ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 628, secondo
comma, del codice penale promossi dal Tribunale ordinario  di  Torino
con ordinanze del 9 maggio, del 27  maggio  e  dell'8  ottobre  2019,
iscritte rispettivamente ai  numeri  130,  156  e  241  del  registro
ordinanze  2019  e  pubblicate,   rispettivamente,   nella   Gazzetta
Ufficiale della Repubblica numeri 37  e  41,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2019 e n. 2, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Udito nell'udienza pubblica e nella camera  di  consiglio  dell'8
luglio 2020 il Giudice relatore Nicolo' Zanon; 
    visto l'atto di costituzione  di  R.  T.,  nonche'  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    uditi gli avvocati Sonia Maria Cocca e Anna Scifoni per R. T.,  e
l'avvocato dello Stato Maurizio Greco per il Presidente del Consiglio
dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 9 luglio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 9 maggio 2019 (r.o. n. 130  del  2019),  il
Tribunale ordinario di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt.
3,  25,  secondo  comma,  e  27,  terzo  comma,  della  Costituzione,
questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  628,  secondo
comma, del codice penale. 
    Si procede nel giudizio a  quo,  mediante  rito  abbreviato,  nei
confronti  di  persona  accusata  del  reato  di  rapina   cosiddetta
impropria (secondo comma dell'art. 628  cod.  pen.).  L'imputato,  in
particolare, dopo essersi impossessato di oggetti  di  scarso  valore
all'interno di un esercizio commerciale, avrebbe esercitato  violenza
nei confronti di una persona che tentava  di  fermarlo,  riuscendo  a
divincolarsi e pero'  restando  bloccato,  dopo  pochi  secondi,  per
l'intervento di personale  di  sorveglianza  dello  stesso  esercizio
commerciale. 
    1.1.- Il  Tribunale  rimettente,  premesso  un  riferimento  alla
correttezza  della  qualificazione  giuridica  conferita  al   fatto,
richiama l'identita' di trattamento sanzionatorio  tra  il  reato  in
contestazione e il delitto di rapina cosiddetta propria (primo  comma
dell'art. 628 cod. pen.), trattamento fra l'altro inasprito dall'art.
1, comma 8, lettera a), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche
al codice penale, al codice di  procedura  penale  e  all'ordinamento
penitenziario), con l'aumento della sanzione minima  edittale,  nella
specie detentiva, da tre a quattro anni di reclusione. 
    Una tale equiparazione tra le pene comminate per le  due  ipotesi
di rapina, secondo il rimettente,  contrasterebbe  anzitutto  con  il
principio di uguaglianza, data l'asserita disomogeneita'  strutturale
delle relative fattispecie. Nel primo comma, infatti, l'art. 628 cod.
pen. richiederebbe che la violenza alla persona o la  minaccia  siano
finalizzati all'impossessamento  della  cosa  mobile  altrui,  e  per
questo la condotta tipica paleserebbe una maggior gravita', sul piano
obiettivo dell'azione come nei profili soggettivi. Nella  fattispecie
di rapina impropria, invece, l'uso della violenza  o  della  minaccia
per la commissione del reato non sarebbe  programmato,  avendo  luogo
solo dopo la sottrazione, per effetto di una «tensione istintiva alla
liberta'». 
    L'art. 3 Cost. sarebbe violato anche in un diverso profilo. 
    La condotta violenta o minacciosa, per quanto tenuta  allo  scopo
di conseguire l'impunita' o il profitto del  reato,  non  integra  il
delitto previsto dal secondo comma dell'art. 628  cod.  pen.,  quando
non e' immediatamente successiva alla sottrazione della cosa, con  la
conseguenza  che  l'agente  viene   sottoposto   a   un   trattamento
sanzionatorio piu' mite di quello concernente  la  rapina  impropria,
dato dalla punizione per il furto e da quella per il  reato  commesso
in seguito (ad esempio, resistenza a pubblico  ufficiale  o  violenza
privata). Ebbene, il distinguo fondato sul connotato di  immediatezza
(o non) dell'azione di  violenza  o  minaccia  non  giustificherebbe,
secondo il rimettente, una differenza tanto marcata  di  trattamento,
discutendosi, per  entrambi  i  casi,  d'una  condotta  reattiva  con
caratteristiche e finalita' invariate. Una stessa punizione  dovrebbe
dunque accomunare tutte le ipotesi i  cui  comportamenti  violenti  o
minacciosi  siano  tenuti  per  assicurare  il  possesso  della  cosa
sottratta o garantire l'impunita'  del  loro  autore,  a  prescindere
dalla loro prossimita' temporale alla sottrazione della  cosa  mobile
altrui. Le relative fattispecie, per tal via,  resterebbero  distinte
da quelle in cui le condotte di violenza o minaccia siano  proprio  e
invece strumentali alla sottrazione, da considerarsi  piu'  gravi  e,
dunque, legittimamente segnate da previsioni edittali piu' severe. 
    1.2.- Il Tribunale di Torino ritiene che la disciplina  censurata
violi anche il principio di offensivita', desunto dal  secondo  comma
dell'art. 25 Cost. Muovendo dall'assunto che pari livelli di gravita'
dell'offesa esigano risposte sanzionatorie corrispondenti, ritiene il
rimettente che, invece, tali risposte dovrebbero differenziarsi  gia'
sul piano edittale  nel  caso  di  situazioni  difformi,  e  comunque
consentire, attraverso la previsione di una forbice  sufficientemente
ampia, una regolazione adeguata alle caratteristiche di ciascun  caso
concreto. Un caso di tentato furto con  successiva  violenza  privata
potrebbe essere trattato con la necessaria duttilita' applicando  gli
artt. 56, 81,  secondo  comma,  624  e  610  cod.  pen.,  ma  la  sua
qualificazione come rapina impropria eliminerebbe in  gran  parte  la
possibilita'  di  una  modulazione  della   risposta   sanzionatoria,
schiacciando verso l'alto il valore minimo della pena irrogabile. 
    1.3.- Sarebbe violato  infine,  secondo  il  giudice  a  quo,  il
secondo  (recte:  terzo)  comma  dell'art.  27  Cost.,   poiche'   la
funzionalita'  rieducativa  della  pena  esigerebbe  un  rapporto  di
adeguata proporzione tra il fatto e la pena medesima, e tale rapporto
sarebbe squilibrato, a fronte delle  condotte  di  rapina  impropria,
riguardo a un minimo edittale pari a quattro anni per la reclusione. 
    1.4.- Sulle premesse indicate, il Tribunale di  Torino  chiede  a
questa Corte un intervento di ablazione del secondo  comma  dell'art.
628 cod. pen. L'eliminazione della disposizione implicherebbe per gli
attuali casi  di  rapina  impropria  l'applicazione  congiunta  d'una
fattispecie di furto e della  figura  di  reato  di  volta  in  volta
integrata dall'azione successiva alla sottrazione della  cosa  altrui
(violenza privata, ad esempio, o resistenza a pubblico ufficiale). In
questo  quadro,  grazie  alle  ampie  possibilita'   di   modulazione
restituite al  giudice,  l'ordinamento  potrebbe  reagire  in  misura
proporzionata ai fatti, senza punizioni eccessive  e  senza  tuttavia
indebolire, nel contempo, la risposta  dello  Stato  a  comportamenti
criminali di piu' elevato spessore. 
    1.5.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio con atto depositato il 1° ottobre  2019,  chiedendo  che  la
questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata. 
    L'Avvocatura generale nega il fondamento del  principale  assunto
del rimettente, e cioe' che il preordinato ricorso alla violenza  sia
un profilo necessario ed esclusivo delle ipotesi di  rapina  propria.
