ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  delle   declaratorie   di   inammissibilita'   e/o
improponibilita', da parte della V Commissione permanente  (Bilancio)
del  Senato  e  del  Presidente   del   Senato,   degli   emendamenti
identificati al n. 5.1 (Testo 3)/200, relativamente all'A.S. n. 1786,
al  n.  4.0.4.,  relativamente  all'A.S.  n.  1883,  al  n.  22.0.29,
relativamente all'A.S. n. 1994, e al n. 4.0.1, relativamente all'A.S.
n. 2133, promosso da Elio Lannutti, nella qualita' di  senatore,  con
ricorso depositato in cancelleria il 29 aprile 2021 ed iscritto al n.
2 del registro  conflitti  tra  poteri  dello  Stato  2021,  fase  di
ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del  7  luglio  2021  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'8 luglio 2021. 
    Ritenuto che, con ricorso depositato in data 29 aprile  2021,  il
senatore Elio Lannutti ha  promosso  conflitto  di  attribuzione  tra
poteri dello Stato, ai sensi dell'art. 134  della  Costituzione,  nei
confronti del Senato della Repubblica, in persona del  Presidente  in
carica, e della V Commissione permanente (Bilancio)  del  Senato,  in
persona del Presidente in carica; 
    che il ricorrente lamenta la menomazione del suo  «diritto-potere
di presentare emendamenti ai disegni di Legge che  siano  oggetto  di
discussione nel merito in Commissione  o  in  Aula,  in  qualita'  di
rappresentante della Nazione senza vincoli  di  mandato  ex  art.  67
Cost.», per effetto delle immotivate e ingiustificate declaratorie di
inammissibilita' e/o improponibilita', da parte della  V  Commissione
permanente (Bilancio) del Senato e del Presidente del  Senato,  degli
emendamenti proposti dal medesimo senatore e identificati al  n.  5.1
(Testo  3)/200,  relativamente  all'A.S.  n.  1786,  al  n.   4.0.4.,
relativamente all'A.S. n. 1883, al n. 22.0.29, relativamente all'A.S.
n. 1994, e infine al n. 4.0.1, relativamente all'A.S. n. 2133; 
    che, in particolare, secondo il ricorrente, l'emendamento n.  5.1
(Testo 3)/200, proposto in sede di conversione del  decreto-legge  30
aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalita'  dei  sistemi
di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure
urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonche' disposizioni
integrative e  di  coordinamento  in  materia  di  giustizia  civile,
amministrativa e contabile e misure urgenti  per  l'introduzione  del
sistema di allerta Covid-19), per  aggiungere  all'art.  5,  dopo  il
comma 1-bis, la previsione dell'aumento  di  due  anni  dell'eta'  di
collocamento d'ufficio a riposo per raggiunti limiti  di  eta',  «dei
magistrati  ordinari,  amministrativi,  contabili,  militari,   degli
avvocati e procuratori dello Stato  in  servizio  alla  data  del  1°
maggio  2020,  nonche'  dei  medici  e  chirurghi   universitari   ed
ospedalieri che,  alla  stessa  data,  esercitano  attivita'  clinica
presso strutture pubbliche o convenzionate con il servizio  sanitario
nazionale», sarebbe stato dichiarato inammissibile in  aula,  durante
la seduta n. 230 del 17 giugno 2020, in maniera del tutto immotivata,
in violazione degli artt.  97  e  100  del  Regolamento  del  Senato,
secondo   cui   il   Presidente   del    Senato    puo'    dichiarare
l'inammissibilita'  degli  emendamenti  proposti  solo  ove  il  loro
contenuto si ponga in contrasto con deliberazioni gia'  adottate  dal
Senato sull'argomento nel corso della discussione, ovvero  sia  privo
di ogni reale portata modificativa; 
    che il ricorrente assume, inoltre, che l'emendamento  n.  4.0.4.,
presentato in occasione del procedimento di conversione in legge  del
decreto-legge  16  luglio  2020,  n.  76  (Misure  urgenti   per   la
semplificazione e l'innovazione digitale), per l'introduzione  di  un
art. 4-bis,  contenente  una  previsione  analoga  a  quella  di  cui
all'emendamento  gia'  richiamato  (inerente  al   trattenimento   in
servizio di medici, magistrati, avvocati e procuratori dello  Stato),
e'  stato  dichiarato  dapprima  inammissibile  dalla  V  Commissione
permanente (Bilancio), senza giustificazione,  in  quanto  l'asserita
assenza della relazione  tecnica  si  sarebbe  rivelata  infondata  e
comunque irrilevante, dato  che  l'emendamento  non  apportava  alcun
aggravio di  tipo  finanziario,  nonche'  poi  inammissibile  (recte:
improponibile) dal Presidente del Senato in aula, durante  la  seduta
n. 254 del 4  settembre  2020,  in  violazione  di  quanto  stabilito
dall'art. 97 del Regolamento del Senato, non essendo tale emendamento
estraneo all'oggetto della  discussione,  ne'  formulato  in  termini
sconvenienti; 
    che anche la declaratoria di improponibilita' dell'emendamento n.
