ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi
309, lettera a), 316, lettera a), da 634 a 658, da 661 a  676  e  875
della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio  di  previsione  dello
Stato per l'anno finanziario  2020  e  bilancio  pluriennale  per  il
triennio 2020-2022), promosso dalla  Regione  Siciliana  con  ricorso
notificato il 26-28 febbraio 2020, depositato  in  cancelleria  il  6
marzo 2020, iscritto al n. 33 del registro ricorsi 2020 e  pubblicato
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  16,  prima   serie
speciale, dell'anno 2020. 
    Visti l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  nonche'  gli  atti  di  intervento  delle  societa'  Sibat
Tomarchio srl e Sibeg srl; 
    udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  giugno  2021  il   Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    uditi l'avvocato Saverio Sticchi Damiani per  le  societa'  Sibat
Tomarchio srl e Sibeg srl, e l'avvocato  Giuseppa  Mistretta  per  la
Regione Siciliana, entrambi in collegamento da remoto, ai  sensi  del
punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18  maggio  2021,
nonche' l'avvocato dello Stato Marco Corsini per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 20 settembre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  La  Regione  Siciliana,  con  ricorso  notificato  il  26-28
febbraio 2020 e depositato il 6 marzo  2020  (reg.  ric.  n.  33  del
2020), ha impugnato l'art. 1, commi 309, lettera a), 316, lettera a),
da 634 a 658, da 661 a 676 e 875 della legge 27 dicembre 2019, n. 160
(Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2020  e
bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022). 
    2.- La Regione censura in primo luogo l'indicato  art.  1,  comma
309, lettera a), che ha  innovato  l'art.  44  del  decreto-legge  30
aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita  economica  e  per  la
risoluzione di  specifiche  situazioni  di  crisi),  convertito,  con
modificazioni,  nella  legge  28  giugno  2019,  n.  58.  Secondo  la
previsione censurata,  l'Agenzia  per  la  coesione  territoriale  e'
tenuta a procedere, per ciascuna amministrazione centrale, Regione  o
Citta' metropolitana titolare di risorse a valere sul «Fondo  per  lo
sviluppo e coesione»  (di  seguito:  FSC)  previsto  all'art.  4  del
decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88 (Disposizioni in materia di
risorse  aggiuntive  ed  interventi  speciali  per  la  rimozione  di
squilibri economici e sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5
maggio  2009,  n.  42),  ad  una  riclassificazione  degli  strumenti
programmatori  concernenti  le  risorse  nazionali   destinate   alle
politiche  di  coesione  dei  cicli  di   programmazione   2000/2006,
2007/2013 e 2014/2020. In virtu'  della  previsione  censurata,  tale
riclassificazione  deve   avvenire   «sentite»   le   amministrazioni
interessate e non piu' «d'intesa» con le stesse. 
    A  dire  della  Regione  Siciliana,  la  disposizione   impugnata
violerebbe gli artt. 14, 15, 17 e 20 del regio decreto legislativo 15
maggio  1946,  n.  455  (Approvazione  dello  statuto  della  Regione
siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio  1948,  n.
2, nonche' gli artt. 5, 118, 119 e 120 della Costituzione,  anche  in
relazione all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001,  n.
3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). 
    Segnala la ricorrente  che,  nella  versione  precedentemente  in
vigore, l'art. 44 del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, prevedeva
che l'attivita' di riordino dei diversi documenti programmatori in un
unico piano operativo per ogni amministrazione dovesse essere  svolta
dall'Agenzia  per  la  coesione   territoriale   «d'intesa   con   le
amministrazioni interessate». 
    Richiamando il documento «Osservazioni e proposte di  emendamenti
della   conferenza   delle   Regioni    delle    Province    Autonome
19/93/CR05/C3-C11», redatto in occasione della conversione  in  legge
del d.l. n. 34  del  2019,  la  ricorrente  sottolinea  come  il  FSC
costituisca lo  strumento  finanziario  principale  per  l'attuazione
delle politiche di  sviluppo  della  coesione  economica,  sociale  e
territoriale,   attraverso   il   quale   viene   garantita    unita'
programmatica e finanziaria all'insieme degli interventi aggiuntivi a
finanziamento  nazionale,  volti  alla  rimozione   degli   squilibri
economici e sociali tra le diverse  aree  del  Paese,  in  attuazione
dell'art. 119, quinto comma, Cost. 
    Per tali ragioni, la Conferenza delle Regioni  e  delle  Province
autonome aveva proposto di inserire nel testo dell'art. 44  del  d.l.
n. 34 del 2019 - durante  la  fase  di  conversione  in  legge  -  il
riferimento  alla  necessita'   che   l'Agenzia   per   la   coesione
territoriale  procedesse   alla   riclassificazione   dei   documenti
programmatori mediante lo strumento dell'intesa. 
    Cio' premesso, la ricorrente  afferma  che  questa  Corte  (viene
citata la sentenza n.  6  del  2004)  ha  indicato  nella  Conferenza
Stato-Regioni e nella Conferenza unificata  le  sedi  piu'  idonee  a
realizzare  la  leale  collaborazione,   poiche',   a   detta   della
ricorrente, in esse sarebbe consentito alle Regioni «di  svolgere  un
ruolo  costruttivo  nella  determinazione  del  contenuto   di   atti
legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale». 
    Infatti  il  FSC,  «potendo  finanziare  una  grande   gamma   di
interventi  intercett[erebbe]  svariate  competenze   della   Regione
Siciliana». Pertanto, nel prevedere che  l'Agenzia  per  la  coesione
territoriale   debba   procedere   «sentite»    le    amministrazioni
interessate, e non di intesa con le stesse, la disposizione impugnata
violerebbe le norme dello statuto reg. Siciliana che  assegnano  alla
Regione,  nelle  materie  ivi  indicate,  la  competenza  legislativa
esclusiva (art. 14) e concorrente (art. 17), nonche', «per tutte»  le
materie, la competenza amministrativa (art. 20). Inoltre, la  Regione
deduce nel ricorso la violazione delle norme del Titolo V della Parte
seconda della Costituzione, applicabili in forza  della  clausola  di
cui all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. 
    Ancora, la Regione prospetta in modo specifico la  lesione  degli
artt.  14,  lettera  o),  e  15  dello  statuto  reg.  Siciliana,  in
riferimento alla competenza regionale  in  materia  di  enti  locali,
giacche' la disposizione censurata «svili[rebbe] anche il ruolo delle
citta'  Metropolitane,  escluse  come  la  Regione  dal   partecipare
utilmente alle decisioni programmatorie, per la parte di risorse  del
FSC di cui sono  titolari».  A  fondamento  di  tale  censura,  viene
evocata la giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 298  del  2009,
n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005  e  n.  196  del  2004)  che
riconosce la legittimazione delle Regioni a denunciare anche  i  vizi
della legge statale che ledono le attribuzioni degli enti locali. 
    La Regione Siciliana  prosegue  evidenziando  come  lo  strumento
dell'intesa  -  imposto  dal  principio   costituzionale   di   leale
collaborazione e «istituzionalizzato» dalla legge 5 giugno  2003,  n.