Ben possono  esservi  situazioni  nelle  quali  l'agente  ricorre  al
comportamento minaccioso  o  violento  per  superare,  in  danno  del
possessore della cosa da sottrarre, una resistenza non prevista. Allo
stesso  modo,  possono  ricorrere  situazioni  nelle  quali  e'  gia'
programmata una condotta violenta da praticare dopo  la  sottrazione,
al fine  di  conservare  il  possesso  della  cosa  o  di  garantirsi
l'impunita'. 
    Le condotte delineate dai primi due commi dell'art. 628 cod. pen.
non  si  distinguerebbero  per  la  struttura  del  dolo,   ne'   per
l'identificazione dei beni offesi (patrimonio e persona), ma solo per
il momento nel  quale  il  comportamento  violento  o  minaccioso  si
inserisce in una serie causale sostanzialmente analoga:  prima  della
sottrazione e al fine di realizzarla, oppure dopo la sottrazione e al
fine di conseguirne i vantaggi. 
    Non sarebbe affatto irragionevole,  dunque,  l'equiparazione  nel
trattamento sanzionatorio. E non  sarebbe  irragionevole  neppure  la
minor punizione dei casi in  cui  violenza  o  minaccia  non  seguano
immediatamente  la  sottrazione,  perche'  a  quel   punto   non   si
tratterebbe  piu'  di  comportamenti  finalizzati  a  consolidare  il
possesso (gia' conseguito dall'agente), ma di condotte ormai estranee
all'aggressione patrimoniale, gia' esaurita mediante un furto. 
    Il carattere proporzionale del trattamento sanzionatorio previsto
dal secondo comma dell'art. 628 cod. pen. varrebbe  anche  -  secondo
l'interveniente - ad escludere il fondamento delle censure  costruite
sul principio di offensivita', in assoluto e  nel  confronto  con  la
previsione concernente la  rapina  propria,  la  quale,  come  detto,
disegnerebbe un reato di capacita' lesiva del tutto analoga. 
    Le medesime conclusioni, infine, sono proposte con riferimento al
principio di finalizzazione  rieducativa  della  pena,  anche  tenuto
conto che l'ampiezza comunque propria della forbice  edittale,  e  la
possibilita' che la pena sia  mitigata  per  effetto  di  circostanze
attenuanti, consentirebbero in ogni caso un trattamento proporzionato
e dunque efficace anche in chiave di risocializzazione del reo. 
    1.6.- Con atto spedito il 30 settembre  2019,  e  pervenuto  alla
Corte costituzionale il 7 ottobre successivo, si e' costituito R. T.,
imputato nel  procedimento  a  quo,  chiedendo  l'accoglimento  delle
questioni sollevate. 
    In adesione agli argomenti del rimettente, la parte sostiene  che
le ipotesi di rapina propria e di rapina impropria sarebbero  diverse
sul piano soggettivo (solo nel primo caso la violenza o  la  minaccia
sarebbero  ineludibilmente  programmate)  e   sul   piano   oggettivo
(mancando nella seconda fattispecie la strumentalita' della  condotta
violenta o minacciosa alla sottrazione della cosa). 
    Sempre  richiamando  gli  argomenti  indicati  dal  Tribunale  di
Torino, la  parte  osserva  che  la  norma  censurata  romperebbe  la
corrispondenza tra quantita' della pena  ed  effettiva  capacita'  di
offesa della rapina impropria,  con  l'ulteriore  conseguenza  di  un
pregiudizio della  capacita'  rieducativa  della  sanzione  inflitta,
cosi' violando gli artt. 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost. 
    1.7.- In data 15 aprile 2020 l'Avvocatura generale dello Stato ha
depositato fuori termine una memoria difensiva. 
    2.- Con ordinanza del 27 maggio 2019 (r.o. n. 156  del  2019)  il
Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento agli  artt.  3,  25,
secondo comma, 27, terzo  comma,  Cost.,  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 628, secondo comma, cod. pen. 
    2.1.- Nella specie, l'imputazione di rapina impropria  -  per  la
quale si procede mediante rito abbreviato - riguarda il comportamento
d'una  persona  sorpresa  all'interno  di  un'automobile,  mentre  si
impossessava di cose contenute nei vani  porta  oggetti.  Riuscito  a
portarsi fuori dell'abitacolo, l'imputato aveva  "strattonato"  colui
che aveva cercato di  trattenerlo  nel  veicolo,  ma  era  stato  poi
fermato a pochi metri dal mezzo, anche  per  l'intervento  di  alcuni
passanti e di agenti delle forze di polizia. 
    Dopo avere argomentato circa la correttezza della  qualificazione
conferita al fatto (rapina impropria consumata) e circa una  ritenuta
modestia dell'episodio, dopo avere altresi'  registrato  un  nuovo  e
recente aumento del minimo della pena detentiva prevista dalla  norma
incriminatrice (portato a cinque anni dall'art. 6, comma  1,  lettera
a, della legge 26 aprile 2019, n. 36, recante  «Modifiche  al  codice
penale e altre disposizioni in  materia  di  legittima  difesa»),  il
rimettente ha sviluppato in larga parte gli  argomenti  proposti  con
l'ordinanza  iscritta  al  r.o.  n.  130  del  2019,  in   precedenza
illustrata. 
    Riguardo alla comparazione  con  la  rapina  propria,  nondimeno,
propone il rimettente una deduzione ulteriore,  fondata  sul  diverso
ruolo  dell'impossessamento  nell'economia  delle  due   fattispecie.
Mentre infatti la rapina propria e' consumata solo quando l'agente ha
conseguito l'autonoma disponibilita' della cosa sottratta al soggetto
passivo, altrettanto non puo' dirsi per la rapina impropria,  ove  il
reato  si  consuma  a  prescindere  dall'impossessamento,  che   anzi
difetta, nella generalita' dei casi, perche' la condotta  violenta  o
minacciosa  segue  immediatamente  la  sottrazione,  ed  e'   appunto
finalizzata «ad assicurare» il possesso della cosa (o in  alternativa
l'impunita' dell'agente). L'irragionevolezza nella assimilazione  del
trattamento sanzionatorio, dunque, sarebbe ancora piu' marcata, cosi'
come  l'irragionevolezza  di  un  trattamento   differenziale   della
fattispecie di rapina impropria rispetto all'ipotesi  del  furto  non
immediatamente seguito da condotte reattive. 
    Il Tribunale ribadisce, per il resto, i dubbi  di  compatibilita'
della norma censurata con gli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo
comma, Cost., reiterando la richiesta di  mera  e  diretta  ablazione
della norma medesima. 
    2.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio con atto depositato il 29 ottobre  2019,  chiedendo  che  la
questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata. 
    Considerato che l'ordinanza di rimessione riprende  per  la  gran
parte gli argomenti gia' addotti con quella iscritta al r.o.  n.  130
del  2019,   anche   l'Avvocatura   generale   riproduce   pressoche'
testualmente i rilievi sviluppati nell'atto di intervento relativo  a
quel primo giudizio.  Non  manca  peraltro  di  cogliere  l'argomento
aggiuntivo  del  rimettente,  per  il   quale   l'assimilazione   del
trattamento sanzionatorio tra rapina propria e impropria risulterebbe
irragionevole   una   volta   considerato   che,    nella    seconda,
l'impossessamento della cosa non e' necessario  per  la  consumazione
del reato, e anzi normalmente fa difetto. Secondo l'interveniente, il
rilievo «non sembra cogliere  nel  segno»,  posto  che  nel  caso  di
specie, comunque, l'impossessamento sarebbe stato perfezionato. 