22.0.29, di contenuto identico ai precedenti, volto  a  inserire,  in
sede di conversione in  legge,  l'art.  22-bis  al  decreto-legge  28
ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia  di  tutela
della salute, sostegno ai lavoratori  e  alle  imprese,  giustizia  e
sicurezza,  connesse  all'emergenza  epidemiologica   da   COVID-19),
sarebbe stata pronunciata  in  aula  dal  Presidente  del  Senato  in
violazione dell'art. 97 del Regolamento  del  Senato,  in  quanto  il
contenuto del citato emendamento sarebbe stato pertinente all'oggetto
della discussione in aula, mirando ad  assicurare  «misure  idonee  a
garantire un riequilibrio delle carriere», considerato «il rischio di
diffusione e contrazione del virus  Covid-19»,  ma  anche  «le  gravi
difficolta'  sistematiche  ed  economiche  scaturite  a  causa  della
pandemia»; 
    che,  infine,  anche  con  riferimento  all'emendamento   4.0.1.,
presentato in sede di conversione del decreto-legge 13 marzo 2021, n.
31 (Misure urgenti in materia di svolgimento dell'esame di Stato  per
l'abilitazione all'esercizio della professione  di  avvocato  durante
l'emergenza epidemiologica da COVID-19), sempre inerente  all'aumento
di due anni dell'eta' di collocamento d'ufficio a riposo  di  medici,
magistrati, procuratori e avvocati dello Stato, sia  la  declaratoria
di inammissibilita' resa dalla V Commissione permanente  del  Senato,
sia la declaratoria  di  improponibilita'  resa  dal  Presidente  del
Senato sarebbero state adottate in assenza  di  motivazione,  essendo
erronea l'affermazione dell'assenza  della  relazione  finanziaria  e
della sua necessita', nonche' priva  di  fondamento  la  pretesa  non
pertinenza dell'emendamento  rispetto  alla  fattispecie  oggetto  di
discussione in aula; 
    che, in sostanza, il senatore  Lannutti  si  duole  che  tutti  i
citati  emendamenti  siano  stati  dichiarati  talora  inammissibili,
talora improponibili senza alcuna motivazione, senza, cioe',  che  ve
ne fossero i presupposti giustificativi in base  al  Regolamento  del
Senato; 
    che, pertanto, il ricorrente lamenta che, in tal modo, si sarebbe
determinata la palese menomazione della propria sfera di attribuzioni
costituzionali di cui agli artt. 67, 70 e 71 Cost.; 
    che sussisterebbero nella specie tutti i presupposti per ritenere
ammissibile  il   conflitto,   in   linea   con   la   giurisprudenza
costituzionale che, a partire  dall'ordinanza  n.  17  del  2019,  ha
riconosciuto   al   singolo   parlamentare   sia   in   qualita'   di
rappresentante della Nazione (art. 67 Cost.), sia quale  protagonista
principale nell'esercizio della  funzione  legislativa  delle  Camere
(artt. 70 e 71 Cost.), la titolarita' di una  serie  di  attribuzioni
proprie, che si estrinsecano non solo nella presentazione di progetti
di  legge  e  nella  partecipazione  ai  lavori   delle   commissioni
parlamentari, bensi' anche nelle proposte emendative; 
    che, infatti, la legittimazione del ricorrente risiederebbe nella
sua titolarita' del  potere  di  emendamento,  che  implicherebbe  il
rispetto  di  guarentigie  costituzionali  imprescindibili,  come  il
diritto di conoscere le motivazioni delle eventuali  declaratorie  di
improponibilita' e inammissibilita' rese dal Presidente  dell'aula  o
della  commissione  ovvero  non  conseguenti  a  una  discussione  in
assemblea; 
    che, secondo il senatore ricorrente, tale  potere  sarebbe  stato
gravemente menomato, in quanto  gli  emendamenti  proposti  sarebbero
stati  dichiarati  inammissibili   o   improponibili   senza   alcuna
motivazione e senza che vi fosse  una  reale  portata  giustificativa
sottesa a tali dichiarazioni di improponibilita'/inammissibilita', in
contrasto con le previsioni del Regolamento del Senato; 
    che,  quindi,  il  ricorrente  chiede  che  venga   accertata   e
dichiarata la menomazione del suo diritto di  presentare  emendamenti
ai disegni di legge e  che,  di  conseguenza,  vengano  annullate  le
declaratorie  di  inammissibilita'  e  improponibilita'  dei   citati
emendamenti. 
