ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli articoli da 62 a
72 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti  per
il rilancio  dell'economia),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 9 agosto 2013, n. 98, promossi dalla Corte  di  cassazione  con
due ordinanze del 9  dicembre  2019,  iscritte,  rispettivamente,  ai
numeri 84 e  96  del  registro  ordinanze  2020  e  pubblicate  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  numeri  28  e  34,  prima  serie
speciale, dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di costituzione di  Daniele  Vetrano,  di  Ernesta
D'Alessio e Giuliana D'Alessio, in proprio e nella qualita' di  eredi
di Paolina Orlandi, e della UnipolSai Assicurazioni spa, nonche'  gli
atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e,
quelli fuori termine, di Ambruosi Paola e altri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  13  gennaio  2021  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    uditi gli avvocati Carlo Testa per Daniele Vetrano, e per Ernesta
D'Alessio e Giuliana D'Alessio, in proprio e nella qualita' di  eredi
di Paolina Orlandi, Giovanni Gori per la UnipolSai Assicurazioni  spa
e l'avvocato dello Stato Francesco Sclafani  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri, quest'ultimo in collegamento  da  remoto,  ai
sensi del punto 1) del decreto del  Presidente  della  Corte  del  30
ottobre 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 gennaio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 9 dicembre 2019 (r.o. n. 84 del  2020),  la
Corte  di  cassazione  ha   sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 62, comma 1; 65, commi  1  e  4;  66;  67,
commi 1 e 2; 68, comma 1, e 72, comma 1, del decreto-legge 21  giugno
2013, n. 69 (Disposizioni urgenti  per  il  rilancio  dell'economia),
convertito, con modificazioni, nella legge  9  agosto  2013,  n.  98,
nella parte in cui conferiscono al giudice ausiliario di  appello  lo
status di componente dei collegi delle sezioni della corte d'appello,
in riferimento all'art. 106, secondo  comma,  della  Costituzione  ed
agli artt. l02, primo comma, e 106, primo comma, Cost. 
    La Corte rimettente riferisce che era impugnata dinanzi a se' una
sentenza della corte d'appello in materia di  responsabilita'  civile
per la verificazione di un sinistro  stradale  e,  tra  i  motivi  di
ricorso, ne veniva dedotta la nullita' ai  sensi  dell'art.  158  del
codice di procedura civile, avendo partecipato al collegio un giudice
ausiliario    d'appello,    sul    presupposto    dell'illegittimita'
costituzionale degli articoli da 62 a 72 della legge n. 98 del  2013,
di conversione, appunto, del decreto-legge istitutivo di tale  figura
di giudice onorario, per contrasto con gli artt. 3; 25, primo  comma,
e 106, secondo comma, Cost. 
    La Corte di cassazione, in  punto  di  rilevanza,  evidenzia  che
l'accoglimento delle questioni inciderebbe sulla  decisione,  poiche'
comporterebbe l'annullamento della sentenza impugnata  per  vizio  di
costituzione del giudice. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo  osserva
che le norme censurate, nell'istituire e disciplinare la nuova figura
del giudice ausiliario di appello, potrebbero contrastare con  l'art.
106, secondo comma, Cost., laddove stabilisce che i  giudici  onorari
possono essere nominati per tutte le funzioni attribuite  a  «giudici
singoli» e cio' in quanto, a  dispetto  della  stessa  giurisprudenza
costituzionale che ha ritenuto legittima la partecipazione di giudici
onorari ai collegi solo in via temporanea o a fronte  di  circostanze
di carattere eccezionale, il giudice ausiliario  d'appello  istituito
dal d.l. n. 69 del 2013, come convertito, e' incardinato  naturaliter
presso  un  organo  collegiale,  all'interno   del   quale   esercita
direttamente le relative funzioni giurisdizionali, essendo  tenuto  a
definire, anche in qualita' di relatore, almeno novanta  procedimenti
per anno, senza peraltro  incontrare,  almeno  sul  piano  normativo,
alcun  limite,  di  materia  e  di  valore,   nell'assegnazione   dei
procedimenti civili, con l'eccezione dei soli  procedimenti  trattati
dalla corte d'appello in unico grado. 
    L'ordinanza  di  rimessione   sottolinea   che   il   dubbio   di
legittimita'  costituzionale  potrebbe  essere  vieppiu'  corroborato
tenendo conto di altre previsioni della Costituzione, come gli  artt.
106, primo comma, e 102, primo comma, dalle quali potrebbe  evincersi
un'ineludibile   scelta   per   l'affidamento   in    via    generale
dell'esercizio della giurisdizione ai  magistrati  professionali.  Ne
deriverebbe che il secondo comma dell'art.  106  Cost.  non  potrebbe
essere  interpretato  nel  senso  di  legittimare  l'assegnazione  ai
giudici onorari di tutte le funzioni che un giudice di carriera  puo'
esercitare in quanto tale, comprese quelle di componente di un organo
collegiale, senza trasmodare i limiti entro i quali  la  Costituzione
ha consentito,  in  via  eccezionale,  che  giudici  onorari  possano
partecipare all'esercizio della funzione giurisdizionale. 
    1.1.- Con atto depositato il 22 luglio 2020 si e' costituito  nel
giudizio   di   legittimita'    costituzionale    Daniele    Vetrano,
sottolineando l'evidente contrasto delle norme istitutive del giudice
onorario  d'appello  -  figura   «ibrida»,   non   costituzionalmente
prevista,  tra  il  magistrato  onorario  di  cui  al  secondo  comma
dell'art. 106 Cost.  ed  i  consiglieri  della  Corte  di  cassazione
nominati per meriti insigni ai sensi del  terzo  comma  dello  stesso
articolo - con i limiti contemplati dal Costituente  per  l'esercizio
delle  funzioni  giurisdizionali  da  parte  dei   giudici   onorari,
dovendosi intendere, anche alla luce dei lavori preparatori,  che  la
locuzione «giudici singoli» vada  riferita  alle  figure  di  giudici
monocratici all'epoca esistenti. 
    1.2.- Con atto depositato il 28 luglio 2020 si e' costituita  nel
giudizio  di  legittimita'  costituzionale  la   societa'   UnipolSai
Assicurazioni spa, la quale ha evidenziato la  non  fondatezza  delle
questioni  sollevate  in  quanto  l'istituzione,   per   un   periodo
temporaneo, dei  giudici  ausiliari  d'appello  sarebbe  giustificata
dall'esigenza  di  fronteggiare  l'eccezionale   arretrato   pendente
dinanzi alla corti d'appello, e quindi coerente con i limiti entro  i
quali, secondo la stessa giurisprudenza costituzionale, e' ammessa la
partecipazione dei giudici onorari ai collegi ai sensi dell'art. 106,
secondo comma, Cost. 
    Le questioni dovrebbero, inoltre, ritenersi non fondate, anche in
ragione  della  necessita'  di  bilanciamento  con  altri  valori  di
rilevanza costituzionale, quali  il  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione (art. 97 Cost.) e la ragionevole durata del  processo
(art. 111 Cost.). 
    1.3.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, deducendo la non fondatezza delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dovendo  effettuarsi   un'interpretazione   evolutiva
dell'art. 106,  secondo  comma,  Cost.,  alla  luce  delle  rilevanti
riforme  dell'ordinamento  giudiziario  intervenute  nel  tempo.   In
particolare, secondo la prospettazione della difesa statale,  con  il
decreto legislativo 19 febbraio 1998, n.  51  (Norme  in  materia  di
istituzione del giudice unico di primo grado) sarebbe venuta meno  la
distinzione,  al  contrario  netta  all'epoca  dell'emanazione  della
Costituzione, tra uffici giudiziari monocratici ed uffici  giudiziari
collegiali, poiche', specie in tribunale, i giudici svolgono funzioni
sia  monocratiche  che  di  componenti  dei  collegi.  Peraltro,   le
attribuzioni del giudice unico di tribunale non  sono  piu'  limitate
alla cosiddetta giustizia minore, ne' la  collegialita'  dell'appello
ha copertura costituzionale. 
    L'Avvocatura generale dello Stato  sottolinea,  inoltre,  che  le
norme istitutive dei giudici onorari d'appello si pongono  nel  solco
della giurisprudenza costituzionale  sull'art.  106,  secondo  comma,
Cost. (vengono citate le sentenze n. 99 del 1964 e n. 103 del  1998),
in quanto si limitano a  contemplare  una  temporanea  collaborazione
esterna di tali giudici  onorari,  a  fronte  di  una  situazione  di
eccezionale arretrato, volta a  supportare  l'attivita'  dei  giudici
professionali, "innestando" gli stessi in  collegi  che  vedono,  per
espressa  previsione  normativa,   la   presenza   maggioritaria   di
magistrati professionali. 
    2.- Con ordinanza del 9 dicembre 2019 (r.o. n. 96 del  2020),  la
Corte  di  cassazione  ha   sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli articoli da 62 a 72 del d.l.  n.  69  del  2013,
come convertito, in riferimento all'art. 106, secondo  comma,  Cost.,
trattandosi di norme che prevedono e regolano  l'attribuzione  ad  un
magistrato onorario,  quale  ausiliario  di  corte  d'appello,  delle
funzioni di giudice  collegiale,  in  luogo  di  quelle  di  "giudice
singolo" costituzionalmente imposte. 
    La Corte rimettente riferisce  che  era  impugnata  una  sentenza
della  corte  d'appello  in  materia  di   responsabilita'   per   la
verificazione di un sinistro stradale e, tra i motivi di ricorso, era
fatta valere la nullita' di tale decisione per vizio di  costituzione
del giudice ex art.  158  cod.  proc.  civ.,  avendo  partecipato  al
collegio un giudice ausiliario, sul  presupposto  dell'illegittimita'
costituzionale degli articoli da 62 a 72 del d.l.  n.  69  del  2013,
come convertito, per contrasto con gli artt. 3; 25,  primo  comma,  e
106, secondo comma, Cost. 
    La Corte di cassazione ritiene  rilevanti  e  non  manifestamente
infondate le questioni di legittimita' costituzionale degli  articoli
da 62 a 72 del suddetto decreto-legge. 
    Ripercorsa  sinteticamente  la  disciplina  introdotta  da   tali
previsioni normative, in  punto  di  rilevanza,  il  Collegio  a  quo
sottolinea  che  l'accoglimento  delle  questioni  inciderebbe  sulla
pronuncia impugnata in modo  evidente,  comportandone  l'annullamento
per vizio di costituzione del giudice. 