    2.3.- In data 15 aprile 2020 l'Avvocatura generale dello Stato ha
depositato fuori termine una memoria difensiva. 
    3.- Con ordinanza dell'8 ottobre 2019 (r.o. n. 241 del 2019),  il
Tribunale  di  Torino  ha   sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  628,  secondo   comma,   cod.   pen.,   in
riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, secondo comma,  27,  terzo
comma, Cost., nonche' all'art. 117, primo comma, Cost.,  quest'ultimo
in  relazione  all'art.  49  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000  e
adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. 
    3.1.- Si procede nel giudizio a quo,  mediante  rito  abbreviato,
per il delitto di tentata rapina impropria (artt. 56 e  628,  secondo
comma, cod. pen.). Secondo l'accusa, l'imputato aveva prelevato merce
in esposizione all'interno di un negozio, nascondendola in una  borsa
e raggiungendo quindi l'uscita. Qui  il  proprietario  dell'esercizio
aveva chiesto  di  restituire  la  merce,  ma  l'uomo  aveva  reagito
spingendolo  con  violenza,  abbandonando  la   merce   sottratta   e
cominciando una fuga quasi subito interrotta da  agenti  di  polizia,
che avevano casualmente assistito alla scena. 
    Il rimettente, assunta in via preliminare  la  correttezza  della
qualificazione giuridica conferita ai fatti,  osserva  come  la  pena
edittale detentiva risulti conseguentemente compresa tra il minimo di
un anno e otto mesi e il massimo di sei anni e otto mesi. Il  giudice
a quo aggiunge che,  nel  caso  di  condanna,  ben  difficilmente  si
perverrebbe all'irrogazione di una pena inferiore al minimo, finanche
nel caso fossero riconosciute le attenuanti generiche o del danno  di
particolare tenuita' (rispettivamente previste dagli artt.  62-bis  e
62, numero 4, cod.  pen.).  All'imputato  e'  infatti  contestata  la
recidiva reiterata (art. 99, quarto  comma,  cod.  pen.),  che  nella
specie  dovrebbe  essere  effettivamente  applicata,  trattandosi  di
persona piu' volte condannata  per  furto  e  rapina,  e  piu'  volte
assoggettata  in  concreto  all'esecuzione  di  pene  detentive.   Di
conseguenza,  il  giudizio  di  comparazione   con   le   circostanze
attenuanti potrebbe chiudersi al piu'  nel  senso  della  equivalenza
(art. 69, ultimo comma, cod. pen.). 
    3.2.- Cio' premesso, il Tribunale ritiene che i  valori  edittali
di pena per la rapina impropria, avuto  speciale  riguardo  a  quelli
minimi (e anche  alla  diminuzione  ex  art.  56  cod.  pen.  per  il
tentativo), determinino una lesione dei principi di  proporzionalita'
e di necessaria finalizzazione rieducativa della pena, di talche' non
varrebbe invocare il canone pur tradizionale  della  discrezionalita'
riservata al legislatore riguardo alle scelte sanzionatorie. 
    Piu'  in  particolare,  il  rimettente  denuncia  anzitutto   una
violazione del principio di  uguaglianza  formale,  o  ragionevolezza
estrinseca, poiche' la norma censurata determina l'uguale trattamento
di   situazioni   asseritamente   diseguali.   Gli   argomenti   sono
espressamente ripresi, anche mediante ampio  ricorso  alla  citazione
testuale, dalla motivazione dell'ordinanza r.o. n. 130  del  2019  in
precedenza esposta, ritenendo il rimettente non  rilevante  il  fatto
che,  nella  specie,  si  ragioni  di  delitti  tentati  e  non  gia'
consumati. 
    In secondo luogo - sempre in rapporto alla regola di  uguaglianza
sancita all'art. 3, primo comma,  Cost.  -  la  pena  per  la  rapina
impropria andrebbe omologata a quella applicabile nei casi in cui  la
condotta violenta o minacciosa,  tenuta  al  fine  di  conservare  il
possesso della cosa sottratta o di garantirsi  l'impunita',  non  sia
tenuta   immediatamente   dopo   la   sottrazione.   In   tali   casi
l'applicazione congiunta delle norme sul furto e di  quelle  relative
alla  condotta  finale  condurrebbe   alla   determinazione   di   un
trattamento sanzionatorio molto piu' moderato, sebbene, a parere  del
rimettente, si tratti di situazioni analoghe a quelle cui attualmente
si riferisce la figura della rapina impropria. 
    Una ulteriore violazione dell'art. 3 Cost. - in questo caso nella
prospettiva della ragionevolezza intrinseca e in rapporto agli  artt.
25 e 27,  terzo  comma,  e  117,  primo  comma,  Cost.  (quest'ultimo
riferito all'art. 49 della CDFUE)  -  e'  prospettata  mediante  ampi
richiami alla giurisprudenza costituzionale, e  in  particolare  agli
argomenti  della  sentenza  n.  236  del  2016:  i  parametri  citati
esigerebbero  un  connotato  di  proporzionalita'  delle   previsioni
sanzionatorie, nel segno dell'uguaglianza, dell'offensivita' e  della
finalizzazione rieducativa della pena, imponendo l'adozione di  norme
capaci  di  consentire  il  pieno  adeguamento  della  sanzione  alle
caratteristiche del caso concreto. 
    Il Tribunale di Torino ritiene che il caso di specie  rappresenti
ottima  dimostrazione  del   proprio   assunto,   poiche'   considera
palesemente eccessiva una pena di un anno e otto mesi  di  reclusione
per un tentativo di  rapina  impropria  segnato  dalla  modestia  del
potenziale  danno  patrimoniale  (quaranta  euro)  e  della  violenza
esercitata sulla vittima (una semplice spinta). 
    3.3.-  Il  giudice  rimettente,  venendo  alla  formulazione  del
petitum, ricorda che il sindacato  di  costituzionalita'  sui  valori
sanzionatori  e'  stato  spesso  subordinato   dalla   giurisprudenza
costituzionale alla  possibilita'  di  identificare  nell'ordinamento
«grandezze gia' rinvenibili» e di  rapportare  ad  esse  l'intervento
manipolatorio della Corte. 
    Ebbene, la semplice ablazione del  secondo  comma  dell'art.  628
cod. pen. varrebbe, sempre secondo il rimettente, a introdurre per le
attuali fattispecie di rapina impropria il trattamento gia' istituito
per situazioni asseritamente omologabili. Lo scioglimento  del  reato
complesso,  in  altre  parole,  implicherebbe  la  sussunzione  delle
condotte nelle fattispecie di furto (consumato o tentato) e in quelle
di resistenza a pubblico ufficiale o violenza privata. 
    3.4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio con atto depositato il 29 gennaio  2020,  chiedendo  che  le
questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate. 
    L'atto,  sulla  premessa  delle  forti  analogie  esistenti   tra
l'ordinanza iscritta al r.o. n. 241 del 2019 e i due precedenti  atti
di promovimento dello  stesso  Tribunale  di  Torino,  ripropone  gli
argomenti gia' spesi nei relativi atti di intervento. In particolare,
la differenza tra rapina propria e impropria non  risiederebbe  nella
diversa intensita' del dolo (che puo'  essere  d'impeto  anche  nella
rapina  propria,  e  risolversi  nella   premeditazione   in   quella
impropria), o nella differente  qualita'  dei  beni  offesi,  perche'
l'unica variante sarebbe data dal ruolo strumentale della violenza  o
della minaccia, ferma restando l'aggressione  al  patrimonio  e  alla
persona. 