131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001,  n.  3),  che  ne  avrebbe
«diffusamente»  prevista  l'applicazione  -  abbia  ricevuto,   nella
giurisprudenza costituzionale, piena valorizzazione. 
    La disposizione censurata, declassando  l'intesa  precedentemente
prevista ad un «mero parere»,  avrebbe  pertanto  espropriato  «della
potesta' decisionale un soggetto istituzionale»  (vengono  richiamate
le sentenze di questa Corte n. 165 e n. 33 del 2011, n. 121 del 2010,
n. 24 del 2007, n. 383 e n. 285 del 2005). 
    3.- La Regione Siciliana  impugna  anche  l'art.  1,  comma  316,
lettera a), della legge n. 160 del 2019, nella parte in cui  modifica
l'art. 4 del  decreto-legge  20  giugno  2017,  n.  91  (Disposizioni
urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 3 agosto 2017, n. 123. 
    La disposizione prevede che il  «soggetto  per  l'amministrazione
dell'area ZES», ovverosia la Zona economica speciale, e' identificato
in  un  Comitato  di  indirizzo  composto,  tra  gli  altri,  da   un
commissario straordinario del Governo nominato ai sensi dell'art.  11
della legge 23 agosto 1988,  n.  400  (Disciplina  dell'attivita'  di
Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio  dei  Ministri),
che lo presiede. La doglianza della  ricorrente  si  appunta  proprio
sulla circostanza che il  commissario  sia  chiamato  all'ufficio  di
presidente  del  Comitato  d'indirizzo,   mentre   nella   disciplina
previgente lo stesso ruolo era affidato al Presidente  dell'Autorita'
di sistema portuale. Cio' che garantiva  la  «compartecipazione,  tra
Stato  e  Regioni  interessate,  nell'individuazione  dell'Organo  di
vertice e di indirizzo»,  perche'  il  Presidente  dell'Autorita'  di
sistema portuale, secondo quanto disposto dall'art. 8 della legge  28
gennaio  1994,  n.  84  (Riordino  della  legislazione   in   materia
portuale), e' soggetto nominato dal Ministero delle infrastrutture  e
dei trasporti d'intesa con il Presidente o i Presidenti delle Regioni
interessate. 
    La Regione Siciliana evidenzia in proposito come,  pronunciandosi
sulle modalita' di scelta del Presidente  dell'Autorita'  di  sistema
portuale, la Corte costituzionale abbia affermato che  la  «paritaria
codeterminazione del contenuto  dell'atto  di  nomina»  prevista  dal
legislatore e' da  considerarsi  attuativa  del  principio  di  leale
cooperazione. Inoltre, il coinvolgimento  regionale  attesterebbe  il
riconoscimento del ruolo del porto nell'economia regionale  e  locale
(viene citata la sentenza n. 378 del 2005). 
    La disposizione oggetto di censura, nel prevedere che il Comitato
di indirizzo delle Zone economiche speciali (di  seguito:  ZES),  non
sia piu' il Presidente  dell'Autorita'  di  sistema  portuale  ma  un
commissario  straordinario  del  Governo  scelto  «al  di  fuori   di
qualsiasi  "intesa"  sulla  nomina   con   le   regioni   coinvolte»,
determinerebbe, pertanto, la violazione degli artt. 14, 17 e 20 dello
statuto reg. Siciliana, nonche' degli artt. 5, 118, 119 e 120  Cost.,
anche in relazione all'art. 10 della legge costituzionale  n.  3  del
2001. Cio' a causa della «mancata attuazione del principio  di  leale
collaborazione [...] e della rimozione degli  squilibri  economico  e
sociali» (vengono citate le sentenze di questa Corte n. 154 del  2017
e n. 329 del 2003). 
    Al  fine  di  motivare  ulteriormente  la  censura,  la   Regione
Siciliana si  sofferma  sull'importanza  strategica  delle  ZES,  che
vengono istituite  con  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, su proposta delle Regioni interessate. Dopo aver  ricordato
che  le  modalita'  di  istituzione,  la  durata,   i   criteri   per
l'identificazione e delimitazione dell'area, nonche' i criteri che ne
disciplinano accesso e condizioni speciali  sono  anch'essi  definiti
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del
Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno,  di  concerto
con il Ministro dell'economia e  delle  finanze,  il  Ministro  delle
infrastrutture  e  dei  trasporti  e  il  Ministro   dello   sviluppo
economico, sentita la Conferenza unificata, la ricorrente richiama le
funzioni delle ZES. Secondo la disciplina  prevista  all'art.  5  del
d.l. n. 91 del 2017, come convertito,  queste  hanno  il  compito  di
attrarre investimenti esteri o  extra-regionali,  «costituendo  [...]
una strategica riorganizzazione del tessuto delle  aree  di  sviluppo
industriale di proprieta' pubblica». 
    Ne conseguirebbe, conclude la  Regione,  «la  necessita'  di  una
direzione al vertice che sia il frutto di una codeterminazione con la
Regione richiedente l'istituzione della singola Zona». 
    L'estromissione della Regione dalla scelta della governance delle
ZES   pregiudicherebbe,   inoltre,   l'esercizio   delle   molteplici
competenze regionali «coinvolte dall'istituzione e operativita' delle
ZES»,  attribuite  alla  Regione  dallo  statuto  di  autonomia,  con
conseguente violazione delle citate norme statutarie. 
    4.- La Regione Siciliana impugna, inoltre, l'art. 1,  comma  875,
della legge n. 160 del 2019, per violazione degli artt.  14,  lettera
o), e 15 dello statuto reg. Siciliana, nonche' degli artt. 3, 5,  119
e  120  Cost.,  «anche  in  riferimento  all'art.  10   della   legge
costituzionale n. 3 del 2001». 
    La disposizione stanzia un  contributo  di  80  milioni  di  euro
annui, a decorrere dall'anno 2020, a favore  dei  liberi  consorzi  e
delle Citta' metropolitane della Regione Siciliana, ripartendolo  tra
ciascun ente «in proporzione al concorso alla finanza pubblica di cui
all'articolo 1, comma 418, della legge 23 dicembre 2014, n.  190,  al
netto della riduzione della spesa di personale registrata da  ciascun
ente nel periodo dal 2014 al  2018,  dei  contributi  ricevuti  dalla
Regione siciliana a valere sulla somma complessiva di 70  milioni  di
euro di cui all'articolo 1, comma 885, della legge 30 dicembre  2018,
n. 145, nonche' degli importi non piu' dovuti di cui all'articolo  47
del  decreto-legge  24  aprile   2014,   n.   66,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, come indicati nella
tabella  2  allegata  al  decreto-legge  24  aprile  2017,   n.   50,
convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96». 
    Affermando di procedere anche a tutela  delle  prerogative  degli
enti locali, la ricorrente  lamenta  che  la  disposizione  impugnata
violerebbe i  principi  di  ragionevolezza,  proporzionalita',  leale
collaborazione,  uguaglianza  -  «sotto   l'aspetto   della   mancata
attuazione di quanto gia' concordato con la Regione e della rimozione
degli  squilibri  economico  e   sociali»   -   nonche'   l'autonomia
finanziaria degli enti siciliani di area vasta, che si troverebbero a
disporre di mezzi insufficienti per l'adempimento dei propri compiti.
