ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 5-quater,
comma 1, lettera b), e 5-quinquies, comma 10,  del  decreto-legge  28
giugno  1990,  n.  167  (Rilevazione  a  fini   fiscali   di   taluni
trasferimenti  da  e  per  l'estero  di  denaro,  titoli  e  valori),
convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 1990, n.  227,  e
dell'art. 6, comma 3, del decreto legislativo 18  dicembre  1997,  n.
472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative  per
le violazioni di norme tributarie, a  norma  dell'articolo  3,  comma
133,  della  legge  23  dicembre  1996,  n.  662),   promosso   dalla
Commissione  tributaria  provinciale  di  Genova   nel   procedimento
vertente tra P. B. e l'Agenzia delle entrate - Direzione  provinciale
di Genova, con ordinanza del 7 gennaio 2019, iscritta al  n.  74  del
registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  P.  B.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  4  novembre  2020  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    uditi gli avvocati Nicolo' Raggi e  Andrea  Manzi  per  P.  B.  e
l'avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri, in collegamento da remoto, ai sensi del punto
1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 4 novembre 2020. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 7 gennaio  2019,  la  Commissione
tributaria provinciale di Genova ha sollevato,  in  riferimento  agli
artt.  3,  27,  53,  97  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo in relazione agli artt. 6 e 7 della Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questioni di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  5-quater,  comma   1,   lettera   b)   del
decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167 (Rilevazione a fini  fiscali  di
taluni trasferimenti da e per l'estero di denaro, titoli  e  valori),
convertito, con modificazioni, nella legge 4  agosto  1990,  n.  227,
nella parte in cui prevede che «[i]l mancato pagamento di  una  delle
rate comporta  il  venir  meno  degli  effetti  della  procedura»  di
collaborazione  volontaria  (cosiddetta   voluntary   disclosure)   e
dell'art. 5-quinquies, comma 10, del medesimo d.l.,  nella  parte  in
cui prevede che se il contribuente «non versa  le  somme  dovute  nei
termini  previsti  dall'art.  5-quater,  comma  1,  lettera  b),   la
procedura di collaborazione volontaria non si  perfeziona  e  non  si
producono gli effetti di cui ai commi  1,  4,  6  e  7  del  presente
articolo», ovverosia gli effetti premiali della voluntary disclosure,
con  conseguente  ripresa  dell'attivita'  ordinaria  accertativa   e
sanzionatoria da parte dell'Agenzia delle entrate; 
    che il rimettente ha altresi' prospettato,  in  riferimento  agli
artt. 3, 27 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli
artt. 6 e 7 CEDU, questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.
6, comma  3,  del  decreto  legislativo  18  dicembre  1997,  n.  472
(Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative  per  le
violazioni di norme tributarie, a norma dell'articolo 3,  comma  133,
della legge 23 dicembre 1996,  n.  662),  «come  interpretato»  dalla
giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione,   per   il   quale   il
contribuente non e' assoggettato a sanzione solo «se  dimostr[i]  che
il pagamento del tributo non e' stato eseguito per  fatto  denunciato
all'autorita' giudiziaria e  addebitabile  esclusivamente  a  terzi»,
nella parte in cui non  consente  l'applicabilita'  dell'esimente  ai
casi  di  «responsabilita'   oggettiva   per   fatto   altrui   senza
possibilita' di fornire alcuna prova a proprio favore»; 
    che le questioni sono sorte nel corso di un giudizio promosso  da
P. B. per l'annullamento di un avviso di  contestazione  di  sanzioni
pecuniarie,  in  misura  ordinaria,  per  violazioni  in  materia  di
monitoraggio fiscale relativamente agli anni 2009-2013; 
    che, secondo la prospettazione del rimettente,  la  contribuente,
avviata la procedura di voluntary disclosure,  aveva  poi  omesso  di
versare nei termini le somme dovute e aveva quindi subito il  mancato
perfezionamento della procedura e l'applicazione delle sanzioni piene
rispetto alle annualita' in cui si era autodenunciata; 
    che, pur risultando «[p]acifico e non contestato che il pagamento
di quanto dovuto a titolo di voluntary  disclosure  era  avvenuto  in
ritardo  rispetto  ai  termini   previsti»,   l'intempestivita'   del
