ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  artt.  5,  6,
comma 1, lettere b), c), d) ed e), 7, comma 7, lettera c),  9,  commi
9, lettera d), numero 1), e 16, e 10, comma  11,  della  legge  della
Regione Lazio  27  febbraio  2020,  n.  1  (Misure  per  lo  sviluppo
economico, l'attrattivita' degli investimenti e la  semplificazione),
promosso dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  con  ricorso
notificato il 27-28 aprile  2020,  depositato  in  cancelleria  il  6
maggio 2020, iscritto al n. 46 del registro ricorsi 2020 e pubblicato
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  22,  prima   serie
speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Lazio; 
    udita  nell'udienza  pubblica  dell'11  maggio  2021  la  Giudice
relatrice Daria de Pretis; 
    uditi l'avvocato dello Stato Generoso Di Leo  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Elisa Caprio per  la  Regione
Lazio, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1)  del  decreto
del Presidente della Corte del 16 marzo 2021; 
    deliberato nella camera di consiglio del 12 maggio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 27-28 aprile 2020 e depositato il 6
maggio 2020 (reg. ric. n. 46 del 2020), il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha promosso questioni  di  legittimita'  costituzionale  degli
artt. 5, 6, comma 1, lettere b), c), d) ed e), 7,  comma  7,  lettera
c), 9, commi 9, lettera d), numero 1), e 16, e 10,  comma  11,  della
legge della Regione Lazio 27 febbraio  2020,  n.  1  (Misure  per  lo
sviluppo  economico,  l'attrattivita'   degli   investimenti   e   la
semplificazione), in riferimento agli artt. 9 e 117,  secondo  comma,
lettere  m)  ed  s),  della  Costituzione  e  delle  seguenti   norme
interposte: artt. 20, 21, 135, 142, 143, 145, 146 e 149  del  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6  luglio  2002,  n.
137). 
    1.1.- L'art. 5 della legge reg. Lazio n. 1 del 2020  -  rubricato
«Semplificazioni procedimentali in materia di varianti  urbanistiche.
Modifiche alla legge regionale 2 luglio 1987, n. 36 "Norme in materia
di attivita' urbanistico-edilizia e snellimento  delle  procedure"  e
alla legge regionale 18  luglio  2017,  n.  7  "Disposizioni  per  la
rigenerazione  urbana  e  per  il  recupero  edilizio"  e  successive
modifiche» - e'  impugnato  per  violazione  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., in relazione  agli  artt.  143  e  145  del
d.lgs. n. 42 del 2004 (d'ora in avanti anche: cod.  beni  culturali),
in quanto apporterebbe modifiche, «non in linea»  con  gli  anzidetti
parametri, alla disciplina dei  procedimenti  di  approvazione  delle
varianti  urbanistiche  e  dei  piani   attuativi   dello   strumento
urbanistico generale. 
    In particolare, nella disposizione impugnata non vi sarebbe alcun
richiamo «ne' alle procedure di  adeguamento  e  conformazione  degli
strumenti urbanistici al Piano paesaggistico, ne' alla partecipazione
del Ministero per i beni e le attivita' culturali e per il turismo al
procedimento di conformazione e  adeguamento,  che  la  Regione  deve
obbligatoriamente assicurare ai sensi dell'art. 145, commi 4 e 5, del
Codice dei beni culturali e del paesaggio». 
    Il ricorrente sottolinea, al riguardo, la «posizione di  assoluta
preminenza» che e' attribuita  al  piano  paesaggistico  nel  «quadro
regolatorio della pianificazione territoriale», in ragione del  fatto
che gli artt. 143, comma 9, e  145,  comma  3,  cod.  beni  culturali
«sanciscono [...] l'inderogabilita'  delle  previsioni  del  predetto
strumento da  parte  di  piani,  programmi  e  progetti  nazionali  o
regionali di sviluppo economico  e  la  loro  cogenza  rispetto  agli
strumenti  urbanistici,  nonche'  l'immediata  prevalenza  del  piano
paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale  e
urbanistica» (sono citate le sentenze di questa Corte n. 180 del 2008
e n. 367 del 2007). 
    L'Avvocatura  generale  aggiunge  che   nel   medesimo   contesto
normativo si colloca «la previsione  secondo  la  quale  la  verifica
della coerenza con il piano paesaggistico degli  altri  strumenti  di
pianificazione deve necessariamente avvenire  con  la  partecipazione
dei competenti organi del Ministero» (ai sensi dell'art.  145,  comma
5, del d.lgs. n. 42 del 2004). Sempre a detta del ricorrente, «[t]ale
riferimento   procedimentale,   ma   con    risvolti    evidentemente
sostanziali, costituisce un vincolo cogente ed imprescindibile, nella
disciplina dell'intera materia» (sul punto e' richiamata la  sentenza
di questa Corte n. 178 del 2018). A tal fine il ricorrente sottolinea
come le disposizioni del codice dei beni culturali  si  impongano  al
legislatore regionale, «anche in considerazione della loro natura  di
norme  di  grande  riforma  economico-sociale»  (sono  richiamate  le
sentenze di questa Corte n. 210 del 2014 e n. 51 del  2006),  con  la
conseguenza che «le Regioni non  possono  assumere,  unilateralmente,
decisioni  che  liberino  dal   vincolo   ambientale   porzioni   del
territorio» (e' richiamata la sentenza di questa  Corte  n.  103  del
2017). 
    Sarebbe pertanto illegittima la norma regionale che non  richiami
«tale    vincolo    "concertativo-procedimentale"»,     in     quanto
«sostanzialmente» lo supererebbe o, per meglio dire, lo eliderebbe. 
    Nelle disposizioni impugnate  mancherebbe,  inoltre,  «un  rinvio
alle  procedure  di  adeguamento  e  conformazione  degli   strumenti
urbanistici comunali al PTPR, cosi' come  disciplinate  dall'art.  65
delle Norme di  Piano,  oggetto  della  deliberazione  del  Consiglio
regionale del Lazio  n.  5  del  2019,  di  approvazione  del  "Piano
territoriale paesistico regionale (PTPR)", pubblicata nel  Bollettino
ufficiale della Regione Lazio il 13 febbraio 2020». 
    Al  riguardo,  la  difesa   statale   precisa   che   la   citata
deliberazione del Consiglio regionale del Lazio  e'  stata  impugnata
dal Presidente del Consiglio dei ministri dinanzi a questa Corte,  in
sede di conflitto di attribuzione, perche' ritenuta in contrasto  con
il  «principio  di   rilievo   costituzionale   di   copianificazione
paesaggistica obbligatoria» (conflitto, quello in parola,  deciso  da
questa Corte, successivamente alla proposizione del presente ricorso,
con la sentenza n. 240 del 2020, con la quale e' stata  annullata  la
delibera impugnata). 
    Il ricorrente  aggiunge  che,  dopo  l'anzidetta  impugnativa,  i
lavori di copianificazione tra la Regione Lazio e il  Ministero  sono
ripresi  e  si  e'  giunti  all'elaborazione  di  un   nuovo   testo,
comprensivo del citato art. 65 delle norme di piano. Pertanto, «[p]er
assicurare la legittimita' costituzionale della disciplina  regionale
nella materia de qua e' [...] necessario che si faccia riferimento  a
tale ultima formulazione, condivisa con il Ministero e  coerente  con
l'impianto del Codice dei beni culturali e del paesaggio». 
    1.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato anche
l'art. 6, comma 1, lettere b), c), d) ed e), della legge  reg.  Lazio
n.  1  del  2020  -  rubricato   «Semplificazione   istruttoria   per
l'approvazione degli  strumenti  urbanistici  generali  e  dei  piani
attuativi. Modifiche alla legge regionale 22  dicembre  1999,  n.  38
"Norme sul governo del territorio"  e  successive  modifiche»  -  per
violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.,  in
relazione agli artt. 20, 21, 135, 143 e 145  del  d.lgs.  n.  42  del
2004. 
    1.2.1.- Con la lettera b) del comma 1 dell'art. 6 il  legislatore
regionale ha disposto la sostituzione del comma 2 dell'art. 54  della
legge della Regione Lazio 22 dicembre 1999, n. 38 (Norme sul  governo
del territorio), concernente le trasformazioni urbanistiche  in  zona
agricola, che, nel testo novellato, cosi' recita:  «2.  Nel  rispetto
degli articoli 55, 57 e 57-bis e dei regolamenti ivi previsti,  nelle
zone agricole sono consentite  le  attivita'  rurali  aziendali  come
individuate all'articolo 2  della  L.R.  14/2006,  comprensive  delle
attivita' multimprenditoriali individuate dal  medesimo  articolo  2.
Rientrano nelle attivita' multimprenditoriali le seguenti  attivita':
a) turismo rurale; b) trasformazione e vendita diretta  dei  prodotti
derivanti dall'esercizio delle attivita'  agricole  tradizionali;  c)
ristorazione   e   degustazione   dei   prodotti   tipici   derivanti
dall'esercizio delle attivita' agricole  tradizionali;  d)  attivita'
culturali,    didattiche,    sociali,    ricreative,    sportive    e
terapeutico-riabilitative;  e)  accoglienza   ed   assistenza   degli
animali; f) produzione delle energie rinnovabili». 
    Il ricorrente sottolinea come, a seguito delle modifiche  operate
dalla norma  impugnata,  l'attivita'  di  «produzione  delle  energie
rinnovabili»   sia   «espressamente   inclusa   tra   le    attivita'
"multimprenditoriali", generalmente consentite in zona agricola».  In
questo  modo  la  Regione   Lazio   avrebbe   ampliato   in   maniera
significativa il novero delle attivita' ritenute «compatibili» con il
territorio, al fine di «agevolare l'utilizzo del territorio  agricolo
per la produzione di energia da fonti rinnovabili».  Cio'  avverrebbe
pero' - sempre a detta della difesa statale -  «prescindendo  da  una
valutazione  sulla  effettiva  capacita'   produttiva   e   vocazione
culturale del territorio, oltre che dai suoi valori paesaggistici». 
    La modifica operata dalla  norma  impugnata  «consent[irebbe]  in
concreto  una  vera  e  propria  riconversione  funzionale  di  ampie
porzioni (anche centinaia di ettari)  di  territorio  da  agricolo  a
industriale, al di la' di qualsiasi strumento  di  pianificazione  di
settore, e pertanto in assenza di una effettiva, preventiva, mirata e
necessaria programmazione  degli  interventi  di  trasformazione  del
territorio  regionale,  da  compiersi  in  prima  istanza  nel  piano
paesaggistico regionale». 
    In particolare, la norma impugnata ometterebbe «l'imprescindibile
espresso richiamo alla necessita' di adeguarsi alle previsioni  della
pianificazione paesaggistica, previamente condivisa  mediante  intesa
con lo Stato, oltre che del PER e delle altre  leggi  regionali».  La
mancanza   di   questo   richiamo   determinerebbe   l'illegittimita'
costituzionale della norma regionale impugnata per  violazione  della
sfera di competenza esclusiva riservata  allo  Stato,  ex  art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost. in relazione alle  norme  interposte
di cui agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali. 
    Sarebbe inoltre  pregiudicato  «l'interesse  costituzionale  alla
tutela del paesaggio», con conseguente violazione dell'art. 9  Cost.,
che costituisce  valore  primario  e  assoluto  (sono  richiamate  le
sentenze di questa Corte n. 367 del 2007 e n. 309 del 2011). La norma
regionale, consentendo di destinare le aree agricole alla  produzione
di energie rinnovabili,  «pretermette[rebbe]  il  ruolo  proprio  del
piano paesaggistico nell'individuazione degli usi compatibili (o  non
compatibili) con i beni soggetti a tutela paesaggistica». 
    Nello specifico, la norma impugnata si porrebbe in contrasto  con
gli artt. 135, 143 e 145 del d.lgs. n. 42  del  2004,  che  rimettono
alla  pianificazione  la  disciplina  d'uso  dei  beni  paesaggistici
(mediante  la   cosiddetta   vestizione   dei   vincoli),   ai   fini
dell'autorizzazione degli interventi. In particolare,  la  Parte  III
del citato d.lgs. n. 42 del 2004 delineerebbe «un sistema organico di
tutela del paesaggio (come bene di rango costituzionale), inserendo i
tradizionali strumenti del provvedimento  impositivo  del  vincolo  e
dell'autorizzazione paesaggistica  nel  quadro  della  pianificazione
paesaggistica del territorio, che deve essere elaborata concordemente
da Stato e Regione». Sarebbe proprio la  «pianificazione  concordata»
lo strumento mediante il quale devono essere previste,  per  ciascuna
area tutelata, le cosiddette «prescrizioni d'uso (e cioe'  i  criteri
di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria)» e
«la tipologia delle trasformazioni compatibili e di  quelle  vietate,
nonche' le condizioni delle eventuali  trasformazioni».  Rilevano  in
tal senso le norme di cui agli artt. 143, comma 9, e  145,  comma  3,
cod. beni culturali, le  quali  sanciscono  «l'inderogabilita'  delle
previsioni del [piano paesaggistico] da parte di piani,  programmi  e
progetti nazionali o  regionali  di  sviluppo  economico  e  la  loro
cogenza  rispetto   agli   strumenti   urbanistici,   nonche'   [...]
l'immediata prevalenza del piano paesaggistico  su  ogni  altro  atto
della pianificazione territoriale e urbanistica». 
    In  definitiva,  la  norma  regionale  impugnata  violerebbe   la
legislazione statale nella parte in cui «consente trasformazioni  del
territorio agricolo, anche paesaggisticamente vincolato, in contrasto
con la vocazione naturale del territorio  e  a  discapito  della  sua
conservazione  e  integrita',  senza  richiamare   espressamente   la
disciplina dettata al riguardo dal piano paesaggistico». 
    A cio' si aggiunga che la mancanza di un piano concordato con  il
Ministero - stante  l'avvenuta  elaborazione  unilaterale  di  quello
approvato con la delibera del Consiglio regionale 2 agosto 2019, n. 5
«Piano territoriale paesistico regionale -  PTPR»  -  avrebbe  dovuto
indurre il  legislatore  regionale  a  «subordinare  l'applicabilita'
delle  previsioni  in  materia  di  localizzazione  di  impianti   di
produzione di energia da fonti rinnovabili  in  aree  agricole  [...]
alla previa definizione di un  quadro  di  regole  condiviso  con  il
Ministero  nell'ambito  della  pianificazione  paesaggistica»,  «allo
scopo di evitare che, in sede di rilascio  delle  autorizzazioni,  le
singole trasformazioni vengano valutate singolarmente,  omettendo  di
considerare complessivamente il contesto ambientale paesaggistico, la
cui tutela e'  specificamente  demandata  dal  legislatore  nazionale
proprio al piano paesaggistico» (in tema  di  elaborazione  congiunta
del piano e' richiamata la sentenza di questa Corte n. 86  del  2019;
sull'«impronta  unitaria  della  pianificazione  paesaggistica»  sono
invece citate le sentenze n. 182 del 2016 e n. 272 del 2009). 
    Per  le  ragioni  anzidette,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ritiene che l'art. 6 della legge reg. Lazio n.  1  del  2020
sia costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, nel  prevedere
la  «produzione  delle  energie  rinnovabili»   tra   le   «attivita'
multimprenditoriali» consentite in zona agricola, «richiama  soltanto
il  rispetto  della  normativa  regionale,  ma  non  prevede  analoga
clausola in favore del piano paesaggistico  (frutto  di  elaborazione
congiunta con il Ministero), ai sensi degli articoli 135, comma 1,  e
143, comma 2, del Codice di settore».  Di  qui  la  violazione  della
competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del
paesaggio, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.,  e
in relazione alle norme interposte di cui agli artt. 135, 143  e  145
del d.lgs. n. 42 del 2004. Vi sarebbe inoltre la violazione dell'art.
9 Cost. in considerazione del  potenziale  pregiudizio  al  paesaggio
derivante dagli interventi incentivati dalla legge regionale. 
    1.2.2.-   Parimenti   illegittime   sarebbero   le   disposizioni
introdotte con le lettere c), d) ed  e)  del  comma  1  dell'art.  6,
relative  all'edificazione  in  zona   agricola   e   ai   piani   di
utilizzazione aziendale (PUA). In particolare, le norme  impugnate  -
che hanno modificato gli artt. 55, 57 e 57-bis della legge reg. Lazio
n. 38 del 1999 - consentirebbero «di  realizzare  manufatti  connessi
alle  attivita'  agricole,  ampliando   sensibilmente   le   relative
categorie  mediante   il   riferimento   "alle   attivita'   agricole
tradizionali, connesse  e  compatibili"  e  prevedendo,  tra  i  vari
interventi possibili, perfino la realizzazione di piscine». 
