ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2  del
decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure  urgenti  in  materia  di
detenzione domiciliare o  differimento  dell'esecuzione  della  pena,
nonche' in  materia  di  sostituzione  della  custodia  cautelare  in
carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi  connessi
all'emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o  internate
per delitti  di  criminalita'  organizzata  di  tipo  terroristico  o
mafioso, o  per  delitti  di  associazione  a  delinquere  legati  al
traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi  avvalendosi
delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione mafiosa o  con
finalita' di terrorismo, nonche' di detenuti e  internati  sottoposti
al regime previsto dall'articolo 41-bis della legge 26  luglio  1975,
n. 354, nonche', infine, in materia di colloqui con i congiunti o con
altre persone cui hanno diritto i condannati,  gli  internati  e  gli
imputati), promosso dal Magistrato di  sorveglianza  di  Spoleto  nel
procedimento di sorveglianza nei confronti di M. L.T., con  ordinanza
del 26 maggio 2020, iscritta al n. 83 del registro ordinanze  2020  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  24,  prima
serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 22  luglio  2020  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 22 luglio 2020. 
    Ritenuto che con ordinanza del 26 maggio 2020  il  Magistrato  di
sorveglianza di Spoleto, ha sollevato, in riferimento agli  artt.  3,
24, secondo comma e 111, secondo comma, della Costituzione, questioni
di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2  del  decreto-legge  10
maggio  2020,  n.  29  (Misure  urgenti  in  materia  di   detenzione
domiciliare o differimento dell'esecuzione  della  pena,  nonche'  in
materia di sostituzione della custodia cautelare in  carcere  con  la
misura degli arresti domiciliari, per motivi  connessi  all'emergenza
sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di
criminalita' organizzata  di  tipo  terroristico  o  mafioso,  o  per
delitti di associazione a delinquere legati al traffico  di  sostanze
stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al
fine  di  agevolare  l'associazione  mafiosa  o  con   finalita'   di
terrorismo, nonche' di detenuti  e  internati  sottoposti  al  regime
previsto dall'articolo 41-bis della legge 26  luglio  1975,  n.  354,
nonche', infine, in materia di colloqui con i congiunti o  con  altre
persone  cui  hanno  diritto  i  condannati,  gli  internati  e   gli
imputati); 
    che  il   giudice   rimettente   riferisce   di   aver   disposto
provvisoriamente, il 21 marzo 2020, la detenzione domiciliare di  cui
all'art. 47-ter, comma 1-ter, della legge  26  luglio  1975,  n.  354
(Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e  limitative  della  liberta'),  surrogatoria  del  rinvio
facoltativo dell'esecuzione della pena per grave infermita' fisica di
cui all'art. 147 del codice penale, in favore di un condannato per il
delitto di associazione di tipo mafioso affetto da  gravi  patologie,
che lo avrebbero particolarmente esposto a rischio per la  salute  in
caso di contagio da COVID-19; 
    che l'11  maggio  2020  e'  entrata  in  vigore  la  disposizione
censurata, la quale prevede l'obbligo  a  carico  del  magistrato  di
sorveglianza  di  valutare  entro  il  termine  di  quindici   giorni
dall'adozione  del  provvedimento,  e  successivamente  con   cadenza
mensile, «la permanenza dei motivi  legati  all'emergenza  sanitaria»
sulla base dei quali e' stato concessa  la  misura  della  detenzione
domiciliare,  acquisito  il  parere  del   Procuratore   distrettuale
antimafia del luogo  in  cui  e'  stato  commesso  il  reato  (e  del
Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i condannati  ed
internati gia' sottoposti al regime di  cui  all'art.  41-bis  ordin.