    La natura di reato complesso sarebbe comune alle due fattispecie,
che recepiscono nella severa determinazione della pena  la  peculiare
gravita' espressa, appunto, dalla combinazione  d'una  pluralita'  di
offese. Per queste ragioni, riguardo alla rapina  impropria,  non  si
impone affatto -  secondo  l'Avvocatura  generale  -  un  trattamento
analogo a quello che si otterrebbe scindendo il reato e irrogando  le
pene per il furto e per il reato commesso immediatamente dopo. Quanto
ai comportamenti ancora successivi, la  loro  punizione  autonoma  (e
piu' blanda) sarebbe del tutto logica, essendosi consolidata la nuova
situazione possessoria ed  essendosi  consumate  le  possibilita'  di
legittima difesa del precedente possessore. 
    Nella  quantificazione  delle  pene  per  la  rapina,  lungi  dal
compiere scelte di manifesta  sproporzione,  il  legislatore  avrebbe
ragionevolmente  inteso  reagire   alla   criminalita'   patrimoniale
violenta. Le gia' indicate analogie tra  le  due  figure  di  rapina,
semmai, renderebbero  manifestamente  ingiustificato  il  trattamento
piu'  blando  che,  per  la  rapina  impropria,  sarebbe  determinato
dall'ablazione del secondo comma dell'art. 628 cod. pen. 
    La ragionevolezza della disciplina censurata, infine, varrebbe  a
privare di fondamento le censure fondate sull'asserita violazione del
principio   di   offensivita'   e   del   principio   di   necessaria
finalizzazione  rieducativa  della  pena.  Del   resto   -   conclude
l'Avvocatura generale - l'ampio cursore tra i valori edittali  minimo
e massimo, congiuntamente  al  possibile  intervento  di  fattispecie
attenuanti,  consente  al  giudice  una  quantificazione  della  pena
adeguatamente regolata sulle caratteristiche del caso  sottoposto  al
suo giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con tre distinte ordinanze, di tenore in larga parte  analogo
(r.o. n. 130, n. 156 e n. 241 del 2019), il  Tribunale  ordinario  di
Torino solleva questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
628,   secondo   comma,   del   codice   penale,   in    riferimento,
complessivamente, agli artt. 3, 25, secondo comma, 27, terzo comma, e
117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 49  della
Carta  dei  diritti   fondamentali   dell'Unione   europea   (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007. 
    I giudici rimettenti sottolineano che, per  il  reato  di  rapina
cosiddetta impropria (sussistente quando l'autore adopera violenza  o
minaccia  immediatamente  dopo  la  sottrazione   della   cosa,   per
assicurare a se' o ad altri il possesso di quella o per  procurare  a
se' o ad altri l'impunita'), la  disposizione  censurata  commina  le
stesse pene previste, al primo comma del medesimo art. 628 cod. pen.,
per la rapina cosiddetta propria (che si  realizza  quando  l'autore,
mediante violenza alla persona o minaccia,  s'impossessa  della  cosa
mobile altrui, sottraendola a chi la detiene),  con  valore  edittale
minimo per la reclusione pari dapprima a quattro anni (da  applicarsi
nel giudizio che ha originato l'ordinanza r.o. n. 130  del  2019),  e
poi elevato a cinque anni ex art. 6, comma 1, lettera a), della legge
26 aprile 2019, n. 36, recante «Modifiche al codice  penale  e  altre
disposizioni in materia  di  legittima  difesa»  (da  applicarsi  nei
giudizi che hanno originato le ordinanze r.o. n. 156  e  n.  241  del
2019). 
    Posta questa  premessa,  nelle  tre  ordinanze,  complessivamente
considerate, si assume anzitutto che l'art. 628, secondo comma,  cod.
pen. violi l'art. 3 Cost., sotto vari profili. 
    Esso determinerebbe, per un primo verso, un uguale trattamento di
situazioni diseguali, dato che nella rapina  propria  la  violenza  o
minaccia alla persona sarebbero programmate  quali  mezzi  essenziali
per l'aggressione patrimoniale, mentre  nella  rapina  impropria  non
sarebbero preordinate e si manifesterebbero solo eventualmente,  dopo
la sottrazione  della  cosa,  quali  comportamenti  finalizzati  alla
conservazione  della  liberta'.  Si  assume  inoltre,  nell'ordinanza
iscritta al r.o. n. 156 del 2019,  che,  per  la  consumazione  della
rapina  impropria,  non  sarebbe   necessario   neppure   l'effettivo
impossessamento  della  cosa  mobile  altrui,   invece   testualmente
richiesto per l'integrazione della rapina propria, il che  renderebbe
ancor piu' irragionevole l'equiparazione delle  due  fattispecie  sul
piano sanzionatorio. 
    In  secondo  luogo,  di  converso,  la   disposizione   censurata
comporterebbe un trattamento difforme di situazioni eguali. Ritengono
infatti i rimettenti che il legame  cronologico  tra  la  sottrazione
della cosa e l'uso della violenza o minaccia - posto alla base  della
figura  della  rapina  impropria  mediante  il  ricorso  all'avverbio
«immediatamente»  -  sarebbe  irrilevante,  o  comunque  inidoneo   a
legittimare un trattamento punitivo eccedente quello previsto per  il
caso in cui la condotta minacciosa o  violenta  faccia  seguito  alla
sottrazione, allo stesso modo e con le medesime finalita', ma in modo
non immediato, integrando le  fattispecie  di  furto  e  di  violenza
privata, minaccia o resistenza a pubblico ufficiale. In  entrambe  le
ipotesi si sarebbe infatti in presenza di un attacco al patrimonio  e
di un attacco  alla  persona,  di  gravita'  analoga  sia  sul  piano
oggettivo che su quello soggettivo. 
    Nelle ordinanze iscritte al r.o. n. 130 e  n.  156  del  2019  si
sostiene che l'art. 628, secondo comma, cod.  pen.  violerebbe  anche
l'art.  25,  secondo  comma,  Cost.,  posto  che  il   principio   di
offensivita',  espresso  dall'indicata  disposizione  costituzionale,
imporrebbe di regolare la  sanzione  penale  in  modo  adeguato  alla
peculiarita' dell'offesa recata da ciascun fatto concreto,  cio'  che
invece non accadrebbe, a causa degli elevati  valori  edittali  della
disposizione censurata. 
    Secondo le due ordinanze da ultimo  menzionate,  sarebbe  inoltre
leso l'art. 27,  terzo  comma,  Cost.,  posto  che  il  principio  di
finalizzazione rieducativa  della  pena  imporrebbe  un  rapporto  di
proporzionalita' tra sanzione inflitta e gravita' del reato commesso,
ugualmente non  conseguibile  in  virtu'  di  quegli  elevati  valori
edittali. 
    Nell'ordinanza iscritta al r.o. n. 241 del  2019,  il  rimettente
ritiene che la violazione degli appena ricordati  artt.  25,  secondo
comma, e  27,  terzo  comma,  Cost.  si  accompagni  alla  violazione
dell'art. 3 Cost., posto che il principio di  proporzionalita'  della
risposta sanzionatoria, desumibile dai parametri indicati, esigerebbe
previsioni punitive che consentano di adeguare le pene inflitte  alla
gravita' del fatto e dell'offesa, cio'  che  non  sarebbe  possibile,
sempre alla luce degli elevati valori  edittali  stabiliti  dall'art.
628,  secondo  comma,  cod.  pen.,  anche  riguardo  all'ipotesi  del
tentativo. 
    Nella medesima ordinanza  si  prospetta,  infine,  la  violazione
dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione  all'art.  49  CDFUE,
parametri che a loro volta  esigerebbero  previsioni  rispettose  del
principio di proporzionalita' della risposta sanzionatoria. 