    Secondo il ricorrente, quindi, anche  queste  norme  renderebbero
possibile «la  trasformazione  indiscriminata  delle  aree  agricole,
senza una definizione preventiva degli interventi compatibili con  il
contesto, che deve avvenire  nell'ambito  [del]  piano  paesaggistico
previamente elaborato d'intesa con lo Stato». 
    La difesa statale  rileva,  altresi',  come  l'ampliamento  della
possibilita'  di  trasformazione  delle  aree   agricole   coinvolga,
«potenzialmente»,  anche  le  aziende  agricole   situate   in   aree
vincolate, oggetto, peraltro, di specifica previsione nelle norme del
PTPR (art. 52) approvate e pubblicate nel Bollettino Ufficiale  della
Regione 13 febbraio 2020, n. 13. 
    Per  le  anzidette  ragioni,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ritiene che anche per le norme di cui alle lettere c), d) ed
e) del comma 1 dell'art. 6 valgano le  medesime  considerazioni  gia'
svolte  per  la  lettera  b)  e  quindi   che,   nel   quadro   della
pianificazione concordata, delineata dal codice dei beni culturali  e
del paesaggio,  il  legislatore  statale  abbia  assegnato  al  piano
paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della
pianificazione territoriale. In particolare, gli artt. 143, comma  9,
e  145,  comma  3,  del  d.lgs.   n.   42   del   2004   sancirebbero
«l'inderogabilita' delle previsioni del predetto strumento  da  parte
di piani, programmi e progetti  nazionali  o  regionali  di  sviluppo
economico e la loro  cogenza  rispetto  agli  strumenti  urbanistici,
nonche' [...] l'immediata prevalenza del piano paesaggistico su  ogni
altro atto della pianificazione  territoriale  e  urbanistica»  (sono
richiamate le sentenze di questa Corte n. 182 del 2006 e n.  180  del
2008). 
    Pertanto,  le  norme  regionali  impugnate  si   porrebbero   «in
conflitto con la normativa statale, laddove consentono trasformazioni
del  territorio  agricolo,  anche  paesaggisticamente  vincolato,  in
contrasto con la vocazione naturale  del  territorio  e  a  discapito
della sua conservazione e integrita', senza richiamare  espressamente
la disciplina dettata al riguardo dal piano paesaggistico». 
    Il  ricorrente  rileva,   infine,   un   ulteriore   profilo   di
illegittimita' costituzionale nel caso in  cui  gli  interventi  resi
possibili dalle disposizioni  impugnate  impattino  su  manufatti  di
interesse culturale, tutelati ai sensi della Parte II del codice  dei
beni culturali e del paesaggio. L'art. 20 del d.lgs. n. 42  del  2004
vieta, infatti, che i beni culturali siano  «distrutti,  deteriorati,
danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con  il  loro  carattere
storico o artistico oppure  tali  da  recare  pregiudizio  alla  loro
conservazione». 
    Non spetterebbe, pertanto, alla Regione  dettare  una  disciplina
volta a individuare le  modificazioni  e  gli  interventi  consentiti
sugli immobili sottoposti a tutela ai sensi della Parte II del codice
dei beni culturali e del paesaggio. 
    1.3.- Oggetto di impugnazione e' anche l'art. 7, comma 7, lettera
c), della legge reg. Lazio n. 1 del 2020 -  rubricato  «Riordino  dei
procedimenti amministrativi concernenti concessioni su beni demaniali
e non demaniali regionali» - per violazione  degli  artt.  9  e  117,
secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt.  135,  142,
143 e 145 cod. beni culturali. 
    In particolare, con la norma impugnata il  legislatore  regionale
ha modificato il comma 1 dell'art. 10 della legge della Regione Lazio
11 dicembre 1998, n. 53 (Organizzazione regionale  della  difesa  del
suolo  in  applicazione  della  legge  18  maggio  1989,   n.   183),
attribuendo ai comuni il rilascio  della  concessione  dei  beni  del
demanio marittimo per i porti turistici, gli approdi  turistici  e  i
punti di ormeggio, sulla  base  di  quanto  stabilito  dal  piano  di
utilizzazione degli arenili (PUA)  regionale  e  dai  rispettivi  PUA
comunali (numero 2-quater, introdotto dalla norma impugnata). 
    Il  ricorrente  si  duole  del  fatto  che  la  norma  in  esame,
nell'attribuire ai comuni le funzioni anzidette,  non  avrebbe  fatto
alcun riferimento «alla necessita'  di  verificare  la  coerenza  dei
predetti PUA  con  la  disciplina  di  tutela  delle  fasce  costiere
marittime,   e   quindi   degli   arenili,   contenuta   nel    piano
paesaggistico». In altre parole,  il  legislatore  regionale  avrebbe
indicato come «preciso parametro di riferimento per il  rilascio  dei
titoli da parte dei comuni»  i  PUA  regionale  e  comunale,  ma  non
avrebbe stabilito che, ai sensi dell'art. 145, comma 5, del d.lgs. n.
42 del  2004,  «tali  strumenti  poss[o]no  costituire  un  punto  di
riferimento soltanto se e in quanto conformi a un piano paesaggistico
approvato previa intesa con il Ministero dei Beni e  delle  Attivita'
Culturali, ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni
culturali e del paesaggio». 
    Anche in relazione a tale disposizione la difesa statale  ricorda
che  la  Regione  Lazio  non  e'  attualmente  munita  di  un   piano
paesaggistico approvato previa intesa con lo Stato, in considerazione
del fatto che il PTPR entrato in vigore  nel  2020  non  e'  conforme
all'intesa intercorsa con il Ministero  e,  per  questa  ragione,  e'
stato  impugnato  innanzi  a  questa  Corte  mediante  conflitto   di
attribuzioni (ricorso, come si e' gia' detto, accolto con la sentenza
n. 240 del 2020). 
    Pertanto,   la   norma   impugnata   sarebbe   costituzionalmente
illegittima «in quanto rende possibile il rilascio delle concessioni,
sulla base dei PUA, al  di  fuori  del  quadro  della  pianificazione
paesaggistica definita previa intesa con il competente Ministero». In
particolare,  la   norma   in   esame   «"sfugg[irebbe]"   al   piano
paesaggistico  sottraendo  alla  "sede"  stabilita   per   legge   la
pianificazione delle aree costiere, sottoposte a tutela paesaggistica
ope legis, ai sensi dell'art. 142, comma 1,  lett.  a),  del  Codice,
proprio per la loro fragilita', in considerazione dell'uso  massiccio
delle coste per finalita' turistiche, economiche, commerciali, ecc.». 
    Da quanto detto deriverebbe la violazione dell'art. 117,  secondo
comma, lettera s), Cost. e delle norme interposte di cui  agli  artt.
135, 142, 143  e  145  cod.  beni  culturali.  Vi  sarebbe  anche  la
violazione dell'art. 9 Cost. in  ragione  dell'«evidente  diminuzione
della tutela per il  bene  paesaggistico»,  determinata  dalla  norma
impugnata. 
    1.4.- L'art. 9, commi 9, lettera d), numero 1), e 16, della legge
reg. Lazio n. 1 del 2020 - rubricato «Disposizioni di semplificazione
in materia ambientale» - e' impugnato per violazione degli artt. 9  e
117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli  artt.  135,
142, 143, 145, 146 e 149 del d.lgs. n. 42 del 2004. 
    1.4.1.- In particolare, la lettera d), numero 1), del comma 9 del
citato art. 9 ha modificato  la  definizione  di  «faggeta  depressa»
contenuta nel comma 2 dell'art.  34-bis  della  legge  della  Regione
Lazio 28 ottobre 2002, n. 39 (Norme  in  materia  di  gestione  delle
risorse forestali), abbassando la quota al di sotto della  quale  gli
ecosistemi forestali governati a fustaia a prevalenza di faggio  sono
definiti tali, da 800 metri (come era in precedenza), a 300 metri sul
livello del mare. 
    La modifica  legislativa  impugnata  incide,  pero',  sull'ambito
applicativo della disposizione di cui al  comma  3,  ultimo  periodo,
dello stesso art. 34-bis della legge reg. Lazio n. 39 del  2002,  ove
si stabilisce che «[p]er le faggete depresse di cui al comma  2  sono
vietate le utilizzazioni per finalita' produttive», ad eccezione  dei
«tagli necessari per la conservazione della faggeta o per  motivi  di
pubblica incolumita'». 
    La difesa  statale,  dopo  aver  sottolineato  che  «i  territori
coperti  da  foreste  e  da  boschi»   sono   sottoposti   a   tutela
paesaggistica ai sensi dell'art. 142, comma 1, lettera g), cod.  beni
culturali, conclude sostenendo che «[l]'effetto della norma regionale
censurata e' [...] quello di prevedere in  modo  indiscriminato,  per
tutto il territorio regionale, e al  di  fuori  della  pianificazione
paesaggistica, una norma  applicabile  in  modo  uniforme  alle  aree
boscate  a  faggeta,  diminuendo  [...]  il  livello  della  relativa
tutela». 
    Da quanto detto deriverebbe la violazione dell'art. 117,  secondo
comma, lettera s), Cost., in relazione alle norme interposte  di  cui
agli artt. 135, 142, 143 e 145 del d.lgs. n. 42 del 2004, nonche'  la
lesione del principio fondamentale della tutela del paesaggio, di cui
all'art. 9 Cost. 
    1.4.2.- Il comma 16 dell'art. 9 della legge reg. Lazio n.  1  del
2020 stabilisce che, «[a]l  fine  di  semplificare  le  procedure  di
approvazione della pianificazione forestale aziendale, i procedimenti
di approvazione dei piani predisposti ai sensi degli articoli 13 e 14
della legge regionale 28 ottobre 2002, n. 39  (Norme  in  materia  di
gestione delle  risorse  forestali),  che  contemplano  interventi  a
carico dei beni ai  sensi  degli  articoli  136  e  142  del  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6  luglio  2002,  n.
137)  e  successive   modifiche,   sono   soggetti   all'acquisizione
dell'autorizzazione di cui all'articolo 146 del D.Lgs. 42/2004.  Tale
preventiva autorizzazione  paesaggistica  si  intende  acquisita  per
tutti gli interventi previsti nei  piani  stessi  e  resi  esecutivi.
Resta salvo quanto previsto dall'articolo 149, comma 1, lettere b)  e
c),  del  D.Lgs.  42/2004  in  merito   agli   interventi   esonerati
dall'obbligo di acquisire l'autorizzazione paesaggistica». 
    Secondo il ricorrente l'effetto di  questa  disposizione  sarebbe
«quello di anticipare  l'autorizzazione  paesaggistica  ai  piani  di
gestione e assestamento forestale, e al piano poliennale di taglio di
cui agli articoli 13 e 14 della legge regionale n. 39 del  2002,  ove
siano previsti  interventi  su  beni  tutelati,  esonerando  poi  dal
rilascio   dell'autorizzazione   i    singoli    interventi».    Cio'
determinerebbe il contrasto con gli artt. 146 e 149 del d.lgs. n.  42
del 2004, in base ai quali tutti gli  interventi  sui  beni  tutelati
devono essere previamente  autorizzati  (art.  146),  salvo  che  non
ricadano  nelle  ipotesi  di  espressa   esclusione   stabilite   dal
legislatore statale (art. 149). 
    La difesa statale non esclude che sia ipotizzabile  l'espressione
di un «parere paesaggistico» preliminare in relazione  al  piano,  in
analogia a quanto previsto in materia urbanistica, ma precisa che non
puo' essere esclusa «la necessita', a valle, di autorizzare i singoli
interventi conformi al piano assentito, prendendo  in  considerazione
tutti gli aspetti di dettaglio di tali interventi, pena la violazione
del  regime  di  tutela  stabilito  dal  Codice».  Sono  al  riguardo
richiamate alcune decisioni di questa  Corte  (sentenze  n.  189  del
2016, n. 235 del 2011, n. 101 del 2010 e n. 232  del  2008),  secondo
cui non sarebbe  consentito  alle  regioni  introdurre  deroghe  alla
legislazione statale  in  materia  di  autorizzazione  paesaggistica,
recante regole uniformi su tutto il territorio nazionale. 
    Anche nel caso di specie sarebbe  quindi  violata  la  competenza
legislativa esclusiva dello Stato di cui all'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. e alle relative norme interposte di cui agli  artt.
146 e 149 cod. beni culturali;  sarebbe  inoltre  inciso  il  livello
della tutela del paesaggio, stabilito in via uniforme  sul  tutto  il
territorio nazionale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera
m), Cost. Infine, anche in questo caso, l'abbassamento  della  tutela
determinerebbe la violazione dell'art. 9 Cost. 
    1.5.- Infine, e' impugnato l'art. 10, comma 11, della legge  reg.
Lazio n. 1 del 2020 - rubricato «Disposizioni  in  materia  di  fonti
energetiche rinnovabili» -  per  violazione  degli  artt.  9  e  117,
secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143  e
145 del d.lgs. n. 42 del 2004. La norma impugnata ha  aggiunto,  dopo
l'art. 3 della legge della Regione Lazio  16  dicembre  2011,  n.  16
(Norme in materia ambientale e di  fonti  rinnovabili),  l'art.  3.1,
rubricato «Localizzazione di impianti fotovoltaici in zona agricola». 
    Il ricorrente premette che la disposizione in  esame  «riconferma
il ruolo fondamentale e strategico  del  piano  energetico  regionale
(PER), come strumento di programmazione della produzione  di  energia
da fonti rinnovabili e del risparmio energetico in agricoltura per le
zone "E"», e ribadisce «la necessita' che tale  programmazione  venga
effettuata in coordinamento con il piano agricolo regionale (PAR)  di
cui all'art. 52 della legge regionale n.  38  del  1999».  La  difesa
statale  aggiunge  che,  al  momento,  il  PER  non  risulta   ancora
approvato, «nonostante  abbia  concluso  il  procedimento  di  VAS  e
disponga da luglio 2018 del parere  motivato  necessario  per  essere
approvato». 
    Alla luce di quanto detto, l'art. 3.1 della legge reg. n. 16  del
2011, introdotto dalla norma impugnata, «omette[rebbe] il  necessario
richiamo al piano paesaggistico e alla sua disciplina  programmatoria
e pianificatoria, benche' soltanto quest'ultimo piano possa orientare
l'individuazione delle aree, sia in negativo quali aree escluse,  sia
in  positivo  quali  aree  idonee  all'installazione  delle   diverse
tipologie di impianti destinati alla produzione di energia  da  fonti
rinnovabili e i limiti del relativo dimensionamento». 
    Sotto altro profilo, il ricorrente individua  una  contraddizione
tra quanto affermato nel comma 3 del citato art. 3.1 -  secondo  cui,
nelle  more  dell'entrata  in  vigore  del  PER,   le   aree   idonee
all'installazione degli impianti sono  identificate  dai  Comuni  nel
rispetto di una serie di criteri e  non  possono  includere  comunque
oltre il 3 per cento delle aree classificate come agricole  (zone  E)
dagli strumenti urbanistici - e il successivo  comma  5  -  il  quale
stabilisce che, «[n]elle more delle previsioni di  cui  al  comma  1,
resta sempre consentita la produzione di energia da fonti rinnovabili
con le modalita' previste dalla legge regionale 2 novembre  2006,  n.
14 (Norme in materia di diversificazione delle attivita' agricole)  e
successive  modifiche  per  la  quale  non  trovano  applicazione  le
limitazioni di cui al comma 3». 
    Al riguardo, la difesa statale ritiene che la necessita'  di  «un
espresso richiamo al piano paesaggistico» non possa essere esclusa da
quanto previsto dall'art. 54, comma 3, della legge reg. Lazio  n.  38
del 1999. Quest'ultima disposizione prevede, infatti,  l'approvazione
di un piano di utilizzazione ambientale  (PUA),  ai  sensi  dell'art.
57-bis, per poter esercitare le sole attivita' di  cui  al  comma  2,
lettera b), del medesimo art. 54  (cioe'  «trasformazione  e  vendita
diretta  dei  prodotti  derivanti  dall'esercizio   delle   attivita'
agricole tradizionali») e non anche per le attivita'  di  «produzione
delle energie rinnovabili» (art. 54, comma 2, lettera f)  localizzate
all'interno dell'azienda agricola. 