L'importo del contributo  individuato  dalla  disposizione  censurata
sarebbe inferiore rispetto a quello, quantificato in 100  milioni  di
euro, previsto l'anno precedente in virtu'  dell'accordo  integrativo
del 10 maggio 2019 raggiunto tra  il  Presidente  della  Regione,  il
Ministro per  il  sud  e  la  coesione  territoriale  e  il  Ministro
dell'economia  e  delle  finanze,  cosi'  come   recepito   dall'art.
38-quater del  d.l.  n.  34  del  2019,  come  convertito.  Cio'  che
determinerebbe  un  «arretramento   nel   processo   di   risanamento
finanziario»  delle  Citta'  metropolitane  e  dei  liberi   consorzi
siciliani. 
    Richiamando anche il  parere  espresso  dalla  Corte  dei  conti,
sezione delle autonomie, nell'ambito dell'audizione sull'atto  Camera
n. 977 del 2019, col quale il giudice contabile avrebbe rappresentato
«un'ulteriore esigenza di copertura  finanziaria  per  tali  enti  di
circa € 107 milioni nel 2020», la Regione Siciliana  lamenta  che  la
disposizione  censurata  non  avrebbe  correttamente  bilanciato  gli
interessi costituzionali rilevanti  e  che  la  relativa  disciplina,
oltre a presentarsi «non conforme sotto il profilo  degli  indici  di
determinazione del contributo spettante a ciascun Ente, non [sarebbe]
stata il frutto di una codeterminazione». 
    5.- Da ultimo,  la  Regione  ricorrente  censura  due  gruppi  di
previsioni che istituiscono e regolano, per un verso (art.  1,  commi
da 634 a 658), l'imposta  sul  consumo  dei  «manufatti  con  singolo
impiego» (di seguito: MACSI) e, per altro verso (art. 1, commi da 661
a 676), l'imposta sul consumo delle bevande analcoliche «edulcorate».
Per entrambe le discipline  viene  prospettata  la  violazione  degli
artt. 117, terzo comma, e  119  Cost.,  nonche'  dell'art.  36  dello
statuto reg. Siciliana e delle correlate norme di attuazione  di  cui
al d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello  Statuto
della Regione siciliana in materia finanziaria), con riferimento agli
artt. 3, 41 e 53 Cost. 
    A  dire  della  ricorrente,  la  previsione   di   tali   tributi
determinerebbe   distorsioni   della   concorrenza   e    inciderebbe
negativamente sul  gettito  fiscale  della  Regione,  a  causa  della
significativa riduzione del fatturato che colpirebbe le  imprese  con
sede in Sicilia e delle conseguenti ricadute sul piano occupazionale.
Cio' finirebbe per determinare una lesione dell'autonomia finanziaria
della Regione stessa, aggravata anche  dal  rischio  di  abbandono  o
delocalizzazione della produzione. 
    Lamenta  la  Regione   che   il   legislatore   statale   avrebbe
irragionevolmente  esercitato  la  discrezionalita'  legislativa   in
materia tributaria, senza «raccordarsi con il principio di  capacita'
contributiva, di uguaglianza, e della libera iniziativa economica». 
    In particolare, le previsioni  censurate  colpirebbero  solo  una
categoria di  imprese  in  modo  «arbitrario  ed  irragionevole»,  in
contrasto con gli artt. 3, 41 e 53 Cost. (viene citata la sentenza di
questa Corte n.  10  del  2015).  L'assenza  di  «coerenza  logica  e
giuridica [...] rispetto alle garanzie  accordate  alla  liberta'  di
iniziativa economica ed alla proprieta' dell'impresa» dovrebbe essere
valutata «quale eccesso legislativo della potesta' tributaria». 
    Siffatta potesta', prosegue la Regione, dovrebbe  infatti  essere
contenuta «in rapporto alla titolarita' ed  al  godimento  dei  beni,
nonche' allo svolgimento  delle  attivita'  sulle  quali  l'esercizio
della potesta' tributaria  stessa  incide».  La  tutela  dei  diritti
fondamentali  e  della  tutela   dell'ambiente   non   sarebbero   da
considerarsi, invece, esigenze di rango superiore rispetto  a  quelle
concernenti gli interessi incisi dalla disciplina tributaria. 
    6.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  si  e'  costituito  in
giudizio con atto depositato il  7  aprile  2020,  chiedendo  che  il
ricorso sia dichiarato non fondato. 
    6.1.-  In  riferimento  alla  censura   relativa   alla   mancata
previsione   dell'intesa    nell'attivita'    di    riclassificazione
programmatoria svolta dall'Agenzia per la coesione  territoriale,  la
difesa erariale deduce che il principio di leale  collaborazione  non
opererebbe  quando  la  norma  «prende  atto  dell'inattivita'  della
singola regione». Proprio la risalente assegnazione di  risorse  fino
ad  oggi  non  utilizzate  legittimerebbe  l'intervento   legislativo
statale. 
    6.2.- Con riferimento alla censura relativa  alla  individuazione
del presidente del Comitato di indirizzo  delle  ZES,  la  scelta  di
attribuire al  Governo  tale  nomina  -  in  luogo  della  previgente
previsione che individuava tale figura nel Presidente  dell'Autorita'
di sistema portuale, scelto di intesa  tra  Stato  e  Regioni  -  non
lederebbe il principio di leale  collaborazione.  Anzitutto,  sarebbe
possibile che nella nuova partizione territoriale delle Autorita'  di
sistema portuale i  porti  inclusi  nelle  ZES  non  rientrino  nella
competenza territoriale di una sola Autorita'  di  sistema.  Inoltre,
nella composizione  del  Comitato  di  indirizzo  delle  ZES  sarebbe
comunque prevista la partecipazione di rappresentanti regionali, che,
conclude sul  punto  l'Avvocatura,  concorrerebbero  alla  formazione
della volonta' dell'organo in questione. 
    6.3.-  Quanto  alle  censure  mosse  all'art.   1,   comma   875,
l'Avvocatura  generale  ritiene  che  non  sarebbe  fondata  la  tesi
regionale secondo cui, nel determinare il contributo a  favore  delle
Citta' metropolitane e dei liberi consorzi,  il  legislatore  statale
avrebbe violato il principio di  leale  collaborazione  discostandosi
dagli accordi con la Regione Siciliana in materia di rimozione  degli
squilibri   economico-sociali.   Il   legislatore   avrebbe    invece
legittimamente esercitato la potesta' legislativa statale in  materia
di coordinamento della finanza pubblica, che si imporrebbe anche alle
Regioni ad autonomia speciale. 
    6.4.-   Infine,   con   riferimento   alle    censure    relative
all'istituzione e alla disciplina dell'imposta sul consumo dei  MACSI
e delle bevande analcoliche edulcorate, la difesa  erariale  sostiene
che si tratterebbe di disposizioni attuative delle  «linee  guida  in
materia fiscale di derivazione comunitaria»,  che  avrebbero  percio'
necessita' di applicarsi su tutto il territorio nazionale. 
