ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli  artt.  1  e  2
della  legge  della  Regione  Veneto  23   dicembre   2019,   n.   50
(Disposizioni per la regolarizzazione delle opere  edilizie  eseguite
in parziale difformita' prima dell'entrata in vigore della  legge  28
gennaio 1977, n. 10 "Norme in materia di edificabilita' dei  suoli"),
promosso dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  con  ricorso
notificato il 25-28 febbraio 2020, depositato  in  cancelleria  il  2
marzo 2020, iscritto al n. 26 del registro ricorsi 2020 e  pubblicato
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  14,  prima   serie
speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udito nell'udienza pubblica del 23 marzo 2021 il Giudice relatore
Augusto Antonio Barbera; 
    uditi l'avvocato dello Stato Gianni De Bellis per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e  gli  avvocati  Andrea  Manzi  e  Franco
Botteon per la Regione Veneto, in collegamento da  remoto,  ai  sensi
del punto 1) del decreto del Presidente  della  Corte  del  16  marzo
2021; 
    deliberato nella camera di consiglio del 24 marzo 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 25-28 febbraio 2020 e depositato il
successivo 2 marzo (reg. ric. n. 26  del  2020),  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  ha  promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Veneto  23
dicembre 2019, n. 50  (Disposizioni  per  la  regolarizzazione  delle
opere edilizie eseguite in parziale difformita' prima dell'entrata in
vigore della legge 28 gennaio  1977,  n.  10  "Norme  in  materia  di
edificabilita' dei suoli"),  per  contrasto  con  l'art.  117,  terzo
comma, della Costituzione. 
    2.- L'art. 1 della legge impugnata  prevede  che,  «[n]elle  more
dell'entrata in vigore della normativa regionale  di  riordino  della
disciplina  edilizia,  la  Regione  del  Veneto,  in  attuazione  dei
principi di tutela del legittimo affidamento dei soggetti interessati
e  di  semplificazione  dell'azione  amministrativa,   promuove,   in
coerenza con quanto previsto dalla legge regionale 6 giugno 2017,  n.
14 "Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche
della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del
territorio  e  in  materia  di   paesaggio",   il   recupero   e   la
riqualificazione del patrimonio edilizio  esistente,  consentendo  la
regolarizzazione amministrativa delle parziali  difformita'  edilizie
risalenti nel tempo, secondo le modalita' e le procedure di cui  alla
presente legge». 
    L'art. 2, inerente alle  modalita'  applicative  delle  enunciate
finalita', prevede poi, al comma 1, che le disposizioni  della  legge
si applichino «alle opere  edilizie,  provviste  di  titolo  edilizio
abilitativo o di certificato di abitabilita' od agibilita',  eseguite
in parziale difformita' dai titoli edilizi rilasciati o dai  progetti
approvati prima dell'entrata in vigore della legge 28  gennaio  1977,
n. 10»; la norma  prosegue  indicando  le  difformita'  passibili  di
regolarizzazione, che comportino, fra l'altro, «un aumento fino a  un
quinto del volume dell'edificio e comunque in misura non superiore  a
90 metri cubi», ovvero «un aumento fino a un quinto della  superficie
dell'edificio  e  comunque  in  misura  non  superiore  a  30   metri
quadrati». 
    Infine, e' previsto, al  comma  3,  che  le  difformita'  possano
essere «regolarizzate  mediante  presentazione  di  una  segnalazione
certificata di inizio attivita'  (SCIA)»  e  previo  pagamento  delle
sanzioni pecuniarie meglio specificate nel prosieguo del testo, fatti
salvi gli effetti civili e penali dell'illecito e fermo  restando  il
pagamento del contributo di costruzione, ove dovuto. 
    3.- Secondo  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  tali
disposizioni si porrebbero in contrasto con la normativa  statale  di
principio della  materia  «governo  del  territorio»,  contenuta  nel
decreto del Presidente  della  Repubblica  6  giugno  2001,  n.  380,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in materia edilizia (Testo  A)»  (di  seguito:  t.u.  edilizia),  con
conseguente violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    3.1.-  In  particolare,  il  ricorrente  osserva  che  le   norme
impugnate consentirebbero la conservazione  del  patrimonio  edilizio
esistente anche se abusivo, sostituendo la sanzione  demolitoria  con
quella pecuniaria al di fuori  dei  casi  tassativi  stabiliti  dagli
artt. 31  e  33  t.u.  edilizia,  concernenti,  rispettivamente,  gli
interventi edificatori o le ristrutturazioni in assenza  di  permesso
di costruire, in totale difformita' dallo  stesso  o  con  variazioni
essenziali. 