    Pertanto, il combinato disposto  del  nuovo  testo  del  comma  2
dell'art. 54 della legge  reg.  Lazio  n.  38  del  1999  (sostituito
dall'art. 6, comma 1, lettera b, della legge  reg.  n.  1  del  2020,
oggetto di impugnazione per le ragioni illustrate al precedente punto
1.2.1) e dell'art. 3.1, comma 5, della legge reg.  Lazio  n.  16  del
2011 (introdotto dall'impugnato art. 10, comma 11, della  legge  reg.
n. 1 del 2020) comporta «la possibilita' di  realizzare  impianti  di
produzione di energia da fonti rinnovabili in aree  agricole,  al  di
fuori non solo del piano energetico  regionale,  ma  soprattutto  del
quadro programmatorio condiviso con il Ministero a monte, nell'ambito
del piano paesaggistico, che costituisce la sede propria  nell'ambito
della quale deve essere valutata la compatibilita' paesaggistica  del
complesso degli interventi». In merito, il  ricorrente  ribadisce  la
necessita'  di  assicurare  una  visione  d'insieme  degli   impianti
realizzati e da realizzare. 
    La mancata approvazione del PER aggraverebbe, poi, il quadro,  in
quanto  le  «numerose»  richieste  di   realizzazione   di   impianti
fotovoltaici di rilevanti estensioni in zone agricole, classificate e
tutelate dal PTPR quali  paesaggi  agrari  di  valore  o  di  elevato
valore, finirebbero  con  l'essere  autorizzate  caso  per  caso  con
provvedimenti  regionali,  ai  sensi  dell'art.  27-bis  del  decreto
legislativo 3 aprile 2006, n.  152  (Norme  in  materia  ambientale),
nonostante il parere negativo del Ministero. 
    In definitiva, il Presidente del Consiglio dei  ministri  ritiene
che l'art. 10, comma 11, della legge reg. Lazio n.  1  del  2020  sia
costituzionalmente   illegittimo   per   due   ordini   di   ragioni:
innanzitutto, perche', «introducendo  l'art.  3.1  nella  legge  reg.
Lazio  n.  16  del  2011,  non  subordina  la  programmazione   della
produzione di energia da fonti rinnovabili e del risparmio energetico
in agricoltura per le  zone  omogenee  "E"  di  cui  al  decreto  del
Ministro  dei  lavori  pubblici  2  aprile   1968,   n.   1444   alla
pianificazione  paesaggistica  elaborata   previa   intesa   con   il
Ministero»; in secondo  luogo,  «nella  parte  in  cui,  mediante  la
previsione del comma 5 del predetto art. 3.1, consente, in attesa del
PER, la realizzazione degli impianti  di  produzione  di  energia  da
fonti rinnovabili in aree agricole senza alcuna programmazione». 
    Per  le  ragioni  anzidette  la  norma  impugnata  violerebbe  la
competenza legislativa esclusiva dello Stato  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., in relazione alle norme  interposte
di cui agli artt. 135, 143 e 145 del d.lgs. n. 42 del  2004.  Sarebbe
inoltre leso il principio fondamentale della tutela del paesaggio, di
cui all'art. 9 Cost., in quanto il quadro della regolamentazione  che
deriva  dall'entrata  in  vigore  della  legge  regionale   impugnata
determinerebbe un evidente abbassamento del livello della sua tutela,
a causa dell'indiscriminata localizzazione di impianti di  produzione
di energia da fonti rinnovabili nelle aree agricole. 
    2.- La Regione Lazio si e' costituita in giudizio, chiedendo  che
le questioni di legittimita' costituzionale promosse siano dichiarate
inammissibili o infondate e argomentando quanto segue. 
    2.1.- In riferimento alle censure mosse all'art.  5  della  legge
reg. Lazio n. 1 del 2020, la  difesa  regionale  evidenzia  anzitutto
come i motivi dell'impugnazione dell'intero articolo,  da  parte  del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  riguardino   la   mancata
previsione,  nell'ambito  delle  procedure  di   approvazione   degli
strumenti  urbanistici  comunali,  di   misure   di   adeguamento   e
conformazione  di  tali   strumenti   alle   previsioni   del   piano
paesaggistico  regionale,  anche  con   riferimento   al   necessario
coinvolgimento del Ministero per i beni e le  attivita'  culturali  e
per il turismo, ai sensi degli artt. 143 e 145 del d.lgs. n.  42  del
2004. 
    La resistente rileva come, nell'ambito dell'art. 5, comma 1, solo
le lettere a), b) ed f) del comma 1, concernenti  l'approvazione  dei
piani   attuativi   o   l'introduzione   di   varianti   urbanistiche
semplificate,   abbiano    «attinenza    con    le    procedure    di
approvazione/modifica di strumenti  urbanistici».  Per  converso,  le
restanti disposizioni di cui l'art. 5 si compone - comma  1,  lettera
c) (permesso di costruire convenzionato),  lettera  d)  (permesso  di
costruire in deroga), lettera  e)  (termini  per  approvare  i  piani
attuativi), lettera g) (destinazioni d'uso degli edifici),  comma  2,
lettere a) e b) (finalita' generali in tema di rigenerazione urbana e
di recupero edilizio) -  non  riguardano  «in  alcun  modo  procedure
relative a strumenti urbanistici e  dunque  per  esse  non  viene  in
rilievo   alcuna   questione   di   rispetto   della   pianificazione
paesaggistica e del ruolo del Ministero». 
    Pertanto, a parere della Regione,  «[l]'impugnazione  dell'intero
art. 5, senza distinzioni», si traduce in «una vera e propria erronea
identificazione   delle   norme   oggetto   di   censura».   Di   qui
l'«inammissibilita' del ricorso». 
    2.1.1.- Ribadita la necessita' di circoscrivere le  censure  alle
lettere a), b) ed f) dell'art. 5, comma 1, della legge reg. Lazio  n.
1 del 2020, la Regione ritiene «infondati e non pertinenti» i rilievi
mossi a queste norme. Le disposizioni di cui alle  lettere  a)  e  b)
hanno introdotto puntuali e specifiche modifiche agli artt. 1,  commi
2 e 3, e 1-bis, commi 1, 2, 3 e  3-ter,  della  legge  della  Regione
Lazio  2  luglio  1987,  n.  36  (Norme  in  materia   di   attivita'
urbanistico-edilizia e snellimento delle  procedure),  relativi  alle
procedure di approvazione,  da  parte  dei  comuni,  degli  strumenti
urbanistici attuativi. 
    La resistente - premessa la competenza  regionale  nella  materia
dell'urbanistica, rientrante, ai sensi dell'art.  117,  terzo  comma,
Cost., nel «governo  del  territorio»  -  rileva  come  le  modifiche
operate dalla legge  reg.  Lazio  n.  1  del  2020,  oggi  impugnate,
intervengano sulla legge reg. Lazio n. 36 del 1987, vale  a  dire  su
una normativa  esistente  da  oltre  trent'anni  e  gia'  oggetto  di
numerose modifiche, nei medesimi contestati commi sia dell'art. 1 sia
dell'art. 1-bis. Tutto cio'  senza  che  le  novelle,  pur  prive  di
«elementi di raccordo con la pianificazione  paesaggistica»,  abbiano
destato alcun dubbio di legittimita' costituzionale. 
    D'altra parte, ad avviso  della  Regione,  le  modifiche  operate
dalle lettere a) e b) dell'art. 5, comma 1, della legge reg. Lazio n.
1 del 2020 non apportano alcuna novita' sostanziale sotto il  profilo
paesaggistico alle procedure urbanistiche in vigore.  Esse,  infatti,
se esaminate in dettaglio, dimostrano di non integrare in alcun  modo
«un nuovo ed inedito procedimento urbanistico», ma di  consistere  in
«puntuali e limitate modifiche, relative ad una procedura urbanistica
gia' in vigore», le quali «non  poss[o]no  essere  in  contrasto  con
principi di rango costituzionale solo perche' non recano  profili  di
raccordo con la pianificazione paesistica». 
    In particolare, la legge reg. Lazio n. 1 del 2020 non  metterebbe
in discussione il principio della prevalenza  e  dell'inderogabilita'
della  strumentazione  e  della  disciplina  paesaggistica,   ma   si
limiterebbe a regolare i soli profili urbanistici del procedimento di
approvazione dei piani attuativi. 
    D'altro  canto,  ad  avviso   della   resistente,   l'ordinamento
giuridico regionale avrebbe gia' ampiamente recepito il principio che
si assume violato. E cio', tanto con l'art. 2, comma 8, del PTPR,  il
quale prevede espressamente  che  le  disposizioni  prescrittive  del
piano «prevalgono sulle disposizioni  incompatibili  contenute  nella
vigente strumentazione territoriale urbanistica e settoriale», quanto
con l'ulteriore disposizione dell'art. 62,  comma  4,  in  base  alla
quale il PTPR e' sovraordinato alla pianificazione urbanistica. 
    L'ampio recepimento del principio di prevalenza della  disciplina
di   pianificazione   urbanistica   nella   legislazione    regionale
«rende[rebbe] superfluo», quindi, il suo richiamo  nel  dettaglio  di
ogni normativa urbanistica, ed in  tal  senso  «si  e'  [...]  sempre
regolato il legislatore regionale». Cio' non toglie  che  «tutti  gli
strumenti urbanistici, sia generali che attuativi, sono sempre stati,
e continueranno ad essere, sottoposti alla verifica di coerenza e  di
conformita' con il piano paesaggistico ad essi sovraordinato e con le
altre norme paesaggistiche cogenti». 
    Al riguardo, la Regione  sottolinea  come  neppure  le  procedure
urbanistiche delineate dal legislatore statale rechino «previsioni di
raccordo con  la  disciplina  paesaggistica  e  con  l'adeguamento  o
conformazione ad essa». Sono  richiamate  al  riguardo:  la  variante
speciale per gli insediamenti produttivi di cui all'art. 8 del d.P.R.
7 settembre 2010, n. 160 (Regolamento per la  semplificazione  ed  il
riordino della disciplina sullo  sportello  unico  per  le  attivita'
produttive, ai sensi dell'articolo 38, comma 3, del decreto-legge  25
giugno 2008, n. 112, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  6
agosto 2008, n. 133), la variante  per  le  opere  pubbliche  di  cui
all'art. 19 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327,  recante  «Testo  unico
delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in   materia   di
espropriazione per pubblica utilita'  (Testo  A)»,  la  variante  per
mezzo di  accordi  di  programma  di  cui  all'art.  34  del  decreto
legislativo  18  agosto  2000,  n.  267  (Testo  unico  delle   leggi
sull'ordinamento degli enti locali) e la  formazione  e  approvazione
degli strumenti urbanistici generali di cui agli  artt.  8,  9  e  10
della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica). 
    Analogamente, la disciplina regionale  recata  dalla  legge  reg.
Lazio n. 38 del 1999 non conterrebbe «elementi  di  raccordo  con  la
materia paesaggistica», ne' a proposito degli  strumenti  urbanistici
generali  (piani  urbanistici  comunali  generali),  ne'  di   quelli
attuativi (piani urbanistici operativi comunali). In questo senso  si
muoverebbe anche la legge reg. Lazio n. 36 del 1987. 
    In  definitiva,  «la  prevalenza  ed  inderogabilita'  del  piano
paesaggistico e della disciplina  paesaggistica  in  genere  rispetto
alla   strumentazione    urbanistica    di    qualsivoglia    livello
costitui[rebbero] principio generale dell'ordinamento [...], che vale
e si impone di per se', senza che debba ogni volta essere  richiamato
dalle  varie  normative,  in   quanto   "immanente"   all'ordinamento
giuridico». Cio' spiegherebbe perche' sia la legislazione urbanistica
di rango statale sia quella regionale non prevedono,  nelle  relative
procedure,  «puntuali  rimandi  alla  supremazia   della   disciplina
paesaggistica  ed  alla  necessaria   conformita'   degli   strumenti
urbanistici  al  piano  paesaggistico»,  senza  che  cio'  le   renda
costituzionalmente illegittime. 
    Anche  l'esame  degli  effetti  dell'eventuale  accoglimento  del
ricorso confermerebbe la mancanza del vulnus lamentato.  Ed  infatti,
la caducazione dell'art. 5 porterebbe ad  una  naturale  reviviscenza
della previgente versione della legge reg. Lazio n. 36 del  1987,  da
cui la disposizione impugnata «differi[rebbe] per  marginali  aspetti
legati alla tempistica, alle  conseguenze  del  silenzio,  ad  alcune
fattispecie specifiche di modifiche, profili tutti che non riguardano
la  materia  paesaggistica».  Dunque,  l'ipotetico  accoglimento  del
ricorso «non  [sarebbe]  comunque  idoneo  a  sortire  alcun  effetto
concreto  quanto  al  bene/interesse  che  si  lamenta  essere  stato
violato». 
    2.1.2.- Ad analoghi risultati, ad avviso della  Regione,  conduce
l'esame dei rilievi mossi alla lettera f) del  comma  1  dell'art.  5
della legge reg. Lazio n. 1 del 2020, il quale  ha  introdotto  nella
legge reg. Lazio n. 36  del  1987,  l'art.  6-bis,  che  prevede  una
«procedura urbanistica semplificata per l'approvazione di  specifiche
e determinate tipologie di varianti urbanistiche», disponendo, per le
medesime, tempi accelerati e una  specifica  valenza  di  assenso  al
silenzio regionale. 
    Orbene, anche in tal caso risulterebbe evidente la prevalenza del
principio  di  pianificazione  paesaggistica  e  la  superfluita'  di
specifiche norme di raccordo.  L'eventuale  caducazione  della  norma
comporterebbe l'unico effetto della «eliminazione dal mondo giuridico
di  una  procedura  urbanistica,  strutturata  in  forma   snella   e
semplificata per specifiche varianti minori, pur di vedere  affermato
il principio generale, che tale normativa  non  nega  affatto,  della
prevalenza  della  pianificazione  paesaggistica».   D'altra   parte,
l'inserimento nella richiamata disciplina di norme di raccordo con la
disciplina paesaggistica determinerebbe l'equivoco che il riferimento
a tale disciplina debba ritenersi necessario solo per  tale,  minore,
variante e non per le altre fattispecie di varianti (artt.  4,  comma
5, 5 e 6 della legge reg. Lazio n. 36 del 1987). 
    In definitiva, ad avviso della Regione, i rilievi mossi  all'art.
5, comma 1, lettera f), risultano infondati perche'  relativi  non  a
cio' che la norma dice, ma a cio' che essa non dice e che ha  ragione
di   non   dire   in   quanto   principio   generale   e   prevalente
dell'ordinamento. 
    2.2.-  Analogamente  infondate  risulterebbero,  a  parere  della
Regione, le censure a carico dell'art. 6, comma 1, lettere b), c), d)
ed e), della legge reg. Lazio n. 1 del 2020. 
    2.2.1.- Quanto alla lettera b),  che  ha  sostituito  l'art.  54,
comma 2, della legge reg. Lazio n. 38 del 1999, la resistente  rileva
che il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  contesta  la  nuova
formulazione dell'art.  54  che,  nel  consentire  tra  le  attivita'
multimprenditoriali  in  zona  agricola,  la  produzione  di  energie
rinnovabili,   permetterebbe   tali   interventi   anche   in    zone
paesaggisticamente vincolate. Tale contestazione avverrebbe  «per  il
solo fatto che non viene espressamente  richiamato  il  principio  di
prevalenza della disciplina paesaggistica». 
    A tal proposito, la difesa regionale sottolinea che la legge reg.
Lazio n. 38 del 1999 disciplina le trasformazioni, dal punto di vista
urbanistico ed  edilizio,  delle  aree  classificate  come  agricole,
prevedendo che «in esse e' possibile  esclusivamente  lo  svolgimento
dell'attivita'     agricola,     comprensiva     delle      attivita'
multimprenditoriali  con  essa   integrate   e   complementari».   Si
tratterebbe, dunque, anche in  questo  caso,  di  normativa  che  non
contiene «alcuna previsione di deroga» alle  disposizioni  di  tutela
paesaggistica del PTPR, il quale, per  tutte  le  aree  sottoposte  a
vincolo paesaggistico, costituisce la normativa  prevalente,  essendo
principio immanente nell'ordinamento. 
    D'altra parte, ricorda la Regione, la diversificazione  in  forma
di multimprenditorialita' non rappresenta  una  diversa  destinazione
d'uso del territorio, non conforme agli strumenti  di  pianificazione
adottati, ma si configura «quale temporaneo cambio  di  funzioni  del
bene strumento delle  attivita'  multimprenditoriali  (manufatti  e/o
terreni)  per  limitate  e  ben   individuate   finalita',   comunque
compatibili con la destinazione d'uso agricolo del territorio». 