    7.- Con due  distinti  atti  depositati  il  5  maggio  2020,  le
societa' Sibat Tomarchio srl e  Sibeg  srl  hanno  spiegato  atto  di
intervento ad adiuvandum, con  riferimento  alle  censure  mosse  nei
confronti dell'art. 1, commi da 634 a 658 e da 661 a 676 della  legge
impugnata. 
    7.1.- Con istanze depositate il  26  ottobre  2020,  le  societa'
Sibat Tomarchio  srl  e  Sibeg  srl  hanno  presentato  richiesta  di
fissazione anticipata delle  questioni  concernenti  l'ammissibilita'
degli interventi, al fine di avere accesso agli atti processuali. 
    7.2.- Con decreti presidenziali del 28 ottobre 2020, tali istanze
sono  state  rigettate,   in   quanto   depositate   fuori   termine,
riservandosi l'esame  della  questione  concernente  l'ammissibilita'
degli interventi all'udienza pubblica. 
    8.- In vista dell'udienza, la Regione Siciliana ha depositato  il
18 maggio 2021 una ulteriore memoria. 
    8.1.- La Regione si sofferma  anzitutto  sulle  censure  relative
alle  imposte  sui  MACSI  e  sul  consumo  di  bevande   analcoliche
edulcorate,  dando   atto   dell'approvazione   dell'art.   133   del
decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure  urgenti  in  materia  di
salute, sostegno al  lavoro  e  all'economia,  nonche'  di  politiche
sociali   connesse   all'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19),
convertito, con modificazioni, nella legge 17  luglio  2020,  n.  77,
nonche' dell'art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2020, n. 178
(Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2021  e
bilancio  pluriennale  per  il   triennio   2021-2023).   Le   citate
disposizioni avrebbero,  rispettivamente,  differito  il  termine  di
entrata in vigore delle due imposte dapprima al 1° gennaio 2021 e poi
al 1° luglio 2021, apportando altresi' alcune modifiche sostanziali. 
    La  ricorrente  sottolinea  come  il   principio   di   capacita'
contributiva  sia  considerato  «valore  che  enuncia   un   progetto
normativo destinato ad orientare la produzione legislativa in materia
fiscale» (vengono citate le sentenze di questa Corte n. 10 del  2015,
n. 223 del 2012 e n. 341 del 2000). Per  valutare  la  conformita'  a
Costituzione di una disciplina tributaria occorrerebbe verificare  se
la sua struttura  si  raccordi  con  la  sua  ratio  giustificatrice,
identificata, nel caso di specie, nella volonta' di  determinare  una
riduzione  nell'uso  di  prodotti  di  materiale  plastico  e   nella
consumazione di bevande edulcorate. A questo proposito, la ricorrente
evidenzia  come  le  previsioni   censurate   non   riuscirebbero   a
raggiungere l'obiettivo che il legislatore intendeva perseguire.  Per
queste   ragioni,   la    ricorrente    insiste    nel    prospettare
l'irragionevolezza delle disposizioni istitutive delle due imposte. 
    8.2.- Quanto alle censure mosse all'art. 1,  comma  309,  lettera
a), e all'art. 1, comma 316, lettera a), della legge n. 160 del 2019,
la Regione Siciliana ribadisce che tali disposizioni violerebbero  il
principio di leale collaborazione, a causa della  mancata  previsione
dello strumento dell'intesa. 
    8.3.- Per quanto concerne infine le censure relative all'art.  1,
comma 875, della legge n. 160 del 2019, la Regione Siciliana ha  dato
atto delle modifiche apportate a tale previsione dall'art. 31-bis del
decreto-legge 30 dicembre  2019,  n.  162  (Disposizioni  urgenti  in
materia di proroga di termini legislativi,  di  organizzazione  delle
pubbliche  amministrazioni,  nonche'  di  innovazione   tecnologica),
convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio  2020,  n.  8,
segnalando anche come, a  far  data  dall'anno  2021,  il  contributo
riconosciuto dalla previsione censurata ai  liberi  consorzi  e  alle
Citta' metropolitane della Regione Siciliana verra'  incrementato  in
virtu' di quanto disposto dal sopravvenuto art. 1, comma  808,  della
legge n. 178 del 2020. Tali modifiche avrebbero  fatto  «venire  meno
l'interesse a proseguire nel giudizio instaurato  relativamente  alla
norma impugnata». 
    9.- Con distinti atti depositati il 18 maggio 2021,  le  societa'
Sibat Tomarchio srl e Sibeg srl hanno  presentato  memoria  in  vista
dell'udienza, a sostegno dell'ammissibilita' del proprio intervento e
insistendo per l'accoglimento delle questioni relative  alle  imposte
sui MACSI e sul consumo di bevande analcoliche edulcorate. 
    10.- Con atto depositato il 31 maggio 2021, la Regione  Siciliana
ha presentato atto di rinuncia  parziale  al  ricorso,  limitatamente
all'art. 1, comma 875, della legge n. 160 del 2019. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Siciliana ha impugnato (reg. ric. n. 33 del 2020),
con distinti gruppi di censure, l'art. 1, commi 309, lettera a), 316,
lettera a), da 634 a 658, da 661 a 676 e 875 della legge 27  dicembre
2019,  n.  160  (Bilancio  di  previsione  dello  Stato  per   l'anno
finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022). 
    2.- In prossimita' dell'udienza, la ricorrente ha depositato atto
di rinuncia parziale al ricorso con riferimento alla censura relativa
all'art. 1, comma 875, della legge n. 160 del 2019,  che  stanzia  un
contributo a favore dei liberi consorzi e delle Citta'  metropolitane
della Regione Siciliana, segnalando come tale disposizione sia  stata
oggetto di modifiche che, incrementando l'ammontare del contributo in
esame, hanno comportato  il  venire  meno  del  proprio  interesse  a
coltivare il giudizio in parte qua. Non essendo  pervenuta,  sino  al
momento  dell'udienza,  accettazione  della  rinuncia  da  parte  del
Presidente del Consiglio  dei  ministri,  va  dichiarata  cessata  la
materia del contendere limitatamente  alla  doglianza  in  esame  (ex
plurimis, sentenze n. 118 e 90 del 2021, n. 5 del 2020,  n.  171  del
2019 e n. 234 del 2017). 
    3.-  In  via  preliminare,  deve  essere  confermata  l'ordinanza
dibattimentale, allegata alla presente sentenza, con cui  sono  stati
dichiarati inammissibili gli interventi in  giudizio  spiegati  dalle
societa' Sibat Tomarchio srl e Sibeg srl. 
    4.- La Regione Siciliana ha impugnato anzitutto l'art.  1,  comma
309, lettera a), della legge n.  160  del  2019.  La  disposizione  -
innovando l'art. 44 del decreto-legge 30 aprile 2019, n.  34  (Misure
urgenti di crescita economica e  per  la  risoluzione  di  specifiche
situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella  legge  28
giugno 2019, n. 58 -  ha  previsto  che  l'Agenzia  per  la  coesione
territoriale sia tenuta a  procedere,  per  ciascuna  amministrazione
centrale, Regione o Citta' metropolitana titolare di risorse a valere
sul «Fondo per lo sviluppo e coesione»  (di  seguito:  FSC),  ad  una
riclassificazione degli strumenti programmatori relativi alle risorse
nazionali  destinate  alle  politiche  di  coesione  dei   cicli   di
programmazione  2000/2006,  2007/2013  e  2014/2020,   «sentite»   le
amministrazioni interessate. 