    Il  ricorrente  rileva  poi  che  la  misura  delle   difformita'
volumetriche o di superficie suscettibili di regolarizzazione  supera
il limite previsto dall'art. 34, comma 2-ter, t.u. edilizia, a  mente
del  quale  la  sussistenza  di  «parziale  difformita'»  e'  esclusa
unicamente «in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura
o superficie coperta che non eccedano per singola unita'  immobiliare
il 2 per cento delle misure progettuali», dal che deduce un ulteriore
profilo di contrasto con l'evocato parametro interposto. 
    3.2.- Infine, l'impugnato art. 2 determinerebbe  «un  ampliamento
delle  ipotesi  condonabili  previste  dalla  legislazione   statale,
ammettendo  la  regolarizzazione  amministrativa   delle   (parziali)
difformita' edilizie mediante la presentazione di  una  SCIA»;  esso,
pertanto, contrasterebbe con gli artt. 36 e  37  t.u.  edilizia,  che
consentono il rilascio di un titolo edilizio  in  sanatoria  solo  in
presenza del requisito della cosiddetta  doppia  conformita',  ovvero
solo se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica  ed
edilizia vigente sia al  momento  della  sua  realizzazione,  sia  al
momento della presentazione della domanda. 
    A  tale  riguardo,  il  ricorrente  richiama  la   giurisprudenza
costituzionale che ha chiarito come competano al legislatore statale,
oltre ai profili penalistici, le scelte  di  principio  sul  versante
della sanatoria, in particolare quelle relative all'an, al  quando  e
al quantum,  mentre  al  legislatore  regionale  spettino  unicamente
l'articolazione e la specificazione di tali disposizioni. 
    Nel caso di specie, la legge regionale impugnata  avrebbe  invece
consentito la regolarizzazione di difformita' edilizie sulla base  di
un titolo abilitativo diverso  da  quello  indicato  dalla  norma  di
principio e oltre il  termine  previsto  dal  legislatore  statale  -
nell'esercizio della potesta' esclusiva  attribuitagli  dallo  stesso
art. 117, terzo comma, Cost. - con  l'art.  5  del  decreto-legge  12
luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti  per  il  contenimento  della
spesa pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio
2004, n. 191. 
    4.- La Regione Veneto si e' costituita con memoria depositata  il
30 marzo 2020,  chiedendo  che  le  questioni  siano  dichiarate  non
fondate. 
    4.1.- Dopo aver premesso che  spetta  certamente  al  legislatore
statale tracciare la  disciplina  di  principio  della  sanatoria  in
materia edilizia, la Regione  ha  sostenuto  che  cio'  non  comporta
necessariamente che spetti sempre e comunque allo Stato la competenza
a disciplinare «qualsiasi ipotesi di regolarizzazione  edilizia,  pur
ove  essa  non  costituisca  un  condono,  ma  una  mera  ipotesi  di
fiscalizzazione dell'illecito edilizio». 
    L'intervento normativo in questione costituirebbe, per l'appunto,
un'ipotesi di mera "fiscalizzazione dell'illecito",  come  dimostrato
dal fatto che non vengono rimosse  le  conseguenze  degli  abusi  sul
piano civile e penale;  siffatta  categoria  di  interventi  dovrebbe
ritenersi  pienamente   rientrante   nell'ambito   della   competenza
riconosciuta alle Regioni nella  materia  «governo  del  territorio»,
costituendo  una  forma   di   regolarizzazione   amministrativa   di
difformita'  modeste,   ispirata   a   criteri   di   ragionevolezza,
circoscritta nel tempo e conforme alle regole  di  principio  fissate
dal legislatore statale. 
    4.2.- Su tali basi, la Regione ha evidenziato che le disposizioni
impugnate  riguardano  infatti  «abusi  edilizi  di  scarso  rilievo,
risalenti, peraltro, ad un periodo 'storico'  nel  quale  i  progetti
venivano sottoposti al solo esame della commissione edilizia e in cui
le varianti ai progetti gia'  dotati  di  licenza  edilizia  venivano
realizzate  in  assenza  di   ulteriori   atti   autorizzatori»;   si
tratterebbe, quindi, di  una  tipologia  di  abusi  gia'  considerata
«sanabile in via generale» dal legislatore statale,  come  evincibile
dall'art. 34 t.u. edilizia che, per il caso di interventi eseguiti in
parziale difformita' dal permesso di costruire, consente che l'ordine
di demolizione sia sostituito dal pagamento di una sanzione  pari  al
doppio del costo di produzione. 