penit.) nonche' una serie di informazioni da parte  del  Dipartimento
dell'amministrazione   penitenziaria   e   dell'autorita'   sanitaria
regionale; 
    che, sulla scorta anche dell'art. 5 del predetto decreto-legge (a
tenore  del  quale  la   disposizione   censurata   si   applica   ai
provvedimenti gia' emessi alla data  della  sua  entrata  in  vigore,
purche' successivamente al 23 febbraio 2020, il termine  di  quindici
giorni decorrendo in tale ipotesi dalla medesima data di  entrata  in
vigore del decreto-legge), il rimettente espone di avere provveduto a
instaurare  il  predetto  procedimento  di  rivalutazione,   mediante
l'acquisizione dei pareri e delle informazioni prescritte; 
    che, tuttavia, il giudice a quo ritiene che la  disciplina  della
rivalutazione  periodica  della  misura  alternativa  in  essere  nei
confronti del condannato, che egli dovrebbe a questo  punto  compiere
in forza della disposizione  censurata,  sia  incompatibile  con  gli
artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.; 
    che tali questioni sarebbero anzitutto rilevanti, essendo scaduto
il  giorno  dell'ordinanza  di  rimessione  il  termine  quindicinale
fissato dalla legge per la prima rivalutazione; 
    che la disciplina in parola violerebbe anzitutto  gli  artt.  24,
secondo comma, Cost. e 111,  secondo  comma,  Cost.,  prevedendo  «un
procedimento senza spazi di  adeguato  formale  coinvolgimento  della
difesa tecnica dell'interessato, senza alcuna  comunicazione  formale
dell'apertura del procedimento e con una conseguente carenza assoluta
di contraddittorio, rispetto alla parte pubblica,  qui  rappresentata
in modo inedito dal Procuratore Distrettuale antimafia individuato in
relazione  al  luogo  del  commesso  reato,  che  deve   fornire   un
obbligatorio, seppur non  vincolante,  parere  sulla  permanenza  dei
presupposti di concessione della misura»; 
    che l'assenza di qualsiasi formale  coinvolgimento  della  difesa
nel procedimento apparirebbe irragionevole, anche  in  considerazione
del fatto che dalla decisione del  magistrato  di  sorveglianza  puo'
derivare il rientro in carcere di un condannato affetto da  rilevanti
patologie; 
    che,  piu'  in  particolare,  la   disposizione   censurata   non
contemplerebbe alcuna comunicazione al condannato  dell'instaurazione
del procedimento,  e  potrebbe  altresi'  dubitarsi  che  questi  sia
legittimato a produrre memorie o documentazioni; 
    che, anche ove tale quesito sia sciolto in senso affermativo,  la
difesa resterebbe comunque  «all'oscuro  degli  elementi  essenziali,
acquisiti mediante l'istruttoria, e sui quali vertera' il  giudizio»,
cio' che le renderebbe impossibile confrontarsi con i contenuti delle
note pervenute; 
    che  una  procedura   caratterizzata   da   una   cosi'   marcata
impossibilita' di interlocuzione da parte della difesa del condannato
non  avrebbe  eguali  «nel  pur   variegato   panorama   di   modelli
procedimentali, piu'  o  meno  semplificati,  previsti  dinanzi  alla
magistratura di sorveglianza», che il rimettente passa analiticamente
in   rassegna,   sulla   scorta   della   giurisprudenza   comune   e
costituzionale formatasi relativamente ai medesimi; 
    che  il  difetto   di   coinvolgimento   della   difesa   sarebbe
problematico  specialmente  ove  si  consideri,  da  un   lato,   che
l'eventuale  provvedimento  di  revoca  e'  espressamente  dichiarato
immediatamente esecutivo dalla disposizione censurata,  e  dall'altro
che in altri procedimenti in cui il  magistrato  di  sorveglianza  e'
chiamato a una decisione de  plano  sarebbe  comunque  previsto  -  a
differenza di quanto avviene in questo caso - «uno stringente termine
acceleratorio per la valutazione,  nel  pieno  contraddittorio  delle
parti, dinnanzi al Tribunale di sorveglianza, il cui mancato rispetto
comporta la perdita di efficacia  del  provvedimento  di  sospensione
emesso», termine in questo caso non previsto dalla disposizione; 
    che   la   segnalata   criticita'   sarebbe    aggravata    dalla
considerazione che il procedimento di rivalutazione introdotto  dalla
disposizione censurata, funzionale alla possibile revoca della misura
in  precedenza  gia'  concessa  in  via  provvisoria   dallo   stesso
magistrato, si innesta «in una sequenza che ha gia' attraversato  una
fase interinale del procedimento [...] e che avrebbe trovato  il  suo
naturale sbocco  nella  successiva  fase,  a  contraddittorio  pieno,
dinanzi  al  tribunale  di  sorveglianza»,  per   di   piu'   potendo
determinare  «l'effetto  dirompente  di  ricondurre  in  vinculis  il
condannato, che era stato ammesso alla misura extramuraria»; 
    che, osserva il rimettente,  «anche  a  voler  estendere  a  tale
revoca la garanzia di un passaggio obbligatorio dinanzi al  Tribunale
di sorveglianza, in analogia con quanto  previsto  per  la  pronuncia
emessa ex articolo 684 cod. proc. pen.,  cio'  avviene  in  un  tempo
lungo (sessanta giorni, ove applicabile il termine  richiamato  dagli
articoli 47-ter, comma 1-quater e 47 comma 4 ord. penit.) e senza che
il provvedimento che ha inciso la liberta' personale  subisca  alcuna
inefficacia, ove tale tempistica non sia rispettata»; 
    che la disposizione censurata contrasterebbe, inoltre, con l'art.