    Considerato che il senatore Elio Lannutti ha  promosso  conflitto
di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato   in   riferimento   alle
declaratorie di inammissibilita' e  di  improponibilita'  di  quattro
emendamenti, di contenuto sostanzialmente  identico,  presentati  dal
medesimo senatore in sede di conversione in legge di quattro distinti
decreti-legge; 
    che  tali  declaratorie  sarebbero   state   adottate   dalla   V
Commissione permanente (Bilancio) del Senato e dal  Presidente  della
medesima assemblea senza  alcuna  motivazione  e  in  violazione  dei
presupposti di  fatto  e  di  diritto  individuati  dalle  norme  del
Regolamento del Senato, in particolare dagli artt. 97 e 100; 
    che, secondo il ricorrente,  con  l'impedire  la  discussione  in
commissione e in aula dei citati emendamenti, senza  addurre  ragione
alcuna, si sarebbe perpetrata la menomazione  di  una  sua  specifica
attribuzione, di cui,  in  qualita'  di  parlamentare  rappresentante
della Nazione (art. 67 Cost.), e' titolare, attribuzione  consistente
nel potere di  emendamento,  da  intendersi  incluso  nel  potere  di
iniziativa (art. 71 Cost.), e che e' esercitato sia in  aula  sia  in
commissione (art. 72 Cost.); 
    che, pertanto, il senatore ricorrente chiede a  questa  Corte  di
accertare l'avvenuta menomazione del suo  potere  di  emendamento  e,
conseguentemente,  di  annullare   le   impugnate   declaratorie   di
inammissibilita' e improponibilita'; 
    che, in  questa  fase  del  giudizio,  la  Corte  e'  chiamata  a
deliberare, ai sensi dell'art. 37, primo e terzo comma,  della  legge
11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione  e  sul  funzionamento
della  Corte  costituzionale),  in  sede  di  sommaria   delibazione,
l'ammissibilita' del ricorso, per valutare, senza contraddittorio, se
sussistano i requisiti soggettivo e  oggettivo  di  un  conflitto  di
attribuzione tra poteri dello  Stato,  e  dunque  a  decidere  se  il
conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare  definitivamente
la volonta' del potere cui appartengono, per la  delimitazione  della
sfera  di  attribuzioni  determinata  per  i  vari  poteri  da  norme
costituzionali (da ultimo, ordinanza n. 66 del 2021); 
    che  questa  Corte,  con  l'ordinanza  n.   17   del   2019,   ha
riconosciuto,  quanto  al  profilo  soggettivo,  l'esistenza  di   un
complesso di prerogative del singolo parlamentare, diverse e distinte
da quelle di cui dispone in quanto componente dell'assemblea, che gli
spettano come singolo rappresentante della  Nazione,  individualmente
considerato, sicche' nell'esercizio delle  stesse  egli  esprime  una
volonta' in se' definitiva e conclusa, che soddisfa  quanto  previsto
dall'art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953; 
    che  tali  prerogative  «si  esplicitano  anche  nel  potere   di
iniziativa, testualmente attribuito "a ciascun membro  delle  Camere"
dall'art. 71, primo comma, Cost., comprensivo del potere di  proporre
emendamenti, esercitabile tanto in commissione che in assemblea (art.