    Nella formulazione originaria, l'art. 44, comma 1, del d.l. n. 34
del 2019 non aveva previsto forme di collaborazione tra l'Agenzia per
la coesione territoriale e le amministrazioni interessate.  La  legge
di conversione aveva, invece, stabilito che la ricordata attivita' di
riordino dovesse essere realizzata  dall'Agenzia  «d'intesa»  con  le
amministrazioni stesse. 
    A dire della ricorrente, la disposizione  censurata,  declassando
tale intesa ad un «mero parere», avrebbe espropriato  della  potesta'
decisionale le amministrazioni titolari di risorse a valere sul  FSC,
determinando una violazione degli artt. 14, 15, 17  e  20  del  regio
decreto legislativo  15  maggio  1946,  n.  455  (Approvazione  dello
statuto della Regione siciliana), convertito in legge  costituzionale
26 febbraio 1948, n. 2, nonche' degli artt. 5, 118, 119 e  120  della
Costituzione,  anche   in   relazione   all'art.   10   della   legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche  al  titolo  V  della
parte seconda della Costituzione).  Il  legislatore  statale  avrebbe
infatti  omesso  di   dare   attuazione   al   principio   di   leale
collaborazione, con ulteriore conseguente lesione «sia degli articoli
dello Statuto che prevedono in capo alla Regione, nelle  materie  dai
medesimi elencate, la competenza legislativa esclusiva,  art.  14,  e
concorrente, art. 17, e, per  tutte,  la  competenza  amministrativa,
art. 20, come pure le norme del titolo V della Cost. applicabili  per
effetto e nei limiti di cui all'art. 10 L.C. n. 3/2001». 
    Infine, ritenendo di avere titolo  per  lamentare  anche  lesioni
delle attribuzioni degli enti locali, la Regione invoca, quali  norme
parametro delle proprie censure, gli artt. 14, lettera o), e 15 dello
statuto reg. Siciliana, i quali assegnano alla competenza legislativa
esclusiva, rispettivamente,  il  «regime  degli  enti  locali»  e  la
disciplina in materia di  «circoscrizione,  ordinamento  e  controllo
degli enti locali». 
    4.1.- Le censure descritte non sono fondate,  con  riferimento  a
tutti i parametri indicati. 
    Evocando  in  forma  contratta  e  cumulativa  i   parametri   di
competenza  asseritamente  lesi,  la  Regione  Siciliana  assume,  in
sostanza, che il FSC coprirebbe «una  grande  gamma  di  interventi»,
tali da intercettare «svariate competenze della Regione», poiche'  il
fondo  in  questione  finanzia  progetti  strategici   di   carattere
infrastrutturale «di rilievo nazionale, interregionale e  regionale».
La pur scarna prospettazione della ricorrente consente a questa Corte
di attingere  il  merito  delle  censure  e  di  precisare  il  thema
decidendum   (sentenza   n.   192   del   2017):    l'attivita'    di
riclassificazione  dei  documenti  programmatori  inerenti   il   FSC
intersecherebbe diversi ambiti  materiali  di  competenza  regionale,
sicche' l'estromissione della Regione da un processo decisionale  che
tali ambiti interessa lederebbe,  in  particolare,  il  principio  di
leale collaborazione. 
    Sostituendosi al «Fondo  per  le  aree  sottoutilizzate»  di  cui
all'art.  61  della  legge  27  dicembre  2002,   n.   289,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2003)», il FSC trova la sua disciplina
istitutiva  nel  decreto  legislativo   31   maggio   2011,   n.   88
(Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali
per  la  rimozione  di  squilibri  economici  e  sociali,   a   norma
dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42), attraverso cui il
legislatore statale si e' proposto, «in conformita' al  quinto  comma
dell'articolo 119 della Costituzione»,  di  «promuovere  lo  sviluppo
economico e la coesione sociale  e  territoriale,  di  rimuovere  gli
squilibri economici,  sociali,  istituzionali  e  amministrativi  del
Paese e di favorire l'effettivo esercizio dei diritti della  persona»
(art. 1). 
    Specifico obiettivo  del  FSC  e'  dare  unita'  programmatica  e
finanziaria all'insieme degli interventi aggiuntivi  a  finanziamento
nazionale appunto rivolti al riequilibrio economico e sociale tra  le
diverse aree  del  Paese.  Esso  e'  percio'  da  considerarsi,  come
peraltro afferma  la  stessa  disciplina  istitutiva,  strumento  per
l'attuazione dell'art. 119, quinto comma, Cost., a tenore  del  quale
«[p]er  promuovere  lo  sviluppo  economico,   la   coesione   e   la
solidarieta'  sociale,  per  rimuovere  gli  squilibri  economici   e
sociali,  per  favorire  l'effettivo  esercizio  dei  diritti   della
persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle
loro funzioni,  lo  Stato  destina  risorse  aggiuntive  ed  effettua
interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Citta'
metropolitane e Regioni». 
    Questa Corte ha gia' avuto modo  di  indicare  le  condizioni  al
ricorrere delle quali un  finanziamento  statale  puo'  correttamente
ricondursi   all'ambito   di    applicazione    della    disposizione
costituzionale ricordata, condizioni «la cui  assenza  renderebbe  il
ricorso a finanziamenti statali ad hoc "uno  strumento  indiretto  ma
pervasivo di ingerenza  dello  Stato  nell'esercizio  delle  funzioni
degli enti locali, e di sovrapposizione di politiche e  di  indirizzi
governati centralmente a quelli legittimamente decisi  dalle  Regioni
negli ambiti materiali di propria competenza"» (sentenza n.  189  del
2015). 
    Anzitutto, deve trattarsi di interventi «aggiuntivi  rispetto  al
finanziamento  normale  delle   funzioni   amministrative   spettanti
all'ente territoriale (art. 119, quarto comma,  Cost.)»;  in  secondo
luogo,  tali  interventi  «devono   riferirsi   alle   finalita'   di
perequazione e di garanzia enunciate nella  norma  costituzionale,  o
comunque a "scopi diversi" dal  normale  esercizio  delle  funzioni».
Infine, e' richiesto che le risorse in  questione  siano  indirizzate
«non  gia'  alla  generalita'  degli  enti  territoriali,  bensi'   a
determinati enti  territoriali  o  categorie  di  enti  territoriali»
(sentenza n. 189 del 2015; in senso  conforme,  sentenze  n.  79  del
2014, n. 273, n. 254 e n. 46 del 2013 e n. 176 del 2012). 
    Il fondo di cui si discute presenta le caratteristiche in parola.