    2.- I tre giudizi di legittimita' costituzionale hanno ad oggetto
la  stessa  disposizione,  censurata   in   relazione   a   parametri
costituzionali in gran parte coincidenti, sotto  profili  analoghi  e
con  argomentazioni  sovrapponibili.  Ponendo,  pertanto,  le  stesse
questioni, vanno riuniti e definiti con un'unica pronuncia. 
    3.- In tutti i propri atti di  intervento  l'Avvocatura  generale
dello Stato chiede, in via  preliminare,  che  le  questioni  vengano
dichiarate  inammissibili.  Tale  richiesta,  tuttavia,  e'  motivata
esclusivamente   con   argomenti   di   merito,   volti   a    negare
l'irragionevolezza della  disposizione  censurata  o  il  difetto  di
proporzionalita' della sanzione edittale. Le relative  eccezioni,  di
conseguenza, vanno respinte. 
    Si deve peraltro rilevare una diversa ragione di inammissibilita'
concernente  la  questione   sollevata,   nel   giudizio   introdotto
dall'ordinanza r.o. n. 241 del 2019,  con  riguardo  al  primo  comma
dell'art. 117 Cost., relativamente all'art. 49 della CDFUE. 
    Nella stessa CDFUE e' espressamente stabilito, all'art.  51,  che
le disposizioni della Carta medesima «si applicano [...]  agli  Stati
membri esclusivamente nell'attuazione del  diritto  dell'Unione».  La
giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito, in coerenza  con
un  costante  orientamento  della  Corte  di  giustizia   dell'Unione
europea, che le norme  sovranazionali  in  questione  possono  essere
invocate  nel  giudizio  di  legittimita'   costituzionale   solo   a
condizione che «la fattispecie sottoposta all'esame del  giudice  sia
disciplinata dal diritto europeo [...]  e  non  gia'  da  sole  norme
nazionali prive di ogni legame con tale diritto» (sentenza n. 80  del
2011). 
    Su tale premessa, si e'  piu'  volte  rilevato  come  il  giudice
rimettente sia chiamato a dare contezza  delle  ragioni  per  cui  la
disciplina censurata vale  ad  attuare  il  diritto  dell'Unione.  In
mancanza, la prospettazione dei motivi di asserito contrasto  tra  la
norma denunciata e il parametro costituzionale risulta generica,  con
conseguente inammissibilita' della relativa  questione  (sentenze  n.
279 del 2019, n. 37 del 2019, n. 194 del 2018, n. 111 del 2017, n. 63
del 2016). 
    Poiche' l'ordinanza di rimessione iscritta al  r.o.  n.  241  del
2019  non  contiene  i  riferimenti  appena  indicati,  la  questione
concernente l'art. 117, primo comma, Cost., con essa sollevata,  deve
essere dichiarata inammissibile. 
    4.-  Come  si  e'  visto,  le  ordinanze  di  rimessione  pongono
anzitutto in evidenza profili di asserito contrasto fra  l'art.  628,
secondo comma, cod. pen., e l'art.  3  Cost.,  sia  per  lesione  del
principio di uguaglianza formale, sia per violazione del principio di
ragionevolezza. 
    Tre  sono,  piu'  precisamente,  i   profili   sottolineati   dai
rimettenti. 
    La prima censura scaturisce dalla comparazione tra la fattispecie
di rapina impropria e quella di rapina propria, e attiene ai  profili
soggettivi  delle  condotte   criminose.   E'   qui   contestata   la
parificazione del trattamento sanzionatorio  nelle  due  ipotesi,  in
spregio a una differenza ritenuta invece fondamentale dai  giudici  a
quibus: nella rapina propria, il ricorso alla violenza,  quale  mezzo
per  la  sottrazione  della  cosa,  sarebbe   preordinato,   se   non
addirittura premeditato, cosi' da manifestare una forte intensita' di
dolo e una determinazione criminale particolarmente spiccata; per  la
rapina impropria, il ricorso alla violenza  sarebbe  invece  soltanto
eventuale, ed esprimerebbe un atteggiamento  meno  significativo  sul
piano  della  pericolosita',  essendo   in   sostanza   dovuto   alla
comprensibile volonta' di sottrarsi alla punizione e di conservare la
liberta'. 
    La seconda  censura,  sempre  all'esito  della  comparazione  tra
rapina propria e  impropria,  riguarda  la  soglia  prevista  per  la
consumazione del reato. Nella  prima  fattispecie,  e'  richiesto  il
completo perfezionamento dell'aggressione all'altrui patrimonio  (non
solo   la   sottrazione   in   danno   della   vittima,   ma    anche
l'impossessamento a vantaggio del reo), mentre nella seconda il reato
e' integrato gia' solo dalla sottrazione della cosa,  senza  che  sia
necessaria l'instaurazione di una  nuova  situazione  possessoria  in
capo all'agente: si sarebbe,  dunque,  in  presenza  di  una  lesione
asseritamente meno grave del bene oggetto della tutela. 
    Mentre i due profili fin  qui  considerati  dovrebbero  condurre,
nella  logica  dei  rimettenti,  alla  differenziazione  dei   valori
edittali di pena previsti al primo e al secondo comma  dell'art.  628
cod. pen., la considerazione del terzo profilo di censura  indurrebbe
invece alla ricerca di una corrispondenza  tra  la  sanzione  per  la
rapina impropria e quella irrogabile per fatti di furto, cui facciano
seguito reati finalizzati a evitare la punizione o ad  assicurare  il
possesso gia' conseguito della cosa mobile altrui. 
    A differenziare le due situazioni -  notano  i  rimettenti  -  e'
attualmente il dato della "immediatezza", o meno,  della  violenza  o
della minaccia rispetto al compimento della sottrazione. Tuttavia,  a
loro avviso, questa sola differenza non varrebbe  a  giustificare  la
diversita' delle conseguenze sanzionatorie previste per l'una  e  per
l'altra   ipotesi.   Cio',   anzitutto,   perche'   la   nozione   di
"immediatezza" sarebbe incerta e foriera di prassi  giurisprudenziali
divergenti. Inoltre, la (piu' o meno) immediata sequenza tra furto  e
violenza o minaccia non inciderebbe ne' sulla gravita' obiettiva  del
fatto (resterebbero immutati i beni giuridici e le forme  della  loro
lesione) ne'  sui  profili  soggettivi  del  fatto  medesimo  (sempre
segnati da un dolo di furto e dalla particolare strumentalita'  della
violenza o della minaccia che al furto conseguono). 
    5.- Secondo i giudici a quibus, i  vulnera  lamentati  andrebbero
superati  non  gia'  attraverso  la   ricerca   di   una   dosimetria
sanzionatoria alternativa per il reato di cui all'art.  628,  secondo
comma, cod. pen., ma,  piu'  semplicemente,  attraverso  la  radicale
ablazione della previsione incriminatrice. La relativa  dichiarazione
di  illegittimita'  costituzionale   varrebbe,   sia   ad   eliminare
l'identico, e illegittimo, trattamento  sanzionatorio  di  situazioni
eterogenee, sia a introdurre un analogo  trattamento  per  situazioni
assimilabili, mediante la riespansione delle  figure  gia'  confluite
nel  reato  complesso  e  con  la  conseguente  "sostituzione"  della
fattispecie di rapina impropria con  quelle  di  furto  e  dei  reati
commessi "in sequenza" (violenza o resistenza a  pubblico  ufficiale,
ad esempio). 
    6.- Il percorso motivazionale  dei  rimettenti  non  puo'  essere
condiviso in nessuno dei suoi passaggi e le questioni di legittimita'
costituzionale cosi' argomentate sono pertanto non fondate. 