    2.2.2.- Con riferimento all'art. 6, comma 1, lettere c), d) ed e)
della legge reg. Lazio n. 1 del 2020, che ha modificato gli artt. 55,
57, e 57-bis della legge reg.  Lazio  n.  38  del  1999,  la  Regione
contesta il rilievo  di  parte  ricorrente  secondo  cui  la  novella
consentirebbe  di  realizzare  manufatti  connessi   alle   attivita'
agricole, ivi comprese le piscine, ampliando, di fatto, la  categoria
delle attivita' agricole tradizionali connesse e compatibili, e senza
prevedere la specifica compatibilita' con  la  disciplina  di  tutela
paesaggistica. 
    A  tal  proposito,  la  Regione  obietta  che  la  materia  delle
trasformazioni in zona agricola rientra nella competenza regionale  e
che la norma impugnata non fa alcun riferimento, tra i manufatti  che
sarebbe  consentito  realizzare,  alla  tipologia  delle   "piscine".
Peraltro, la loro realizzazione, laddove  non  in  contrasto  con  le
superiori  esigenze  di   tutela   paesaggistico-ambientale,   sempre
giuridicamente immanenti,  appare  «compatibile  con  l'esercizio  di
pratiche  consentite  nell'ambito  della   multimprenditorialita'   e
multifunzionalita' aziendale». 
    2.2.3.- La Regione confuta, altresi', l'ulteriore  rilievo  mosso
dalla ricorrente, secondo cui la norma in esame renderebbe  possibile
anche interventi su manufatti di  interesse  culturale,  tutelati  ai
sensi dell'art. 20  del  d.lgs.  n.  42  del  2004,  con  conseguente
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    In merito, la difesa regionale definisce «generiche  [e]  slegate
da ogni concreto richiamo alle norme in questione» le  censure  mosse
dalla ricorrente e precisa che la  normativa  de  qua  non  ha  alcun
effetto su beni di interesse culturale,  ribadendo  che  le  novelle,
apportate dall'art. 6 della legge reg.  Lazio  n.  1  del  2020  alla
normativa previgente, «hanno valenza  esclusivamente  urbanistica  ed
edilizia e non negano assolutamente  la  prevalenza  della  normativa
paesaggistica, sempre immanente». 
    Piu' in generale, la resistente sottolinea come il ricorso sembri
obliterare la circostanza che la cogenza della disciplina  paesistica
si verifica solo laddove vengano in  rilievo  beni  paesaggistici  da
tutelare  e  non  per  qualsiasi  tipologia  di  intervento  in  zona
agricola. 
    2.2.4.- A  margine  delle  superiori  argomentazioni  la  Regione
osserva che gli  interventi  censurati  si  inquadrano  in  un'azione
legislativa  di  piu'  ampio  respiro  che  discende  dalla  Politica
agricola comunitaria (sono richiamati: il regolamento UE n. 1303/2013
del Parlamento europeo e del Consiglio, del  17  dicembre  2013,  sul
Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale  europeo,  sul
Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo  rurale
e  sul  Fondo  europeo  per  gli  affari  marittimi  e  la  pesca   e
disposizioni generali sul Fondo europeo di  sviluppo  regionale,  sul
Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo  per
gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il  regolamento  CE  n.
1083/2006  del  Consiglio;  il  regolamento  UE  n.   1305/2013   del
Parlamento europeo  e  del  Consiglio,  del  17  dicembre  2013,  sul
sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per
lo sviluppo  rurale,  FEASR,  e  che  abroga  il  regolamento  CE  n.
1698/2005  del  Consiglio)  e  che  mira  proprio  a  incentivare  la
diversificazione delle attivita' agricole in  senso  multifunzionale,
per far fronte «ai problemi che incombono sul  territorio  aperto  su
scala continentale: dall'abbandono delle campagne  allo  spopolamento
delle   zone    montane».    D'altra    parte,    i    concetti    di
"multimprenditorialita'" e "multifunzionalita' aziendale", discendono
dal decreto legislativo  18  maggio  2001,  n.  228  (Orientamento  e
modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo  7  della
legge 5 marzo 2001, n. 57), che ha inserito nell'art. 2135 del codice
civile le  «attivita'  connesse»  e  che  disciplina  attualmente  il
settore. 
    2.3.-  La  Regione  argomenta,  altresi',  l'infondatezza   delle
censure a carico dell'art. 7, comma 7, lettera c), della  legge  reg.
Lazio n. 1 del 2020, il quale inserisce il comma  2-quater  nell'art.
10 della legge reg. Lazio n. 53 del 1998. 
    La difesa regionale richiama le medesime argomentazioni svolte in
relazione  alle  altre  censure  e,  in  particolare,   la   generale
prevalenza  della  pianificazione   paesaggistica   come   «principio
immanente nell'ordinamento», per cui «il mancato richiamo»  a  questi
strumenti «non vale a  negare  la  valenza  di  tale  principio».  Si
precisa, altresi', che la norma utilizza la locuzione «nel rispetto»,
e non - come sostenuto dal ricorrente - «sulla base»; cio', a  parere
della resistente, equivarrebbe a dire che la norma censurata  non  e'
«l'unica  di  riferimento,  ma  deve,  viceversa,  essere  letta   in
combinato con le altre norme di settore, in primis la citata L.R.  n.
14/1999 e tutte le  norme  comunitarie,  nazionali  e  regionali  che
regolano le utilizzazioni del demanio marittimo». 
    Cio' premesso, la Regione sostiene che argomenti a sostegno della
non fondatezza si ricavino anche da  un  giudizio  prognostico  sulle
conseguenze   dell'eventuale    dichiarazione    di    illegittimita'
costituzionale della norma. Infatti, il successivo comma 8  dell'art.
7 - non impugnato nell'odierno giudizio - determina, in ogni caso, lo
spostamento dalla Regione ai comuni della competenza al  rilascio  di
concessioni del demanio marittimo, a far data dal termine individuato
nel comma 10 del medesimo art. 7 della legge  reg.  Lazio  n.  1  del
2020. 
    2.4.- Quanto alle censure mosse al comma 9,  lettera  d),  numero
1), dell'art. 9  della  legge  reg.  Lazio  n.  1  del  2020  -  che,
nell'abbassare la quota  al  di  sotto  della  quale  gli  ecosistemi
forestali a prevalenza di faggio sono definiti tali (da 800  metri  a
300 metri sul livello del mare), ne  renderebbe  possibile  una  piu'
ampia utilizzazione per finalita'  produttiva,  di  fatto,  incidendo
sulla tutela paesaggistica - la difesa  regionale  evidenzia  che  la
novella riguarda «esclusivamente la nozione  forestale  [di  "faggeta
depressa"] e non quella paesaggistica» delle aree  boscate.  Sicche',
la modifica non avrebbe alcun effetto sulla tutela paesaggistica, che
quindi risulterebbe inalterata e comunque sempre prevalente. Pertanto
la censura sarebbe infondata. 
    Con riferimento, invece, al comma 16  del  medesimo  art.  9,  la
Regione si limita ad osservare che, «anche in questo caso,  si  parte
dall'erroneo  presupposto  della  non  centralita'  della   normativa
paesaggistica e del PTPR». 
    2.5.- La difesa regionale argomenta, altresi', il  rigetto  delle
censure mosse a carico dell'art. 10, comma 11, della legge reg. Lazio
n. 1 del 2020, che introduce l'art. 3.1 nella legge reg. Lazio n.  16
del 2011. 
    Anche in  tal  caso,  in  merito  all'omesso  richiamo  al  piano
paesaggistico in materia di localizzazioni di  impianti  fotovoltaici
in zona agricola, la resistente sottolinea l'assoluta prevalenza  del
piano paesaggistico, per cui siffatto mancato richiamo «non  comporta
incostituzionalita' della norma» e, dunque, alcun «contrasto con  gli
articoli 9 e 117, secondo comma, lett. s), Cost., in riferimento agli
artt.  135,  143  e  145  del  codice  dei  beni   culturali   (norme
interposte)». L'omesso riferimento al PTPR - aggiunge  la  Regione  -
deriverebbe dalla circostanza che la materia  coinvolta  dalla  norma
impugnata riguarda il «governo del territorio» e sarebbe  regolata  -
nell'ambito delle zone agricole "E", di cui si occupa la norma de qua
-  «dagli  strumenti  urbanistici  generali  vigenti  e   strutturati
obbligatoriamente in ossequio al Piano Territoriale Paesistico». 
    Cio'   premesso,   la   Regione   si   sofferma    sull'ulteriore
«incongruenza» rilevata dal ricorrente, in particolare tra il comma 3
dell'art. 3.1, introdotto dalla  norma  impugnata,  e  il  successivo
comma 5. Il comma 3 attribuisce ai comuni, nelle more dell'entrata in
vigore  del  piano  energetico  regionale  (PER),  la  competenza  ad
individuare  «le  aree  idonee  per  l'istallazione  degli   impianti
fotovoltaici a terra per una superfice complessiva non superiore al 3
per cento delle zone omogenee "E"». 
    Tale previsione sembrerebbe essere posta nel nulla, a parere  del
ricorrente,  dal  successivo  comma  5.  Quest'ultimo,  infatti,  nel
prevedere che, «[n]elle more delle previsioni  di  cui  al  comma  1,
resta  sempre  consentita  la  produzione   di   energia   da   fonti
rinnovabili, con  le  modalita'  previste  dalla  legge  regionale  2
novembre 2006, n. 14», consentirebbe l'installazione di tali impianti
in  maniera  indiscriminata  e  «al  di  fuori  non  solo  del  piano
energetico  regionale,  ma  soprattutto  del  quadro   programmatorio
condiviso con il Ministero». 
    La Regione osserva, a tal proposito, come la previsione di cui al
comma 5 dell'art. 3.1 si riferisca alle attivita'  rurali  aziendali,
individuate all'art. 2 della legge della  Regione  Lazio  2  novembre
2006, n. 14 (Norme in materia  di  diversificazione  delle  attivita'
agricole), le  quali  sono  comprensive,  altresi',  delle  attivita'
multimprenditoriali. Nell'ambito di queste  ultime  rientrerebbe,  ai
sensi dell'art. 54, comma 3, della legge reg. Lazio n. 38 del 1999  -
cosi' come modificato dalla stessa legge reg. Lazio n.  1  del  2020,
impugnata  nell'odierno  giudizio  -   la   produzione   di   energie
rinnovabili. Ne' rileverebbe, ad avviso della Regione, l'osservazione
del ricorrente  secondo  cui  la  subordinazione  di  tali  attivita'
all'approvazione di un PUA di cui al comma 2, lettera  b),  dell'art.
54 della legge reg. Lazio n.  38  del  1999,  in  tema  di  attivita'
agricole  multimprenditoriali,  si  riferirebbe  esclusivamente  alla
localizzazione all'interno  dell'azienda  agricola  di  attivita'  di
«trasformazione   e   vendita   diretta   dei   prodotti    derivanti
dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali»  (lettera  h  -
recte: b - del medesimo comma 2)  e  non  anche  alla  produzione  di
energia.  Sarebbero,  pertanto,   evidentemente   escluse   da   tale
autorizzazione  rilasciata  con  il  PUA  proprio  le  «attivita'  di
"produzione delle energie rinnovabili"», di cui alla lettera  f)  del
medesimo art.  54.  La  mancata  previsione  del  PUA  consentirebbe,
quindi, la produzione di energia senza le adeguate garanzie. 
    Inoltre, proprio in virtu' delle modifiche introdotte dall'art. 6
della legge regionale impugnata al comma 2 dell'art. 54  della  legge
reg. Lazio n. 38 del 1999, ogni  attivita'  multimprenditoriale  deve
svolgersi ai sensi dell'art. 3, comma 1-bis, della legge  reg.  Lazio
n. 14 del 2006, in regime  di  connessione  con  l'impresa  agricola.
Regime di connessione per il quale, ricorda la difesa regionale,  gli
artt. 7 e 8 del  regolamento  della  Giunta  della  Regione  Lazio  5
gennaio 2018, n. 1, recante «Disposizioni attuative per le  attivita'
integrate   e   complementari   all'attivita'   agricola   ai   sensi
dell'articolo 57-bis della legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38  e
successive  modifiche.  Abrogazione  del  regolamento   regionale   2
settembre 2015, n. 11 (Attuazione della ruralita' multifunzionale  ai
sensi dell'articolo 57 della legge regionale 22 dicembre 1999, n.  38
e successive  modifiche)»,  richiedono,  ai  fini  autorizzatori,  la
presentazione di un PUA. 
    Ne deriverebbe che, allo stato dell'attuale normativa  regionale,
nessun impianto fotovoltaico puo' essere realizzato al  di  fuori  di
un'azienda agricola, mentre, all'interno delle aziende agricole, essi
possono essere realizzati, ma solo attraverso la presentazione di  un
PUA. 
    3.-  In  prossimita'  della  data  fissata  per   l'udienza,   il
Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nella
quale replica ai rilievi della Regione e insiste nelle  domande  gia'
rassegnate nel ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  ha  promosso,  con  il
ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 46 del 2020), questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 5, 6, comma  1,  lettere  b),
c), d) ed e), 7, comma 7, lettera c), 9, commi 9, lettera d),  numero
1), e 16, e 10, comma 11, della legge della Regione Lazio 27 febbraio
2020, n. 1 (Misure per lo sviluppo economico,  l'attrattivita'  degli
investimenti e la semplificazione), per violazione degli  artt.  9  e
117, secondo comma, lettere m) ed  s),  della  Costituzione  e  delle
norme interposte di cui agli artt. 20, 21, 135, 142, 143, 145, 146  e
149 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10  della  legge  6
luglio 2002, n. 137). 
    2.- Preliminarmente deve essere sottolineato come  il  ricorrente
lamenti - in termini sostanzialmente coincidenti in tutte le  censure
- la lesione delle  competenze  statali  in  materia  di  tutela  del
paesaggio (di qui l'asserita violazione dell'art. 117, secondo comma,
lettera  s,  Cost.)  a  causa  del  mancato  richiamo   dei   vincoli
paesaggistici previsti dalla normativa statale interposta e,  in  via
mediata, dell'omesso riferimento  al  Piano  territoriale  paesistico
(PTPR) della Regione  Lazio.  In  relazione  ad  alcune  delle  norme
impugnate e' altresi' lamentata la violazione dell'art. 9  Cost.,  in
conseguenza dell'asserito vulnus al valore paesaggistico. 
    In considerazione della  sostanziale  coincidenza  delle  singole
censure o almeno della gran parte  di  esse,  prima  del  loro  esame
occorre  svolgere  qualche  considerazione  preliminare  sul   quadro
normativo in cui si collocano le norme impugnate. 
    La  Regione  Lazio  si  era  dotata  di  un  proprio   PTPR   con
deliberazione del Consiglio della Regione Lazio 2 agosto 2019, n.  5,
pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione 13  febbraio  2020,
n. 13. Questo Piano, giunto all'esito di un iter lungo e travagliato,
era stato definitivamente approvato  dal  Consiglio  regionale,  dopo
essere stato adottato dalla Giunta regionale con la deliberazione  25
luglio 2007, n. 556, poi modificata, integrata  e  rettificata  dalla
deliberazione della Giunta 21 dicembre 2007, n. 1025. 
    Il suddetto PTPR era stato pero' elaborato  senza  il  necessario
coinvolgimento del Ministero per i beni e le  attivita'  culturali  e
per il turismo (MiBACT), oggi Ministero della cultura (MIC), dopo  la
ridenominazione operata  dal  decreto-legge  1°  marzo  2021,  n.  22
(Disposizioni urgenti in materia di riordino delle  attribuzioni  dei
Ministeri), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  22  aprile
2021, n. 55. Di questo mancato coinvolgimento  si  era  lamentato  il
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso  per  conflitto  di
attribuzione (reg. confl. enti  n.  2  del  2020).  Questa  Corte  ha
accolto, con la  sentenza  n.  240  del  2020,  il  ricorso  de  quo,
annullando, per l'effetto, la deliberazione del  Consiglio  regionale
n. 5 del 2019 e la nota della Direzione regionale  per  le  politiche
abitative e la pianificazione territoriale, paesistica e  urbanistica
della Regione Lazio del 20 febbraio 2020, prot. 0153503. 