    Con riguardo alla non manifesta infondatezza, la Corte rimettente
ricorda che, sebbene l'art. 106, secondo  comma,  Cost.  consenta  la
nomina di magistrati ordinari solo per tutte le  funzioni  attribuite
ai  «giudici  singoli»,  ormai  da   lungo   tempo,   e'   consentita
l'attribuzione agli stessi della funzione di giudice  collegiale  nei
tribunali  ordinari  in  base  ad   un'interpretazione   consolidata,
condivisa dalla stessa giurisprudenza costituzionale,  ove  ricorrano
esigenze temporanee o situazioni  emergenziali  e  purche'  cio'  non
incida sullo status del magistrato. 
    Cio' premesso la Corte rimettente  assume  che  gli  artt.  62  e
seguenti del d.l. n. 69 del 2013, come convertito, potrebbero essersi
spinti ancora oltre,  inserendo  i  giudici  onorari  in  un  ufficio
giudiziario che decide sempre in  composizione  collegiale,  come  la
corte  d'appello.  La  non  manifesta  infondatezza  del  dubbio   di
legittimita'  costituzionale  deriva,  di  qui,   soprattutto   dalla
circostanza che - salvo  ritenere  pleonastico  l'utilizzo  da  parte
dell'art. 106, secondo comma, Cost. del termine «singoli»  accanto  a
quello di giudici - non  potrebbe  essere  giustificato  uno  stabile
esercizio di funzioni collegiali, totalmente  assimilabili  a  quelle
dei consiglieri di corte d'appello, da parte dei giudici onorari. 
    2.1.- Con atto depositato il 22 luglio 2020 si e' costituita  nel
giudizio   di   legittimita'   costituzionale   Ernesta    D'Alessio,
sottolineando l'evidente contrasto delle norme istitutive dei giudici
ausiliari d'appello con i  limiti  contemplati  dal  Costituente  per
l'esercizio delle  funzioni  giurisdizionali  da  parte  dei  giudici
onorari, dovendosi intendere, anche alla luce dei lavori preparatori,
che il riferimento ai «giudici singoli» avesse  riguardo  ai  giudici
monocratici,  precludendo  l'ingresso  di  "estranei"   nei   collegi
giudicanti. 
    2.2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale,  deducendo
la non fondatezza delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale,
dovendo  effettuarsi  un'interpretazione  evolutiva  dell'art.   106,
secondo   comma,   Cost.   alla   luce   delle   rilevanti    riforme
dell'ordinamento giudiziario, intervenute negli anni, che hanno fatto
venir meno, in particolare con il d.lgs. n. 51  del  1998  istitutivo
del giudice monocratico di tribunale, la  distinzione,  invece  netta
all'epoca dell'emanazione della Costituzione, tra  uffici  giudiziari
monocratici ed uffici giudiziari  collegiali,  poiche',  attualmente,
specie in tribunale, i giudici svolgono congiuntamente tanto funzioni
monocratiche quanto collegiali. 
    Peraltro, le attribuzioni del giudice unico di tribunale non sono
piu' limitate,  ormai,  alla  cosiddetta  giustizia  minore,  ne'  la
collegialita' dell'appello ha copertura costituzionale. 
    L'Avvocatura generale sottolinea, poi, che  le  norme  istitutive
dei  giudici  onorari  d'appello  si  pongono   in   linea   con   la
giurisprudenza costituzionale sull'art.  106,  secondo  comma,  Cost.
(sono citate le sentenze n. 99 del 1964 e n. 103 del  1998),  poiche'
si limitano a contemplare una temporanea  collaborazione  esterna  di
tali giudici onorari, volta a supportare, a fronte di un  eccezionale
arretrato, l'attivita' dei giudici  professionali,  "innestando"  gli
stessi in collegi che vedono, per espressa previsione  normativa,  la
presenza maggioritaria di magistrati professionali. 
    3.- Con atto pervenuto  a  mezzo  posta  elettronica  certificata
d'urgenza in data 11 gennaio 2021, sono intervenuti ad opponendum, in
entrambi  i  giudizi,  Ambruosi  Paola  ed  altri  trentasei  giudici
ausiliari in servizio presso diverse corti d'appello. 
    Sul piano processuale, gli stessi hanno premesso che  il  termine
stabilito dall'art. 4, comma 4, delle Norme integrative per i giudizi
davanti  alla   Corte   costituzionale   deve   ritenersi   meramente
acceleratorio ed  hanno  evidenziato  che  le  osservazioni  critiche
formulate alle ordinanze di rimessione dagli  stessi,  tutti  giudici
ausiliari e quindi portatori di un «unificante interesse collettivo»,
possono in ogni caso valere quali opinioni ai sensi  dell'art.  4-ter
delle medesime Norme integrative.  Nel  merito,  i  predetti  giudici
ausiliari hanno dedotto di essere stati selezionati a seguito  di  un
concorso per titoli che li rende adeguati sul piano  delle  capacita'
allo  svolgimento  delle  funzioni  demandate  ai  medesimi  e   che,
peraltro, la loro istituzione  non  si  pone  in  contrasto  con  gli
evocati parametri  costituzionali.  Secondo  quanto  prospettato,  in
primo luogo, l'espressione «giudici singoli»  di  cui  all'art.  106,
secondo comma, Cost. non dovrebbe ritenersi equivalente a  quella  di
"giudici monocratici", consentendo cosi' ai giudici onorari  -  ferma
la diversita' sul piano strutturale degli stessi rispetto ai  giudici
togati - di svolgere tutte le funzioni proprie dei  singoli  giudici,
comprese quelle di componenti dei collegi e cio'  vieppiu'  ove  tale
compito sia funzionale a perseguire  l'obiettivo,  costituzionalmente
rilevante, di ridurre la durata dei processi come  nella  fattispecie
considerata dagli artt. 62 e seguenti del d.l. n.  69  del  2013.  In
secondo luogo, l'art. 102, primo comma, Cost., laddove attribuisce la
funzione giurisdizionale a magistrati ordinari istituiti  e  regolati
dalle  norme  sull'ordinamento  giudiziario,  non  esclude,  ma  anzi
ricomprende, tra essi i giudici onorari. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 9 dicembre 2019 (r.o. n. 84 del  2020),  la
Corte di cassazione ha sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  106,
primo e secondo  comma,  e  102,  primo  comma,  della  Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 62, comma 1; 65,
commi 1 e 4; 66; 67, commi 1 e 2; 68, comma 1, e  72,  comma  1,  del
decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9
agosto 2013, n. 98,  nella  parte  in  cui  conferiscono  ai  giudici
ausiliari di appello  lo  status  di  componenti  dei  collegi  delle
sezioni della corte d'appello come magistrati onorari. 
    La Corte rimettente assume che le  norme  censurate  -  le  quali
istituiscono e disciplinano la nuova figura di «giudici ausiliari»  -
violano l'art. 106,  secondo  comma,  Cost.,  che  stabilisce  che  i
giudici onorari possono essere nominati solo per  tutte  le  funzioni
attribuite a giudici singoli. Cio' in quanto,  in  contrasto  con  la
giurisprudenza  costituzionale   che   ha   ritenuto   legittima   la
partecipazione di giudici onorari ai collegi  esclusivamente  in  via
temporanea o a fronte di circostanze  di  carattere  eccezionale,  il
giudice ausiliario d'appello e'  incardinato  naturaliter  presso  un
ufficio  giudiziario  collegiale,  all'interno  del  quale   esercita
funzioni  giurisdizionali,  essendo  tenuto  a  definire,  anche   in
qualita' di relatore, almeno novanta procedimenti  civili  per  anno,
senza la previsione, sul piano normativo, di alcun limite, di materia
e di valore, nell'assegnazione dei procedimenti, se  non  per  quelli
trattati dalla corte d'appello in unico grado. 
    L'ordinanza  di  rimessione   sottolinea   che   il   dubbio   di
legittimita' costituzionale sorge anche  in  riferimento  agli  artt.
106, primo comma, e 102, primo comma,  Cost.,  dai  quali  si  evince
un'ineludibile scelta  del  Costituente  per  l'affidamento,  in  via
generale,   dell'esercizio   della   giurisdizione   ai    magistrati
professionali togati. 
    2.- Con ordinanza del 9 dicembre 2019 (r.o. n. 96 del  2020),  la
Corte di  cassazione  ha  sollevato,  in  riferimento  all'art.  106,
secondo comma, Cost., questioni di legittimita' costituzionale  degli
articoli da  62  a  72  dello  stesso  d.l.  n.  69  del  2013,  come
convertito,  in  quanto,  nel   complesso,   prevedono   e   regolano
l'attribuzione a un magistrato onorario, quale  ausiliario  di  corte
d'appello, delle funzioni di giudice collegiale, in luogo  di  quelle
di "giudice singolo", le sole consentite dall'invocato parametro. 
    La Corte rimettente osserva che l'attribuzione a giudici  onorari
della funzione  di  giudice  collegiale  nei  tribunali  ordinari  e'
ritenuta  legittima  nella  giurisprudenza  costituzionale  solo   se
ricorrono esigenze temporanee o situazioni eccezionali  e  senza  che
cio' incida sullo status del magistrato. 
    Il giudice a quo assume che le disposizioni  censurate  avrebbero
travalicato i limiti delle funzioni che possono essere  svolte  dalla
magistratura onoraria, quali risultanti anche dall'elaborazione della
giurisprudenza costituzionale, in quanto  i  giudici  ausiliari  sono
stati incardinati in un ufficio giudiziario, come la corte d'appello,
che decide sempre in composizione collegiale e di norma nel grado  di
impugnazione, con il conseguente svolgimento, da parte degli  stessi,
di funzioni del tutto assimilabili a  quelle  dei  consiglieri  delle
corti d'appello. 
    3.-  In  via  preliminare,  va  considerato  l'atto,   denominato
«intervento/opinioni», con il quale  in  data  11  gennaio  2021,  in
prossimita' dell'udienza pubblica, alcuni giudici ausiliari d'appello
hanno espresso la propria posizione sulle questioni  di  legittimita'
sollevate  dalle  due  ordinanze  della  Corte  di  cassazione.  Esso
costituisce non gia' un atto  di  intervento,  che  comunque  sarebbe
inammissibile sotto plurimi profili, bensi' un'opinione riconducibile
alla figura degli amici curiae. 