    6.1.- Non e' vero, anzitutto,  che  le  due  condotte  di  rapina
punite dall'art. 628 cod. pen. rivelino necessariamente differenze in
termini di capacita' criminale del soggetto agente. 
    In  entrambi  i  casi,  si  tratta  di  condotte  consapevoli   e
volontarie,   in   cui   l'oggetto   del    dolo    comprende,    sia
l'impossessamento della cosa  mobile  altrui,  sia  il  ricorso  alla
violenza o alla minaccia. In entrambi, soprattutto, le condotte  sono
considerate  nel  contesto  unitario  di  una  medesima   aggressione
patrimoniale. 
    La diversa fisionomia del dolo dipendera' piuttosto, nel  singolo
caso, dal rapporto tra azione sulla cosa e condotta rivolta contro la
persona, con la conseguenza che,  nella  rapina  impropria,  il  dolo
potra' eventualmente indirizzarsi, piu' che sul consolidamento  della
situazione possessoria, sul conseguimento dell'impunita'.  Nondimeno,
anche nella rapina impropria, l'aggressione contro l'incolumita' o la
liberta' morale della vittima puo' essere  finalizzata  a  conseguire
l'impossessamento della  cosa,  perfino  in  situazioni  in  cui  non
sarebbe affatto necessaria per  evitare  la  punizione  (ad  esempio,
quando la persona offesa - sorpresa in un luogo solitario - tenti  il
recupero delle cose sottratte senza la volonta' o la possibilita'  di
fermare l'agente). 
    In secondo luogo, e' arbitraria tanto la generalizzazione per cui
il rapinatore punibile ai sensi del primo comma  dell'art.  628  cod.
pen. agisce sempre secondo una volonta' preordinata di  ricorso  alla
violenza  (se   non   addirittura   in   una   condizione   di   vera
"premeditazione"), quanto  l'analoga  generalizzazione  che  vede  il
responsabile di una rapina impropria agire con  un  dolo  istantaneo,
quasi insorto contro i suoi piani  originari.  Con  riferimento  alla
prima ipotesi, puo' infatti osservarsi come spesso la  violenza  alla
persona, quale strumento mirato alla sottrazione,  sia  frutto  delle
contingenze maturate nel corso di un  furto,  e  non  sia  come  tale
programmato (si pensi solo alla resistenza  inaspettatamente  opposta
dalla vittima di un furto  con  strappo).  E,  con  riferimento  alla
seconda, e' perfettamente concepibile che il  ricorso  alla  violenza
come mezzo per conseguire l'impunita' o assicurare il possesso  della
cosa sia realmente programmato, a titolo  eventuale  o  perfino  come
passaggio ineliminabile per il perfezionamento del reato patrimoniale
(si pensi alla sicura necessita' di superare controlli in uscita  dal
luogo della sottrazione). 
    In entrambe le figure  di  rapina,  insomma,  ferma  restando  la
voluta   compresenza   di   un'aggressione   al   patrimonio   e   di
un'aggressione  alla   persona,   possono   riscontrarsi   situazioni
variabili in  punto  di  dolo  e,  piu'  in  generale,  di  capacita'
criminale desumibile dal fatto: situazioni appunto diverse in  fatto,
ma non distinguibili in principio. Del resto, la  variabilita'  delle
situazioni trova fisiologica  risposta  differenziante  nell'utilizzo
delle possibilita'  offerte  dall'ampiezza  della  cornice  edittale,
secondo la valutazione giudiziale del caso concreto. 
    6.2.- Non convince nemmeno l'argomento relativo  alla  soglia  di
consumazione del reato, che sarebbe piu' arretrata nella  fattispecie
di rapina impropria e dovrebbe quindi implicare una  minore  gravita'
del fatto sul piano obiettivo della lesione. 
    L'argomento relativo  ai  requisiti  per  la  consumazione  della
rapina   impropria,   strettamente    connesso    al    tema    della
configurabilita' del delitto nella forma tentata, e' stato oggetto di
ampio dibattito, e  anche  di  divergenze,  in  giurisprudenza  e  in
dottrina.  Nel  diritto  vivente,  consolidatosi  a   seguito   d'una
pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione in  punto  di
ammissibilita' del tentativo (sentenza 19 aprile - 12 settembre 2012,
n. 34952), e' ormai riconosciuto che il reato si  consuma  a  seguito
della  sottrazione  della  cosa  altrui,  senza  che  sia  necessaria
l'instaurazione di una nuova e autonoma  situazione  di  possesso  in
capo all'agente (da ultimo, ex multis, Corte di  cassazione,  sezione
seconda penale, sentenza 22 febbraio - 8 marzo 2017, n.  11135).  Del
resto, soccorre nello stesso senso il dato letterale: l'art. 628 cod.
pen. distingue tra  sottrazione  e  impossessamento,  includendo  nel
primo comma entrambi i fattori come elementi  costitutivi  sul  piano
materiale, e indicando invece l'impossessamento, nel  secondo  comma,
quale  obiettivo  "da  assicurare"  mediante  l'azione   violenta   o
minacciosa, attuata «immediatamente dopo la sottrazione». 
    Si puo' concedere che i rimettenti non errino,  quando  osservano
che, nelle due forme di rapina, non e'  perfetta,  al  di  la'  della
sequenza diversamente ordinata, la sovrapposizione tra  gli  elementi
costitutivi del reato. E' priva di fondamento, pero', la pretesa  che
una siffatta differenza imponga un diverso trattamento  sanzionatorio
delle due fattispecie, soprattutto perche' l'opzione legislativa, che
invece lo  parifica,  non  e'  certo  qualificabile  come  frutto  di
irragionevolezza manifesta, la sola che giustificherebbe l'intervento
di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 212, n.  155,  n.  115,  n.
112, n. 88 e n. 40 del 2019, nonche' ordinanza n. 66 del 2020). 
    Infatti,  il  tratto  qualificante  delle  previsioni   confluite
nell'art. 628 cod. pen. e' dato dal ricorso a una condotta violenta o
minacciosa nel medesimo contesto - di tempo  e  di  luogo  -  di  una
aggressione patrimoniale, e proprio questo  vale  a  giustificare  la
costruzione di un reato complesso, di cui sono  elementi  costitutivi
(o circostanze aggravanti) piu' fatti che costituirebbero  reato  per
se' stessi (art. 84 cod. pen.). Soprattutto, la combinazione di  tali
elementi comporta non irragionevolmente un trattamento  sanzionatorio
diverso rispetto a quello che sarebbe applicabile in base  al  cumulo
delle figure componenti, come meglio si dira'. 
    Questa essendo la fondamentale ratio del delitto di rapina (anche
nella forma impropria) quale reato complesso, si  comprende  come  il
legislatore  non  abbia  assegnato  rilievo,  sul  piano  dei  valori
edittali di pena, all'elemento differenziale costituito dalla mancata
instaurazione di  una  situazione  possessoria  in  capo  all'agente:
elemento che nulla sottrae al nucleo comune ed essenziale delle forme
di aggressione patrimoniale mediante violenza o minaccia. Si aggiunga
che  la  mancanza  di  una  nuova  situazione  di  possesso  e'  solo
eventuale, perche' la rapina impropria resta tale, con valori di pena
invariati, anche  quando  l'agente  consegue,  sia  l'impossessamento
della  cosa,  sia  l'impunita',  approdando  a  una  piena,  nuova  e
indisturbata condizione di possesso. L'irrilevanza di quest'ultimo ed
eventuale  segmento  della  sequenza,  sul   piano   astratto   della
previsione edittale di pena, conferma che, nell'economia del  secondo
comma dell'art.  628  cod.  pen.,  il  disvalore  del  fatto  non  e'
condizionato dal perfezionamento  "definitivo"  dell'aggressione,  ma
dalla contestualita' e dal finalismo delle due componenti  essenziali
della condotta tipica. 