    In particolare, nella pronunzia citata, questa Corte ha affermato
«la necessita'  che  la  pianificazione  paesaggistica  regionale  si
esprima  attraverso  una  generale  condivisione  dell'atto  che   la
realizza, cio' che risulta tanto piu' evidente  in  una  Regione,  il
Lazio,  in  cui,  come  ricordano  entrambe  le  parti  del  presente
giudizio, piu' del 70  per  cento  del  territorio  e'  sottoposto  a
vincoli paesaggistici». Al riguardo, si e' ulteriormente ribadito che
«[l]'unitarieta' del valore della tutela paesaggistica comporta [...]
l'impossibilita'  di  scindere  il  procedimento  di   pianificazione
paesaggistica in subprocedimenti che  vedano  del  tutto  assente  la
componente  statale».  Nella  specie,  questa  Corte  -   dopo   aver
sottolineato  che  il  principio   di   leale   collaborazione   deve
concretizzarsi in «un confronto costante, paritario e  leale  tra  le
parti, che deve caratterizzare  ogni  fase  del  procedimento  e  non
seguire  la  sua  conclusione»  -   ha   concluso   nel   senso   che
«l'approvazione  e  poi  la  pubblicazione  della  deliberazione  del
Consiglio regionale n. 5 del 2019 hanno determinato una soluzione  di
continuita' nell'iter collaborativo  avviato  tra  Stato  e  Regione,
hanno prodotto l'affermazione unilaterale della volonta' di una parte
e si sono tradotte in un comportamento non leale, nella misura in cui
- a conclusione del (e nonostante il) percorso di collaborazione - la
Regione ha approvato un piano non concordato, destinato a produrre  i
suoi effetti  nelle  more  dell'approvazione  di  quello  oggetto  di
accordo con il MiBACT». 
    Gia' subito dopo la deliberazione  impugnata  con  il  menzionato
ricorso per conflitto, e, ancora di piu', dopo la sentenza n. 240 del
2020 che lo ha deciso, sono riprese  le  trattative  tra  la  Regione
Lazio e il Ministero, che - come segnalato dalla difesa regionale nel
corso  della  udienza  di  discussione   dell'odierno   giudizio   di
legittimita' costituzionale - hanno consentito al Consiglio regionale
di pervenire, nella seduta del 21 aprile 2021, all'approvazione di un
nuovo PTPR. 
    Nel periodo intercorso tra la  pubblicazione  della  sentenza  di
questa Corte n. 240  del  2020  e  la  pubblicazione  della  suddetta
delibera consiliare hanno trovato applicazione le disposizioni di cui
all'art. 21, comma 1, secondo  periodo,  della  legge  della  Regione
Lazio 6 luglio 1998, n. 24 (Pianificazione paesistica  e  tutela  dei
beni e delle aree sottoposti  a  vincolo  paesistico),  secondo  cui,
«[d]ecorso inutilmente  tale  termine  [quello  di  approvazione  del
PTPR], operano esclusivamente le norme di tutela di cui al Capo II e,
nelle  aree  sottoposte  a  vincolo  paesistico   con   provvedimento
dell'amministrazione  competente,  sono   consentiti   esclusivamente
interventi di ordinaria e  straordinaria  manutenzione,  risanamento,
recupero statico ed igienico e  restauro  conservativo».  La  portata
applicativa di queste  disposizioni  e'  stata  peraltro  oggetto  di
alcune precisazioni da parte dell'Ufficio legislativo del MiBACT, con
nota del  2  dicembre  2020,  e  della  Direzione  regionale  per  le
politiche abitative e la pianificazione  territoriale,  paesistica  e
urbanistica della Regione Lazio, con la direttiva 3 dicembre 2020, n.
1056599. 
    In questa piu' ampia cornice di riferimento - nella quale,  anche
prima dell'approvazione del nuovo PTPR, non  mancavano  i  vincoli  a
tutela del paesaggio - devono essere inquadrate le odierne censure. 
    3.- La prima questione formulata dal ricorrente investe l'art.  5
della legge reg. Lazio n.  1  del  2020,  rubricato  «Semplificazioni
procedimentali in materia di varianti  urbanistiche.  Modifiche  alla
legge regionale 2 luglio 1987, n. 36 "Norme in materia  di  attivita'
urbanistico-edilizia e snellimento  delle  procedure"  e  alla  legge
regionale 18 luglio 2017, n. 7  "Disposizioni  per  la  rigenerazione
urbana e per il recupero edilizio" e  successive  modifiche».  Questo
articolo e' impugnato per violazione dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost., in relazione agli artt. 143 e 145 del d.lgs. n. 42
del 2004 (d'ora in avanti anche: cod. beni culturali), in quanto  non
conterrebbe alcun richiamo  «ne'  alle  procedure  di  adeguamento  e
conformazione degli strumenti urbanistici al Piano paesaggistico, ne'
alla partecipazione del Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali
e per il Turismo al procedimento di conformazione e adeguamento,  che
la Regione deve obbligatoriamente assicurare ai sensi dell'art.  145,
commi 4 e 5, del Codice dei beni culturali e del paesaggio». 
    3.1.-  Preliminarmente  deve  essere  esaminata  l'eccezione   di
inammissibilita' formulata dalla difesa regionale,  la  quale  rileva
come solo alcune disposizioni dell'art. 5 (lettere  a,  b  ed  f  del
comma 1) abbiano  attinenza  con  le  procedure  di  approvazione  di
strumenti urbanistici. Per converso,  nei  confronti  delle  restanti
disposizioni dell'art. 5 non verrebbe in rilievo alcuna questione  di
rispetto  della  pianificazione  paesaggistica  e   del   ruolo   del
Ministero. Pertanto, il  ricorrente  avrebbe  erroneamente  impugnato
l'intero art.  5,  con  la  conseguenza  dell'inammissibilita'  delle
relative questioni. 
    L'eccezione e' fondata. 
    Le  questioni  promosse  nei  confronti  dell'art.  5   investono
l'intero articolo, il quale presenta un contenuto  alquanto  ampio  e
complesso e consta di una molteplicita'  di  disposizioni  accomunate
solo  genericamente  dall'obiettivo  di  realizzare  una   serie   di
semplificazioni procedimentali in materia di  varianti  urbanistiche.
L'impossibilita' di  riferire  a  singole  disposizioni  la  generica
censura formulata nel ricorso e l'altrettanto evidente impossibilita'
di operare una sua resecazione, limitandola alle sole parti dell'art.
5  che  riguardano  direttamente  gli   strumenti   urbanistici,   ne
determinano l'inammissibilita'. Non risulta, infatti, soddisfatto  il
requisito  minimo  di  «una  motivazione  adeguata  e  non  meramente
apodittica», richiesto da questa Corte nei giudizi in via  principale
(da ultimo, sentenze n. 82 e  n.  78  del  2021;  in  senso  analogo,
sentenze n. 279 e n. 143 del 2020). 
    4.- Le restanti censure - prospettate in relazione agli artt.  6,
comma 1, lettere b), c), d) ed e), 7, comma 7, lettera c),  9,  commi
9, lettera d), numero 1), e 16, e 10,  comma  11,  della  legge  reg.
Lazio  n.  1  del  2020  -  pur  nella   diversita'   delle   materie
disciplinate,  possono  essere  oggetto  di  una  comune  trattazione
preliminare   in   ragione   dell'identico   percorso   argomentativo
sviluppato dal  ricorrente.  In  riferimento  alle  norme  anzidette,
infatti,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  lamenta   la
violazione degli artt. 9 e 117, secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,
poiche' il legislatore regionale non avrebbe espressamente richiamato
l'operativita' dei  vincoli  derivanti  dalla  normativa  statale  in
materia di tutela del paesaggio e il conseguente rispetto  del  PTPR.
Siffatta omissione sarebbe aggravata dalla «mancanza, nel  territorio
regionale,  di  un  piano  paesaggistico  oggetto  di  pianificazione
congiunta con il Ministero». 
    Questa Corte, ancora di recente, ha ribadito che «[i]l  principio
di prevalenza della tutela paesaggistica deve  essere  declinato  nel
senso  che  al  legislatore  regionale  e'  impedito  [...]  adottare
normative  che  deroghino  o  contrastino   con   norme   di   tutela
paesaggistica che pongono obblighi o divieti, ossia con previsioni di
tutela in senso stretto» (sentenza  n.  74  del  2021;  nello  stesso
senso, anche sentenze n. 101, n. 54 e n. 29 del 2021). 
    Su tale  presupposto,  ripetutamente  affermato  (tra  le  tante,
sentenze n. 240 del 2020, n. 86 del 2019, n. 178, n. 68 e n.  66  del
2018), questa Corte ha  escluso  l'illegittimita'  costituzionale  di
norme regionali che non deroghino ai  principi  della  pianificazione
paesaggistica (sentenze n. 74, n. 54 e n. 29 del 2021),  valorizzando
in  via  interpretativa  il  dato  legislativo  regionale  (come   e'
espressamente riconosciuto nelle sentenze n. 101 e n. 54 del 2021). 
    Su queste premesse si  puo'  procedere  all'esame  delle  singole
norme oggetto di censura. 
    5.- In relazione all'art. 6, comma 1, della legge reg. Lazio n. 1
del 2020,  che  reca  la  rubrica  «Semplificazione  istruttoria  per
l'approvazione degli  strumenti  urbanistici  generali  e  dei  piani
attuativi. Modifiche alla legge regionale 22  dicembre  1999,  n.  38
"Norme sul  governo  del  territorio"  e  successive  modifiche»,  il
ricorrente e la resistente distinguono, in ragione del loro  oggetto,
le questioni concernenti  la  lettera  b)  da  quelle  relative  alle
lettere  c),  d)  ed  e).  Non   vi   e'   motivo   per   discostarsi
dall'impostazione seguita dalle parti. 
    5.1.- Con riguardo alla  lettera  b),  il  ricorrente  sottolinea
come, a  seguito  delle  modifiche  operate  dalla  norma  impugnata,
l'attivita'   di   «produzione   delle   energie   rinnovabili»   sia
«espressamente  inclusa  tra  le   attivita'   "multimprenditoriali",
generalmente consentite in zona agricola». In questo modo la  Regione
Lazio avrebbe ampliato  in  maniera  significativa  il  novero  delle
attivita' ritenute «compatibili» con il territorio agricolo, al  fine
di agevolare il suo utilizzo «per la produzione di energia  da  fonti
rinnovabili». 
    In particolare, la norma impugnata ometterebbe «l'imprescindibile
espresso richiamo alla necessita' di adeguarsi alle previsioni  della
pianificazione paesaggistica, previamente condivisa  mediante  intesa
con lo Stato, oltre che del PER e delle altre  leggi  regionali».  La
mancanza  di  questo  richiamo  ne  determinerebbe   l'illegittimita'
costituzionale per violazione della  sfera  di  competenza  esclusiva
riservata allo Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera
s), Cost., in relazione alle norme interposte di cui agli artt.  135,
143  e  145  cod.  beni  culturali.  Sarebbe   inoltre   pregiudicato
«l'interesse  costituzionale  alla   tutela   del   paesaggio»,   con
conseguente violazione dell'art.  9  Cost.,  che  costituisce  valore
primario e assoluto. 
    La difesa regionale sottolinea che la legge della  Regione  Lazio
22 dicembre 1999, n. 38 (Norme sul governo del territorio) disciplina
le trasformazioni, dal punto di vista urbanistico ed edilizio,  delle
aree classificate come agricole, prevedendo che «in esse e' possibile
esclusivamente lo svolgimento  dell'attivita'  agricola,  comprensiva
delle  attivita'   multimprenditoriali   con   ess[a]   integrate   e
complementari».  La  normativa  non  conterrebbe,   dunque,   «alcuna
previsione di deroga» alle disposizioni di tutela del PTPR, il quale,
per tutte le aree sottoposte a vincolo paesaggistico, costituisce  la
normativa    prevalente,    secondo    un     principio     immanente
nell'ordinamento. 
    D'altra parte, ricorda ancora la Regione, la diversificazione  in
forma  di  multimprenditorialita'   non   rappresenta   una   diversa
destinazione d'uso del territorio, non  conforme  agli  strumenti  di
pianificazione adottati, ma «si configura, quale temporaneo cambio di
funzioni  del  bene  strumento  delle  attivita'  multimprenditoriali
(manufatti e/o terreni) per limitate  e  ben  individuate  finalita',
comunque  compatibili  con  la  destinazione   d'uso   agricolo   del
territorio». 
    5.1.1.- La questione di legittimita' costituzionale dell'art.  6,
comma 1, lettera b), della legge reg. Lazio n.  1  del  2020  non  e'
fondata, nei termini di seguito indicati. 
    Preliminarmente va precisato che l'art.  6,  nel  suo  complesso,
apporta modifiche alla legge reg. Lazio n. 38 del 1999,  ascrivibile,
in virtu' sia del suo titolo, sia, soprattutto, del  contenuto  delle
sue disposizioni, alla competenza regionale concorrente in materia di
governo del territorio. 
    Sempre  in  via  preliminare,  la  censura  statale  deve  essere
circoscritta alla sola lettera f) del  comma  2  dell'art.  54  della
legge reg. Lazio n. 38 del 1999, nel  testo  sostituito  dalla  norma
impugnata,  cioe'  all'inclusione  della  «produzione  delle  energie
rinnovabili» tra le attivita' multimprenditoriali che sono consentite
nelle zone agricole. Come si e'  gia'  detto,  questa  previsione  e'
impugnata non in se', ma solo per il mancato  richiamo  del  rispetto
del piano paesaggistico. 
    Alla luce della giurisprudenza  citata  sopra  (al  punto  4  del
Considerato in diritto), questa Corte e' chiamata a verificare se  la
disposizione impugnata si ponga in  contrasto  con  il  principio  di
prevalenza della pianificazione paesaggistica, o  rechi  a  esso  una
deroga. Nel caso di specie, il legislatore regionale ha previsto  che
tra le attivita' multimprenditoriali  -  comprese  tra  le  attivita'
rurali aziendali, «consentite» nelle zone  agricole  «[n]el  rispetto
degli articoli 55, 57 e 57-bis e  dei  regolamenti  ivi  previsti»  -
rientra anche la «produzione delle energie rinnovabili». 
    Sulla base del suo chiaro dato letterale si deve escludere che la
previsione - impugnata solo  per  il  mancato  richiamo  dei  vincoli
paesaggistici - concretizzi un'ipotesi di deroga o  di  contrasto  al
principio di prevalenza della  pianificazione  paesaggistica,  i  cui
vincoli permangono inalterati, con la conseguenza che lo  svolgimento
delle suddette  attivita'  multimprenditoriali  nelle  zone  agricole
resta pur sempre subordinato al rispetto della normativa  in  materia
di autorizzazione paesaggistica  e  delle  prescrizioni  del  PTPR  o
comunque dei vincoli operanti nelle more della sua definitiva entrata
in vigore. 
    5.2.- Le disposizioni introdotte con le lettere c), d) ed e)  del
comma 1 dell'art. 6, relative all'edificazione in zona agricola e  ai
piani di utilizzazione aziendale (PUA) - modificative degli artt. 55,
57 e 57-bis della legge reg. Lazio n. 38 del 1999 - sono impugnate in
quanto  consentirebbero  «di  realizzare  manufatti   connessi   alle
attivita' agricole, ampliando  sensibilmente  le  relative  categorie
mediante  il  riferimento  "alle  attivita'  agricole   tradizionali,
connesse  e  compatibili"  e  prevedendo,  tra  i   vari   interventi
possibili,  perfino  la  realizzazione  di   piscine»,   «senza   una
definizione preventiva degli interventi compatibili con il  contesto,
che deve avvenire nell'ambito [del] piano  paesaggistico  previamente
elaborato d'intesa con lo Stato». 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri riferisce  quindi  anche
alle norme qui in esame le considerazioni gia' svolte per la  lettera
b) e in particolare ribadisce che, nel  quadro  della  pianificazione
concordata, delineata dal codice dei beni culturali e del  paesaggio,
il legislatore statale assegna al piano paesaggistico  una  posizione
di   assoluta   preminenza   nel   contesto   della    pianificazione
territoriale. Piu' precisamente, poiche' gli artt. 143,  comma  9,  e
145, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004 sanciscono «l'inderogabilita'
delle previsioni del predetto strumento da parte di piani,  programmi
e progetti nazionali o regionali di  sviluppo  economico  e  la  loro
cogenza  rispetto   agli   strumenti   urbanistici,   nonche'   [...]
l'immediata prevalenza del piano paesaggistico  su  ogni  altro  atto
della pianificazione territoriale e urbanistica», le norme  regionali
impugnate si porrebbero  «in  conflitto  con  la  normativa  statale,
laddove consentono  trasformazioni  del  territorio  agricolo,  anche
paesaggisticamente vincolato, in contrasto con la vocazione  naturale
del territorio e a discapito della sua  conservazione  e  integrita',
senza richiamare espressamente la disciplina dettata al riguardo  dal
piano paesaggistico». 
    Un ulteriore profilo  di  illegittimita'  costituzionale  sarebbe
rinvenibile nel caso in  cui  gli  interventi  resi  possibili  dalle
disposizioni impugnate riguardino manufatti di  interesse  culturale,
tutelati ai sensi della Parte II del codice dei beni culturali e  del
paesaggio. L'art. 20 del d.lgs. n. 42 del 2004 vieta, infatti, che  i
beni culturali siano «distrutti, deteriorati, danneggiati  o  adibiti
ad usi non compatibili con il  loro  carattere  storico  o  artistico
oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione». 
