ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  12,  comma
5, lettera a), della legge della Regione Molise 30 aprile 2020, n.  1
(Legge di stabilita' regionale 2020),  promosso  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 26 giugno-1°  luglio
2020, depositato in cancelleria il 3 luglio 2020, iscritto al  n.  56
del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Molise; 
    udito  nell'udienza  pubblica  dell'11  maggio  2021  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    uditi l'avvocato dello Stato Gianna Galluzzo  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e  l'avvocato  Claudia  Angiolini  per  la
Regione Molise, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1)  del
decreto del Presidente della Corte del 16 marzo 2021; 
    deliberato nella camera di consiglio del 12 maggio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato in data 26  giugno-1°  luglio  2020  e
depositato il 3 luglio 2020 (reg. ric. n. 56 del 2020), il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha promosso  -  in  riferimento  all'art.  117,
secondo  comma,  lettera  s),  della  Costituzione  -  questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 5, lettera a),  della
legge della Regione Molise 30 aprile 2020, n. 1 (Legge di  stabilita'
regionale 2020). 
    La disposizione impugnata aggiunge all'art. 27 della legge  della
Regione Molise 10 agosto 1993, n. 19 (Norme per la  protezione  della
fauna selvatica omeoterma e per  il  prelievo  venatorio),  il  comma
1-bis, il quale stabilisce che: «Ai fini della tutela del  patrimonio
agroforestale,  socio-economico,   sanitario   e   nel   riequilibrio
ecologico della fauna selvatica, qualora la presenza  sul  territorio
regionale di una specie faunistica  venabile  risulti  eccessiva,  la
Giunta regionale, ai fini della riduzione delle criticita'  arrecate,
puo' con propri atti estendere il periodo del prelievo venatorio  per
l'intero arco temporale inteso  dall'inizio  al  termine  dell'intera
stagione venatoria». 
    2.-  Ad  avviso  del  ricorrente,  tale  norma   invaderebbe   la
competenza esclusiva statale nella materia  «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema» in quanto si porrebbe in contrasto con gli artt. 18,
commi 1, 2 e 4, e 19, comma 2, della legge 11 febbraio 1992,  n.  157
(Norme per la protezione della fauna selvatica  omeoterma  e  per  il
prelievo venatorio), i quali detterebbero standard minimi  di  tutela
della fauna sull'intero territorio nazionale. 
    2.1.- Nello specifico, la norma impugnata confliggerebbe  con  il
citato art. 18 innanzitutto perche' consentirebbe di estendere l'arco
temporale del prelievo venatorio all'intero periodo intercorrente tra
le date di apertura e di chiusura della stagione della caccia e cio',
per di piu', in assenza del parere  dell'Istituto  superiore  per  la
protezione e la ricerca ambientale (ISPRA). 
    L'Avvocatura generale precisa, al riguardo, che l'art. 18,  comma
2, della legge n. 157 del 1992 riconoscerebbe  si'  alle  Regioni  la
possibilita' di modificare i termini, previsti dal  precedente  comma
1, entro i quali e' autorizzata  l'attivita'  venatoria,  ma  solo  a
condizione che tale modifica:  a)  assicuri  che  a  ciascuna  specie
rimanga «associato» un periodo di caccia «il cui  arco  temporale  e'
nella maggior parte dei casi  piu'  ristretto»  dell'intera  stagione
venatoria; b) sia preceduta dall'acquisizione del parere  dell'ISPRA;
c) sia adottata nell'ambito del procedimento amministrativo  rivolto,
a mente del successivo comma 4 del medesimo art. 18, all'approvazione
annuale del calendario venatorio regionale. 
    2.2.- Quanto al contrasto con l'art. 19, comma 2, della legge  n.
157 del 1992, il ricorrente ritiene che la  norma  impugnata  preveda
«un'attivita' di controllo (recte: prelievo venatorio)»  della  fauna
senza, tuttavia, il  preventivo  vaglio  dell'ISPRA  in  merito  alla
inefficacia dei metodi ecologici,  con  compromissione,  quindi,  del
principio di gradualita' desumibile dall'evocata norma statale. 
    3.- Si e' costituita in giudizio la Regione Molise, nella persona
del Presidente della  Giunta  regionale,  chiedendo  il  rigetto  del
ricorso. 
    3.1.- Secondo la resistente, l'art. 18, comma 2, della  legge  n.