3 Cost., in quanto «il condannato ammesso alla detenzione domiciliare
surrogatoria subisce il procedimento di frequentissima  rivalutazione
con rito a contraddittorio pieno, oppure senza alcuna possibilita' di
replica sui contenuti  istruttori  per  se'  e  per  la  sua  difesa,
soltanto in  base  al  dato  del  tutto  casuale  che  rispetto  alla
pronuncia  interinale  del  magistrato  di  sorveglianza   sia   gia'
intervenuta la decisione in via definitiva dinanzi  al  tribunale  di
sorveglianza, oppure la stessa risulti gia' calendarizzata  in  tempi
successivi,  in  connessione  ad  esempio  con   ruoli   di   udienza
particolarmente gravati»; 
    che  un  ulteriore  profilo  di  violazione  dell'art.  3   Cost.
discenderebbe dalla necessita' di una frequente rivalutazione, con le
carenze di contraddittorio sin  qui  evidenziate  e  sino  a  che  il
tribunale di sorveglianza non si sia pronunciato  in  via  definitiva
sull'originaria  richiesta  della  misura   alternativa,   dei   soli
provvedimenti di concessione della  detenzione  domiciliare  connessi
all'emergenza da COVID-19, allorche' riferiti ai soli condannati  per
alcune tipologie di delitti, il cui elenco peraltro non coincide  con
quello di cui all'art. 4-bis ordin. penit.; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni  sollevate   siano   dichiarate
inammissibili e, comunque, infondate; 
    che, ad avviso dell'interveniente, con l'art. 2 del  d.l.  n.  29
del 2020 il legislatore ha inteso mitigare gli  effetti  sul  sistema
carcerario  derivanti  dall'emergenza  epidemiologica  da   COVID-19,
nell'ottica  del  contemperamento  di  contrapposte  esigenze,  quali
quelle del  diritto  alla  salute  dei  detenuti  e  della  sicurezza
pubblica,  prevedendo,  per  determinate  categorie  di  detenuti  ed
internati, beneficiari di provvedimento di differimento della pena  o
di detenzione domiciliare per motivi connessi all'emergenza COVID-19,
una  periodica  e  frequente  rivalutazione  della  permanenza  delle
condizioni poste a base di tali provvedimenti; 
    che non si configurerebbe alcuna violazione del diritto di difesa
e del diritto  alla  parita'  delle  armi,  in  quanto  la  procedura
resterebbe pur sempre quella del contraddittorio  differito  prevista
dall'art. 47-ter, commi 1-ter e 1-quater, ordin. penit. e dagli artt.