    Come tale, l'opinione e' parimenti inammissibile  in  quanto,  in
disparte ogni altra ragione, e' tardiva rispetto al termine di  venti
giorni dalla pubblicazione delle ordinanze di rimessione, a tal  fine
previsto dall'art. 4-ter, comma 1,  delle  Norme  integrative  per  i
giudizi davanti alla Corte costituzionale. 
    4.- Le questioni sollevate dalle due ordinanze di  rimessione  in
massima  parte  si  sovrappongono  sia   quanto   alle   disposizioni
censurate,  sia  quanto  ai  parametri  evocati,  e   sono   comunque
oggettivamente connesse. 
    Devono quindi essere riuniti i relativi due giudizi incidentali. 
    5.- Va preliminarmente affermato che sussistono le condizioni  di
ammissibilita' delle  questioni  di  costituzionalita'  sollevate  da
entrambe le ordinanze di rimessione sul piano della rilevanza. 
    Indubbio e' infatti che le disposizioni censurate condizionano la
ritualita' della costituzione del giudice, ai sensi dell'art. 158 del
codice di procedura civile, delle pronunce impugnate  nei  giudizi  a
quibus, in quanto emesse da un collegio della corte d'appello con  la
partecipazione  di  un  giudice  ausiliario  (ex  multis,  Corte   di
cassazione, sezione terza civile,  sentenza  19  settembre  2014,  n.
19741); ritualita' contestata dalle parti ricorrenti  in  entrambi  i
giudizi di cassazione con distinto motivo di impugnazione. 
    La  non  manifesta  infondatezza  dei   dubbi   di   legittimita'
costituzionale  e'  diffusamente  e  puntualmente  argomentata  nelle
ordinanze di rimessione. 
    I dubbi di legittimita' costituzionale sollevati dalla  Corte  di
cassazione si  fondano,  essenzialmente,  sulla  circostanza  che  la
stabile destinazione dei giudici ausiliari di cui  agli  artt.  62  e
seguenti del d.l. n. 69 del 2013, come convertito,  rientranti  nella
categoria dei giudici onorari, alla composizione  dei  collegi  nelle
corti d'appello, uffici presso i quali gli stessi sono  istituiti  in
piante organiche ad esaurimento, potrebbe contrastare soprattutto con
l'art. 106, secondo comma, Cost.; norma che, anche  alla  luce  della
giurisprudenza costituzionale,  consentirebbe  la  partecipazione  di
giudici onorari ai collegi soltanto  in  via  temporanea  e  per  far
fronte a situazioni eccezionali. 
    Inoltre, l'ordinanza iscritta al r.o. n. 84 del  2020  sottolinea
che  il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  sarebbe   vieppiu'
corroborato tenendo conto di  altre  previsioni  della  Costituzione,
come gli artt. 106, primo comma, e 102, primo comma, che  prefigurano
una chiara scelta per l'affidamento in  via  generale  dell'esercizio
della giurisdizione ai soli magistrati professionali. In sostanza, il
secondo comma dell'art. 106 Cost. non  potrebbe  essere  interpretato
nel senso di legittimare l'assegnazione ai giudici onorari  di  tutte
le funzioni che un giudice di  carriera  puo'  esercitare  in  quanto
tale, comprese quelle di componente di un  organo  collegiale,  senza
trasmodare i limiti entro i quali la Costituzione ha  consentito,  in
via   eccezionale,   che   giudici   onorari   possano    partecipare
all'esercizio della funzione giurisdizionale. 
    6.-  All'esame  delle  questioni  e'  opportuno  premettere   una
sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento. 
    Nel dichiarato intento di ridurre la durata  dei  giudizi  civili
dinanzi alle corti d'appello, al fine di  raggiungere  gli  obiettivi
indicati  nei  programmi  di  gestione  di  cui   all'art.   37   del
decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la
stabilizzazione finanziaria), convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 15 luglio 2011, n. 111,  le  norme  censurate  hanno  istituito
l'inedita figura dei giudici ausiliari d'appello, aventi  il  compito
di integrare i collegi e di redigere un certo numero di decisioni per
ciascun anno. 
    In particolare, l'art. 63 del d.l. n.  69  del  2013  prevede  la
nomina,  con   decreto   del   Ministro   della   giustizia,   previa
deliberazione del Consiglio superiore della magistratura (CSM), di un
numero complessivo massimo in  origine  determinato  in  400  giudici
ausiliari, selezionati  tra  magistrati  e  avvocati  dello  Stato  a
riposo, professori, ricercatori universitari e avvocati, in  base  ad
alcuni titoli, tra i quali ha assunto infine  rilievo  preferenziale,
in sede di  conversione,  quello  di  avvocato,  con  prevalenza  dei
candidati piu'  giovani,  purche'  iscritti  all'albo  da  almeno  un
quinquennio. 
    I giudici ausiliari, distribuiti tra le diverse  corti  d'appello
operanti sul piano nazionale in virtu'  di  una  pianta  organica  ad
esaurimento determinata con decreto  del  Ministro  della  giustizia,
sentito il CSM, con l'indicazione dei posti disponibili per  ciascuna
di esse ed entro il limite massimo di 40 per ufficio (art. 65,  comma
1, del predetto decreto), sono nominati per cinque anni,  prorogabili
una sola volta per il  medesimo  periodo,  seguendo  il  procedimento
contemplato per la nomina (art. 67, commi 1 e 2, del decreto). 
    Pertanto la destinazione "naturale" dei giudici ausiliari  e'  la
composizione dei collegi delle corti d'appello, presso le  quali  gli
stessi sono incardinati in un ruolo ad esaurimento. 
    L'unica limitazione  contemplata  sul  piano  normativo  rispetto
all'attivita' di tali giudici e' quella di cui all'art. 62, comma  2,
del d.l. n. 69 del 2013, per la quale gli stessi non  possono  essere
chiamati a comporre i collegi nei quali la corte d'appello decide  in
unico grado di  merito,  fatta  eccezione  per  il  procedimento  per
l'ottenimento dell'equa riparazione in caso di violazione del termine
ragionevole del processo, previsto dalla legge 24 marzo 2001,  n.  89
(Previsione di equa riparazione in caso  di  violazione  del  termine
ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del  codice  di
procedura civile). 
    L'art. 68, comma 1, dello stesso d.l. n.  69  del  2013  prevede,
inoltre, che  i  giudici  togati  costituiscono  la  maggioranza  del
collegio, del quale puo' fare parte un solo giudice ausiliario. 
    Al fine  di  preservarne  l'autonomia,  l'art.  69  del  medesimo
decreto stabilisce che i  giudici  ausiliari  d'appello  non  possono
operare nel distretto nel quale sono iscritti al momento della nomina
o sono stati iscritti nei cinque anni precedenti e sono obbligati  ad
astenersi - e, quindi, sono ricusabili ove non lo  facciano  -  oltre
che nelle ipotesi disciplinate dall'art. 51 cod. proc. civ., anche in
quella in cui siano stati associati o comunque collegati, mediante il
coniuge, i parenti o altre persone, con lo  studio  professionale  di
cui ha fatto parte o fa parte il difensore  di  una  delle  parti.  I
giudici ausiliari d'appello devono inoltre astenersi  quando  abbiano
in precedenza assistito, nella qualita' di avvocato, una delle  parti
in  causa  o  uno  dei  difensori  ovvero  abbiano  svolto  attivita'
professionale come notaio per una delle parti  in  causa  o  uno  dei
difensori (art. 70 del d.l. n. 69 del 2013). 
    Oltre  alla  possibilita'  di  proroga  quinquennale,  i  giudici
ausiliari sono sottoposti ad una conferma annuale finalizzata ad  una
costante verifica dell'attivita' svolta dagli  stessi  (art.  71  del
d.l. n. 69 del 2013). 
    Infine l'art. 72, comma 1,  del  d.l.  n.  69  del  2013  prevede
espressamente  che  «i  giudici  ausiliari  acquisiscono   lo   stato
giuridico di magistrati onorari». 
    7.- Su un piano piu' generale, e'  anche  opportuno  ripercorrere
brevemente, per l'inquadramento giuridico delle  questioni  sollevate
dalle ordinanze di rimessione, i momenti caratterizzanti  le  riforme
della magistratura onoraria nel nostro sistema processuale. 
    Le prime figure di  giudici  onorari,  introdotte  dopo  l'Unita'
d'Italia dal regio decreto 6 dicembre 1865, n. 2626, sull'ordinamento
giudiziario, furono il vice pretore onorario ed il conciliatore. 
    In particolare, il vice pretore onorario era un  funzionario  non
togato escluso dalla carriera giudiziaria, in origine abilitato  solo
a   tentare   la   conciliazione   delle   controversie,   al   quale
successivamente e' stata attribuita un'area di competenza in  materia
contenziosa  civile  e  penale  limitata  alla  cosiddetta  giustizia
minore. La funzione caratterizzante,  gia'  all'epoca,  tale  giudice
onorario - reclutato fra i laureati  in  giurisprudenza  che  avevano
compiuto ventuno anni, i notai ed i  procuratori  esercenti  nominati
con  decreto  reale  -  era   quella   di   coadiuvare   il   pretore
nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali. 
    Il giudice conciliatore era  nominato  dal  Re  su  proposta  dei
consigli comunali tra cittadini che, a prescindere da  qualificazioni
di tipo giuridico, avevano compiuto i venticinque  anni  di  eta'  ed
erano residenti nel Comune.  L'incarico,  di  durata  triennale,  era
onorario e svolto a titolo gratuito, ma utile ai fini del  successivo
accesso al pubblico impiego. In origine il  conciliatore  poteva,  se
non riusciva a procurare l'amichevole composizione della lite tra  le
parti, decidere egli  stesso  la  controversia,  entro  ambiti  molto
limitati  di  competenza  che   furono,   tuttavia,   successivamente
ampliati. 
    Il conciliatore apporto' negli anni un significativo  ausilio  ai
giudici professionali  ai  quali  furono  cosi'  affidate  un  numero
percentualmente limitato di controversie al punto che, sin dalla fine
dell'Ottocento, e per  i  primi  decenni  del  Novecento,  lo  stesso
definiva una parte percentualmente molto elevata del  contenzioso  in
materia civile (con punte che arrivavano ad oltre l'80 per cento). 
    Pertanto, al momento della redazione della  Costituzione,  queste
due  "figure"  di  giudici  onorari  (conciliatore  e  vice   pretore
onorario) erano entrambe inserite nell'ambito  di  uffici  giudiziari
monocratici,  mentre   i   tribunali   decidevano   in   composizione
esclusivamente collegiale e  vi  erano  addetti  solo  magistrati  di
carriera, in sostanziale continuita' con l'assetto precedente. 