157 del 1992, nel consentire alle Regioni  di  modificare  i  termini
entro  i  quali  e'  permesso  il  prelievo  venatorio,  in  sostanza
richiederebbe unicamente che questi  «restino  contenuti  tra  il  1°
settembre e il 31 gennaio», senza, pertanto, escludere che la  durata
dei periodi destinati alla  caccia  possa  essere  estesa  all'intera
stagione  venatoria.  La  disposizione  impugnata  non  divergerebbe,
pertanto, dalla  disciplina  statale,  limitandosi  a  «ribadire  una
facolta' gia' prevista [...]  ed  a  collegarla  ad  una  particolare
circostanza», ovvero all'eccessiva presenza di una specie  cacciabile
- come quella dei cinghiali, ormai diffusi in maniera  «incontrollata
ed incontrollabile» - e alle criticita' da cio' derivanti. 
    L'asserito contrasto con l'art. 18 della legge n.  157  del  1992
non sussisterebbe nemmeno sotto l'aspetto «procedurale». 
    A  giudizio  della  difesa  regionale,  la  norma  impugnata  non
recherebbe alcuna violazione dell'«assetto  procedimentale  delineato
dal legislatore statale»: essa  sarebbe  infatti  priva  «di  effetti
immediati»,   dovendo   concretizzarsi    attraverso    provvedimenti
amministrativi comunque tenuti a rispettare detto assetto, anche  per
cio' che  riguarda  il  preventivo  parere  dell'ISPRA,  traducendosi
altrimenti in vizi di legittimita' denunciabili  dinanzi  al  giudice
amministrativo;  il  richiamo  alle  norme  statali  sarebbe   stato,
pertanto, «superfluo». 
    3.2.-  Il  medesimo  argomento  renderebbe,  infine,   priva   di
fondamento anche la doglianza basata sulla difformita' tra  la  norma
impugnata e l'art. 19, comma 2, della  legge  n.  157  del  1992:  la
facolta'   di   modifica   riconosciuta   alla    Giunta    regionale
presupporrebbe,  infatti,  in  ogni  caso  il  preventivo   «utilizzo
infruttuoso   di   metodi   ecologici,   giusta   parere   favorevole
dell'ISPRA», sicche'  il  principio  di  gradualita'  espresso  dalla
citata disposizione statale non sarebbe stato leso. 
    4.- Con memoria depositata il 20 aprile 2021, il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  ha  insistito  per   l'accoglimento   della
questione di legittimita' costituzionale promossa e ha contestato  le
difese della Regione. 
    Il ricorrente, in particolare,  ribadisce  che  la  modifica  dei
termini entro i quali e' consentito cacciare sarebbe  possibile  solo
previa  acquisizione  del   parere   dell'ISPRA   e   all'esito   del
procedimento amministrativo volto all'adozione, entro il 15 giugno di
ogni anno, del calendario venatorio.  Ne',  contrariamente  a  quanto
sostenuto  dalla  resistente,  le  Regioni   potrebbero   autorizzare
l'emanazione di  provvedimenti  amministrativi  tesi  a  superare  la
durata massima  del  prelievo  venatorio  stabilita  dal  legislatore
statale per ciascuna specie, benche' dannosa. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il ricorso in epigrafe (reg. ric. n.  56  del  2020),  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso  -  in  riferimento
all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  della  Costituzione  -
questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  12,  comma  5,
lettera a), della legge della Regione Molise 30  aprile  2020,  n.  1
(Legge di stabilita' regionale 2020). 
    Tale disposizione aggiunge all'art. 27 della legge della  Regione
Molise 10 agosto 1993, n. 19 (Norme per  la  protezione  della  fauna
selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), il comma 1-bis,  il
quale  prevede  che:   «Ai   fini   della   tutela   del   patrimonio
agroforestale,  socio-economico,   sanitario   e   nel   riequilibrio
ecologico della fauna selvatica, qualora la presenza  sul  territorio
regionale di una specie faunistica  venabile  risulti  eccessiva,  la
Giunta regionale, ai fini della riduzione delle criticita'  arrecate,
puo' con propri atti estendere il periodo del prelievo venatorio  per
l'intero arco temporale inteso  dall'inizio  al  termine  dell'intera
stagione venatoria». 
    2.-  Ad  avviso  del  ricorrente,  tale  norma   invaderebbe   la
competenza esclusiva statale di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost., relativa  alla  materia  «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema», in quanto in contrasto con gli artt. 18, commi 1, 2
e 4, e 19, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157  (Norme  per
la protezione della fauna  selvatica  omeoterma  e  per  il  prelievo
venatorio); queste disposizioni, secondo la  costante  giurisprudenza
di questa Corte, detterebbero infatti standard minimi di tutela della
fauna sull'intero  territorio  nazionale,  non  derogabili  in  peius
nell'esercizio della competenza legislativa  residuale  regionale  in
materia di caccia. 