666 e  678  del  codice  di  procedura  penale,  nel  cui  ambito  si
inserisce,  per  alcune  categorie  di  detenuti  ed  internati,  una
rivalutazione   piu'   frequente   delle   condizioni    legittimanti
l'applicazione alternativa, previa  acquisizione  di  informazioni  e
pareri delle autorita' competenti a fornirli; 
    che tale rivalutazione si giustificherebbe con l'esigenza di  far
rientrare i soggetti beneficiari  della  detenzione  domiciliare  per
ragioni connesse all'emergenza COVID-19 nel  circuito  detentivo  non
appena il mutato contesto sanitario lo consenta,  ferma  restando  la
successiva verifica, in contraddittorio pieno, da parte del tribunale
di sorveglianza; 
    che,  inoltre,  quanto  al  profilo  delle  categorie  soggettive
interessate   dalla   piu'   frequente   rivalutazione,   ad   avviso
dell'Avvocatura generale dello Stato, deve  ritenersi  che  si  versi
nell'ambito di una non irragionevole scelta discrezionale del  potere
legislativo  che,  in  quanto  tale,  si  sottrae  al  sindacato   di
legittimita' costituzionale; 
    che il trattamento differenziato  si  spiegherebbe,  infatti,  in
ragione della maggiore caratura criminale di soggetti individuati dal
legislatore, e che questo profilo giustificherebbe una piu' frequente
rivalutazione in vista del loro possibile  rientro  in  carcere,  una
volta cessate le ragioni dell'emergenza dovuta al COVID-19; 
    che, con memoria depositata in data 10 luglio 2020,  l'Avvocatura
generale dello Stato ha chiesto a questa Corte di  valutare  altresi'
la  ricorrenza  dei  presupposti  per  rimettere  la   questione   di
costituzionalita' al giudice a quo per un ulteriore  sindacato  sulla
rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  in  relazione  allo   ius
superveniens; 
    che, deduce l'Avvocatura generale dello  Stato,  la  disposizione
censurata e' stata abrogata dall'art. 1,  comma  3,  della  legge  25
giugno 2020, n. 70 (Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del
decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, recante misure  urgenti  per  la
funzionalita' dei  sistemi  di  intercettazioni  di  conversazioni  e
comunicazioni, ulteriori misure urgenti  in  materia  di  ordinamento
penitenziario, nonche' disposizioni integrative e di coordinamento in
materia di giustizia civile,  amministrativa  e  contabile  e  misure
urgenti per l'introduzione del sistema di allerta  Covid-19),  ed  il
suo contenuto e' stato trasfuso nell'art. 2-bis del d.l.  n.  28  del
2020, come convertito nella medesima legge n. 70 del 2020; 
    che il nuovo art. 2-bis del d.l n.  28  del  2020  avrebbe  pero'
introdotto rilevanti novita' in ordine al procedimento relativo  alla
periodica  rivalutazione  delle  decisioni   di   concessione   della
detenzione  domiciliare  o  al   differimento   della   pena   legate
all'emergenza COVID-19; 
    che, in particolare, il  legislatore  avrebbe  ora  definito  una
procedura  di  raccordo  tra  il  magistrato  e   il   tribunale   di
sorveglianza,  in  modo  da  assicurare  un  «approfondito  controllo
successivo delle determinazioni adottate dal primo  anche  attraverso
il pieno coinvolgimento della difesa del soggetto interessato»; 
    che inoltre, ad avviso dell'Avvocatura generale dello  Stato,  le
questioni sollevate dal rimettente non  sarebbero  rilevanti,  atteso
che dall'ordinanza di rimessione non sarebbe dato «cogliere  come  la
eventuale pronuncia di accoglimento della questione potrebbe produrre
effetti nel procedimento a  quo,  tenuto  conto  che  nella  predetta
ordinanza  non  si  fa  riferimento  alcuno  all'avvenuto  [positivo]
riscontro delle condizioni per il ripristino della  misura  detentiva
in carcere»; 
    che, quanto al merito, rileva infine l'Avvocatura generale  dello
Stato che il dettato costituzionale non impone che il contraddittorio
si esplichi con le medesime modalita' in ogni tipo di procedimento e,
soprattutto, che debba essere sempre collocato  nella  fase  iniziale
del procedimento stesso. 
    Considerato che il Magistrato di  sorveglianza  di  Spoleto,  con
ordinanza del 26 maggio 2020, ha sollevato, in riferimento agli artt.