    L'intervento normativo regionale  si  porrebbe  su  un  piano  di
continuita' con tale  disciplina  di  principio,  perseguendo,  nello
stesso tempo,  finalita'  di  interesse  pubblico,  di  certezza  del
diritto e di tutela dell'affidamento dei privati. 
    4.3.- Quanto, poi, all'asserita difformita' della legge regionale
rispetto alla previsione  di  cui  all'art.  34,  comma  2-ter,  t.u.
edilizia, la Regione ha sostenuto che la  percentuale  di  tolleranza
prevista da tale ultima norma e' destinata «ad integrare, nel minimo,
i valori limite previsti dalla disposizione di legge regionale». 
    4.4.-  Infine,  quanto  all'asserito  contrasto   rispetto   alla
disciplina  della  cosiddetta  doppia  conformita',  la  Regione   ha
evidenziato che l'ambito di applicazione  dei  due  istituti  sarebbe
«diverso e non sovrapponibile,  sostanzialmente  e  diacronicamente»,
poiche', in  presenza  dei  relativi  presupposti,  il  privato  puo'
ricorrere alla facolta' concessagli dal legislatore regionale laddove
manchino i requisiti per l'operativita' della sanatoria  prevista  in
caso di "doppia conformita'". 
    5.-  Le   parti   hanno   depositato   memorie   in   prossimita'
dell'udienza, insistendo nelle rispettive argomentazioni. 
    La Regione Veneto, in particolare, ha sostenuto  che  l'impugnato
art. 2 si porrebbe in rapporto di specialita' con l'art. 34-bis  t.u.
edilizia,   contemplando   un'ipotesi   peculiare   di    «tolleranza
costruttiva», in piena conformita' con la norma statale di principio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita' costituzionale degli artt.  1  e  2  della  legge  della
Regione  Veneto  23  dicembre  2019,  n.  50  (Disposizioni  per   la
regolarizzazione  delle   opere   edilizie   eseguite   in   parziale
difformita' prima dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977,
n. 10 "Norme in materia di edificabilita' dei suoli"), per  contrasto
con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione. 
    L'art.  1  della  legge  impugnata  prevede  che,  «[n]elle  more
dell'entrata in vigore della normativa regionale  di  riordino  della
disciplina  edilizia,  la  Regione  del  Veneto,  in  attuazione  dei
principi di tutela del legittimo affidamento dei soggetti interessati
e  di  semplificazione  dell'azione  amministrativa,   promuove,   in
coerenza con quanto previsto dalla legge regionale 6 giugno 2017,  n.
14 "Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche
della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del
territorio  e  in  materia  di   paesaggio",   il   recupero   e   la
riqualificazione del patrimonio edilizio  esistente,  consentendo  la
regolarizzazione amministrativa delle parziali  difformita'  edilizie
risalenti nel tempo, secondo le modalita' e le procedure di cui  alla
presente legge». 
    Secondo il ricorrente, tali disposizioni e l'impugnato art.  2  -
il quale consente, «a tutela del legittimo affidamento  dei  soggetti
interessati e  di  semplificazione  dell'azione  amministrativa»,  la
«regolarizzazione amministrativa» delle opere edilizie «provviste  di
titolo edilizio abilitativo  o  di  certificato  di  abitabilita'  od
agibilita'» ed «eseguite in parziale difformita' dai  titoli  edilizi
rilasciati o dai progetti  approvati  prima  dell'entrata  in  vigore
della legge 28  gennaio  1977,  n.  10»,  mediante  presentazione  di
segnalazione  certificata  di  inizio  attivita'  (SCIA)   e   previo
pagamento di sanzione pecuniaria - si porrebbero in contrasto con  la
normativa  statale  di   principio   nella   materia   «governo   del
territorio», e in particolare con gli artt. 31, 33, 34, 36 e  37  del
decreto del Presidente  della  Repubblica  6  giugno  2001,  n.  380,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in materia edilizia (Testo A)» (di seguito: t.u. edilizia). 