    In particolare, l'art. 27, comma 1-bis, della legge  reg.  Molise
n. 19 del 1993 colliderebbe con  il  citato  art.  18  sotto  diversi
profili:  in  primo  luogo,  perche'   consentirebbe   di   estendere
all'intera stagione venatoria l'arco temporale entro cui e'  permessa
la caccia a determinate specie; in secondo luogo, poiche' mancherebbe
di prevedere l'acquisizione del parere dell'Istituto superiore per la
protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) in  merito  alla  modifica
dei  periodi  venatori  da  esso  disciplinata;  infine,  perche'  il
provvedimento  di  modifica  in  parola  dovrebbe   essere   adottato
all'esito del medesimo procedimento volto ad approvare, entro  il  15
giugno di ogni anno, il calendario venatorio  e,  quindi,  coincidere
con questo. 
    Quanto, invece, all'asserito conflitto con l'art.  19,  comma  2,
della legge n. 157 del 1992, il ricorso statale ritiene che la  norma
impugnata  pregiudichi  il  principio  di   gradualita'   in   quanto
consentirebbe, in  sostanza,  un'attivita'  di  controllo  faunistico
senza  tuttavia  il   preventivo   parere   dell'ISPRA   in   ordine,
segnatamente, all'inefficacia dei metodi ecologici. 
    3.- La questione e' fondata. 
    4.- L'art. 27, comma 1-bis, della legge reg.  Molise  n.  19  del
1993 prevede che la Giunta regionale  «con  propri  atti»  possa,  in
presenza di  determinati  presupposti  e  per  specifiche  finalita',
modificare i  periodi  durante  i  quali  e'  permessa  la  caccia  a
determinate specie estendendoli  «[a]ll'intera  stagione  venatoria»,
cioe' all'intero arco temporale intercorrente tra il 1°  settembre  e
il 31 gennaio. 
    Diversamente,  nel  riconoscere,  per  determinate  specie  e  in
considerazione delle peculiari situazioni ambientali, alle Regioni la
facolta'  di  modificare  i  termini  entro  i  quali  e'   possibile
l'esercizio dell'attivita' venatoria, l'art. 18, comma 2, della legge
n. 157 del 1992, al suo terzo periodo, una volta disposto che  questi
restino comunque contenuti tra il  1°  settembre  e  il  31  gennaio,
richiede espressamente anche il «rispetto dell'arco temporale massimo
indicato al comma 1». 
    Quest'ultimo, a sua volta,  individua  cinque  gruppi  di  specie
cacciabili con il relativo, circoscritto, arco temporale entro cui e'
autorizzato  l'esercizio  venatorio:  si  tratta  di  periodi   dalle
differenti durate, ma sempre e  in  ogni  caso  inferiori  all'intero
intervallo di tempo  intercorrente  tra  il  1°  settembre  e  il  31
gennaio. 
    Ne consegue - contrariamente  a  quanto  sostenuto  dalla  difesa
della resistente - che, in base al citato art. 18, se i  termini  dei
periodi di caccia sono modificabili, non lo sono, invece, le relative
durate, che non possono essere superiori a quelle stabilite,  e  che,
comunque, non possono essere estese all'intera stagione venatoria. 
    Infatti,  il  «chiaro  dettato  normativo,  che  fa   riferimento
all'"arco temporale massimo"»,  determina  che  l'eventuale  apertura
anticipata  della  stagione  venatoria   deve   essere   "compensata"
dall'anticipazione anche del termine finale (ex  plurimis,  Consiglio
di Stato, sezione terza, sentenza 23  dicembre  2019,  n.  8669).  In
altre parole, «se la regione  si  avvale  del  potere  di  anticipare
l'apertura, deve anticipare anche la chiusura» (Consiglio  di  Stato,
sezione sesta, sentenza 22 marzo 2005, n. 1170). 
    Il legislatore regionale, nell'esercizio della propria competenza
legislativa residuale in materia di caccia, ha dunque violato  l'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost., perche' ha ridotto il  livello
di  protezione  della  fauna  selvatica  stabilito  -   mediante   la
definizione della durata dei periodi venatori - dall'art. 18, commi 1
e 2, della legge n. 157 del 1992. 