    Anche dopo l'entrata in vigore  della  Costituzione,  il  giudice
conciliatore  ha  continuato  a  non  dover   possedere   particolari
requisiti  tecnico-giuridici,  e,  costituito  in  ogni  Comune,  era
nominato dal CSM tra i  cittadini  italiani  residenti  nel  medesimo
Comune idonei ad assolvere degnamente, per requisiti di indipendenza,
carattere e prestigio, le funzioni di magistrato onorario. La  carica
durava tre anni, rinnovabili. La competenza del giudice  conciliatore
era limitata alla giustizia  civile  minore  e  ricomprendeva  alcune
materie considerate bagattellari. 
    La figura dei  conciliatori  -  che  pure  aveva  avuto  notevole
dignita' e rilievo  tra  la  fine  dell'Ottocento  e  gli  inizi  del
Novecento, sia per la capillare distribuzione sul territorio sia  per
il volume di affari  trattati  -  e'  andata  incontro,  nei  decenni
successivi  all'entrata  in  vigore  della  Costituzione,   per   una
pluralita' di fattori, a una progressiva decadenza che ha finito  con
l'invertire  la  proporzione  nella  distribuzione  della   crescente
domanda  di  giustizia  tra  magistratura  onoraria  e   togata   nel
contenzioso civile di primo grado. 
    La sfiducia nel conciliatore, non disgiunta dalle difficolta' dei
Comuni  di  sostenerne  i  costi  di  funzionamento,  ha  indotto  il
legislatore   -   nonostante   il   tentativo   di   rivitalizzazione
dell'istituto attuato dalla legge 30 luglio 1984, n. 399 (Aumento dei
limiti di competenza del conciliatore e  del  pretore),  mediante  un
incremento della competenza per valore e l'attribuzione  allo  stesso
del potere di decidere secondo equita' - a sopprimere la sua figura e
a istituire, quale nuovo giudice  onorario  per  le  controversie  di
minore entita', il giudice di pace, con la legge 21 novembre 1991, n.
374 (Istituzione del giudice di pace). 
    8.- L'arretrato che, nel tempo, si  era  formato  nei  ruoli  dei
giudici professionali, anche per  effetto  della  progressiva  minore
incidenza dell'attivita' del  conciliatore  e,  in  seguito,  per  la
ritardata attuazione della predetta legge istitutiva dei  giudici  di
pace, ha dato la stura a una serie di interventi piu' limitati  volti
alla riduzione delle pendenze dinanzi ai  tribunali,  realizzati,  in
particolare, dall'art. 90, comma 5, della legge 26 novembre 1990,  n.
353 (Provvedimenti urgenti per il processo civile),  come  modificato
dall'art. 9 del decreto-legge 18 ottobre  1995,  n.  432  (Interventi
urgenti sul processo civile  e  sulla  disciplina  transitoria  della
legge 26 novembre 1990,  n.  353,  relativa  al  medesimo  processo),
convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1995, n.  534,
e dalla legge 22 luglio 1997, n. 276 (Disposizioni per la definizione
del contenzioso civile pendente: nomina di giudici onorari  aggregati
e istituzione delle sezioni  stralcio  nei  tribunali  ordinari),  la
quale ha cosi' istituito una nuova figura di magistrato onorario,  il
«giudice onorario aggregato» (GOA). 
    In seguito, sul finire degli anni Novanta del secolo  scorso,  il
legislatore  ha  modificato  profondamente  l'assetto  degli   uffici
giudiziari di primo grado. Il decreto legislativo 19  febbraio  1998,
n. 51 (Norme in materia di istituzione del  giudice  unico  di  primo
grado) ha abolito le preture e ne  ha  trasferito  le  competenze  ai
tribunali.  A  cio'  si  e'  accompagnata  la  contestuale   modifica
dell'art. 48 della legge sull'ordinamento giudiziario che, insieme ad
alcune norme inserite nel codice di  procedura  civile  (articoli  da
50-bis a 50-quater), ha sancito la regola  generale,  pur  non  priva
delle  eccezioni   espressamente   stabilite   dalla   legge,   della
monocraticita' del giudice di tribunale di primo grado. 
    La stessa legge istitutiva del giudice unico di primo  grado,  in
sostituzione del vice-pretore onorario, che affiancava il pretore, ha
poi introdotto, intervenendo sul regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12
(Ordinamento giudiziario), il giudice onorario di tribunale (GOT)  e,
negli uffici requirenti, il vice procuratore onorario (VPO). 
    L'art. 43-bis ordin. giud. - in seguito abrogato in occasione del
successivo intervento riformatore  della  magistratura  onoraria  del
2016 (vedi infra) - stabiliva che: «I  giudici  ordinari  ed  onorari
svolgono presso il tribunale ordinario  il  lavoro  giudiziario  loro
assegnato  dal  presidente  del  tribunale  o,  se  il  tribunale  e'
costituito in sezioni, dal presidente o altro magistrato  che  dirige
la sezione. I giudici onorari di tribunale non possono tenere udienza
se non nei casi di impedimento o di mancanza  dei  giudici  ordinari.
Nell'assegnazione prevista dal primo comma, e' seguito il criterio di
non  affidare  ai  giudici  onorari:  a)  nella  materia  civile,  la
trattazione di procedimenti cautelari e possessori,  fatta  eccezione
per le domande proposte  nel  corso  della  causa  di  merito  o  del
giudizio petitorio; b) nella materia penale, le funzioni  di  giudice
per le indagini preliminari e di  giudice  dell'udienza  preliminare,
nonche' la trattazione di procedimenti  diversi  da  quelli  previsti
dall'articolo 550 del codice di procedura penale». 
    Tale norma attribuiva quindi ai GOT il medesimo  ruolo  ancillare
prima   demandato   ai   vice-pretori   onorari,    confermando    ed
apparentemente  ampliando  -  non  essendo  riprodotto  l'inciso  «di
regola» che era nel (contestualmente abrogato) art. 34 ordin. giud. -
il divieto di tenere udienza se non nei  casi  di  impedimento  o  di
mancanza dei giudici ordinari. 
    Il GOT, inoltre, poteva operare in materia sia civile che  penale
nei limiti delle competenze monocratiche. Peraltro, specie negli anni
piu'  recenti,  la  necessita'  di  fare  fronte  ad   un   arretrato
consistente e di definire i  giudizi  civili  in  tempi  ragionevoli,
anche per evitare consistenti  esborsi  pubblici  dovuti  a  numerose
condanne per equa riparazione da irragionevole durata  dei  processi,
ha finito con il consentire, anche in forza delle circolari  del  CSM
sulla  formazione  delle  tabelle  per  gli  uffici  giudiziari,  sia
l'assegnazione di ruoli "autonomi" ai giudici onorari  di  tribunale,
sia - per quel che maggiormente rileva  in  questa  sede  -  la  loro
partecipazione in  supplenza  dei  giudici  professionali  anche  nei
collegi (Corte di  cassazione,  sezioni  unite  civili,  sentenza  19
maggio 2008, n. 12644). 
    Occorre rimarcare, poi, sotto un distinto profilo, che l'art. 245
del d.lgs. n. 51 del 1998 aveva originariamente fissato un termine di
cinque anni entro cui il GOT avrebbe dovuto essere  indifferibilmente
eliminato dall'ordinamento, termine ritenuto  all'epoca  congruo  per
una riforma complessiva della magistratura onoraria in conformita' ai
principi enunciati dall'art. 106, secondo comma, Cost., espressamente
richiamati dalla predetta  norma.  Tuttavia,  a  dispetto  di  quanto
previsto da tale precetto  normativo,  le  varie  figure  di  giudici
onorari esistenti nel sistema processuale hanno continuato  di  fatto
ad operare, di proroga in proroga, fino alla fissazione  del  termine
ultimo «non oltre il 31  maggio  2016»,  in  attesa  di  una  riforma
complessiva coerente con il predetto precetto costituzionale. 
    9.-   Il   legislatore,   anche   a   seguito   delle   frequenti
rivendicazioni sul piano retributivo e previdenziale  dei  magistrati
onorari, ha operato una riforma complessiva di  questa  magistratura,
contenuta, in attuazione della delega di cui  alla  legge  28  aprile
2016, n.  57  (Delega  al  Governo  per  la  riforma  organica  della
magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace),  nel
decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116  (Riforma  organica  della
magistratura onoraria e  altre  disposizioni  sui  giudici  di  pace,
nonche' disciplina transitoria  relativa  ai  magistrati  onorari  in
servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57). 
    Questa riforma ha ridotto, per il primo grado di giudizio, a  due
le figure dei giudici onorari, ossia i giudici onorari  di  pace,  e,
per le funzioni requirenti, i vice  procuratori  onorari.  I  giudici
onorari dovranno essere reclutati dai locali consigli  giudiziari  in
base a una selezione per  titoli  e  la  relativa  graduatoria  sara'
sottoposta per l'approvazione al  CSM,  la  cui  delibera  sara'  poi
seguita dalla nomina con decreto del Ministro della giustizia. 
    L'incarico ha una durata di quattro  anni,  prorogabile  per  una
sola volta, e non e' esclusivo, nel  senso  che  e'  compatibile  con
l'esercizio  di  altre  attivita'  professionali,  al  punto  che  al
magistrato onorario non puo' essere richiesto un impegno superiore  a
due giorni settimanali. 
    I nuovi  «giudici  onorari  di  pace»  saranno  collocati  presso
l'ufficio del giudice di pace e destinati al contempo a confluire, in
tribunale,  quali  componenti  dell'ufficio  per   il   processo   in
affiancamento al giudice professionale, con possibile attribuzione di
funzioni giudiziarie delegate sotto le direttive e il controllo dello
stesso giudice professionale. 
    Al  giudice  onorario  vanno  attribuiti  compiti  preparatori  e
strumentali (studio, ricerca di dottrina, predisposizioni  di  schemi
di provvedimenti, assistenza anche in camera di consiglio:  art.  10,
comma 10, del d.lgs. n. 116 del 2017)  all'esercizio  della  funzione
giurisdizionale, che rimane riservato  al  magistrato  professionale.