Le sue finalita' sono senza dubbio riconducibili  a  quelle  indicate
dall'art. 119, quinto comma,  Cost.,  perche'  ricorre  il  carattere
aggiuntivo delle risorse che esso  mette  a  disposizione,  mirate  a
finanziare  «interventi  speciali  dello  Stato  e  l'erogazione   di
contributi speciali» (cosi' l'art. 4 del d.lgs. n. 88 del 2011).  Gli
interventi a valere sul  fondo,  inoltre,  non  sono  indistintamente
indirizzati a tutte le amministrazioni territoriali: il fondo  stesso
e' infatti ripartito in modo diverso tra le aree del Paese, anzitutto
al  fine  di  consentire  specifici  interventi  nelle  Regioni   del
Mezzogiorno. 
    L'art.  119,  quinto  comma,  Cost.  assegna  genericamente  allo
«Stato»  il  compito  di  soddisfare  le  esigenze  di   riequilibrio
economico e sociale in esso indicate e di  destinare  allo  scopo  le
necessarie risorse di carattere  aggiuntivo  e  speciale.  E'  invece
l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. ad  attribuire  al  solo
legislatore  statale  il  compito  di  disciplinare  tali  forme   di
finanziamento, nell'ambito delle «competenze statali  in  materia  di
perequazione finanziaria» (sentenze n. 143  del  2017  e  n.  16  del
2010).  In  definitiva,  le  due   disposizioni   costituzionali   si
integrano,   componendo   una   chiara   cornice    di    riferimento
costituzionale. 
    Nell'ambito di tale cornice, la  disposizione  ora  in  esame  e'
intervenuta  a  delineare  le  modalita'  di  riclassificazione   dei
documenti  programmatori   relativi   a   tre   distinti   cicli   di
programmazione del FSC.  Come  si  evince  dalla  stessa  disciplina,
l'obiettivo della prescritta attivita' di riordino e' di  «migliorare
il coordinamento unitario e la qualita' degli investimenti» a  valere
sulle risorse del FSC e di «accelerarne la spesa».  La  relazione  di
accompagnamento al disegno di legge di conversione del d.l. n. 34 del
2019 evidenzia infatti come la moltitudine di documenti programmatori
collegati ai tre cicli 2000/2006, 2007/2013 e 2014/2020  necessitasse
di distinte modalita' attuative, di  monitoraggio  e  di  governance,
idonee a «incidere negativamente sulla  capacita'  di  assicurare  il
coordinamento delle politiche di sviluppo e coesione». 
    Per questa ragione, e' stata prevista  la  sostituzione  di  tali
strumenti di programmazione con un unico «Piano sviluppo e  coesione»
per   «ciascuna»   amministrazione   centrale,   Regione   o   Citta'
metropolitana,  garantendosi  «modalita'  unitarie  di   gestione   e
monitoraggio». 
    Il compito di operare la riclassificazione prevista all'art.  44,
comma 1, del d.l. n. 34 del 2019, come convertito,  e  di  sottoporre
all'approvazione del Comitato interministeriale per la programmazione
economica (CIPE) ora Comitato interministeriale per la programmazione
economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS), i nuovi Piani  sviluppo
e  coesione,  e'  stato  affidato   all'Agenzia   per   la   coesione
territoriale, istituita dall'art.  10  del  decreto-legge  31  agosto
2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di  obiettivi
di razionalizzazione nelle  pubbliche  amministrazioni),  convertito,
con modificazioni, nella legge 30 ottobre 2013, n. 125,  appunto  con
l'obiettivo di rafforzare l'azione di programmazione, coordinamento e
sorveglianza nell'ambito delle politiche di coesione. 
    L'Agenzia opera sotto la vigilanza del Ministro delegato  per  la
politica di coesione e ne  fanno  parte  il  direttore  generale,  un
comitato direttivo e un collegio dei revisori dei conti.  L'art.  10,
comma  4,  del  d.l.  n.  101  del  2013,  come  convertito,  prevede
significativamente che nel Comitato direttivo deve essere «assicurata
una adeguata rappresentanza delle amministrazioni territoriali».  Nel
dare  attuazione  a  tale  disposizione,  lo  statuto   dell'Agenzia,
approvato con decreto del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  9
luglio 2014 (Approvazione dello Statuto dell'Agenzia per la  coesione
territoriale), oltre a stabilire che del Comitato direttivo  facciano
parte due dirigenti dei principali settori di attivita' dell'Agenzia,
precisa che i due rappresentanti delle  amministrazioni  territoriali
sono designati dalla  Conferenza  unificata,  uno  in  rappresentanza
delle Regioni e l'altro degli enti locali. 
    Dal quadro normativo descritto emerge che, affidando  all'Agenzia
per la coesione territoriale l'attivita' di  riclassificazione  degli
strumenti di programmazione  del  FSC,  il  legislatore  statale,  in
attuazione di quanto disposto dall'art. 119, quinto comma, Cost.,  ha
esercitato una propria competenza esclusiva, ai sensi dell'art.  117,
secondo comma, lettera e), Cost. 
    Per questa essenziale  ragione  non  e'  fondata  la  censura  di
violazione del principio di leale collaborazione (sentenza n. 196 del
2015). Infatti, per costante giurisprudenza costituzionale,  in  caso
di previsioni legislative riconducibili esclusivamente alla  potesta'
legislativa  statale,  il  ricorso   agli   strumenti   di   raccordo
istituzionale non e' costituzionalmente imposto (sentenze n. 208  del
2020 e n. 137 del 2018). Deve piuttosto ribadirsi che, «in  relazione
ad un intervento statale "speciale" ai sensi  dell'art.  119,  quinto
comma, Cost. [...] spetta al  legislatore  statale  la  scelta  dello
schema procedimentale ritenuto piu' adeguato a assicurare  l'ottimale
realizzazione degli obiettivi di  volta  in  volta  perseguiti  nello
stanziare i relativi fondi» (sentenza n. 189 del 2015). 
    4.2. - Specificamente in relazione ad un intervento "speciale" ai
sensi dell'art. 119, quinto comma, Cost., la previsione di meccanismi
collaborativi con le Regioni e gli  enti  locali  interessati  rimane
dunque una opzione che il  legislatore  statale  -  pur  titolare  di
competenza legislativa esclusiva, ex art. 117, secondo comma, lettera
e), Cost. - «puo' opportunamente considerare» (sentenza  n.  104  del
2021). 
    E'  quel  che  e'  avvenuto,  del  resto,  nella  disciplina   in
discussione, che ha effettivamente previsto forme  di  coinvolgimento
di tal genere, non solo  nel  delineare  la  specifica  attivita'  di
riclassificazione demandata all'Agenzia per la coesione territoriale,
ma anche  riguardo  alle  fasi  procedimentali  a  questa  collegate,
destinate  alle  scelte  circa  l'impiego  e  la  ripartizione  della
dotazione finanziaria del FSC e alla individuazione degli  interventi
cui destinare le relative risorse. 