    In particolare, le norme impugnate introdurrebbero, al  di  fuori
di quanto previsto dalla normativa nazionale, ipotesi nelle quali  e'
possibile sostituire la sanzione demolitoria con  quella  pecuniaria;
inoltre,  nel  consentire,  all'art.  2,   la   regolarizzazione   di
variazioni che comportino «un aumento fino a  un  quinto  del  volume
dell'edificio e comunque in misura non superiore a  90  metri  cubi»,
ovvero «un aumento fino a un quinto della superficie dell'edificio  e
comunque  in  misura  non  superiore  a  30  metri  quadrati»,   esse
derogherebbero ai limiti di tolleranza fissati  dall'art.  34,  comma
2-ter, t.u. edilizia; infine,  introdurrebbero  una  sanatoria  degli
abusi  edilizi  senza  il  rispetto  del  requisito   della   "doppia
conformita'" di cui agli artt. 36 e 37 t.u. edilizia. 
    2.( La questione formulata in relazione ai  parametri  interposti
rappresentati dagli artt. 36 e 37  t.u.  edilizia  riveste  priorita'
logica e merita di essere scrutinata con precedenza. 
    2.1.( La questione e' fondata. 
    Secondo il  ricorrente,  come  si  e'  detto,  il  meccanismo  di
regolarizzazione degli abusi edilizi consentito dalle norme impugnate
introduce  una  nuova  ipotesi  di  sanatoria,   il   cui   perimetro
applicativo e' piu' ampio di quello stabilito dalle norme statali  di
principio; secondo la Regione  Veneto,  invece,  non  si  produrrebbe
alcun  effetto  sanante  degli  abusi,  poiche'  la  regolarizzazione
disposta  varrebbe  unicamente  a  determinare  una  "fiscalizzazione
dell'illecito", mediante la sostituzione dell'obbligo  di  ripristino
con una sanzione pecuniaria. 
    2.2.( In base al  tenore  letterale  delle  norme  impugnate,  il
pagamento delle sanzioni pecuniarie non e' di per se'  sufficiente  a
consentire la «regolarizzazione amministrativa» delle opere  edilizie
eseguite in parziale difformita' dal titolo, occorrendo  al  riguardo
anche la presentazione di una SCIA. 
    L'effetto sostanziale delle norme  impugnate,  pertanto,  non  e'
circoscritto all'esclusione della sanzione demolitoria  (  sostituita
da quella pecuniaria, seppur con salvezza  degli  «effetti  civili  e
penali  dell'illecito»  (art.  2,  comma  3,  della  legge  regionale
impugnata)  (  ma  si  estende  al  rilascio  di  un  diverso  titolo
abilitativo. 
    2.3.( La combinazione di queste due conseguenze, quindi, produce,
per tutti gli immobili oggetto di  disciplina,  gli  effetti  di  una
sanatoria  straordinaria  (sentenza  n.  233  del   2015),   che   si
differenzia, in quanto tale, dall'istituto  a  carattere  generale  e
permanente del «permesso di  costruire  in  sanatoria»,  disciplinato
dall'art. 36 t.u. edilizia. 
    Le norme impugnate, infatti, non solo consentono il  mantenimento
dell'immobile abusivo nella disponibilita' del soggetto  interessato,
senza  alcun  obbligo  di  ripristino  dello  status  quo  ante,   ma
prevedono, in  relazione  allo  stesso,  che  il  titolo  originario,
stabilito dal legislatore statale, sia sostituito dal  nuovo  titolo,
conseguente alla presentazione della SCIA. 
    Significativo, a tale ultimo proposito, e' il rilievo ( emergente
dall'esame dei lavori preparatori ( che la  scelta  di  adottare  «lo
strumento della segnalazione  certificata  di  inizio  attivita'»  e'
stata  dichiaratamente  operata  per   salvaguardare   «l'affidamento
maturato  dai  soggetti  privati  alla  conservazione,  alla   libera
circolazione nonche' alla trasformazione edilizia [...] dei  suddetti
edifici» (Relazione della proposta di legge al Consiglio regionale da
parte della seconda commissione consiliare), ovvero  in  relazione  a
situazioni  e  attivita'   che   necessariamente   presuppongono   la
sussistenza di un valido titolo abilitativo. 