    6.3.-   I   ripetuti   riferimenti   compiuti   al   tema   della
contestualita' dell'aggressione a beni giuridici diversi  introducono
alla valutazione della terza ipotesi di preteso contrasto con  l'art.
3 Cost., asseritamente derivante, a differenza delle  prime  due,  da
un'indebita diversificazione nel trattamento di situazioni  analoghe,
quali la rapina impropria da una parte e il furto  seguito  da  reati
volti a evitare  la  punizione  o  ad  assicurare  il  possesso  gia'
conseguito della cosa mobile altrui, dall'altra parte. 
    Privi di pregio, anzitutto, sono  i  rilievi  che  contestano  la
capacita' descrittiva del connotato di "immediatezza" che, secondo il
tenore della norma incriminatrice  censurata,  deve  legare  l'azione
violenta o minacciosa alla compiuta  sottrazione  della  cosa  mobile
altrui.  L'avverbio  «immediatamente»,  ampiamente   e   univocamente
utilizzato  non  solo  nel  diritto  penale,   esprime   infatti   un
significato non particolarmente controvertibile. Esso e' nella specie
coniugato a un fatto ben determinato (l'avvenuta sottrazione) e  cio'
accentua la chiarezza del dato letterale:  non  deve  trascorrere  un
lasso di tempo apprezzabile tra sottrazione  e  condotta  violenta  o
minacciosa. 
    Nel diritto vivente, poi, la portata della prescrizione  e'  resa
ancor  piu'  netta  dal  riferimento  che  la  giurisprudenza  compie
tradizionalmente alla nozione  di  flagranza  (e  in  particolare  di
"quasi flagranza")  tratta  dal  diritto  processuale  penale.  Nella
vigente disposizione del codice di rito, questa designa la condizione
di chi «subito dopo il reato, e' inseguito [...] ovvero  e'  sorpreso
con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato
immediatamente prima» (art.  382  codice  di  procedura  penale).  La
prossimita' cronologica vale  a  rendere  inequivoca  l'attinenza  al
reato delle cose o delle tracce riferibili all'agente, senza che,  in
proposito, siano necessarie particolari  indagini  o  indicazioni  di
terzi. In difetto, la condizione di  flagranza  deve  essere  esclusa
(Corte di cassazione, sezioni unite, 24 novembre 2015 - 21  settembre
2016, n. 39131). 
    Dunque, trattando del delitto di rapina impropria, e pur talvolta
affermando  che  l'unita'  di  contesto  tra  condotta   violenta   o
minacciosa e azione di spossessamento non viene necessariamente  meno
quando si registri il decorso di un (breve) lasso di tempo tra  l'una
e  l'altra,  la  giurisprudenza  recupera  un  sicuro   criterio   di
interpretazione  della   fattispecie   incriminatrice,   escludendone
l'integrazione quando mancherebbe la possibilita' di identificare una
condizione di "quasi flagranza" (tra le decisioni piu' recenti in tal
senso,  in  conformita'  a   numerosissimi   precedenti,   Corte   di
cassazione, sezione seconda penale, sentenza 26 giugno -  16  ottobre
2012, n. 40421). 
    Cio' premesso, non e' corretto l'assunto, comune  ai  rimettenti,
secondo cui il connotato di immediatezza, o la sua assenza, sarebbero
indifferenti ai fini della valutazione del fatto,  nei  suoi  profili
soggettivi  e  oggettivi   di   gravita'.   Tutt'al   contrario,   la
contestualita' del rischio per il patrimonio e per l'incolumita' o la
liberta'  morale  della  persona  dilata  la  dimensione  del   fatto
criminoso oltre la mera somma dei suoi fattori: sul piano  obiettivo,
per l'allarme sociale, per la diminuita difesa della vittima sorpresa
dall'aggressione e per la mancanza di alternative utili  alla  tutela
del suo patrimonio, per il particolare  rischio  di  conseguenze  sul
piano della incolumita' dovuto alla concitazione normalmente  propria
dell'evento, per la peculiare  forza  offensiva  di  una  spoliazione
fondata non solo sulla sottrazione ma anche sulla violenza; sul piano
soggettivo, per la forte determinazione criminale  espressa  da  chi,
nell'opzione  tra  rinuncia   al   beneficio   patrimoniale   e   suo
perseguimento mediante l'aggressione alla persona, si  determina  per
la seconda, che presenta le caratteristiche appena indicate. 
    Per queste ragioni, il legislatore ha ritenuto di dar vita a  una
fattispecie complessa, fondata  proprio  sulla  contestualita'  della
complessiva azione criminosa, di cui i rimettenti negano il rilievo. 
    Una tale opzione attiene  pienamente  all'ampia  discrezionalita'
che caratterizza le scelte di politica penale e  sanzionatoria.  Alla
ricerca  di  rimedi  per  l'eliminazione  di  pene  avvertite   quali
sproporzionate,  i  giudici  a  quibus   finiscono   per   contestare
frontalmente l'opzione in parola,  proponendosi  di  "sciogliere"  il
reato  complesso,  e  cosi'  di  ottenere,  attraverso  una  radicale
pronuncia  di   ablazione,   la   "automatica"   sostituzione   della
fattispecie originaria, tramite la riespansione di  altre  figure  di
reato contro il patrimonio (delle varie fattispecie di furto, e  poi,
in sequenza, di quelle di violenza privata o  resistenza  a  pubblico
ufficiale, in primis). In tal modo, ben piu' che la sola sproporzione
per eccesso del  trattamento  sanzionatorio  (di  cui  si  dira'  tra
breve), le ordinanze introduttive dell'odierno giudizio finiscono per
porre in discussione la stessa legittimita' di figure  criminose  che
riflettono e valorizzano la concomitanza  delle  lesioni  tipiche  di
piu' fattispecie, e che sono frutto di  valutazioni  legislative  non
afflitte da manifesta irragionevolezza. 
    6.4.- Del resto, il rilievo del carattere di immediatezza,  e  la
"specialita'"  del  trattamento   che   ne   deriva   -   in   virtu'
dell'applicazione del secondo comma dell'art. 628 cod. pen.  riguardo
alle condotte in cui  la  sottrazione  e'  seguita  da  una  condotta
violenta o minacciosa - non  sono  affatto  limitate  al  trattamento
sanzionatorio, ma si  inseriscono  armonicamente  nel  sistema  delle
norme sostanziali e processuali vigenti. 
    Nei confronti dell'agente  che  attui  violenza  o  minaccia  nel
medesimo contesto della  sottrazione  (o  in  contesti  assimilabili,
attraverso la  nozione  gia'  precisata  di  "quasi  flagranza"),  il
soggetto passivo del reato e perfino i  terzi  -  fermo  restando  il
requisito della proporzionalita'  -  sono  autorizzati  a  usare  una
violenza di  segno  contrario,  cioe'  a  difendere  direttamente  il
diritto aggredito, in applicazione dell'art. 52 cod.  pen.,  rompendo
addirittura il monopolio dello Stato circa  l'uso  della  coercizione
per la prevenzione e la repressione dei reati. Ricorrono, in breve, i
presupposti  della  legittima  difesa.  Rilievi  analoghi  valgono  a
maggior ragione per gli agenti di polizia, i  quali,  alla  luce  del
valore sintomatico del fatto e  dell'evidenza  della  prova  connessa
alla condizione di flagranza prima descritta, devono anche  procedere
all'arresto dell'interessato, di propria iniziativa e senza il previo
intervento dell'autorita' giudiziaria. 