    Secondo  la  costante  giurisprudenza  di   questa   Corte   tale
disciplina   rientra   infatti   nella   tutela    dell'ambiente    e
dell'ecosistema,  essendo  finalizzata  ad   assicurare,   attraverso
standard minimi e uniformi di tutela valevoli sull'intero  territorio
nazionale (ex plurimis, sentenza n. 7 del 2019), la  sopravvivenza  e
la riproduzione delle specie cacciabili (ex plurimis, sentenza n.  40
del 2020). 
    4.1.-  Il  vulnus   all'evocato   parametro   costituzionale   e'
apprezzabile anche sotto l'altro profilo evidenziato dal ricorrente. 
    L'art. 18, comma 2, della legge n.  157  del  1992  subordina  la
suddetta modifica dei termini del prelievo venatorio anche al «previo
parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica», poi confluito
nell'ISPRA. 
    Tale  parere  non  e'  previsto  dalla  norma   impugnata,   che,
limitandosi a stabilire che la Giunta regionale  possa  estendere  il
periodo   del   prelievo   venatorio,   si   risolve,   anche   sotto
quest'aspetto, in una riduzione di standard uniformi di tutela  della
fauna definiti dalla normativa statale (sentenza n. 10 del 2019). 
    Del tutto privo di pregio  e',  d'altro  canto,  l'assunto  della
resistente secondo cui la norma impugnata  non  produrrebbe  «effetti
immediati»,   dovendo   tradursi    in    successivi    provvedimenti
amministrativi  che  si  ipotizzano,  pena  la  loro  illegittimita',
conformi alle previsioni  statali.  Essa,  infatti,  dispone  di  una
propria e autonoma forza precettiva nello stabilire  i  requisiti  di
legittimita'  della  modifica  dei  periodi  venatori,  che  consente
avvenga  con  «atti  propri»  della  Giunta  e  a   prescindere   dal
coinvolgimento dell'ISPRA. 
    Tanto basta a ritenerla lesiva dell'evocato parametro. 
    4.2.- E' assorbito l'ulteriore profilo della censura afferente al
conflitto con l'art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992. 
    5.- Meritevole di accoglimento, infine, e'  anche  il  motivo  di
doglianza incentrato sul contrasto della norma impugnata  con  l'art.
19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, che consente  alle  Regioni
di esercitare il controllo delle specie di fauna selvatica  solo  nel
rispetto del principio di gradualita': tale attivita', infatti,  deve
essere svolta «di norma mediante l'utilizzo di  metodi  ecologici  su
parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica» e solo in caso
di  verificata  inefficacia  di  tali  metodi  le   Regioni   possono
autorizzare piani di abbattimento (sentenza n. 21 del 2021). 
    L'art. 27, comma 1-bis, della legge reg. Molise n. 19  del  1993,
introdotto dalla norma impugnata,  attraverso  l'indebita  estensione
dell'arco temporale del periodo del prelievo venatorio di determinate
specie, la cui presenza sul territorio  sia  divenuta  «eccessiva»  e
fonte  di  conseguenti  «criticita'»,  ha  invece  introdotto,  nella
sostanza, una surrettizia forma di controllo  faunistico,  svincolata
pero' dai precisi  limiti  procedimentali  previsti  dal  legislatore
statale. 
    Siffatta  disciplina  compromette  pertanto   il   principio   di
gradualita'  e  riduce  lo  standard  minimo  di  tutela  posto   dal
legislatore  statale,  cosi'  violando  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost. 
    5.1.- Ne' osta a tale conclusione la considerazione dell'indubbia
problematica, sottolineata dalla resistente, derivante  dall'invasiva
diffusione dei cinghiali selvatici nel territorio regionale. 
    In disparte il rilievo che la  norma  impugnata  si  riferisce  a
qualsiasi specie cacciabile, e non solo agli ungulati, non e' in ogni
caso superfluo rammentare che questa Corte, riconoscendo le rilevanti
criticita'  prodotte  sugli  ecosistemi   dall'aumento   costante   e
significativo  delle  popolazioni  di  determinate  specie  di  fauna
selvatica, ha recentemente ammesso  che  nei  piani  di  abbattimento
possano  essere  coinvolti,  a  precise  condizioni,  anche  soggetti
ulteriori rispetto a quelli elencati dal  citato  art.  19,  comma  2
(sentenza n. 21 del 2021), in tal modo aumentando la potenzialita' di
efficacia di tali strumenti. 
    6.- Alla  luce  delle  considerazioni  svolte,  deve  dichiararsi
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma  5,  lettera  a),
della legge reg. Molise n. 1 del 2020, che aggiunge  il  comma  1-bis
all'art. 27 della legge reg. Molise n. 19 del 1993.