    Con riferimento all'ultimo ciclo  di  programmazione  considerato
dalla disposizione censurata (2014-2020), l'art. 1, commi  da  703  a
706, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
di  stabilita'  2015)»,  ha  anzitutto  stabilito  che  la  dotazione
finanziaria del FSC sia impiegata per obiettivi strategici relativi a
tematiche   nazionali   individuate   in   collaborazione   con    le
amministrazioni interessate e sentita la Conferenza permanente per  i
rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento  e
di Bolzano (art. 1, comma 703, lettera  b).  Inoltre,  gli  specifici
piani operativi sono definiti da una «Cabina di regia» composta anche
da rappresentanti degli enti territoriali (art. 1, comma 703, lettera
c, nonche' art. 2, comma 1, del decreto del Presidente del  Consiglio
dei ministri 25 febbraio 2016, recante «Istituzione della  Cabina  di
regia di cui all'articolo 1, comma 703, lettera  c,  della  legge  23
dicembre  2014,  n.  190»).  Ancora,  per  la   realizzazione   degli
interventi e' prevista la possibilita' di stipulare appositi  accordi
istituzionali con le Regioni e le amministrazioni competenti (art. 1,
comma  703,  lettera  g,  della  legge  n.  190  del  2014;   nonche'
deliberazione del Comitato interministeriale  per  la  programmazione
economica del 10 agosto  2016,  n.  26,  recante  «Fondo  sviluppo  e
coesione 2014-2020: Piano per il Mezzogiorno. Assegnazione risorse»). 
    Come accennato, le amministrazioni territoriali vengono coinvolte
nella  stessa   procedura   di   riclassificazione   prevista   dalla
disposizione impugnata (art.  44  del  d.l.  n.  34  del  2019,  come
convertito), procedura che, peraltro, per le gia' indicate  finalita'
di  riordino  e  razionalizzazione  dei   molteplici   strumenti   di
programmazione esistenti, necessita con evidenza di essere diretta  e
coordinata a livello centrale. 
    Infatti,  anche  se  non  e'   piu'   prevista   l'intesa,   tali
amministrazioni   sono   sentite   dall'Agenzia   per   la   coesione
territoriale nella procedura di  riclassificazione,  funzionale  alla
elaborazione del citato  «Piano  sviluppo  e  coesione»  destinato  a
sostituire  i  numerosi   documenti   programmatori   precedentemente
adottati (art. 44, comma 1, del d.l. 34 del 2019, come convertito). 
    Le  amministrazioni   in   parola   vedono   comunque   garantita
continuita' ai contenuti di tali precedenti documenti, pur  destinati
ad essere sostituiti: ancora il comma 1 dell'art. 44 citato  dispone,
infatti, che la sostituzione avvenga «tenendo conto degli  interventi
ivi inclusi». 
    Ancora, esse sono «sentite» nei casi di cui all'art. 44, comma 7,
con riferimento a quegli interventi che, pur  non  ancora  dotati  di
progettazione esecutiva o con procedura  di  aggiudicazione  avviata,
potranno essere inseriti nel «Piano sviluppo e coesione», in sede  di
prima approvazione, se «valutati favorevolmente» dal Dipartimento per
le  politiche  di  coesione  della   Presidenza   del   Consiglio   e
dall'Agenzia per la coesione territoriale. 
    In   quanto   titolari   dei   piani   operativi    oggetto    di
riclassificazione, le  amministrazioni  in  parola  restano  comunque
«responsabil[i]», tra l'altro, «della selezione degli interventi,  in
sostituzione di quelli che  risultavano  gia'  finanziati  [e]  della
vigilanza sulla attuazione dei singoli interventi»  (art.  44,  comma
8). 
    Costituiscono, inoltre,  i  comitati  di  sorveglianza  cui  sono
attribuite ulteriori funzioni di attuazione e valutazione  dei  piani
operativi (art. 44, commi 2 e 3). 
    Possono,  infine,  esprimere  la  propria   posizione   in   seno
all'Agenzia per la coesione territoriale, il cui comitato  direttivo,
come si e' detto, prevede la loro partecipazione (art.  4,  comma  3,
dello Statuto dell'Agenzia - approvato con d.P.C.m. 9 luglio 2014). 
    Risulta, in definitiva, che le amministrazioni  interessate  sono
ampiamente  coinvolte  nelle  varie  attivita'   di   programmazione,
gestione e attuazione delle diverse azioni finanziate con il FSC. 
    5.- Con un secondo gruppo di censure,  la  Regione  Siciliana  ha
impugnato l'art. 1, comma 316, lettera a), della  legge  n.  160  del
2019, nella parte in cui  modifica  l'art.  4  del  decreto-legge  20
giugno 2017, n. 91 (Disposizioni urgenti per  la  crescita  economica
nel Mezzogiorno), convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto
2017, n. 123. 
    La  disposizione  censurata  stabilisce  che  il  «soggetto   per
l'amministrazione  dell'area  ZES»  (Zona  economica  speciale)   «e'
identificato in un Comitato di indirizzo composto da  un  commissario
straordinario del Governo, nominato ai sensi dell'articolo  11  della
legge 23 agosto 1988, n. 400, che lo presiede». 
    Secondo la ricorrente, tale previsione violerebbe  gli  «articoli
14, 17 e 20 dello Statuto della Regione Siciliana» nonche', anche «in
riferimento all'art. 10 della legge costituzionale n.  3  del  2001»,
gli «articoli 5, 118, 119 e 120 della Costituzione,  per  la  mancata
attuazione  del  principio  di  leale  collaborazione  dagli   stessi
sancito». 
    La previgente disciplina stabiliva che a presiedere  il  Comitato
di indirizzo fosse il Presidente dell'Autorita' di  sistema  portuale
(di seguito: AdSP), nominato, ai sensi dell'art.  8  della  legge  28
gennaio  1994,  n.  84  (Riordino  della  legislazione   in   materia
portuale),  dal  Ministro  delle  infrastrutture  e   dei   trasporti
«d'intesa  con  il  Presidente   o   i   Presidenti   della   Regione
interessata». 
    Nella prospettiva della ricorrente, questa procedura garantiva la
partecipazione  regionale   alla   decisione:   sarebbero,   infatti,
l'importanza strategica delle Zone economiche speciali  (di  seguito:
ZES) e le loro rilevanti funzioni, da un lato, la molteplicita' delle
competenze regionali coinvolte dalla loro istituzione e operativita',
dall'altro, a evidenziare la necessita' che la «direzione al  vertice
[...]  sia  il  frutto  di  una  codeterminazione  con   la   Regione
richiedente l'istituzione della singola Zona». 
    6.- Preliminarmente a  qualunque  considerazione  di  merito,  va
osservato che, in prossimita' dell'udienza di fronte a questa  Corte,
il legislatore ha sensibilmente  modificato  la  disciplina  relativa
alla composizione del Comitato di indirizzo e, in  particolare,  alle
modalita' di nomina del commissario straordinario del Governo. 
    L'art. 57, comma 1, lettera a), numero 1), del  decreto-legge  31
maggio 2021, n. 77 (Governance  del  Piano  nazionale  di  ripresa  e
resilienza  e  prime  misure   di   rafforzamento   delle   strutture
amministrative e di accelerazione  e  snellimento  delle  procedure),
successivamente convertito, con modificazioni, nella legge 29  luglio
2021, n. 108, ha infatti soppresso, quanto a  tali  ultime  modalita'
(previste all'art. 4,  comma  6,  del  d.l.  n.  91  del  2017,  come
convertito), il riferimento alla procedura prevista all'art. 11 della
legge n. 400 del 1988. 