    2.4.( In tema di condono edilizio, la  giurisprudenza  di  questa
Corte ha piu' volte chiarito che spettano alla legislazione  statale,
oltre ai profili penalistici (integralmente sottratti al  legislatore
regionale: sentenze n. 49 del 2006, n. 70  del  2005  e  n.  196  del
2004), le scelte di principio, in particolare quelle relative all'an,
al quando e al quantum, ossia la decisione sul se disporre un  titolo
abilitativo  edilizio  straordinario,  quella   relativa   all'ambito
temporale di efficacia  della  sanatoria  e  infine  l'individuazione
delle volumetrie massime condonabili (sentenza n. 70 del 2020;  nello
stesso senso, sentenze n. 208 del 2019, n. 68 del 2018 e  n.  73  del
2017). 
    Solo nel rispetto di tali scelte di principio, competono poi alla
legislazione regionale  l'articolazione  e  la  specificazione  delle
disposizioni dettate dal legislatore statale (sentenze n. 73 del 2017
e n. 233 del 2015). 
    2.5.( Le norme impugnate esorbitano da tale ambito di competenza.
Circa la possibilita' che una  legge  regionale  intervenga  con  una
propria disciplina in materia, questa Corte ha infatti  rilevato  che
si tratta di  scelta  «espressiva  della  funzione  di  "governo  del
territorio" tipica della disciplina urbanistica ed edilizia,  rimessa
alla potesta' legislativa delle Regioni  nel  rispetto  dei  principi
fondamentali stabiliti con leggi dello Stato (art. 117, terzo  comma,
Cost.), ed in particolare di quelli "desumibili" dal  t.u.  edilizia,
come sancito dall'art. 1 dello stesso» (sentenza n. 2 del 2019). 
    A  tale  ultimo  proposito,  tuttavia,  questa  Corte  ha   anche
precisato  che  costituisce  principio  fondamentale  della   materia
governo  del  territorio  la  verifica   della   cosiddetta   "doppia
conformita'" di cui al menzionato art. 36 t.u. edilizia, in  base  al
quale  «il  responsabile   dell'abuso,   o   l'attuale   proprietario
dell'immobile,  possono  ottenere  il  permesso   in   sanatoria   se
l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente sia al momento  della  realizzazione  dello  stesso,  sia  al
momento della presentazione della domanda». 
    Si tratta, infatti, di un adempimento  «finalizzato  a  garantire
l'assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia  durante
tutto l'arco temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e  la
presentazione  dell'istanza  volta  ad  ottenere  l'accertamento   di
conformita'» (sentenza n. 232 del 2017; nello stesso senso,  sentenze
n. 107 del 2017 e n. 101 del 2013). 
    Anche  nei  casi  in  cui  l'attivita'   sia   subordinata   alla
presentazione di SCIA, la normativa statale di  principio  impone  il
duplice accertamento di conformita', e cio' sia per l'ipotesi in  cui
la  segnalazione  riguardi   opere   gia'   compiute   dal   soggetto
interessato, sia per l'ipotesi di opere in corso di esecuzione  (art.
37, commi 4 e 5, t.u. edilizia):  anche  in  relazione  a  tutti  gli
interventi  oggetto  di  SCIA  in  sanatoria,  pertanto,   dev'essere
attestata la conformita' alla disciplina urbanistica ed  edilizia  al
momento della realizzazione e a quello della successiva segnalazione. 
    2.6.(  La  presentazione  della  SCIA,  prevista  dal   comma   3
dell'impugnato art. 2, non si allinea a tale principio. 
    Con essa, infatti, il soggetto interessato attesta la conformita'
dell'opera  alla  normativa  regionale  sopravvenuta,  in  vigore  al
momento della segnalazione; ma non ne  attesta  la  conformita'  alla
disciplina vigente al momento della realizzazione dell'intervento, la
difformita' dalla quale costituisce, anzi, il presupposto per l'avvio
della procedura di regolarizzazione. 
    3.( Le norme impugnate contrastano dunque con l'evocata normativa
statale di principio. 
    Per tale ragione, le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
promosse avverso gli artt. 1 e 2 della legge reg. Veneto  n.  50  del
2019 sono fondate, per violazione dell'art. 117, terzo  comma,  Cost.
Resta assorbito l'esame degli ulteriori profili di censura. 
    4.- Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale),
va  inoltre  dichiarata,  in  via  consequenziale,   l'illegittimita'
costituzionale  delle  residue  disposizioni  della  legge  regionale
impugnata (articoli da 3 a 6), difettando esse  di  autonoma  portata
normativa a seguito della caducazione delle norme censurate.