    Completamente diverso e',  invece,  il  quadro  che  si  presenta
laddove difetti il requisito della immediatezza. La vittima del furto
non e' autorizzata in alcun modo a utilizzare violenza o minaccia  al
fine di riottenere il possesso della cosa, e anzi, se procede in  tal
senso, si espone a proprie  responsabilita'  penali  (si  pensi  alla
fattispecie  di  esercizio  arbitrario  delle  proprie  ragioni   con
violenza alle persone: art. 393 cod. pen.).  Deve  dunque  rivolgersi
alla giurisdizione, proponendo un'azione possessoria (art. 1168  cod.
civ.). 
    Sul piano penale, soprattutto, l'autore del fatto non  puo'  piu'
essere arrestato, e l'eventuale applicazione di una misura  cautelare
nei suoi confronti (salva l'ipotesi di un  fermo  ex  art.  384  cod.
proc. pen., che comunque puo' intervenire solo in casi particolari, a
fronte del rischio di fuga) richiede una valutazione giudiziale,  sia
riguardo alla gravita' degli indizi  di  colpevolezza,  sia  riguardo
alla ricorrenza delle esigenze cautelari indicate nell'art. 274  cod.
proc. pen. 
    Come si  e'  detto,  aspetti  differenziali  di  tale  importanza
dipendono dal connotato di immediatezza, che  impone  di  distinguere
nettamente la rapina  impropria  dai  furti  seguiti  da  violenza  o
minaccia. Essi  non  costituiscono,  come  asseriscono  i  giudici  a
quibus,  il  risultato  di  una  distinzione  illogica,  ma  sono  al
contrario  corollario  della  coerente  collocazione  dell'art.  628,
secondo comma, cod. pen. in un  sistema  complesso  di  disposizioni,
sostanziali e processuali, dal  quale  non  sarebbe  giustificato,  e
tanto meno costituzionalmente imposto, espungerlo. 
    7.-  Le  ordinanze  di  rimessione  censurano  il  secondo  comma
dell'art. 628 cod.  pen.  anche  per  violazione  del  secondo  comma
dell'art.  25  Cost.,  in  rapporto  al   principio   di   necessaria
offensivita' dei fatti penalmente rilevanti.  E'  sollevata  altresi'
questione in riferimento al terzo comma dell'art. 27 Cost.,  riguardo
al principio di proporzionalita' delle  pene  quale  presupposto  per
l'efficacia  delle  pene  medesime  in  chiave  di  rieducazione  del
condannato, che non  deve  percepire  la  sanzione  inflittagli  come
ingiusta ed eccessiva. 
    7.1.- Le censure  complessivamente  proposte  dai  rimettenti  in
riferimento  ai  parametri  appena   menzionati   presentano   alcune
apprezzabili   differenze,   spaziando   fra    un    sindacato    di
proporzionalita' della pena condotto  mediante  comparazione  con  la
sanzione prevista per  altre  fattispecie  ritenute  assimilabili  (o
meno) a quella di rapina impropria, e un  sindacato  invece  condotto
direttamente, in termini assoluti, sull'entita' del minimo edittale. 
    Pur tenendo conto di cio', l'impianto  generale  delle  questioni
sollevate e' essenzialmente  retto  da  una  logica  comparativa.  In
particolare, l'argomentazione dei rimettenti sulla  sproporzione  per
eccesso della sanzione minima  concernente  la  rapina  impropria  si
fonda soprattutto sull'equiparazione asseritamente indebita  di  tale
sanzione rispetto a quella prevista per  un  reato  considerato  piu'
grave (la  rapina  propria),  o  sul  superamento,  che  si  vorrebbe
indebito, di soglie fissate per reati considerati  di  gravita'  pari
(il furto seguito da violenza o minaccia). 
    Ne consegue che,  una  volta  stabilita  la  non  fondatezza  dei
rilievi  direttamente  riferiti  ai   principi   di   uguaglianza   e
ragionevolezza, non  v'e'  ragione  per  non  estendere  la  medesima
conclusione alle questioni sollevate in riferimento ai parametri  ora
in esame. 
    7.2.-  Con  specifico  riguardo   alle   censure   in   tema   di
proporzionalita' della  pena,  deve  aggiungersi  come  il  rapido  e
marcato incremento dei valori edittali per la rapina impropria -  che
in larga parte ha originato le censure qui in esame - non rappresenta
una scelta isolata, ma si inserisce nel quadro di una complessiva,  e
severa, strategia di contrasto alle aggressioni patrimoniali  segnate
da violenza o minaccia. 
    Anzitutto, come si e' visto, gli aumenti di  pena  relativi  alla
fattispecie qui in questione  sono  il  frutto  di  una  disposizione
dettata anche per il delitto di rapina propria, punito al primo comma
dell'art. 628 cod. pen., al cui testo il secondo comma fa riferimento
in punto di valori edittali della pena.  Tali  aumenti,  operati  una
prima volta mediante il comma 8 dell'art. 1  della  legge  23  giugno
2017, n. 103 (Modifiche al codice  penale,  al  codice  di  procedura
penale e  all'ordinamento  penitenziario),  si  aggiungono  a  quelli
disposti, nello stesso contesto  normativo,  riguardo  al  furto  con
strappo o in abitazione (art. 624-bis cod. pen., come  modificato  ex
art. 1, comma 6, della citata legge n. 103 del 2017)  e  riguardo  al
delitto di estorsione (art. 629 cod. pen., nel  testo  modificato  ex
art.  1,  comma  9,  della  stessa  legge).  Va  ricordato  anche  il
contemporaneo  incremento  di  pena  in  caso  di  ricorrenza   delle
aggravanti specifiche per il furto sanzionato ex art. 624  cod.  pen.
(art. 625 cod. pen., nel testo novellato  dal  comma  7  dell'art.  1
della  legge  n.  103  del  2017),  parte   delle   quali   connotate
dall'esercizio di violenza sulle cose. 
    La stessa ispirazione ha mosso modificazioni ancor piu'  recenti,
che hanno interessato le previsioni sanzionatorie  delle  fattispecie
di furto con strappo o in abitazione: l'art. 5 della legge 26  aprile
2019, n. 36 (Modifiche al  codice  penale  e  altre  disposizioni  in
materia di legittima difesa) ha  infatti  ulteriormente  innalzato  i
valori minimi (e in qualche caso anche i massimi) fissati  nei  commi
primo e terzo dell'art. 624-bis cod. pen. Alla  medesima  novella  si
deve altresi' l'ulteriore incremento della sanzione comminata  per  i
delitti di rapina, realizzato modificando  i  commi  primo,  terzo  e
quarto dell'art. 628 cod. pen. (art. 6 della citata legge n.  36  del
2019). 
    Considerata  in  un  simile  contesto,   manca   percio',   nella
disposizione censurata, quel connotato di anomalia che avrebbe potuto
rappresentare il sintomo di  una  irragionevolezza  intrinseca  della
previsione punitiva. 
    Tuttavia, proprio considerando il complesso degli  interventi  in
cui gli aumenti di pena ora in questione si inseriscono, questa Corte
non puo' esimersi dal rilevare che la pressione punitiva  attualmente
esercitata  riguardo  ai  delitti  contro  il  patrimonio  e'   ormai
diventata  estremamente  rilevante.  Essa  richiede  percio'  attenta
considerazione  da  parte  del  legislatore,   alla   luce   di   una
valutazione, complessiva e comparativa, dei beni  giuridici  tutelati
dal diritto penale e del livello di protezione loro assicurato.