordine alla rilevanza, sia in riferimento  alla  non
manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale
sollevate (ex plurimis, ordinanze n. 182 del 2019 e n. 154 del 2018)»
(ordinanza n. 49 del 2020); 
    che tale verifica assume rilievo pregiudiziale rispetto all'esame
dei vizi di legittimita' costituzionale dedotti  nelle  ordinanze  di
rimessione,  compresi  quelli  relativi  all'assenza  di   disciplina
transitoria di accompagnamento alla modifica dell'art.  4-bis,  comma
1, ordin. penit., realizzata con l'art. 1, comma 6, lettera b), della
legge n. 3 del 2019 (ancora, ordinanza n. 49 del 2020); 
    che, pertanto, deve essere disposta la restituzione degli atti ai
rimettenti per un nuovo esame della rilevanza e della  non  manifesta
infondatezza  delle  questioni,  alla  luce   del   mutato   contesto
normativo.