Allo stesso possono essere delegati, dal magistrato professionale con
riferimento a ciascun  procedimento  civile,  poteri  giurisdizionali
istruttori  e  decisori  concernenti  singoli   atti   (adozione   di
provvedimenti  «che  risolvono  questioni  semplici  e   ripetitive»,
provvedimenti anticipatori di condanna in seguito a non contestazione
del credito, assunzione di testimoni,  attivita'  conciliativa  delle
parti, liquidazione  dei  compensi  agli  ausiliari)  inerenti  anche
procedimenti  riservati  al  tribunale  in  composizione   collegiale
«purche' non di particolare complessita'» (art.  10,  comma  11),  in
alcuni casi (delimitati quanto alle materie  «non  sensibili»  ed  al
ridotto valore della causa) puo' allo stesso essere delegata anche la
«pronuncia di provvedimenti definitori» (art. 10, comma 12). 
    Al contempo e' stata ridefinita la competenza dei giudici di pace
sia nel settore civile che in quello penale. 
    Tuttavia il predetto d.lgs. n. 116 del 2017 e' stato  oggetto  di
varie critiche, che hanno riguardato soprattutto  la  situazione  dei
magistrati onorari gia' in servizio alla data di  entrata  in  vigore
della riforma. Allo scopo di superare le relative problematiche,  nel
corso del 2019 e' stato presentato un progetto di modifica  da  parte
del Ministro della giustizia, in corso di esame in Parlamento (d.d.l.
A. S. n. 1516) nel testo unificato con altri disegni di legge (d.d.l.
numeri 1438, 1555, 1582 e 1714). 
    Del resto, per vari aspetti, l'entrata in vigore della riforma e'
differita alla data del 31 ottobre 2025 (art. 32 del  d.lgs.  n.  116
del 2017). 
    10.- Nel descritto contesto normativo  si  collocano,  dunque,  i
censurati articoli da  62  a  72  del  d.l.  n.  69  del  2013,  come
convertito,  che  hanno  introdotto  nell'ambito  della  magistratura
onoraria la figura dei giudici ausiliari d'appello  per  fronteggiare
l'arretrato delle corti d'appello in materia  civile,  attestato  dai
dati  statistici  prodotti  dal  Governo   nel   corso   dei   lavori
parlamentari. 
    I giudici ausiliari si caratterizzano, rispetto alle altre figure
di giudici onorari, gia' note al nostro ordinamento, per  la  stabile
destinazione a un ufficio, come la corte d'appello, che decide sempre
in composizione collegiale e pressoche' esclusivamente nel  grado  di
impugnazione,  e,  di  qui,  sono  sorti  i  dubbi  di   legittimita'
costituzionale espressi nelle ordinanze di rimessione. 
    Come gia' ricordato, essi non sono nominati per concorso, ma  con
decreto del Ministro della giustizia previa deliberazione del CSM, in
base alla verifica dei requisiti prescritti dalla legge (artt.  63  e
64 del d.l. n. 69 del 2013);  acquisiscono  «lo  stato  giuridico  di
magistrati onorari» (art. 72, comma 1); sono stabilmente incardinati,
per la durata di anni cinque prorogabile di altri  cinque  (art.  67,
commi  l  e  2),  nell'organo  collegiale,  esercitando  le  relative
funzioni giurisdizionali, e sono chiamati a definire nel collegio  in
cui sono relatori, almeno novanta procedimenti  per  anno  (art.  68,
comma 1), senza che vi sia alcun limite  -  di  materia  o  valore  -
nell'assegnazione dei procedimenti civili (art. 62, comma 1), con  la
eccezione dei soli «procedimenti trattati dalla  Corte  d'appello  in
unico grado» (art. 62, comma 2). Essi compongono i  collegi,  secondo
la pianta organica definita presso ciascuna corte  d'appello  tenendo
conto delle pendenze e delle scoperture di organico (art.  65,  comma
1), in funzione  della  esigenza  di  agevolare  la  definizione  dei
procedimenti  civili,  compresi  quelli  in  materia  di   lavoro   e
previdenza,  secondo  le  priorita'   individuate   annualmente   dai
presidenti delle corti di appello con i programmi previsti dal citato
art. 37, comma l, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito. 
    L'impiego nelle corti d'appello dei giudici  ausiliari  e'  stato
anche ampliato da un successivo intervento normativo. 
    L'art. 256 del  decreto-legge  19  maggio  2020,  n.  34  (Misure
urgenti in materia di salute,  sostegno  al  lavoro  e  all'economia,
nonche' di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da
COVID-19), convertito, con modificazioni, in legge 17 luglio 2020, n.
77, ha aumentato l'organico degli stessi -  che  in  precedenza,  per
effetto dell'art. 1, comma 701, della legge 27 dicembre 2017, n.  205
(Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2018  e
bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020) era stato  ridotto  a
n. 350 - sino a 850 unita' e,  contestualmente,  ne  ha  previsto  la
destinazione, da parte dei presidenti di corte, anche ai  collegi  in
materia penale. 
    Sotto un distinto profilo, mette conto ricordare che la legge  n.
205 del 2017 ha introdotto, con l'art. 1, commi da 961 a 981,  alcune
misure volte ad agevolare la definizione dei procedimenti  civili  in
materia tributaria pendenti presso la Corte di cassazione.  E'  stata
prevista, nei commi 962 e 963, la nomina - con decreto  del  Ministro
della giustizia, previa deliberazione del CSM, su proposta  formulata
dal consiglio direttivo della Corte di cassazione nella  composizione
integrata a norma dell'art. 16 del  decreto  legislativo  27  gennaio
2006, n. 25 (Istituzione  del  Consiglio  direttivo  della  Corte  di
cassazione e  nuova  disciplina  dei  consigli  giudiziari,  a  norma
dell'articolo 1, comma 1, lettera c, della legge 25 luglio  2005,  n.
150) - in via straordinaria e non rinnovabile, per  un  triennio,  di
magistrati  ausiliari  nel  numero  massimo  di  cinquanta,  per   lo
svolgimento di servizio onorario presso la sezione  tributaria  della
Corte di cassazione. Tali magistrati  ausiliari  -  che  hanno  ormai
quasi  esaurito  il  loro  compito,  cosi'  circoscritto,  in   vista
dell'esigenza  eccezionale  di  fronteggiare  l'arretrato   di   tale
sezione, ad un triennio - sono stati selezionati, secondo le indicate
disposizioni normative, solo tra i magistrati  ordinari,  compresi  i
consiglieri di cassazione nominati per meriti insigni,  a  riposo  da
non piu' di cinque anni al momento di presentazione della  domanda  e
che avessero maturato  un'anzianita'  di  servizio  non  inferiore  a
venticinque anni. 
    11.-  Tutto  cio'  premesso,   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale con riferimento all'art. 106, primo e  secondo  comma,
Cost., suscettibili di esame unitario, sono fondate, con assorbimento
di quelle relative alla violazione dell'art. 102, primo comma, Cost. 
    12.- L'art. 106, primo comma, Cost. laddove stabilisce che  «[l]e
nomine dei magistrati hanno luogo per  concorso»  esprime  la  chiara
scelta  del  Costituente  per  la  regola  generale  secondo  cui   i
magistrati ordinari - i  quali,  istituiti  e  regolati  dalle  norme
sull'ordinamento     giudiziario,     esercitano     la     «funzione
giurisdizionale» (art. 102, primo comma, Cost.)  -  sono  nominati  a
seguito dell'espletamento di un pubblico  concorso;  regola  rispetto
alla quale costituisce eccezione la possibilita' prevista  dal  terzo
comma della stessa disposizione, che, su designazione del CSM,  siano
chiamati  all'ufficio  di  consiglieri  di  cassazione,  per   meriti
insigni, professori ordinari di universita' in materie  giuridiche  e
avvocati che abbiano quindici anni d'esercizio e siano iscritti negli
albi speciali per le giurisdizioni superiori. 
    Tale assetto, che deriva dall'art.  106,  primo  e  terzo  comma,
Cost., costituisce, come si evince anche dai lavori  preparatori,  il
punto di  arrivo  di  un  complesso  dibattito,  in  sede  di  lavori
dell'Assemblea Costituente, riguardo alle modalita'  piu'  idonee  di
assunzione dei magistrati in coerenza con le scelte  fondamentali  in
ordine all'autonomia e all'indipendenza  dell'ordine  giudiziario  da
ogni altro potere (art. 104, primo comma, Cost.)  e  alla  soggezione
del giudice solo alla legge (art. 101, secondo comma, Cost.), nonche'
al divieto di istituzione di giudici straordinari o giudici  speciali
(art. 102, secondo comma, Cost.). 
    La regola generale del pubblico  concorso  e'  stata  individuata
come quella piu' idonea a concorrere ad assicurare la separazione del
potere giurisdizionale dagli altri poteri dello Stato e la sua stessa
indipendenza,  a  presidio  dell'ordinamento  giurisdizionale,  posto
dalla Costituzione, nel Titolo IV della sua Parte II, quale  elemento
fondante dell'ordinamento della Repubblica. 
    Questa Corte ha da lungo tempo chiarito che il  sistema  generale
di   reclutamento   mediante   pubblico   concorso   e'   strumentale
all'indipendenza della magistratura, osservando che, pur  se  la  sua
prescrizione,  contenuta   nell'art.   106,   primo   comma,   Cost.,
costituisce essenzialmente una  norma  di  garanzia  di  idoneita'  a
esercitare le funzioni giurisdizionali, nondimeno la stessa  concorre
a  rafforzare  e  a  integrare  l'indipendenza   della   magistratura
(sentenza  n.  1  del  1967),   non   diversamente   dalla   garanzia
dell'inamovibilita' (art. 107, primo comma, Cost.). 
    Il concorso pubblico garantisce, da un lato, la  possibilita'  di
accesso alla magistratura ordinaria a tutti i cittadini, in  aderenza
al disposto dell'art. 3 Cost., evitando ogni  discriminazione,  anche
di genere (sentenza n. 33 del 1960)  e,  da  un  altro,  assicura  la
qualificazione   tecnico-professionale   dei   magistrati,   ritenuta
condizione necessaria per  l'esercizio  delle  funzioni  giudiziarie.
Mira infatti a verificare un iniziale  standard  uniforme  di  sapere
giuridico, destinato ad affinarsi nel tempo, quale  garanzia  minima,
ma essenziale, dell'esercizio della giurisdizione in modo neutrale. 
    Questa Corte ha sottolineato in proposito che «la funzione  della
interpretazione ed applicazione  della  legge  richiede  il  possesso
della tecnica giuridica» da parte dei giudici togati (sentenza n.  76
del 1961). 
    13.- Il Costituente non ha, pero', previsto in  termini  assoluti
l'esclusivita'  dell'esercizio  della  giurisdizione  in  capo   alla
magistratura nominata a seguito di pubblico concorso. 