versamento era da ascrivere unicamente al comportamento omissivo  del
consulente  incaricato  dell'espletamento  della  pratica,   al   cui
indirizzo di posta  elettronica  certificata  la  contribuente  aveva
scelto che arrivassero tutte le notifiche inerenti la procedura; 
    che   nessuna   responsabilita'   sarebbe    attribuibile    alla
contribuente, ne' quale culpa in eligendo, ne'  in  vigilando,  anche
considerato  che  «pochi  giorni  dopo  aver  appreso  della  mancata
comunicazione, essa si era prontamente attivata per il pagamento»; 
    che,  illustrati  i  tratti  essenziali  della  disciplina  della
voluntary disclosure, ad avviso del rimettente, nella specie, dato il
«carattere sostanziale»  della  «violazione»,  sarebbe  da  escludere
l'applicabilita' sia della disciplina del  "lieve  inadempimento"  di
cui all'art. 15-ter del decreto del Presidente  della  Repubblica  29
settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle  imposte
sul reddito), che quella dell'esimente per natura  meramente  formale
della violazione di cui  all'art.  6,  comma  5-bis,  del  menzionato
d.lgs. n. 472 del 1997; 
    che la previsione del venir meno degli effetti della procedura in
conseguenza del mancato pagamento nei termini (senza differenziare il
pagamento tardivo da quello omesso) avrebbe «carattere  sanzionatorio
in senso lato» e sostanzialmente penale secondo i cosiddetti "criteri
Engel", sia in forza delle «gravi conseguenze anche sul piano  penale
conseguenti al mancato perfezionamento del beneficio della  voluntary
disclosure e alla infruttuosa  autodenuncia  del  contribuente»,  sia
«perche' dal mancato pagamento nei termini di legge e' scaturita  una
specifica sanzione (tributaria) inflitta alla  B.  equiparabile,  per
quanto infra, ad una sanzione penale»; 
    che  la  decadenza  dal   regime   della   voluntary   disclosure
integrerebbe «una responsabilita' oggettiva per  fatto  altrui  senza
possibilita' di fornire alcuna prova a proprio favore»; 
    che, sulla base di tali premesse, gli artt.  5-quater,  comma  1,
lettera b), e 5-quinquies,  comma  10,  del  d.l.  n.  167  del  1990
contrasterebbero con: 
    a) l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e  7
CEDU,  come  interpretati  dalla  giurisprudenza   della   Corte   di
Strasburgo (decisioni 8 giugno  1976,  Engel  e  altri  contro  Paesi
Bassi; 21 febbraio 1984, Öztürk contro Germania;  1°  febbraio  2005,
Ziliberberg contro Moldavia); 
    b) l'art. 27 Cost., con riferimento al principio di  personalita'
della pena, che «implica il divieto della responsabilita'  oggettiva,
relativo a situazioni in cui gli elementi  piu'  significativi  della
fattispecie  non  siano  coperti  almeno  dalla  colpa  dell'agente»,
perche'  determinerebbero  l'attribuzione  di   una   responsabilita'
oggettiva; 
    c) l'art. 3 Cost., con riferimento al principio di ragionevolezza
che «esige che la pena  sia  proporzionata  al  disvalore  del  fatto
illecito commesso»,  perche'  equiparerebbero  «un  semplice  ritardo
nell'adempimento dei doveri tributari alla ben piu' grave omissione»,
peraltro configurando una «pena fissa»; 
    d) gli artt. 3 e 97 Cost., con riferimento,  rispettivamente,  ai
principi di uguaglianza e di imparzialita' dell'agire della  pubblica
amministrazione, perche', tenuto conto della riapertura  dei  termini
per accedere alla procedura  di  collaborazione  volontaria  disposti
dall'art. 7 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n.  193  (Disposizioni
urgenti in  materia  fiscale  e  per  il  finanziamento  di  esigenze
indifferibili), convertito con modificazioni nella legge 1°  dicembre
2016, n. 225, stabilirebbero per «il contribuente che avesse  versato
in ritardo il dovuto  a  titolo  di  voluntary  disclosure  [...]  un
trattamento deteriore rispetto a colui la  cui  istanza  fosse  stata
ritenuta inammissibile e/o improcedibile»; 
    e) l'art. 53  Cost.,  perche',  «imponendo  al  contribuente  che
avesse inteso fruire del beneficio fiscale  il  rispetto  di  termini
incongrui, non suscettibili di alcuna via di  uscita»,  denoterebbero
«un uso distorto dello strumento sanzionatorio», perseguendo «il fine
di assicurare un prelievo  di  ricchezza»  senza  tener  conto  della
capacita' contributiva del soggetto agente; 
    che, ad avviso del rimettente, di  tale  disciplina  non  sarebbe
possibile fornire un'interpretazione costituzionalmente orientata; 
    che, sulla scorta dei medesimi presupposti interpretativi, l'art.
6, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997, per il quale il  contribuente
non e' assoggettato a sanzione solo «se dimostr[i] che  il  pagamento
del tributo non e' stato eseguito per fatto denunciato  all'autorita'
giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi»,  nella  parte  in
cui  non  consente  l'applicabilita'   dell'esimente   ai   casi   di
«responsabilita' oggettiva per fatto  altrui  senza  possibilita'  di
fornire alcuna prova a proprio favore», violerebbe: 
    a) l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e  7
CEDU,  come  interpretati  dalla  giurisprudenza   della   Corte   di
Strasburgo (decisioni 8 giugno  1976,  Engel  e  altri  contro  Paesi
Bassi; 21 febbraio 1984, Öztürk contro Germania;  1°  febbraio  2005,
Ziliberberg contro Moldavia); 
    b) l'art. 27 Cost., con riferimento al principio di  personalita'
della pena; 
    c)  l'art.   3   Cost.,   con   riferimento   al   principio   di
ragionevolezza; 
    che, ai fini della rilevanza, le disposizioni censurate sarebbero
«l'unico ostacolo che si frappone all'accoglimento del ricorso» della
B., in quanto «le ulteriori  censure,  ove  accolte,  comporterebbero
solo una rimodulazione della sanzione»; 
    che, con atto depositato il 10 giugno 2019, si e'  costituita  la
contribuente, la quale, condividendo i presupposti interpretativi del
rimettente, ritiene pero' che i dubbi di costituzionalita'  rilevanti
nel giudizio a quo siano solo quelli riferiti alla  disciplina  della
procedura di voluntary disclosure, in quanto nel ricorso introduttivo
non e' stata chiesta l'applicazione dell'esimente del censurato  art.
6, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997; 
    che, diversamente da quanto concluso dal giudice a  quo,  sarebbe
possibile pervenire a un'interpretazione costituzionalmente orientata
della disciplina censurata che consenta la rimessione in termini  del
contribuente, in applicazione del principio di cui all'art. 6,  comma
1, della legge 27 luglio 2000, n. 212  (Disposizioni  in  materia  di
statuto  dei  diritti  del  contribuente)  relativo  alla   effettiva
conoscenza degli atti destinati al contribuente; 
    che, con atto depositato l'11 giugno  2019,  e'  intervenuto  nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, infondate; 
    che, premesso il carattere straordinario e  prettamente  premiale
della   disciplina   della   voluntary    disclosure,    ad    avviso
dell'Avvocatura l'inammissibilita' conseguirebbe all'incongruenza tra
motivazione e dispositivo, in quanto a fronte  di  una  richiesta  di
pronuncia ablativa delle disposizioni censurate, dalla motivazione si
evincerebbe una richiesta additivo-manipolativa; 
    che, in ogni caso, nel  tentativo  di  sciogliere  la  menzionata
incongruenza,  da  un  lato  l'intervento   ablativo   determinerebbe
l'inammissibile effetto di rendere del tutto privo di conseguenze  il
ritardo nel pagamento delle somme dovute, ostacolando l'attivarsi  di
qualsiasi attivita' degli uffici volta al recupero delle  somme  gia'
illegittimamente  sottratte  all'erario,  e,  dall'altro   lato,   in
mancanza di soluzioni  costituzionalmente  obbligate,  una  pronuncia
additiva sarebbe parimenti inammissibile; 
    che,  nel  merito,  le  questioni  sarebbero  comunque  infondate
poiche' «la selezione  delle  conseguenze,  latamente  sanzionatorie,
previste in caso di violazione, non puo' che  essere  riservata  alla
discrezionalita' propria del legislatore, non sindacabile  se  non  a
fronte  di   patenti   disparita'   di   trattamento   connotate   da
irrazionalita'»; 
    che, peraltro, quanto alla questione  formulata  con  riferimento
all'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997, il rimettente non si
sarebbe per nulla confrontato con  l'ordinanza  n.  53  del  2002  di
questa Corte, che ha dichiarato la manifesta infondatezza di analoghe
questioni di illegittimita'; 
    che,  infine,  quanto  alle  ulteriori  questioni   relative   ai
censurati artt. 5-quater e 5-quinquies, non sarebbe condivisibile  la
ricostruzione  del   rimettente   volta   a   collocare   sul   piano
sanzionatorio penale, anziche' su quello  della  mera  decadenza  dal
regime particolare, le conseguenze del mancato pagamento nel termine. 
    Considerato che la Commissione tributaria provinciale  di  Genova
dubita della legittimita' costituzionale: a)  degli  artt.  5-quater,
comma 1, lettera b), e 5-quinquies, comma 10,  del  decreto-legge  28
giugno  1990,  n.  167  (Rilevazione  a  fini   fiscali   di   taluni
trasferimenti  da  e  per  l'estero  di  denaro,  titoli  e  valori),
convertito, con modificazioni, nella legge 4  agosto  1990,  n.  227,
introdotti  dall'art.  1  della  legge  15  dicembre  2014,  n.   186
(Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali  detenuti
all'estero nonche' per  il  potenziamento  della  lotta  all'evasione
fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio), nella parte  in
cui prevedono che il mancato pagamento nel termine comporta il  venir
meno degli effetti della procedura di collaborazione volontaria,  per
violazione degli artt. 3, 27,  53,  97  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in  relazione  agli  artt.  6  e  7  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge  4  agosto  1955,  n.  848;  b)
dell'art. 6, comma 3, del decreto legislativo 18  dicembre  1997,  n.