72 Cost.)» (ordinanza n. 17 del 2019); 
    che, quanto  al  profilo  oggettivo,  questa  Corte  ha  altresi'
precisato che «non possono trovare ingresso nei giudizi per conflitto
di attribuzioni fra poteri dello  Stato  le  censure  che  riguardano
esclusivamente violazioni o scorrette  applicazioni  dei  regolamenti
parlamentari e  delle  prassi  di  ciascuna  Camera  (tra  le  altre,
sentenza n. 9 del 1959 e, piu' recentemente,  ordinanza  n.  149  del
2016)» (ordinanza n. 17 del 2019), ma solo quelle inerenti a vizi che
determinano violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei
parlamentari; 
    che, in linea generale, affinche' si  riscontri  la  materia  del
conflitto,  occorre  che  si   lamenti   la   violazione   di   norme
costituzionali  attributive   di   specifici   poteri   al   soggetto
ricorrente; 
    che, quanto ai singoli  parlamentari,  cio'  comporta  che  sugli
stessi incombe l'onere di allegazione e deduzione della violazione di
una propria attribuzione, da individuare puntualmente, parallelamente
agli atti o comportamenti asseritamente lesivi, e fondata sulle norme
della   Costituzione,   mentre   resta   riservato   alle   assemblee
parlamentari il giudizio relativo all'interpretazione e  applicazione
delle sole norme e delle prassi regolamentari; 
    che, nella specie, sebbene il ricorrente denunci  la  menomazione
del  potere  di  emendamento,  di   cui   e'   titolare   in   quanto
rappresentante della Nazione, senza vincolo di mandato, e invochi gli
artt. 67,  71  e  72  Cost.,  egli  sviluppa  le  censure  lamentando
essenzialmente la violazione degli artt. 97 e 100 del Regolamento del
Senato, la'  dove  individuano  i  criteri  per  le  declaratorie  di
inammissibilita' e improponibilita' degli emendamenti; 
    che, in particolare, il ricorrente contesta che  gli  emendamenti
presentati in sede di conversione dei decreti-legge fossero  estranei
alla  materia  fatta  oggetto  di  discussione  in  aula  e,  quindi,
improponibili, ai sensi dell'art. 97 del Regolamento,  come  ritenuto
dal Presidente del Senato, e contesta  anche  che  determinassero  un
aumento  di  spesa,  tanto  da  rendere   necessaria   la   relazione
finanziaria, secondo la prassi parlamentare,  come  assunto  dalla  V
Commissione permanente (Bilancio); 
    che, dunque, alla  luce  della  prospettazione  del  ricorso,  la
menomazione lamentata dal ricorrente  attiene  all'interpretazione  e
alle modalita'  di  applicazione  di  norme  e  prassi  regolamentari
inerenti alla presentazione e discussione degli emendamenti; 
    che, come questa Corte ha gia' avuto modo di chiarire, a ciascuna
Camera e' riconosciuta  e  riservata  la  potesta'  di  disciplinare,
tramite il proprio Regolamento, il procedimento legislativo «in tutto
cio' che non sia  direttamente  ed  espressamente  gia'  disciplinato
dalla Costituzione» (sentenza n. 78 del 1984); 
    che, entro questi limiti, le vicende e i rapporti attinenti  alla
disciplina del procedimento  legislativo  «ineriscono  alle  funzioni
primarie delle Camere» (sentenza n. 120 del 2014)  e  rientrano,  per
cio' stesso, nella sfera di autonomia che a queste compete (ordinanza
n 149 del 2016); 
    che, dunque, il presente conflitto, nei termini in cui  e'  stato
prospettato, «non attinge al livello del conflitto tra  poteri  dello
Stato,  la  cui  risoluzione  spetta   alla   Corte   costituzionale»
(ordinanze  n.  366  del  2008  e  n.  90  del  1996),   perche'   le
argomentazioni addotte  nel  ricorso  attengono  esclusivamente  alla
violazione di  norme  del  Regolamento  del  Senato  e  della  prassi
parlamentare, senza che sia dimostrata una  manifesta  lesione  delle
attribuzioni costituzionali invocate; 
    che, pertanto, il ricorso deve ritenersi inammissibile.