    La Regione non potrebbe pertanto dettare una disciplina  volta  a
individuare  le  modificazioni  e  gli  interventi  consentiti  sugli
immobili sottoposti a tutela ai sensi della Parte II del  codice  dei
beni culturali e del paesaggio. 
    La resistente contesta l'affermazione del ricorrente secondo  cui
la  novella  consentirebbe  di  realizzare  manufatti  connessi  alle
attivita' agricole, ivi comprese le piscine, di  fatto  ampliando  la
categoria  delle   attivita'   agricole   tradizionali   connesse   e
compatibili, senza prescriverne la specifica  compatibilita'  con  la
disciplina di tutela paesaggistica.  A  tale  proposito,  la  Regione
rileva, innanzitutto, che la materia  delle  trasformazioni  in  zona
agricola rientra nella competenza regionale e che la norma  censurata
non fa alcun riferimento, tra  i  manufatti  che  sarebbe  consentito
realizzare, alla  tipologia  delle  "piscine".  Afferma  poi  che  la
realizzazione di interventi di questo  tipo,  laddove  non  siano  in
contrasto     con     le     superiori     esigenze     di     tutela
paesaggistico-ambientale,  appare  «compatibile  con  l'esercizio  di
pratiche  consentite  nell'ambito  della   multimprenditorialita'   e
multifunzionalita' aziendale». 
    La Regione contesta,  altresi',  l'ulteriore  rilievo  mosso  dal
ricorrente secondo cui la norma in esame  renderebbe  possibili  tali
interventi anche su manufatti di  interesse  culturale,  tutelati  ai
sensi dell'art. 20 cod. beni culturali,  con  conseguente  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    5.2.1.-  Nemmeno  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 6, comma 1, lettere c), d) ed e), della legge reg. Lazio n.
1 del 2020 e' fondata nei termini di seguito precisati. 
    Valgono anche per questa censura le considerazioni gia' svolte in
relazione alla lettera b), dello stesso comma dell'art. 6, sia quanto
all'ambito materiale nel quale la disposizione ricade  («governo  del
territorio»),  sia  quanto  ai  termini  delle  questioni   promosse,
trattandosi  di  un'impugnativa   fondata   sull'assunta   violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), e dell'art. 9 Cost. A  cio'
si aggiunga che tutte le norme del comma 1 dell'art. 6 impugnate  con
il presente ricorso (lettere b, c, d ed  e)  modificano  disposizioni
(artt.  54,  55,  57  e  57-bis)  contenute  nel  medesimo  Capo   II
(«Edificazione in zona agricola») del Titolo IV («Tutela e disciplina
dell'uso agro-forestale del suolo») della legge reg. Lazio n. 38  del
1999. 
    In particolare, gli artt. 55, 57 e 57-bis di  quest'ultima  legge
regionale disciplinano rispettivamente: a) i limiti  all'edificazione
in zona agricola; b) il contenuto e le modalita' di elaborazione e di
presentazione dei piani di utilizzazione aziendale (PUA), finalizzati
all'attuazione dei programmi di miglioramento aziendale delle aziende
agricole;   c)   la   possibilita'   di   svolgere    le    attivita'
multimprenditoriali di cui all'art. 2 della legge della Regione Lazio
2 novembre 2006, n. 14 (Norme in materia  di  diversificazione  delle
attivita'  agricole),  all'interno  dell'azienda   agricola,   previa
approvazione di un PUA. 
    Le modifiche introdotte dalle norme impugnate consistono: a)  per
l'art. 55, nella introduzione dei commi 5-bis, 5-ter e 5-quater,  che
definiscono  i  concetti   di   «superficie   aziendale   asservita»,
«fabbricati aziendali» e «annessi agricoli» (a loro  volta,  distinti
in tamponati, stamponati, produttivi e misti),  in  alcune  modifiche
dei commi 6, 7 e 9, e nell'introduzione  del  comma  13-bis;  b)  per
l'art. 57, nella modifica dei commi 1, 2, 3, 6, 7, 8  e  10;  c)  per
l'art. 57-bis, nella modifica dei commi 1, 2, 3, 4, 5, 8, 12 e 13,  e
nell'abrogazione del comma 9. 
    Le innovazioni sono sicuramente  accomunate  dalla  finalita'  di
ampliare le potenzialita' edificatorie delle zone agricole,  rispetto
alle quali il ricorrente lamenta  il  mancato  richiamo  dei  vincoli
paesaggistici e in particolare di quelli discendenti dal PTPR. 
    Per tale motivo si puo' ritenere che valgano anche in questo caso
le considerazioni svolte  in  relazione  alla  censura  promossa  nei
confronti della lettera b) del comma 1 dell'art.  6,  nel  senso  che
questa Corte e' chiamata a verificare se le disposizioni impugnate  -
accomunate da un'unica ragione di censura - si pongano in contrasto o
rechino una deroga al principio di  prevalenza  della  pianificazione
paesaggistica.  Nel  caso  di  specie,  dal  dato   letterale   delle
disposizioni impugnate cio'  non  e'  desumibile.  Si  deve  pertanto
ritenere che tutti gli interventi edificatori consentiti dalle  norme
regionali impugnate siano subordinati al rispetto della normativa  in
materia di autorizzazione paesaggistica e delle prescrizioni del PTPR
o comunque dei vincoli  operanti  nelle  more  della  sua  definitiva
entrata in vigore. 
    6.- L'art. 7, comma 7, lettera c), della legge reg.  Lazio  n.  1
del  2020  -  rubricato  «Riordino  dei  procedimenti  amministrativi
concernenti concessioni su beni demaniali e non demaniali  regionali»
- e' impugnato per violazione degli artt. 9  e  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 142, 143  e  145  del
d.lgs. n. 42 del 2004. 
    Con la norma contestata il legislatore regionale ha modificato il
comma 1 dell'art. 10 della legge  della  Regione  Lazio  11  dicembre
1998, n. 53 (Organizzazione  regionale  della  difesa  del  suolo  in
applicazione della legge 18 maggio 1989, n. 183), inserendo, dopo  il
numero 2-ter) della lettera a), il numero 2-quater). In base a  esso,
in materia di difesa del suolo sono attribuite ai comuni le  funzioni
amministrative concernenti «il rilascio delle  concessioni  dei  beni
del demanio marittimo e di zone del mare territoriale  per  finalita'
diverse da quelle di approvvigionamento  di  fonti  di  energia,  ivi
compresi i porti turistici, gli  approdi  turistici  ed  i  punti  di
ormeggio, fatte salve le concessioni riservate allo  Stato  ai  sensi
della  normativa  vigente,  nonche'   le   funzioni   e   i   compiti
amministrativi delegati ai comuni  relativi  alle  aree  del  demanio
marittimo per finalita' turistico e  ricreative,  il  rilascio  delle
concessioni di cui al presente comma avviene nel rispetto  di  quanto
stabilito dal PUA (Piano di utilizzazione degli arenili) regionale  e
dai  rispettivi  PUA  comunali.  Il  comune  puo'  determinare  oneri
istruttori per i procedimenti relativi all'esercizio  delle  funzioni
ad esso attribuite» (art. 7, comma 7,  lettera  c,  numero  1,  della
legge reg. Lazio n. 1 del 2020). 
    La norma impugnata ha inoltre inserito - dopo la lettera  a)  del
medesimo comma 1 dell'art. 10 della legge reg. Lazio n. 53 del 1998 -
la lettera a-bis) del seguente tenore:  «le  funzioni  amministrative
concernenti la gestione delle infrastrutture  insistenti  sulle  aree
portuali lacuali» (art. 7, comma 7, lettera c, numero 2, della  legge
reg. Lazio n. 1 del 2020). 
    Il  ricorrente  si  duole  del  fatto  che  la  norma  in  esame,
nell'attribuire ai comuni le funzioni  relative  al  «rilascio  della
concessione dei beni del demanio marittimo per i porti turistici, gli
approdi turistici e punti  di  ormeggio»,  non  avrebbe  fatto  alcun
riferimento «alla necessita' di verificare la coerenza dei [PUA]  con
la disciplina di tutela delle  fasce  costiere  marittime,  e  quindi
degli arenili, contenuta nel piano paesaggistico». In  altre  parole,
il legislatore regionale avrebbe indicato come «preciso parametro  di
riferimento per il rilascio dei titoli da parte  dei  comuni»  i  PUA
regionale  e  comunale,  ma  non  avrebbe  stabilito  che,  ai  sensi
dell'art.  145,  comma  5,  cod.  beni  culturali,  «tali   strumenti
poss[o]no costituire un punto di riferimento soltanto se e in  quanto
conformi a un piano paesaggistico  approvato  previa  intesa  con  il
Ministero dei Beni  e  delle  Attivita'  Culturali,  ai  sensi  degli
articoli 135,  143  e  145  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio». 
    Pertanto,   la   norma   impugnata   sarebbe   costituzionalmente
illegittima «in  quanto  rende[rebbe]  possibile  il  rilascio  delle
concessioni, sulla base  dei  PUA,  al  di  fuori  del  quadro  della
pianificazione paesaggistica definita previa intesa con il competente
Ministero».  In   particolare,   essa   «"sfugg[irebbe]"   al   piano
paesaggistico  sottraendo  alla  "sede"  stabilita   per   legge   la
pianificazione delle aree costiere, sottoposte a tutela paesaggistica
ope legis, ai sensi dell'art. 142, comma 1, lettera a),  del  Codice,
proprio per la loro fragilita', in considerazione dell'uso  massiccio
delle coste per finalita' turistiche, economiche, commerciali, ecc.». 
    La difesa  regionale  ribadisce,  anche  in  relazione  a  questa
censura,   che   la   generale   prevalenza   della    pianificazione
paesaggistica costituisce  «principio  "immanente"  all'ordinamento»,
tale per cui «il mancato richiamo» a questi  strumenti  «non  vale  a
negare la valenza di tale principio». Precisa, altresi', che la norma
utilizza la locuzione «nel rispetto», e  non  -  come  sostenuto  dal
ricorrente - «sulla base», cio' che confermerebbe  il  carattere  non
esclusivo del vincolo ivi previsto. 
    6.1.- Preliminarmente si deve delimitare il thema decidendum.  Il
ricorrente  impugna,  infatti,  l'intera  lettera  c)  del  comma   7
dell'art. 7 della legge reg. Lazio n. 1 del 2020, la quale lettera  -
come gia' visto - si compone di due numeri (1 e 2). Con il numero  1)
si introduce il numero 2-quater) nell'art. 10, comma 1,  lettera  a),
della legge reg. Lazio n. 53 del 1998; con il numero 2) si  introduce
la lettera a-bis) nell'art. 10, comma 1, della  medesima  legge  reg.
Lazio n. 53 del 1998. 
    La  censura  statale  non  fa  alcun  riferimento  alle  funzioni
amministrative   concernenti   la   gestione   delle   infrastrutture
insistenti sulle aree portuali lacuali di cui al  citato  numero  2).
Pertanto, l'impugnativa proposta deve ritenersi  limitata  alla  sola
previsione di cui all'art. 7, comma 7, lettera c), numero  1),  della
legge reg. Lazio n. 1 del 2020. 
    Sempre in via preliminare, si deve rilevare che l'art. 15,  comma
3,  della  legge  della  Regione  Lazio  23  novembre  2020,  n.   16
(Disposizioni modificative  di  leggi  regionali)  ha  modificato  la
disposizione oggetto di impugnazione,  sostituendo  l'inciso  da  «di
cui»   a   «PUA   comunali»   con   il   seguente:   «per   finalita'
turistico-ricreative avviene nel rispetto di quanto stabilito dal PUA
regionale e dai PUA comunali; il rilascio delle concessioni  di  zone
di mare territoriale per l'esercizio dell'attivita'  di  acquacoltura
avviene in coerenza con la mappatura delle zone idonee e  delle  zone
precluse all'esercizio di detta  attivita',  cosi'  come  individuate
dall'apposita Carta regionale elaborata dalla Regione». 
    Tale  modifica  non  incide  pero'  sui  termini  delle   odierne
questioni di legittimita' costituzionale, che pertanto devono  essere
esaminate nel merito. 
    6.2.- La questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,
comma 7, lettera c), numero 1), della legge reg. Lazio n. 1 del  2020
non e' fondata, nei termini di seguito precisati. 
    Come anticipato, la disposizione impugnata ha aggiunto il  numero
2-quater) nella lettera a) del comma 1 dell'art. 10 della legge  reg.
Lazio n. 53 del 1998. L'art. 10,  rubricato  «Funzioni  dei  Comuni»,
dispone  l'attribuzione  ai  comuni  di   una   serie   di   funzioni
amministrative in materia di difesa del suolo,  a  seguito  del  loro
trasferimento dallo Stato alle regioni operato con  gli  artt.  51  e
seguenti e 86 e seguenti del decreto legislativo 31  marzo  1998,  n.
112 (Conferimento di funzioni e compiti  amministrativi  dello  Stato
alle regioni ed agli enti locali, in  attuazione  del  capo  I  della
legge 15 marzo 1997, n. 59). 
    La norma de qua - la quale prevede  il  rilascio,  da  parte  dei
comuni, di concessioni  demaniali  per  porti,  approdi  e  punti  di
ormeggio «nel  rispetto»  di  quanto  stabilito  dal  PUA  (piano  di
utilizzazione degli arenili) regionale e dai rispettivi PUA  comunali
- e' impugnata  perche'  non  conterrebbe  anche  la  previsione  del
rispetto  delle  norme  del  piano  paesaggistico  (con   particolare
riferimento  alla  «disciplina  di  tutela   delle   fasce   costiere
marittime»). 
    Non e' dunque in contestazione  l'attribuzione  ai  comuni  delle
citate funzioni amministrative, bensi', ancora una volta, il  mancato
richiamo del rispetto delle prescrizioni paesaggistiche relative alle
fasce costiere marittime. 
    Per le ragioni esposte in relazione  alle  precedenti  censure  e
sulla scorta della giurisprudenza richiamata supra al punto 4, questa
Corte e' chiamata a verificare se la disposizione impugnata si  ponga
in contrasto o rechi una deroga  al  principio  di  prevalenza  della
pianificazione paesaggistica. Nel caso  di  specie,  nulla  di  tutto
questo e' rinvenibile nella previsione di cui  al  numero  2-quater),
introdotto dalla disposizione impugnata. Deve quindi ritenersi che  i
comuni, nel provvedere al «rilascio delle concessioni  dei  beni  del
demanio marittimo e di  zone  del  mare  territoriale  per  finalita'
diverse da quelle di approvvigionamento  di  fonti  di  energia,  ivi
compresi i porti turistici, gli  approdi  turistici  ed  i  punti  di
ormeggio», non possano  prescindere  dai  vincoli  paesaggistici  cui
soggiacciono le fasce costiere marittime. 
    7.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha,  inoltre,
impugnato i commi 9, lettera d), numero 1), e 16  dell'art.  9  della
legge  reg.  Lazio  n.  1  del  2020  -  rubricato  «Disposizioni  di
semplificazione in materia ambientale» - per violazione degli artt. 9
e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135,
142, 143, 145, 146 e 149 cod. beni culturali. 
    7.1.- Con la lettera d), numero 1), del comma 9 del citato art. 9
il legislatore regionale ha sostituito, nel comma 2 dell'art.  34-bis
della legge della Regione Lazio 28 ottobre  2002,  n.  39  (Norme  in
materia di gestione delle risorse forestali), le parole «degli 800  m
s.l.m.» con le seguenti: «dei 300 m s.l.m.». In questo modo e'  stata
modificata  la  definizione  di  «faggeta  depressa»  contenuta   nel
medesimo comma 2 dell'art. 34-bis, abbassando da 800 a 300 metri  sul
livello del mare la quota al di  sotto  della  quale  gli  ecosistemi
forestali governati a fustaia a prevalenza di  faggio  sono  definiti
tali. 
    Il ricorrente rileva che la modifica legislativa impugnata incide
sull'ambito applicativo della  disposizione  contenuta  al  comma  3,
ultimo periodo, dello stesso art. 34-bis della legge reg. Lazio n. 39
del 2002, ove si stabilisce che «[p]er le faggete depresse di cui  al
comma 2 sono vietate le utilizzazioni per finalita' produttive  fatto
salvo i tagli necessari per la  conservazione  della  faggeta  o  per
motivi di pubblica incolumita'». 