    Da  una  parte,  ha  contemplato  la  possibilita',  con  riserva
assoluta di legge, di forme  di  partecipazione  diretta  del  popolo
all'amministrazione della giustizia (art. 102, terzo  comma,  Cost.);
possibilita' che ha trovato attuazione, nel processo penale,  con  la
previsione dei giudici  popolari  nelle  corti  di  assise.  Altresi'
possono istituirsi presso  gli  organi  giudiziari  ordinari  sezioni
specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di
cittadini idonei estranei alla magistratura (art. 102, secondo comma,
Cost.), purche' sia garantita l'indipendenza dell'organo (sentenza n.
108 del 1962). 
    Dall'altra, il Costituente  si  e'  dovuto  confrontare  con  una
situazione  di  fatto  che,  all'epoca  e  da  lungo  tempo,   vedeva
l'esercizio della giurisdizione anche da parte  di  una  magistratura
non gia' ordinaria, intesa come professionale nominata a  seguito  di
concorso pubblico, ma onoraria, nominata  diversamente,  come  si  e'
sopra descritto. 
    Il sistema dell'epoca era delineato dall'art. 4 ordin. giud. che,
nella sua  formulazione  originaria,  differenziava  la  magistratura
onoraria  da   quella   professionale,   perche'   considerava   come
"appartenenti" all'ordine giudiziario, quali  magistrati  onorari,  i
giudici conciliatori, i vice conciliatori ed i vice  pretori  onorari
(secondo  comma),  mentre  "costituivano"  l'ordine  giudiziario  gli
uditori, i giudici di ogni grado delle preture, dei tribunali e delle
corti, e i magistrati del pubblico ministero (primo comma). 
    La scelta del  Costituente  fu  essenzialmente  conservativa.  Si
ritenne che una magistratura onoraria - che gia'  esisteva  da  lungo
tempo e che, nella cosiddetta giustizia minore, aveva dato un apporto
normalmente valutato in termini positivi - potesse essere compatibile
con  la  regola  generale  della  giurisdizione  esercitata  da   una
magistratura professionale alla quale  si  accede  mediante  pubblico
concorso. 
    Tale ritenuta compatibilita' si tradusse nella  formulazione  del
secondo  comma  dell'art.  106  Cost.:  «La  legge   sull'ordinamento
giudiziario puo' ammettere la nomina, anche elettiva,  di  magistrati
onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli». 
    E tali erano - come si e' gia' sopra  ricordato  -  i  magistrati
onorari  all'epoca  della  Costituente:  il   giudice   conciliatore,
comprensivo del vice-conciliatore, e il vice-pretore  onorario  (art.
4, secondo comma, ordin. giud. nella formulazione originaria). 
    Entrambi esercitavano funzioni solo  monocratiche  e  quindi  ben
potevano qualificarsi come «giudici singoli». Il codice di  procedura
civile, da poco entrato in vigore,  distingueva  appunto,  quanto  al
potere di direzione  dell'udienza,  tra  giudice  singolo  e  giudice
collegiale  (art.  127  cod.   proc.   civ.).   Anche   nella   legge
sull'ordinamento giudiziario, a quel tempo,  si  distingueva  tra  il
ruolo dei pretori, ossia di giudici monocratici  di  primo  grado,  e
quello della magistratura collegiale; distinzione netta tanto che  il
passaggio da un ruolo (di  giudice  singolo)  all'altro  (di  giudice
collegiale) avveniva per concorso (art. 143 ordin. giud.). 
    All'identificabilita' del  "giudice  singolo"  in  un  magistrato
monocratico di primo grado conduceva anche la  considerazione  che  i
magistrati onorari dell'epoca (e tali sono stati in seguito per lungo
tempo  fino  agli  anni  Novanta  del  secolo  scorso)   fossero   il
conciliatore   e   il   vice   pretore   onorario,   tipici   giudici
(esclusivamente) monocratici di primo grado, addetti  alla  giustizia
minore. 
    Come  anche   netta   era   la   distinzione   tra   magistratura
professionale e magistratura onoraria,  che  poi  e'  stata  costante
nella giurisprudenza della Corte. 
    Anche recentemente (sentenza n. 267 del 2020), con riferimento al
giudice di pace, la Corte ha affermato: «La differente  modalita'  di
nomina, radicata  nella  previsione  dell'art.  106,  secondo  comma,
Cost., il  carattere  non  esclusivo  dell'attivita'  giurisdizionale
svolta e il livello di complessita'  degli  affari  trattati  rendono
conto dell'eterogeneita' dello status  del  giudice  di  pace,  dando
fondamento alla qualifica "onoraria" del suo  rapporto  di  servizio,
affermata  dal  legislatore  fin  dall'istituzione  della  figura   e
ribadita in occasione della riforma del 2017». Altresi' in precedenza
la Corte (ordinanza n. 174 del 2012) ha sottolineato l'impossibilita'
di assimilare le posizioni dei giudici onorari e dei  magistrati  che
svolgono professionalmente e in via esclusiva funzioni giudiziarie, e
l'impossibilita'  di  comparare  tali   posizioni   ai   fini   della
valutazione del rispetto del principio di uguaglianza, a causa  dello
svolgimento  a  diverso  titolo   delle   funzioni   giurisdizionali,
connotate dall'esclusivita' solo nel caso dei magistrati ordinari  di
ruolo che svolgono professionalmente le loro funzioni (sentenza n. 60
del 2006, ordinanze n. 479 del 2000 e n. 272 del 1999). 
    14.- Il secondo comma dell'art. 106 Cost., pero', fa  riferimento
a «tutte» le  funzioni  attribuite  a  giudici  singoli;  espressione
questa che concorre a definire la figura del  magistrato  onorario  a
fronte del magistrato togato professionale. 
    Per un verso, la norma esprimeva la volonta' del  Costituente  di
limitare le funzioni dei magistrati onorari  alla  giustizia  minore,
tale essendo considerata quella amministrata  dai  «giudici  singoli»
dell'epoca, escludendoli volutamente dai collegi. 
    Per altro verso, vi era anche che il giudice onorario  dell'epoca
(segnatamente, il vice pretore) poteva far  qualcosa  di  piu'  delle
funzioni di "giudice  singolo".  Poteva  talvolta  svolgere  funzioni
giurisdizionali in un collegio, ossia funzioni attribuite  non  a  un
"giudice singolo", ma a un giudice collegiale  (di  norma)  di  primo
grado, qual era il tribunale. Infatti l'art. 105 ordin.  giud.  sulla
supplenza nelle sezioni  del  tribunale  prevedeva  che,  se  in  una
sezione mancava o era impedito il presidente  o  alcuno  dei  giudici
necessari per costituire il collegio giudicante,  il  presidente  del
tribunale, quando non  poteva  provvedere  con  magistrati  di  altre
sezioni, delegava, nell'ordine, un pretore, un aggiunto giudiziario o
un vice-pretore. Sicche' era possibile che un giudice onorario,  qual
era il vice pretore, svolgesse funzioni di componente di un  collegio
in via  eccezionale  e  di  supplenza  quando  non  era  in  concreto
possibile il ricorso ad alcun magistrato ordinario  togato.  In  ogni
caso si trattava di supplenza nell'attivita' collegiale di un giudice
di primo grado, qual  era  il  tribunale,  e  giammai  di  una  corte
(d'appello o di cassazione). 
    Si e' posto allora il problema se l'esercizio - da  parte  di  un
magistrato onorario, seppur in via eccezionale  e  transitoria  -  di
attivita' giurisdizionale collegiale fosse compatibile, o no, con  la
prescrizione dell'art. 106, secondo comma, Cost.,  che  -  come  gia'
detto  -  limita  il  riconoscimento  della   magistratura   onoraria
all'esercizio di funzioni di "giudice singolo", essendo  dubbio  che,
se  un  "giudice  singolo"  ordinario   togato   poteva   esercitare,
temporaneamente ed eccezionalmente, le funzioni di componente  di  un
collegio giudicante, cio' potesse fare anche un magistrato onorario. 
    Questa Corte e' stata investita della questione  di  legittimita'
costituzionale solo  alcuni  anni  dopo  l'entrata  in  vigore  della
Costituzione e  solo  quando  si  e'  ritenuto  esaurito  il  periodo
transitorio entro cui doveva essere revisionata, anche  parzialmente,
la legge sull'ordinamento  giudiziario  per  renderla  conforme  alla
Costituzione (sentenza n. 156 del 1963). 
    Le pronunce di questa Corte da cui emerge la delimitazione  della
figura del magistrato onorario, rientrante nel paradigma del  secondo
comma dell'art. 106 Cost., sono essenzialmente le sentenze n. 99  del
1964 e n. 103 del 1998. 
    15.-  Dapprima  la  questione  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 105 ordin. giud. - nella sua formulazione originaria tenuta
in vita dell'art. 42 della legge 24 marzo 1958, n. 195  (Norme  sulla
Costituzione  e  sul  funzionamento  del  Consiglio  superiore  della
Magistratura), che ha previsto in  generale  la  sopravvivenza  delle
norme dell'ordinamento del 1941 non incompatibili con la nuova  legge
- e' stata sollevata in riferimento  proprio  all'art.  106,  secondo
comma, Cost. 
    Questa Corte (sentenza n. 99 del 1964) ha innanzi tutto  premesso
che le funzioni che possono essere esercitate da  magistrati  onorari
sono quelle del «giudice singolo  (pretore  e  conciliatore)»,  cosi'
confermando la piana lettura secondo cui il "giudice singolo"  e'  un
giudice monocratico di primo grado. 
    Ha poi precisato che il riferimento, contenuto nel secondo  comma
dell'art. 106 Cost.,  a  «tutte  le  funzioni  attribuite  a  giudici
singoli» deve «intendersi come indicazione generica dell'ufficio  nel
quale i magistrati  onorari  possono  essere  ammessi  ad  esercitare
funzioni giudiziarie». Quindi, se un "giudice singolo", qual  era  il
pretore, poteva essere chiamato  -  ricorrendo  le  condizioni  della
supplenza  di  cui  all'art.  105  ordin.  giud.  -  a  integrare  la
composizione  di  un  collegio   del   tribunale,   giudice   appunto
collegiale, cio'  poteva  legittimamente  fare  anche  un  magistrato
onorario, quale il vice pretore onorario,  trattandosi  di  «funzioni
temporanee ed eccezionali derivanti da  un  incarico  di  supplenza»,
senza che per questo fosse alterato lo status  di  quest'ultimo  che,
anche nell'esercizio  di  queste  funzioni,  rimaneva  un  magistrato
onorario. Tale particolarissimo esercizio di funzioni giurisdizionali
di giudice collegiale e' stato ritenuto compatibile con il  parametro
evocato,    perche'    rispondente    a     «esigenze     eccezionali
dell'amministrazione della giustizia». 