3, 24, secondo comma,  e  111,  secondo  comma,  della  Costituzione,
questioni   di   legittimita'   costituzionale   dell'art.   2,   del
decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure  urgenti  in  materia  di
detenzione domiciliare o  differimento  dell'esecuzione  della  pena,
nonche' in  materia  di  sostituzione  della  custodia  cautelare  in
carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi  connessi
all'emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o  internate
per delitti  di  criminalita'  organizzata  di  tipo  terroristico  o
mafioso, o  per  delitti  di  associazione  a  delinquere  legati  al
traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi  avvalendosi
delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione mafiosa o  con
finalita' di terrorismo, nonche' di detenuti e  internati  sottoposti
al regime previsto dall'articolo 41-bis della legge 26  luglio  1975,
n. 354, nonche', infine, in materia di colloqui con i congiunti o con
altre persone cui hanno diritto i condannati,  gli  internati  e  gli
imputati); 
    che la disposizione censurata prevede  che  il  magistrato  o  il
tribunale di sorveglianza, quando  abbiano  ammesso  alla  detenzione
domiciliare  o  al  differimento  della  pena   per   motivi   legati
all'emergenza sanitaria da COVID-19 i condannati e gli internati  per
una serie di gravi reati, debbano procedere  alla  valutazione  della
permanenza di  tali  motivi  entro  il  termine  di  quindici  giorni
dall'adozione del provvedimento, e successivamente a cadenza mensile,
acquisito il parere del Procuratore distrettuale antimafia del  luogo
in cui e' stato  commesso  il  reato  (e  del  Procuratore  nazionale
antimafia  e  antiterrorismo  per  i  condannati  ed  internati  gia'
sottoposti al regime di cui all'art. 41-bis  ordin.  penit.)  nonche'
una   serie   di   informazioni    da    parte    del    Dipartimento
dell'amministrazione   penitenziaria   e   dell'autorita'   sanitaria
regionale; 
    che   tale   valutazione   deve    peraltro    essere    compiuta
«immediatamente, anche  prima  della  decorrenza  dei  termini  sopra
indicati,  nel  caso  in  cui  il  Dipartimento  dell'amministrazione
penitenziaria comunica la disponibilita' di strutture penitenziarie o
di reparti di medicina protetta adeguati alle  condizioni  di  salute
del detenuto o dell'internato ammesso alla detenzione  domiciliare  o
ad usufruire del differimento della pena»; 
    che la medesima disposizione prevede altresi', al comma 3, che in
esito alla valutazione relativa alla permanenza dei motivi che  hanno
giustificato   l'adozione   del   provvedimento,   e   valutata    la
disponibilita' di altre  strutture  penitenziarie  o  di  reparti  di
medicina protetti idonei ad evitare il pregiudizio per la salute  del
detenuto o dell'internato, il giudice possa revocare la  misura  gia'
concessa, con provvedimento immediatamente esecutivo; 
    che l'articolo 1, comma 3, della legge  25  giugno  2020,  n.  70
(Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 aprile
2020, n. 28, recante misure urgenti per la funzionalita' dei  sistemi
di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure
urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonche' disposizioni
integrative e  di  coordinamento  in  materia  di  giustizia  civile,
amministrativa e contabile e misure urgenti  per  l'introduzione  del
sistema di allerta Covid-19) ha abrogato l'art. 2 del d.l. n. 29  del
2020, ferma restando la validita'  degli  atti  e  dei  provvedimenti
adottati e fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti  giuridici
sorti sulla base del medesimo decreto-legge; 
    che il contenuto della disposizione censurata e'  stato  trasfuso
nell'art. 2-bis del d.l.  n.  28  del  2020,  come  convertito  nella
medesima legge n. 70 del 2020; 
    che il nuovo art. 2-bis del d.l. n.  28  del  2020  riproduce  la
disciplina dell'abrogato art. 2 del d.l. n. 29 del  2020,  in  questa
sede censurato, e la integra prevedendo, al comma 4, che «[q]uando il
magistrato di sorveglianza procede alla valutazione del provvedimento
provvisorio  di  ammissione  alla   detenzione   domiciliare   o   di
differimento della pena, i pareri  e  le  informazioni  acquisiti  ai
sensi dei commi 1 e 2 e  i  provvedimenti  adottati  all'esito  della
valutazione   sono   trasmessi   immediatamente   al   tribunale   di
sorveglianza, per  unirli  a  quelli  gia'  inviati  ai  sensi  degli
articoli 684, comma 2, del codice di procedura penale e 47-ter, comma
1-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354.  Nel  caso  in  cui  il
magistrato di sorveglianza abbia disposto la revoca della  detenzione
domiciliare  o  del  differimento  della   pena   adottati   in   via
provvisoria, il tribunale di sorveglianza decide sull'ammissione alla
detenzione domiciliare o sul differimento  della  pena  entro  trenta
giorni dalla ricezione del provvedimento di revoca, anche  in  deroga
al termine previsto dall'articolo 47, comma 4, della legge 26  luglio
1975, n. 354. Se  la  decisione  del  tribunale  non  interviene  nel
termine prescritto, il provvedimento di revoca perde efficacia»; 
    che, secondo quando previsto ora dall'art. 2-bis,  comma  5,  del
d.l. 28 del 2020, come convertito nella legge  n.  70  del  2020,  la
predetta disciplina e' applicabile a tutti i provvedimenti di  revoca
della detenzione domiciliare  o  del  differimento  della  pena  gia'
adottati dal magistrato di  sorveglianza  alla  data  di  entrata  in
vigore della legge di conversione e a partire dal 23 febbraio 2020; 
    che pertanto, per effetto della legge di conversione,  quando  il
magistrato di sorveglianza ha disposto in via provvisoria  la  revoca
della detenzione domiciliare o del differimento della pena per motivi
connessi  all'emergenza  sanitaria  da  COVID-19,  il  tribunale   di
sorveglianza  e'  oggi  tenuto   a   pronunciarsi   sull'istanza   di
scarcerazione entro il termine  perentorio  di  trenta  giorni  dalla
ricezione del predetto  provvedimento  di  revoca,  all'esito  di  un
procedimento disciplinato nelle forme  dell'incidente  di  esecuzione
(art. 666 cod. proc. pen., richiamato dall'art. 678,  comma  1,  cod.