    Dopo aver sottolineato che «i territori coperti da foreste  e  da
boschi» sono sottoposti a tutela  paesaggistica  ai  sensi  dell'art.
142, comma 1, lettera g), del  d.lgs.  n.  42  del  2004,  la  difesa
statale sostiene che «[l]'effetto della norma regionale censurata  e'
[...] quello di  prevedere  in  modo  indiscriminato,  per  tutto  il
territorio  regionale,   e   al   di   fuori   della   pianificazione
paesaggistica, una norma  applicabile  in  modo  uniforme  alle  aree
boscate  a  faggeta,  diminuendo  [...]  il  livello  della  relativa
tutela». Ne deriverebbe la violazione dell'art. 117,  secondo  comma,
lettera s), Cost. e delle norme interposte di  cui  agli  artt.  135,
142, 143 e 145 cod. beni culturali, nonche' la lesione del  principio
fondamentale della tutela del paesaggio, di cui all'art. 9 Cost. 
    Per parte sua la resistente osserva che la novella  riguarderebbe
«esclusivamente la nozione forestale  di  "faggeta  depressa"  e  non
quella paesaggistica» delle aree boscate, con la conseguenza  che  la
modifica non avrebbe alcun effetto sulla  tutela  paesaggistica,  che
quindi resterebbe inalterata e comunque sempre  prevalente.  Pertanto
la censura non sarebbe fondata. 
    7.1.1.- Come detto, la norma impugnata ha  sostituito  le  parole
«degli 800 m s.l.m.» con le parole «dei 300 m s.l.m.»  nel  comma  2,
ultimo periodo, dell'art. 34-bis della legge reg.  Lazio  n.  39  del
2002,  che  nel  testo  oggi  vigente  recita:  «1.  Ai  fini   della
conservazione  della  biodiversita'   e   del   patrimonio   naturale
regionale, la Regione tutela le formazioni forestali  definite  [...]
faggete depresse.  2.  [...]  Si  definiscono  faggete  depresse  gli
ecosistemi forestali governati  a  fustaia  a  prevalenza  di  faggio
(Fagus sylvatica L.) che ricadono sotto la quota dei 300 m s.l.m.  3.
[...] Per le faggete depresse di cui  al  comma  2  sono  vietate  le
utilizzazioni per finalita' produttive fatto salvo i tagli  necessari
per  la  conservazione  della  faggeta  o  per  motivi  di   pubblica
incolumita'. 4. I piani di assestamento forestale  tengono  conto  di
quanto previsto al comma  3.  I  progetti  attuativi  di  taglio  che
riguardano le formazioni forestali di cui al comma  2  devono  essere
sottoposti al parere preventivo degli uffici regionali competenti  in
materia forestale. [...]». 
    L'art. 34-bis e' stato aggiunto, nel corpo della legge reg. Lazio
n. 39 del 2002, dall'art. 17, comma 30,  della  legge  della  Regione
Lazio 14 agosto 2017, n.  9  (Misure  integrative,  correttive  e  di
coordinamento in materia di finanza pubblica regionale.  Disposizioni
varie). Il suo comma 1 impegna la Regione Lazio  a  tutelare  sia  le
foreste vetuste sia le faggete depresse, queste ultime in rilievo nel
presente giudizio. La loro definizione, come visto, e' contenuta  nel
secondo periodo del comma 2 del medesimo articolo,  dove  si  precisa
che «[s]i  definiscono  faggete  depresse  gli  ecosistemi  forestali
governati a fustaia a prevalenza di faggio (Fagus sylvatica  L.)  che
ricadono sotto la quota dei 300 m s.l.m.» e ai quali e' riservata  la
speciale protezione prevista dalla stessa legge. 
    L'intervento legislativo censurato, che riduce da 800 a 300 metri
sul livello del mare la quota al di sotto della quale «gli ecosistemi
forestali  governati  a  fustaia  a  prevalenza   di   faggio»   sono
considerati «faggete depresse», esclude dunque dalla specifica tutela
prevista nella legge stessa per le faggete depresse gli ecosistemi di
quel tipo che si trovano fra gli 800 e i 300 metri  sul  livello  del
mare, per i quali invece prima valeva -  cosi'  come  per  gli  altri
posti a quota inferiore ai 300 metri - il  divieto  di  utilizzazione
per  finalita'  produttive,  salvi   i   tagli   necessari   per   la
conservazione della faggeta o per motivi di pubblica incolumita'. 
    Al di la' -  e  prima  ancora  -  della  definizione  legislativa
operata dalla Regione al fine di delimitare l'ambito di  applicazione
della sua norma, la faggeta depressa corrisponde,  nei  fatti,  a  un
fenomeno naturale ben conosciuto  in  botanica  e  in  geografia.  Si
tratta invero di un tipo  di  faggeta,  presente  in  alcune  regioni
italiane, fra cui il Lazio, che si caratterizza per la sua  capacita'
di sopravvivere - all'interno delle  cosiddette  nicchie  ecologiche,
che assicurano un livello adeguato di umidita' atmosferica anche  nel
periodo estivo - a quote altimetriche piu' basse  rispetto  a  quelle
nelle quali normalmente boschi  a  fustaia  a  prevalenza  di  faggio
vegetano, sia sulle Alpi che  sugli  Appennini;  da  cui  l'aggettivo
"depressa". La sua sopravvivenza a basse quote costituisce il  frutto
di  un  eccezionale  adattamento,  dopo  l'ultima   glaciazione,   al
microclima  dei  luoghi  in   cui   originariamente   sorgeva.   Piu'
precisamente, per quanto riguarda la sua  presenza  sugli  Appennini,
ove la fascia di normale insediamento delle faggete si colloca fra  i
1000 e i 1700 metri sul livello del mare, si  considera  depressa  la
faggeta presente a quote significativamente inferiori. 
    Cosi' stando  le  cose,  si  puo'  osservare  che  la  protezione
accordata in precedenza dalla  legge  regionale  alle  faggete  poste
sotto gli 800 metri sul livello del mare si fondava su  una  corretta
rappresentazione del fenomeno naturale preso in considerazione. 
    Secondo il  ricorrente,  la  lesione  lamentata  deriverebbe  dal
combinato disposto  del  nuovo  secondo  periodo  del  comma  2,  che
ridefinisce nei termini detti  la  nozione  di  faggeta  depressa,  e
dell'ultimo periodo del comma 3 dell'art. 34-bis della legge reg.  n.
39 del 2002, in quanto l'abbassamento della soglia al di sotto  della
quale operano i divieti di utilizzazione delle faggete  depresse  per
finalita'  produttive   ridurrebbe   la   protezione   di   un   bene
paesaggisticamente tutelato, determinando in questo modo un vulnus al
paesaggio. 
    La difesa statale individua le  norme  interposte  violate  negli
artt. 135, 142, 143 e 145 del d.lgs. n. 42 del 2004, motivando  pero'
solo in relazione all'art. 142, comma 1, lettera g), secondo  cui  «i
territori coperti da foreste e da boschi» sono comunque di  interesse
paesaggistico e sottoposti alla relativa tutela. 
    7.1.2.- La questione di legittimita' costituzionale dell'art.  9,
comma 9, lettera d), numero 1), della legge reg. Lazio n. 1 del  2020
e' fondata. 
    La norma impugnata non si e' limitata a modificare una precedente
legge regionale che aveva introdotto un vincolo in assenza di precisi
e corrispondenti  limiti  derivanti  dalla  disciplina  statale,  ma,
abbassando la quota altimetrica al di sotto della  quale  operano  le
norme di tutela delle faggete depresse, ha surrettiziamente  aggirato
il vincolo posto dalla norma  interposta  costituita  dall'art.  142,
comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 42 del 2004. 
    Quest'ultima disposizione  stabilisce  che  «[s]ono  comunque  di
interesse paesaggistico e  sono  sottoposti  alle  disposizioni  [del
Titolo  I  "Tutela  e  valorizzazione"  della   Parte   terza   "Beni
paesaggistici" del d.lgs. n. 42  del  2004]:  [...]  g)  i  territori
coperti da foreste e da boschi, ancorche' percorsi o danneggiati  dal
fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti
dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001,
n. 227». 
    Il decreto legislativo 18 maggio 2001,  n.  227  (Orientamento  e
modernizzazione del settore forestale, a norma dell'articolo 7  della
legge 5 marzo 2001, n. 57), cui rinvia il citato art. 142,  comma  1,
lettera g), del d.lgs. n. 42 del 2004, e'  stato  abrogato  dall'art.
18, comma 1, del decreto legislativo 3  aprile  2018,  n.  34  (Testo
unico in materia di foreste e filiere forestali), e la definizione di
bosco, originariamente contenuta nell'art. 2 del d.lgs.  n.  227  del
2001, e' confluita nell'art. 3 del d.lgs. n. 34 del 2018. 
    Il citato art. 3, dopo aver stabilito  che  «[i]  termini  bosco,
foresta e selva sono equiparati» (comma 1), distingue a  seconda  che
la definizione di bosco riguardi ambiti rientranti nelle  materie  di
competenza esclusiva dello Stato (comma 3) o in quelle di  competenza
delle Regioni  (comma  4).  In  relazione  alle  prime,  il  comma  3
dell'art. 3 definisce bosco  «le  superfici  coperte  da  vegetazione
forestale arborea, associata o meno a quella  arbustiva,  di  origine
naturale o artificiale in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione,
con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri,  larghezza  media
non inferiore a 20 metri e con copertura arborea  forestale  maggiore
del 20 per cento». Mentre, in relazione alle seconde (nel  comma  4),
prevede che le regioni, «per quanto di loro competenza e in relazione
alle proprie esigenze e caratteristiche  territoriali,  ecologiche  e
socio-economiche, possono adottare  una  definizione  integrativa  di
bosco rispetto a quella  dettata  al  comma  3,  nonche'  definizioni
integrative di aree assimilate  a  bosco  e  di  aree  escluse  dalla
definizione di bosco di cui, rispettivamente, agli articoli  4  e  5,
purche' non venga diminuito il  livello  di  tutela  e  conservazione
cosi'  assicurato  alle  foreste  come  presidio  fondamentale  della
qualita' della vita». 
    Le regioni possono dunque intervenire sia  sulla  definizione  di
bosco sia su quelle di aree  assimilate  e  di  aree  escluse,  fermo
restando che non possono in nessun caso ridurre il livello di  tutela
e conservazione assicurato dalla normativa statale sopra richiamata. 
    e' nel contesto normativo appena ricostruito  che  va  inquadrata
l'odierna questione di legittimita' costituzionale. 
    Se  e'  vero  che  nella  legislazione  statale  non  esiste  una
definizione  di  «faggeta  depressa»,  ne'  e'  fissata   una   quota
altimetrica al di sotto della  quale  le  faggete  possono  definirsi
tali, non  si  puo'  non  rilevare  che  la  scelta  del  legislatore
regionale di proteggere tale ambito  boschivo  vale  ad  attrarre  il
bosco stesso - nei termini in cui la Regione ha ritenuto di tutelarlo
- nella categoria dei boschi e delle foreste protetti dal citato art.
142, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 42 del 2004. 
    Ora, la norma regionale impugnata, che tiene ferma la  scelta  di
proteggere  le  faggete  depresse  -  e  quindi  la  loro  attrazione
nell'ambito della sfera di  protezione  dei  boschi  ai  sensi  della
legislazione statale - ma ne modifica, come visto  irragionevolmente,
la definizione, produce l'effetto di escludere dalla specifica tutela
assicurata dall'art. 34-bis della legge reg. Lazio n. 39 del 2002  la
gran parte delle faggete depresse (situate per lo piu'  sopra  i  300
metri sul livello del mare) e di rendere possibili «le  utilizzazioni
per finalita' produttive» per le faggete poste al di  sopra  dei  300
metri sul livello del mare, ossia in buona sostanza per la parte piu'
grande delle faggete depresse. 
    In tal modo il legislatore regionale  ha  di  fatto  svuotato  il
contenuto di tutela che aveva in precedenza scelto di adottare per la
faggeta depressa, attraverso un intervento sulla definizione di  tale
particolare fenomeno naturale, che e' frutto, piu' ancora che di  una
forzatura,  di  una  vera  e  propria  falsa  rappresentazione  della
realta'. 
    Da questo punto di vista, coglie nel segno la censura statale che
imputa il vulnus al valore paesaggistico al  combinato  disposto  del
nuovo secondo periodo del comma 2 e dell'ultimo periodo del  comma  3
dell'art. 34-bis della  legge  reg.  n.  39  del  2002.  Come  detto,
infatti, la norma impugnata - vista in relazione alla previsione  che
consente le utilizzazioni, per finalita'  produttive,  delle  faggete
depresse sopra i 300  metri  sul  livello  del  mare  -  si  pone  in
contrasto con la previsione dell'art. 142, comma 1, lettera g),  cod.
beni culturali. 
    I canoni di giudizio individuati nelle decisioni  indicate  supra
al punto 4 e richiamati in relazione alle  altre  questioni  promosse
con il ricorso qui in esame  non  consentono,  nel  caso  di  specie,
l'interpretazione  conforme  a  Costituzione,  possibile  invece  con
riferimento alle altre norme impugnate. 
    Si deve, pertanto, concludere per la fondatezza  della  questione
promossa nei confronti dell'art. 9, comma 9, lettera d),  numero  1),
della legge reg. Lazio n. 1 del 2020. 
    7.2.- Oggetto di impugnazione e' anche il comma  16  dell'art.  9
della legge reg. Lazio n. 1 del 2020, il quale stabilisce che,  «[a]l
fine   di   semplificare   le   procedure   di   approvazione   della
pianificazione forestale aziendale, i  procedimenti  di  approvazione
dei piani predisposti ai sensi degli articoli 13  e  14  della  legge
regionale 28 ottobre 2002, n. 39 (Norme in materia di gestione  delle
risorse forestali), che contemplano interventi a carico dei  beni  ai
sensi degli articoli 136 e 142 del  decreto  legislativo  22  gennaio
2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del  paesaggio,  ai  sensi
dell'articolo 10 della legge 6 luglio  2002,  n.  137)  e  successive
modifiche, sono soggetti all'acquisizione dell'autorizzazione di  cui
all'articolo 146 del d.lgs. 42/2004. Tale  preventiva  autorizzazione
paesaggistica si intende acquisita per tutti gli interventi  previsti
nei piani stessi  e  resi  esecutivi.  Resta  salvo  quanto  previsto
dall'articolo 149, comma 1, lettere b) e c), del  d.lgs.  42/2004  in
merito  agli   interventi   esonerati   dall'obbligo   di   acquisire
l'autorizzazione paesaggistica». 
    Secondo  il  ricorrente  questa   disposizione   «anticip[erebbe]
l'autorizzazione paesaggistica ai piani di  gestione  e  assestamento
forestale, e al piano poliennale di taglio di cui agli articoli 13  e
14  della  legge  regionale  n.  39  del  2002,  ove  siano  previsti
interventi  su   beni   tutelati,   esonerando   poi   dal   rilascio
dell'autorizzazione i singoli interventi». Di qui la violazione degli
artt. 146 e 149 del d.lgs. n. 42 del 2004, in base ai quali tutti gli
interventi sui beni tutelati devono  essere  previamente  autorizzati
(art.  146),  salvo  che  non  ricadano  nelle  ipotesi  di  espressa
esclusione stabilite dal legislatore statale (art. 149). 
    Anche nel caso di specie sarebbe  quindi  violata  la  competenza
legislativa esclusiva dello Stato di cui all'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. e alle relative norme interposte di cui  ai  citati
artt. 146 e 149  cod.  beni  culturali;  sarebbe  inoltre  inciso  il
livello della tutela del paesaggio,  stabilito  in  via  uniforme  su
tutto il territorio nazionale, in violazione dell'art.  117,  secondo
comma,  lettera  m),  Cost.  Infine,  l'abbassamento   della   tutela
determinerebbe la violazione dell'art. 9 Cost. 
    La Regione si limita ad osservare che, «anche in questo caso,  si
parte dall'erroneo presupposto della non centralita' della  normativa
paesaggistica e del PTPR». 
    7.2.1.- La questione di legittimita' costituzionale del comma  16
dell'art. 9 della legge reg. Lazio n. 1 del 2020 e' fondata. 
    e' persuasiva sul punto la ricostruzione operata dal  ricorrente,
il  quale  correttamente  individua  l'effetto   della   disposizione
impugnata,  per  un  verso,  nell'anticipazione   dell'autorizzazione
paesaggistica ai piani di gestione  e  assestamento  forestale  e  al
piano poliennale di taglio di cui agli artt. 13 e 14 della legge reg.
Lazio n. 39 del 2002, ove siano previsti interventi su beni tutelati,
e, per altro verso, nell'esonero dal rilascio dell'autorizzazione per
i singoli interventi posti a valle. 