    Il risultato complessivo di questa interpretazione -  funzionale,
piuttosto che rigorosamente  "originalista"  -  e'  stato  quello  di
configurare una magistratura onoraria che, seppur non confinata  alle
sole funzioni monocratiche di primo grado, come avrebbe  indotto  una
lettura  testuale  del  parametro,  poteva,  in  via  eccezionale   e
temporanea,  svolgere  anche  funzioni  collegiali,  partecipando   a
collegi del tribunale. 
    16.- A questa giurisprudenza ha dato continuita' la  sentenza  n.
103  del  1998,  che  ha  dichiarato  non  fondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 90, comma 5, della legge n. 353
del 1990, come modificato dall'art. 9 del d.l. n. 432 del 1995,  come
convertito; disposizione questa che prevedeva  la  possibilita',  per
tutti gli affari pendenti alla data del 30 aprile 1995,  di  disporre
la supplenza dei magistrati  professionali  chiamati  a  comporre  il
collegio giudicante del tribunale in materia civile con vice  pretori
onorari, «anche in assenza delle condizioni [...] previste» dall'art.
105 ordin. giud. (ossia la disposizione in  precedenza  sottoposta  a
scrutinio della Corte con la citata sentenza n. 99 del 1964). 
    In  questa  pronuncia  la  Corte  ha  accolto  un'interpretazione
adeguatrice  della  disposizione  censurata  ritenendo  che  il   suo
testuale  carattere  derogatorio   in   realta'   «attinge   soltanto
all'ordine delle precedenze» nella supplenza. 
    In tal modo questa Corte ha segnato  una  linea  di  confine  ben
precisa. 
    Quello che testualmente avrebbe  potuto  essere  un  allargamento
della figura e  del  ruolo  del  magistrato  onorario,  insito  nella
previsione che l'assegnazione ai collegi di tribunale poteva avvenire
«anche in assenza delle  condizioni  [...]  previste»  dall'art.  105
ordin.  giud.  -  e  quindi  potenzialmente  anche  in  mancanza  del
requisito della supplenza di un  magistrato  togato  -  e'  risultato
precluso proprio dall'interpretazione adeguatrice della Corte che  ha
molto circoscritto la portata dell'innovazione.  Deve  trattarsi  pur
sempre  di  un'«assegnazione  precaria  e  occasionale»,  riferita  a
«singole udienze o singoli processi», per essere compatibile  con  il
dettato del secondo comma dell'art. 106 Cost. 
    Sono  l'eccezionalita'  e  la  temporaneita'   dell'incarico   di
supplenza, al quale e' chiamato il magistrato onorario, a scongiurare
«il rischio dell'emergere di  una  nuova  categoria  di  magistrati».
Infatti - e' detto con molta chiarezza -  «la  supplenza,  rettamente
intesa, non trasforma i  magistrati  onorari  addetti  a  un  ufficio
monocratico, impiegati eccezionalmente, in magistrati appartenenti  a
un organo collegiale». 
    17.- Si  e'  meglio  delineata  cosi'  la  figura  di  magistrato
onorario gia' prevista dalla Costituzione (art. 106, secondo  comma),
compatibile con la regola  generale  che  vuole  che  le  nomine  dei
magistrati abbiano luogo per concorso (art.  106,  primo  comma):  e'
quella di un giudice singolo, perche' monocratico di primo grado, che
solo in via eccezionale e transitoria, puo'  comporre  i  collegi  di
tribunale. 
    Le disposizioni, portate all'esame  di  questa  Corte  nelle  due
citate pronunce - sia l'art. 105 ordin. giud., sia l'art.  90,  comma
5, della legge  n.  353  del  1990  -  hanno  infatti  previsto  come
eccezionale e temporanea l'assegnazione  di  un  giudice  onorario  a
svolgere funzioni collegiali e solo in collegi di tribunale. 
    18.- Dopo l'istituzione del giudice  di  pace,  quale  magistrato
onorario esclusivamente monocratico di primo grado,  in  sostituzione
del giudice conciliatore (su cui vedi la sentenza n. 150  del  1993),
la disciplina della supplenza in collegi di tribunale anche ad  opera
di un giudice onorario e' stata riformulata nell'art.  43-bis  ordin.
giud., introdotto dall'art. 10 del d.lgs. n.  51  del  1998,  che  ha
previsto che i giudici onorari svolgono presso il tribunale ordinario
il lavoro giudiziario loro assegnato dal presidente del tribunale  o,
se il tribunale e' costituito in sezioni, dal presidente o  da  altro
magistrato che dirige la sezione. 
    Essi possono tenere udienza solo nei casi  di  impedimento  o  di
mancanza dei giudici ordinari. 
    Tale disposizione  e'  stata  abrogata  dall'art.  33,  comma  1,
lettera a), del d.lgs. n. 116 del 2017, in occasione dell'avvio della
riforma della magistratura onoraria. Pero' una disciplina analoga  e'
stata posta dall'art. 12 dello stesso  decreto  legislativo,  secondo
cui i giudici onorari di pace, che sono inseriti nell'ufficio per  il
processo, possono essere destinati a  comporre  i  collegi  civili  e
penali del tribunale, quando  sussistono  le  condizioni  di  cui  al
precedente  art.  11  e  quando,  per  situazioni   straordinarie   e
contingenti, non si possono adottare  misure  organizzative  diverse.
Ossia occorre che il tribunale (o una sua sezione)  presenti  vacanze
di posti in organico, assenze non temporanee di magistrati o  esoneri
parziali o totali dal servizio giudiziario, tali da ridurre di  oltre
il trenta per cento l'attivita' dei giudici  professionali  assegnati
al tribunale o alla sezione. Oppure  e'  necessario,  a  giustificare
tale impiego dei giudici onorari,  che  il  numero  dei  procedimenti
civili e penali  pendenti  superi  determinate  soglie,  puntualmente
calcolate secondo i criteri del citato art. 11. 
    Inoltre ai giudici  onorari  di  pace,  destinati  a  comporre  i
collegi,  possono  essere   assegnati   esclusivamente   procedimenti
pendenti a tale scadenza e del collegio non puo' far parte piu' di un
giudice onorario di pace. 
    Vi sono poi delle esclusioni: in ogni caso, il  giudice  onorario
di pace non puo' essere destinato, per il settore civile, a  comporre
i collegi giudicanti dei procedimenti in  materia  fallimentare  e  i
collegi delle sezioni specializzate e, quanto alla  competenza  nella
materia penale, non puo' comporre i collegi del tribunale del riesame
ovvero qualora si proceda per i reati indicati nell'art.  407,  comma
2, lettera a), del codice di procedura penale. 
    19.- In definitiva, la lettura che, del secondo  comma  dell'art.
106  Cost.,  ha  dato  questa  Corte   nelle   richiamate   pronunce,
corroborata  nel  tempo  dalla  stessa  normativa  ordinaria   appena
indicata, sulla possibilita'  solo  eccezionale  di  assegnazione  di
magistrati onorari a  un  collegio  di  tribunale,  ha  tracciato  un
perimetro  invalicabile  della  magistratura  onoraria,  identificata
nella figura di un giudice monocratico  di  primo  grado,  il  quale,
unicamente a determinate condizioni e in via di supplenza, puo' anche
partecipare allo svolgimento di funzioni collegiali di tribunale. 
    L'esistenza di questo limite  ha  trovato  conferma  anche  nella
circostanza che, quando si e' pensato  di  ampliare  il  ruolo  della
magistratura onoraria, vi  e'  stata  un'iniziativa  parlamentare  di
legge costituzionale - il disegno di legge  costituzionale  n.  4275,
presentato alla Camera dei deputati  il  7  aprile  2011,  avente  ad
oggetto la riforma del Titolo IV della Parte II della Costituzione  -
che prevedeva appunto l'eliminazione dal testo dell'art. 106, secondo
comma, Cost. proprio dell'inciso «per tutte le funzioni attribuite ai
giudici  singoli»,  lasciando  cosi'   la   sola   previsione   della
possibilita' per la legge sull'ordinamento giudiziario  di  ammettere
la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari, si' da  consentirla
anche per funzioni collegiali. 
    L'iniziativa non ha sortito effetto. 
    Non di meno, due anni dopo, il legislatore ordinario (d.l. n.  69
del 2013) - seppur per una ragione apprezzabile, ossia «[a]l fine  di
agevolare la definizione dei procedimenti civili, compresi quelli  in
materia di lavoro e  previdenza»  -  ha  introdotto,  a  Costituzione
invariata (quanto all'art. 106, secondo comma), la  nuova  e  inedita
figura di magistrato onorario, oggetto delle disposizioni censurate -
il giudice ausiliario d'appello  -  con  l'assegnazione  di  funzioni
attribuite a giudici - non gia' «singoli», come ancora richiedeva,  e
tuttora richiede, l'art. 106, secondo comma, Cost. -  ma  tipicamente
collegiali e di secondo grado, quali erano, e sono, quelle esercitate
dalle corti d'appello. 
    La  previsione  ad  opera  delle  disposizioni  censurate   dello
svolgimento di funzioni (nient'affatto di  giudici  singoli,  ma)  di
giudici  collegiali  presso  le  corti  d'appello,  dove  i   giudici
ausiliari sono strutturalmente inseriti, come gia'  sopra  descritto,
risulta essere - per quanto finora esposto - del tutto fuori  sistema
e si pone in radicale contrasto con  tale  parametro,  congiuntamente
all'art. 106, primo comma, Cost. 
    I giudici ausiliari d'appello non sono riconducibili a figure  di
«giudici singoli», perche' chiamati a esercitare la giurisdizione  in
composizione stabilmente collegiale, qual e' la corte d'appello, e in
giudizi di regola di secondo grado. 
    Tale vizio di illegittimita' costituzionale non  e'  eliso  dalle
prescrizioni  dettate  dalle  disposizioni  censurate,  quanto   alla
disciplina dell'incompatibilita',  nonche'  dell'astensione  e  della
ricusazione (artt. 69 e 70 del d.l. n. 69 del 2013), per  assicurare,
comunque, l'indipendenza e la terzieta' del giudice, le quali operano
sul  diverso  piano  della  concreta   realizzazione   della   tutela
giurisdizionale. 