proc. pen.), e dunque di un procedimento in cui la  difesa  ha  pieno
accesso agli atti e ha la possibilita' di interloquire in  condizioni
di parita' nell'udienza all'uopo fissata; 
    che, in linea generale, questa Corte ha affermato che  «non  ogni
nuova disposizione che modifichi, integri o comunque  possa  incidere
su quella  oggetto  del  giudizio  incidentale  di  costituzionalita'
richiede una  nuova  valutazione  della  perdurante  sussistenza  dei
presupposti di ammissibilita' della questione  e  segnatamente  della
sua rilevanza  e  della  non  manifesta  infondatezza  dei  dubbi  di
legittimita' costituzionale espressi  dal  giudice  rimettente»,  ben
potendo questa Corte «ritenere essa stessa che la nuova  disposizione
non alteri affatto la norma censurata quanto alla parte oggetto delle
censure di legittimita' costituzionale, oppure che  la  modifichi  in
aspetti marginali o in misura non significativa, si'  che  permangono
le valutazioni del giudice rimettente in termini di rilevanza  e  non
manifesta infondatezza della questione» (sentenza n. 125 del 2018); 
    che laddove  invece  «la  nuova  disposizione  abbia  un  impatto
maggiore in  termini  di  incidenza  sulla  portata  normativa  della
disposizione censurata, si' da  integrarla,  modificarla  o  finanche
abrogarla, in tutto o in parte, si impone la restituzione degli  atti
al giudice rimettente perche' rivaluti i  presupposti  dell'incidente
di costituzionalita'» (ancora, sentenza n. 125 del 2018); 
    che, nella specie, l'evoluzione del quadro  normativo  prodottasi
per effetto della legge di  conversione  lascia  invero  immutata  la
rilevanza della  questione,  stante  il  perdurante  obbligo  per  il
giudice a quo di perfezionare il procedimento di "rivalutazione"  del
provvedimento  di  concessione  della  detenzione  domiciliare  o  di
differimento della pena per motivi connessi  all'emergenza  sanitaria
da COVID-19 adottato in data successiva al 23 febbraio 2020; 
    che,  tuttavia,  le   modifiche   alla   disposizione   censurata
introdotte dalla legge n. 70 del  2020  mirano  a  una  piu'  intensa
tutela del diritto di difesa del condannato, cui e' ora garantita una
piena  partecipazione  al  procedimento  avanti   il   tribunale   di
sorveglianza nel termine perentorio di trenta giorni  decorrenti  dal
provvedimento di revoca; 
    che  tali  modifiche  appaiono  dunque  orientate  «nella  stessa
direzione dell'ordinanza di rimessione» (sentenza n. 125  del  2018),
con  un  effetto  che  potrebbe  essere  ritenuto   suscettibile   di
ridimensionare, o al  limite  di  emendare,  i  vizi  denunciati  dal
rimettente; 
    che  non   puo'   che   spettare   al   giudice   rimettente   la
responsabilita' di valutare in concreto l'incidenza di tali modifiche
in riferimento alla non manifesta  infondatezza  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate (ex plurimis, ordinanze n.  182
del 2019 e n. 154 del 2018); 
    che, pertanto, deve essere disposta la restituzione degli atti al
giudice a quo per un nuovo esame  della  non  manifesta  infondatezza
delle questioni, alla luce del mutato quadro normativo  determinatosi
per effetto dello ius superveniens di cui alla legge n. 70 del 2020.