    Quella anzidetta non e' pero' una  mera  anticipazione  temporale
dell'autorizzazione  paesaggistica,   ma   determina   un   autentico
stravolgimento della ratio del d.lgs. n. 42 del 2004 e in particolare
dell'art. 146, che e' la norma centrale in  materia  di  controllo  e
gestione dei beni soggetti a tutela paesaggistica. 
    L'art. 146 prevede, infatti, che «[i] proprietari,  possessori  o
detentori a  qualsiasi  titolo  di  immobili  ed  aree  di  interesse
paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell'articolo  142,  o
in base alla legge, a termini  degli  articoli  136,  143,  comma  1,
lettera  d),  e  157  [...]  hanno  l'obbligo  di   presentare   alle
amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano
intraprendere,  corredato   della   prescritta   documentazione,   ed
astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta
l'autorizzazione» (commi 1 e  2).  Inoltre,  «[l]a  documentazione  a
corredo   del   progetto   e'   preordinata   alla   verifica   della
compatibilita' fra interesse  paesaggistico  tutelato  ed  intervento
progettato» (comma 3).  «L'autorizzazione  paesaggistica  costituisce
atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o  agli
altri titoli legittimanti l'intervento  urbanistico-edilizio»  (comma
4).  Ed   ancora,   «[l]'amministrazione   competente   al   rilascio
dell'autorizzazione      paesaggistica,      ricevuta       l'istanza
dell'interessato,   verifica   se   ricorrono   i   presupposti   per
l'applicazione dell'articolo 149, comma 1, alla stregua  dei  criteri
fissati ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141-bis e
143, comma  1,  lettere  b),  c)  e  d)»  (comma  7).  Infine,  «[i]l
soprintendente rende il parere di cui al comma 5, limitatamente  alla
compatibilita'  paesaggistica  del  progettato  intervento  nel   suo
complesso  ed  alla  conformita'  dello  stesso   alle   disposizioni
contenute nel piano paesaggistico ovvero alla specifica disciplina di
cui all'articolo 140, comma 2, entro  il  termine  di  quarantacinque
giorni dalla ricezione degli atti.  Il  soprintendente,  in  caso  di
parere  negativo,  comunica  agli   interessati   il   preavviso   di
provvedimento negativo ai sensi dell'articolo 10-bis  della  legge  7
agosto 1990, n. 241. Entro venti giorni dalla ricezione  del  parere,
l'amministrazione provvede in conformita'» (comma 8). 
    La disamina delle disposizioni contenute nell'art. 146 cod.  beni
culturali  consente  di  dedurre  che  il   sistema   elaborato   dal
legislatore statale si basa sulla centralita' dell'esame,  singulatim
svolto, dei progetti relativi a interventi  su  immobili  e  aree  di
interesse paesaggistico.  Si  coglie  cosi'  il  senso  della  tutela
assicurata dal codice dei beni culturali e del paesaggio, fondata  su
una prospettiva unitaria in cui le specificita' dei singoli  progetti
non  sfumano  in  una  indeterminata  visione  d'insieme   ma   danno
concretezza a un quadro che non puo' non essere unico. 
    Per le anzidette ragioni e in considerazione della giurisprudenza
di questa Corte indicata supra al punto 4,  si  deve  concludere  nel
senso  che   la   norma   impugnata,   prevedendo   l'esonero   dalle
autorizzazioni  sui  singoli  interventi,  reca   una   deroga   alle
previsioni dell'art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004,  con  conseguente
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    Di qui la fondatezza delle relative questioni  e  il  conseguente
assorbimento delle altre censure. 
    8.- L'art. 10, comma 11, della legge reg. Lazio n. 1 del  2020  -
rubricato «Disposizioni in materia di fonti energetiche  rinnovabili»
- e' impugnato per violazione degli artt. 9  e  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143 e 145  cod.  beni
culturali. La norma impugnata ha aggiunto, dopo l'art. 3 della  legge
della Regione Lazio  16  dicembre  2011,  n.  16  (Norme  in  materia
ambientale  e  di   fonti   rinnovabili),   l'art.   3.1,   rubricato
«Localizzazione di impianti fotovoltaici in zona agricola». 
    Quest'ultima disposizione «omette[rebbe] il  necessario  richiamo
al  piano  paesaggistico  e  alla  sua  disciplina  programmatoria  e
pianificatoria, benche' soltanto quest'ultimo piano  possa  orientare
l'individuazione delle aree, sia in negativo quali aree escluse,  sia
in  positivo  quali  aree  idonee  all'installazione  delle   diverse
tipologie di impianti destinati alla produzione di energia  da  fonti
rinnovabili e i limiti del relativo dimensionamento». 
    Il ricorrente individua inoltre  una  contraddizione  tra  quanto
affermato nel comma 3 del citato art. 3.1 - secondo cui,  nelle  more
dell'entrata in vigore del  PER,  le  aree  idonee  all'installazione
degli impianti sono identificate dai comuni nel rispetto di una serie
di criteri e non possono includere comunque  oltre  il  3  per  cento
delle aree  classificate  come  agricole  (zone  E)  dagli  strumenti
urbanistici - e il successivo comma 5  -  il  quale  stabilisce  che,
«[n]elle more delle previsioni  di  cui  al  comma  1,  resta  sempre
consentita la produzione di  energia  da  fonti  rinnovabili  con  le
modalita' previste dalla legge  regionale  2  novembre  2006,  n.  14
(Norme in materia di diversificazione  delle  attivita'  agricole)  e
successive  modifiche  per  la  quale  non  trovano  applicazione  le
limitazioni di cui al comma 3». 
    Al riguardo, la difesa statale ritiene che la necessita'  di  «un
espresso richiamo al piano paesaggistico» non possa essere esclusa da
quanto previsto dall'art. 54, comma 3, della legge reg. Lazio  n.  38
del 1999. Quest'ultima disposizione prevede, infatti,  l'approvazione
di un piano di utilizzazione ambientale  (PUA),  ai  sensi  dell'art.
57-bis, per poter esercitare le sole attivita' di  cui  al  comma  2,
lettera b), del medesimo art. 54  (cioe'  «trasformazione  e  vendita
diretta  dei  prodotti  derivanti  dall'esercizio   delle   attivita'
agricole tradizionali») e non anche per le attivita'  di  «produzione
delle energie rinnovabili» (art. 54, comma 2, lettera f)  localizzate
all'interno dell'azienda agricola. 
    Pertanto, il combinato disposto  del  nuovo  testo  del  comma  2
dell'art. 54 della legge  reg.  Lazio  n.  38  del  1999  (sostituito
dall'art. 6, comma 1, lettera b, della legge  reg.  n.  1  del  2020,
oggetto di impugnazione per le ragioni illustrate  in  precedenza)  e
dell'art. 3.1, comma 5,  della  legge  reg.  Lazio  n.  16  del  2011
(introdotto dall'impugnato art. 10, comma 11, della legge reg.  n.  1
del 2020) comporterebbe «la possibilita' di  realizzare  impianti  di
produzione di energia da fonti rinnovabili in aree  agricole,  al  di
fuori non solo del piano energetico  regionale,  ma  soprattutto  del
quadro programmatorio condiviso con il Ministero a monte, nell'ambito
del piano paesaggistico, che costituisce la sede propria  nell'ambito
della quale deve essere valutata la compatibilita' paesaggistica  del
complesso degli interventi». In merito, il  ricorrente  ribadisce  la
necessita'  di  assicurare  una  visione  d'insieme  degli   impianti
realizzati e da realizzare. 
    Per  le  ragioni  anzidette  la  norma  impugnata  violerebbe  la
competenza legislativa esclusiva dello Stato  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143  e
145 del d.lgs. n. 42 del 2004.  Sarebbe  inoltre  leso  il  principio
fondamentale della tutela del paesaggio, di cui all'art. 9 Cost.,  in
quanto il quadro della regolamentazione che  deriva  dall'entrata  in
vigore della legge regionale  impugnata  determinerebbe  un  evidente
abbassamento del livello della tutela del bene paesaggistico, a causa
dell'indiscriminata  localizzazione  di  impianti  di  produzione  di
energia da fonti rinnovabili nelle aree agricole. 
    La  resistente  sottolinea  l'assoluta   prevalenza   del   piano
paesaggistico, cui conseguirebbe che il mancato richiamo alla  tutela
paesaggistica del PTPR «non comporta incostituzionalita' della norma»
e, dunque, alcun «contrasto con gli articoli 9 e 117, secondo  comma,
lett. s), Cost., in riferimento agli artt. 135, 143 e 145 del  Codice
dei beni culturali (norme interposte)». L'omesso riferimento al  PTPR
- aggiunge la Regione - deriverebbe dalla circostanza che la  materia
coinvolta dalla norma impugnata riguarda il «governo del  territorio»
e sarebbe regolata - nell'ambito delle zone agricole "E", di  cui  si
occupa la norma  de  qua  -  «dagli  strumenti  urbanistici  generali
vigenti  e  strutturati  obbligatoriamente  in  ossequio   al   Piano
Territoriale Paesistico». 
    Quanto all'«incongruenza», rilevata dal ricorrente, tra il  comma
3 dell'art. 3.1, introdotto dalla norma impugnata,  e  il  successivo
comma 5, la  Regione  rileva  come  quest'ultimo  si  riferisca  alle
attivita' rurali aziendali, individuate all'art. 2 della legge  della
Regione  Lazio  2  novembre  2006,  n.  14  (Norme  in   materia   di
diversificazione   delle   attivita'   agricole),   le   quali   sono
comprensive,   altresi',   delle    attivita'    multimprenditoriali.
Nell'ambito di queste ultime rientrerebbe,  ai  sensi  dell'art.  54,
comma 3, della  legge  reg.  Lazio  n.  38  del  1999  -  cosi'  come
modificato dalla stessa legge reg. Lazio n.  1  del  2020,  impugnata
nell'odierno giudizio - la produzione di energie rinnovabili. 
    La Regione  aggiunge  che,  proprio  in  virtu'  delle  modifiche
introdotte dall'art. 6 della legge regionale  impugnata  al  comma  2
dell'art. 54 della legge reg. Lazio n. 38 del  1999,  ogni  attivita'
multimprenditoriale deve  svolgersi,  ai  sensi  dell'art.  3,  comma
1-bis,  della  legge  reg.  Lazio  n.  14  del  2006,  in  regime  di
connessione con l'impresa agricola.  Regime  di  connessione  per  il
quale, ricorda la difesa regionale, gli artt. 7 e 8  del  regolamento
della Giunta della Regione  Lazio  5  gennaio  2018,  n.  1,  recante
«Disposizioni attuative per le attivita'  integrate  e  complementari
all'attivita' agricola ai  sensi  dell'articolo  57-bis  della  legge
regionale 22 dicembre 1999, n. 38 e successive modifiche. Abrogazione
del regolamento regionale 2 settembre 2015, n. 11  (Attuazione  della
ruralita' multifunzionale  ai  sensi  dell'articolo  57  della  legge
regionale  22  dicembre  1999,  n.  38  e   successive   modifiche)»,
richiedono, ai fini autorizzatori, la presentazione di un PUA. 
    Ne deriverebbe che, allo stato dell'attuale normativa  regionale,
nessun impianto fotovoltaico puo' essere realizzato al  di  fuori  di
un'azienda agricola,  mentre,  all'interno  delle  aziende  agricole,
impianti di questo tipo possono essere realizzati, ma solo attraverso
la presentazione di un PUA. 
    8.1.-  Preliminarmente,  occorre  dare  atto  della  sopravvenuta
modifica dell'art. 3.1  della  legge  reg.  Lazio  n.  16  del  2011,
introdotto dall'impugnato comma 11 dell'art. 10 della legge reg. n. 1
del 2020. In particolare, l'art. 8, comma 1, lettera b), della  legge
della  Regione  Lazio  23  novembre   2020,   n.   16   (Disposizioni
modificative  di  leggi  regionali)   ha   capovolto   l'impostazione
originaria  della  disposizione  impugnata,  disponendo   che   siano
individuate le aree «non  idonee»  (mentre  prima  era  previsto  che
fossero individuate  quelle  «idonee»),  e,  nel  nuovo  comma  4-bis
dell'art. 3.1,  ha  previsto  che  l'individuazione  di  queste  aree
avvenga in coerenza, tra l'altro, con le disposizioni del PTPR. 
    Tale  ius  superveniens  non  risulta  pero'  satisfattivo  delle
censure di parte ricorrente, poiche' quest'ultima  imputa  il  vulnus
lamentato non solo alla mancata espressa previsione del rispetto  del
PTPR ma anche a una contraddizione esistente tra  il  comma  3  e  il
comma 5 dello stesso art. 3.1 che si tradurrebbe in una  lesione  del
valore paesaggistico. 
    Sempre in via  preliminare,  e'  utile  ricordare  che  il  Piano
energetico regionale (PER Lazio) e' lo strumento con il quale vengono
attuate  le  competenze  regionali  in  materia   di   pianificazione
energetica, per quanto attiene  all'uso  razionale  dell'energia,  al
risparmio energetico e all'utilizzo delle fonti rinnovabili.  Con  la
deliberazione della Giunta della Regione Lazio 17  ottobre  2017,  n.
656, recante «Adozione della proposta  del  nuovo  "Piano  Energetico
Regionale" (PER Lazio) e del relativo Rapporto  Ambientale,  ai  fini
della Valutazione Ambientale Strategica (VAS)», e' stata adottata  la
proposta di PER (l'ultimo in vigore e' stato approvato dal  Consiglio
regionale del Lazio con  deliberazione  n.  45  del  2001).  Dopo  un
percorso di consultazione pubblica con i cosiddetti "stakeholder", il
PER Lazio, il Rapporto ambientale e la dichiarazione di  sintesi  del
processo  di  Valutazione  ambientale  strategica  (VAS)  sono  stati
adottati con deliberazione della Giunta della Regione Lazio 10  marzo
2020,  n.  98,  recante   «Proposta   di   deliberazione   consiliare
concernente: "Approvazione del nuovo Piano Energetico Regionale  (PER
Lazio)" e dei relativi allegati ai sensi  dell'art.  12  della  legge
regionale n. 38 del  22  dicembre  1999»  e  trasmessi  al  Consiglio
regionale, che non ha ancora provveduto all'approvazione. 
    8.2.- La questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  10,
comma 11, della legge reg. n. 1 del 2020 non e' fondata, nei  termini
di seguito indicati. 
    La norma de qua e' impugnata per violazione degli artt. 9 e  117,
secondo comma, lettera s), Cost. in relazione alle  norme  interposte
di cui agli artt.135, 143 e 145 del d.lgs. n. 42 del 2004.  Anche  in
questo caso la ragione di censura e' rinvenibile nel mancato richiamo
del rispetto  della  pianificazione  paesaggistica  elaborata  previa
intesa con  il  Ministero.  Da  questo  punto  di  vista,  la  stessa
lamentata incongruenza tra i commi 3 e 5 dell'art.  3.1  della  legge
reg. Lazio n. 16 del 2011 e'  riconducibile  al  mancato  richiamo  -
anche per il periodo transitorio, cioe' nelle  more  dell'entrata  in
vigore  del  PER  -  del  vincolo  derivante   dalla   pianificazione
paesaggistica, in ragione del fatto che, secondo  il  ricorrente,  la
previsione del comma 5 consentirebbe la realizzazione degli  impianti
di produzione di energia da fonti rinnovabili in aree agricole  senza
alcuna programmazione. 
    Si tratta quindi, alla luce delle decisioni di questa Corte  piu'
volte richiamate e piu' precisamente indicate supra al  punto  4,  di
verificare se la norma impugnata determini un contrasto o una  deroga
al  principio  della  necessaria  prevalenza   della   pianificazione
paesaggistica. 
    Da nessuna delle disposizioni di cui si compone l'art. 3.1  della
legge reg. Lazio n. 16 del 2011, introdotto  dalla  norma  impugnata,
emerge un contrasto o una deroga  al  suddetto  principio.  Ne'  puo'
essere  utilizzata   come   argomento   contrario   la   sopravvenuta
disposizione recata dal comma 4-bis, che impone il rispetto del PTPR,
poiche' essa non e' preclusiva  della  possibilita'  di  interpretare
anche il testo originario (in vigore dal 28 febbraio al  24  novembre
2020) in modo rispettoso di tutti i vincoli  paesaggistici  e  quindi
conforme a Costituzione. 
    Per  le  anzidette  ragioni  si  deve  concludere  per   la   non
fondatezza,  nei  termini  dianzi  indicati,   della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 11, della legge  reg.
Lazio n. 1 del 2020.