    Ne' rileva che la recente riforma  della  magistratura  onoraria,
avviata con il d.lgs. n. 116 del 2017, nel  disegnare  la  figura  di
giudice onorario  di  pace  riconducibile  a  quella  di  un  giudice
singolo, in  quanto  monocratico,  che  solo  in  via  eccezionale  e
transitoria, puo' comporre i collegi  del  tribunale,  non  ripropone
piu', ne' affatto considera, quella del giudice ausiliario d'appello. 
    20.-   Conclusivamente,   sussiste   pertanto    la    denunciata
illegittimita' costituzionale degli articoli da 62 a 72 del  d.l.  n.
69 del 2013, come convertito. 
    21.- Si pone, infine, l'esigenza di tener  conto  dell'innegabile
impatto complessivo che la decisione di illegittimita' costituzionale
e'  destinata  ad  avere  sull'ordinamento  giurisdizionale   e   sul
funzionamento della giustizia nelle corti d'appello. 
    L'apporto dei giudici ausiliari finora e' stato  significativo  e
apprezzato nelle relazioni dei Presidenti delle corti d'appello sullo
stato della giustizia nei singoli distretti. Il loro contributo  allo
smaltimento o al contenimento dell'arretrato del  contenzioso  civile
e' stato assicurato  anche  dall'espressa  previsione  dell'art.  68,
comma 2, del d.l. n. 69 del  2013,  che  richiede  che  ogni  giudice
ausiliario debba definire, nel collegio in cui  e'  relatore,  almeno
novanta procedimenti per anno, peraltro computando nella misura di un
ottavo di provvedimento i decreti in materia di equa riparazione  per
violazione del termine ragionevole del processo. 
    E'  di  tutta  evidenza  che  il  venir  meno  di  tale   apporto
recherebbe, nell'immediato, un grave pregiudizio  all'amministrazione
della giustizia, tanto piu' nella situazione attuale, che  vede  come
urgente l'esigenza di riduzione dei tempi della giustizia,  e  quindi
anche di quella civile,  dove  hanno  operato  e  operano  i  giudici
ausiliari presso le corti d'appello. 
    22.- In generale, a fronte della violazione dei parametri evocati
nel  sindacato  di  legittimita'  costituzionale   -   quale,   nella
fattispecie, il  contrasto  di  questa  nuova  figura  di  magistrato
onorario con l'art. 106, primo e secondo comma, Cost. - e'  possibile
che sussistano altri valori  costituzionali  di  pari  -  e  finanche
superiore - livello, i quali risulterebbero  in  sofferenza  ove  gli
effetti   della   declaratoria   di   illegittimita'   costituzionale
risalissero (retroattivamente, come di  regola)  fin  dalla  data  di
efficacia della norma oggetto della pronuncia. 
    Il bilanciamento di questi valori e' stato operato dalla Corte in
varie pronunce, anche eccezionalmente modulando nel tempo gli effetti
della decisione; possibilita' questa non  preclusa  dall'eventualita'
che, in un giudizio incidentale, una dichiarazione di  illegittimita'
costituzionale, la quale di cio'  tenga  conto,  risulti  non  essere
utile, in concreto, alle parti nel processo principale, atteso che la
rilevanza  della  questione  va   valutata,   al   fine   della   sua
ammissibilita', al momento dell'ordinanza di rimessione. 
    Cio'   la   Corte    ha    fatto    proprio    con    riferimento
all'amministrazione della giustizia nel caso della nomina dei giudici
militari (sentenza n. 266 del 1988) e della pubblicita' delle udienze
nel processo tributario (sentenza n. 50 del 1989). 
    La  pronuncia  che  maggiormente   ha   segnato   tale   percorso
giurisprudenziale e' la sentenza n. 10 del  2015  che  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale di  una  disposizione  che  prevedeva
un'imposizione tributaria (un'addizionale IRES  sugli  extra-profitti
delle imprese energetiche  e  petrolifere)  a  decorrere  dal  giorno
successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale
della  Repubblica.  Ha  affermato  la   Corte   che   «l'applicazione
retroattiva   della   presente   declaratoria    di    illegittimita'
costituzionale  determinerebbe   anzitutto   una   grave   violazione
dell'equilibro  di  bilancio  ai  sensi   dell'art.   81   Cost.»   e
cagionerebbe  «un  irrimediabile  pregiudizio   delle   esigenze   di
solidarieta' sociale con grave violazione degli artt. 2 e 3 Cost.». 
    In  seguito  la  Corte  (sentenza  n.  246  del  2019)  ha   dato
continuita' a  tali  principi  ribadendo  che  puo'  «eccezionalmente
presentarsi l'esigenza di bilanciamento con altri valori  e  principi
costituzionali, i  quali  in  ipotesi  risulterebbero  gravemente  in
sofferenza  ove   tali   effetti   risalissero,   come   di   regola,
retroattivamente fino alla data di efficacia della  norma  censurata»
(da ultimo, sentenza n. 152 del 2020). 
    In epoca piu' risalente questa Corte (sentenza n. 13 del 2004)  -
nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale  sopravvenuta  di  una
disposizione di una legge statale,  a  seguito  del  mutamento  delle
competenze dopo la revisione del Titolo V della Seconda  Parte  della
Costituzione,  relativamente  alle  attribuzioni  di  una  figura  di
dirigente scolastico regionale - ha finanche ritenuto  che  la  norma
censurata «deve [...] continuare ad  operare»,  essendo  destinata  a
venir meno solo quando le regioni, nel proprio ambito territoriale  e
nel rispetto della continuita' del servizio di  istruzione,  avessero
attribuito, con legge regionale, a propri organi la definizione delle
dotazioni  organiche  del   personale   docente   delle   istituzioni
scolastiche. 
    23.- Anche nel contesto ora in esame e' rilevante la circostanza,
del tutto peculiare in  questa  fattispecie,  che  l'interazione  dei
valori  in  gioco  evidenzia,  nell'immediato,  il  gia'   richiamato
pregiudizio all'amministrazione della giustizia e quindi alla  tutela
giurisdizionale, presidio di garanzia di ogni  diritto  fondamentale,
essendo alla  Corte  ben  presente  l'esigenza  di  «evitare  carenze
nell'organizzazione giudiziaria» (sentenza n. 156 del 1963). 
    Occorre allora - come soluzione, nella specie, costituzionalmente
adeguata alla protezione di tali valori  -  che  la  declaratoria  di
illegittimita' delle disposizioni censurate lasci al  legislatore  un
sufficiente lasso di tempo che assicuri  la  «necessaria  gradualita'
nella   completa   attuazione   della   normativa    costituzionale»,
segnatamente dell'art. 106, secondo comma, Cost., come e  ancor  piu'
che nella ricordata pronuncia  relativa  alla  magistratura  militare
(sentenza n. 266 del 1988). A tal fine la reductio  ad  legitimitatem
puo' invece  farsi,  con  la  sperimentata  tecnica  della  pronuncia
additiva, inserendo nella normativa censurata un termine finale entro
(e non oltre) il quale il legislatore e' chiamato a intervenire. 
    A  tal  fine  rileva  -  come  dato   normativo   gia'   presente
nell'ordinamento,  utile  ad  orientare  ora   la   decisione   nella
fattispecie in esame  -  la  previsione,  dettata  all'epoca  per  le
(nuove) figure di giudice onorario introdotte dal d.lgs.  n.  51  del
1998, secondo cui le modifiche dell'ordinamento giudiziario, in forza
delle quali  tali  magistrati  onorari  potevano  essere  addetti  al
tribunale  ordinario  e  alla  procura  della  Repubblica  presso  il
tribunale ordinario, si sarebbero applicate «fino a quando non  sara'
attuato il complessivo riordino del  ruolo  e  delle  funzioni  della
magistratura onoraria a norma dell'art.  106,  secondo  comma,  della
Costituzione» (art. 245 di tale decreto legislativo). 
    Un'analoga prescrizione  limitativa  -  allo  scopo  di  evitare,
nell'immediato, un pregiudizio all'amministrazione della giustizia  -
e' possibile anche nell'attuale  contesto  normativo,  che  vede  una
riforma in progress della magistratura onoraria (d.lgs.  n.  116  del
2017), la cui completa entrata in vigore e' gia' differita  per  vari
aspetti al 31 ottobre 2025 (art. 32 di tale  decreto  legislativo)  e
che e'  attualmente  oggetto  di  iniziative  di  ulteriore  riforma,
all'esame del Parlamento (d.d.l. n. S1516, testo unificato dei d.d.l.
numeri  1438,  1555,   1582   e   1714).   Sicche'   l'illegittimita'
costituzionale della normativa censurata puo' essere dichiarata nella
parte in cui non prevede che essa si applichi fino  al  completamento
del riordino del ruolo e delle funzioni della  magistratura  onoraria
nei tempi contemplati dal citato art. 32 del d.lgs. n. 116 del  2017,
cosi' riconoscendo ad essa - per l'incidenza dei  concorrenti  valori
di   rango   costituzionale   -   una    temporanea    tollerabilita'
costituzionale, rispetto all'evocato parametro dell'art. 106, primo e
secondo comma, Cost. 
    In tale periodo rimane - anche con riguardo ai giudizi a quibus -
legittima la costituzione dei collegi delle corti  d'appello  con  la
partecipazione di non piu' di un giudice ausiliario a collegio e  nel
rispetto di  tutte  le  altre  disposizioni,  sopra  richiamate,  che
garantiscono l'indipendenza e la terzieta' anche di questo magistrato
onorario. Puo' ripetersi in proposito -  mutatis  mutandis  -  quanto
gia' affermato da questa Corte nella citata sentenza n. 103 del  1998
in riferimento ad altra  figura  di  magistrato  onorario  del  quale
comunque  e'  stata   garantita   «l'imparzialita'   della   funzione
giudicante  attraverso   gli   istituti   dell'astensione   e   della
ricusazione, rimedi bastevoli a questo proposito». 
    24.- Va pertanto dichiarata l'illegittimita' costituzionale degli
artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 del d.l. n. 69  del
2013, convertito in legge, con modificazioni, nella legge n.  98  del
2013, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino  a
quando non sara' completato il riordino del ruolo  e  delle  funzioni
della magistratura onoraria nei  tempi  stabiliti  dall'art.  32  del
d.lgs. n. 116 del 2017.