472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative  per
le violazioni di norme tributarie, a  norma  dell'articolo  3,  comma
133, della legge 23 dicembre 1996,  n.  662),  per  violazione  degli
artt. 3, 27 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli
artt. 6 e 7 CEDU; 
    che le  questioni  sollevate  dal  rimettente  sono  afflitte  da
plurime ragioni di inammissibilita', in primo  luogo  per  inadeguata
ricostruzione  del  quadro  normativo  (sentenze  n.  134  del  2018,
ordinanza n. 115 del 2015; sentenze nn. 367 e 190 del 2010); 
    che il rimettente non considera  adeguatamente  che  i  censurati
articoli  della  disciplina  di  voluntary  disclosure   sono   stati
introdotti  nell'ambito  di  una  procedura  eccezionale  rivolta   a
consentire, per un circoscritto periodo di tempo, ai contribuenti  di
riparare alle infedelta'  dichiarative,  presentando  un'autodenuncia
completa  delle  violazioni  tributarie  commesse,  con   conseguente
obbligo di versare, entro termini perentori, imposte e  interessi  in
misura piena, ottenendo, al  contempo,  una  considerevole  riduzione
delle sanzioni amministrative e la non punibilita' penale  di  alcuni
connessi reati fiscali; 
    che   risulta   conseguentemente   erronea   l'affermazione   del
rimettente circa la natura sanzionatoria della  censurata  disciplina
di voluntary disclosure; 
    che trattasi, invece, di  mera  disciplina  della  decadenza,  in
realta'   essenziale   ai   fini   di   una   corretta   applicazione
dell'eccezionale  procedura   e   di   non   pregiudicare   oltremodo
l'ordinaria applicazione delle norme sanzionatorie poste  a  presidio
dell'inderogabilita' del  dovere  tributario  (sentenza  n.  288  del
2019); 
    che, stante quanto previsto dall'art. 1, comma 133,  della  legge
28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2016)», che prevede  che  sia  il  contribuente  stesso  ad  avanzare
specifica  richiesta,   puntualmente   sottoscritta,   dell'esclusiva
notifica a mezzo di posta elettronica certificata di tutti  gli  atti
inerenti la procedura proprio presso l'indirizzo del  professionista,
non e' in realta' configurabile nella  fattispecie  alcuna  forma  di
responsabilita' oggettiva; 
    che il rimettente, peraltro, omette completamente di confrontarsi
con le motivazioni dell'ordinanza di manifesta infondatezza n. 53 del
2002,  pronunciata  da  questa  Corte  su  fattispecie  similare   in
relazione alla censurata esimente prevista dall'art. 6, comma 3,  del
d.lgs. n. 472 del 1997; 
    che, in secondo luogo, le censure sugli artt. 5-quater, comma  1,
lettera b), e 5-quinquies, comma  10,  del  d.l.  n.  167  del  1990,
scontano una incongruenza tra motivazione e dispositivo, in quanto, a
fronte di una richiesta di pronuncia ablativa, dalla  motivazione  si
evince la richiesta di un intervento di tipo additivo-manipolativo; 
    che tale incongruenza non puo' essere sciolta  da  questa  Corte,
risolvendosi in un'ambiguita' del petitum (ex plurimis,  sentenze  n.
220 del 2014, n. 220 del 2012 e n. 117 del 2011; ordinanze n. 184 del
2018, n. 269 del 2015, n. 335 e n. 21 del 2011); 
    che  sarebbe,  infatti,  inammissibile  una  pronuncia  meramente
demolitoria, perche' lascerebbe del  tutto  privo  di  disciplina  il
versamento tardivo, impedendo ogni  possibilita'  di  recupero  delle
somme illegittimamente sottratte all'erario, dando quindi  «luogo  ad
un assetto non in linea  con  le  coordinate  generali  del  sistema»
(sentenza n. 163 del 2014); 
    che, altresi',  sarebbe  inammissibile  un  intervento  additivo,
perche' in presenza di una pluralita' di opzioni dirette a ovviare al
vulnus  lamentato  dal  rimettente,  tale   intervento   risulterebbe
invadere lo spazio riservato al  legislatore  (sentenza  n.  126  del
2015); 
    che,  pertanto,  le  questioni  sollevate   sono   manifestamente
inammissibili.