    Inoltre, l'art. 57, comma 1, lettera a), numero 2), del  medesimo
d.l. ha inserito - dopo il citato comma 6 dell'art. 4 del d.l. n.  91
del 2017 - un comma 6-bis, ai cui sensi alla nomina  del  commissario
si procede «con decreto del Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
adottato  su  proposta  del  Ministro  per  il  sud  e  la   coesione
territoriale, d'intesa con il Presidente della Regione interessata». 
    In caso di mancato perfezionamento  dell'intesa  nel  termine  di
sessanta giorni dalla proposta, si prevede che «il  Ministro  per  il
sud e la coesione territoriale sottopone la  questione  al  Consiglio
dei ministri che provvede con deliberazione motivata». 
    Si stabilisce, infine, che «[i] Commissari nominati  prima  della
data di entrata in vigore della presente  disposizione  cessano,  ove
non confermati, entro sessanta giorni dalla medesima data». 
    7.- La descritta disciplina presenta con ogni evidenza  carattere
satisfattivo delle doglianze mosse con il ricorso. 
    La Regione Siciliana lamenta, infatti, che il principio di  leale
collaborazione  sarebbe  leso  dalla  scelta  di  far  presiedere  il
Comitato di indirizzo della ZES da un soggetto nominato «al di  fuori
di qualsiasi intesa» con  la  Regione  interessata.  Le  disposizioni
sopravvenute, viceversa, introducono una nuova procedura  di  nomina,
nel cui ambito e' proprio prevista un'intesa con il Presidente  della
Regione interessata, cio' che elide l'asserita lesione del  principio
di leale collaborazione e soddisfa la pretesa della ricorrente. 
    Inoltre, l'originaria disciplina oggetto di impugnazione  non  e'
stata  applicata  con  riferimento  a  ZES  istituite  nella  Sicilia
occidentale e in quella orientale, come attestato  dalla  circostanza
che, alla data di entrata in vigore dell'art. 57 del d.l. n.  77  del
2021, nella Gazzetta Ufficiale non risultava  pubblicata  la  notizia
del conferimento, con decreti del Presidente  della  Repubblica,  dei
relativi incarichi, come invece previsto dall'art. 11 della legge  n.
400 del 1988 (mentre risultano pubblicate le  notizie  relative  alle
nomine dei  commissari  straordinari  relativi  a  ZES  istituite  in
Regioni diverse). 
    La censura regionale e' divenuta, cosi', priva di  attualita'  ed
effettivita'.  Ne  consegue  l'inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale per  sopravvenuta  carenza  di  interesse
della Regione Siciliana a coltivare il ricorso (sentenza n.  141  del
2016, punto 5.1. del Considerato in diritto). 
    8.- La Regione Siciliana ha, infine, impugnato l'art. 1, commi da
634 a 658 e da 661 a 676, della legge n. 160 del 2019. Con  tali  due
gruppi di disposizioni, sono istituite e disciplinate, da una  parte,
l'imposta sul consumo dei  «manufatti  con  singolo  impiego»  aventi
funzione di contenimento, protezione o consegna di merci  e  prodotti
alimentari  e,  dall'altra,  l'imposta  sul  consumo  delle   bevande
analcoliche «edulcorate». 
    Secondo la ricorrente, in entrambi i casi la disciplina impugnata
violerebbe «gli articoli 117, terzo comma e 119 della Costituzione ed
art. 36 dello Statuto della Regione Siciliana e  correlate  norme  di
attuazione di cui al  D.P.Reg.  [recte:  d.P.R.]  n.  1074/1965,  con
riferimento  al  contrasto  con  gli  articoli  3,  41  e  53   della
Costituzione». 
    Il legislatore avrebbe in particolare ecceduto  il  limite  della
ragionevolezza e violato i principi  di  capacita'  contributiva,  di
uguaglianza e di liberta' di iniziativa economica.  I  tributi  cosi'
illegittimamente introdotti sarebbero infatti  destinati  a  produrre
una notevole riduzione del fatturato delle aziende  che  operano  nel
comparto, al punto da potersi prospettare rischi di  abbandono  della
produzione   o   di   sua   delocalizzazione    fuori    dall'Italia.
L'illegittimita'  costituzionale  della  disciplina  istitutiva   dei
tributi in esame, questo appare il nucleo della censura, ridonderebbe
pertanto in lesione dell'autonomia finanziaria regionale,  stante  la
presenza di  imprese  del  settore  aventi  sede  o  stabilimenti  in
Sicilia. 
    8.1.- Le questioni sono inammissibili, sotto plurimi profili. 
    La ricorrente lamenta che le disposizioni  statali  violerebbero,
tra l'altro, gli artt. 3, 41 e 53 Cost., evocando dunque, insieme  ad
altri,  parametri  costituzionali  non  attinenti  al  riparto  delle
competenze legislative. Tale violazione determinerebbe, da  un  lato,
la lesione dell'autonomia finanziaria  della  Regione,  a  causa  del
minor gettito fiscale derivante da quelle disposizioni, dall'altro la
generica  violazione  di  competenze  legislative  e   amministrative
regionali (come gia' ricordato, vengono evocati  «gli  articoli  117,
terzo comma, e 119 della Costituzione»). 
    Per costante giurisprudenza di  questa  Corte,  le  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate dalle Regioni in riferimento  a
parametri  non  attinenti  al  riparto  delle  competenze  statali  e
regionali  sono  ammissibili  al  ricorrere   di   due   concomitanti
condizioni: in primo luogo, la ricorrente deve individuare gli ambiti
di competenza regionale - legislativa, amministrativa o finanziaria -
incisi  dalla   disciplina   statale,   indicando   le   disposizioni
costituzionali sulle quali, appunto, trovano  fondamento  le  proprie
competenze  in  tesi   indirettamente   lese;   in   secondo   luogo,
l'illustrazione del cosiddetto vizio  di  ridondanza  non  dev'essere
apodittica,   bensi'   adeguatamente   motivata,   in   ordine   alla
sussistenza, nel caso oggetto di giudizio, di un titolo di competenza
regionale rispetto all'oggetto regolato dalla legge statale (sentenze
n. 56 del 2020, n. 194 del 2019, n. 198 del 2018 e n. 145 del 2016). 
    Nel caso di specie, nessuna di tali condizioni e'  soddisfatta  e
la  pretesa  violazione  dei  parametri  costituzionali  evocati  non
presenta, nei termini esposti  dalla  ricorrente,  alcun  profilo  di
ridondanza  rispetto  a  sfere   di   competenza   costituzionalmente
attribuite alla Regione. 
    Quest'ultima, in primo  luogo,  si  limita  a  segnalare  che  le
disposizioni impugnate, in quanto lesive  degli  artt.  3,  41  e  53
Cost., violerebbero genericamente gli artt. 117, terzo comma,  e  119
Cost., nonche' l'art. 36 dello statuto reg. Siciliana, ed ancora,  ma
senza indicare le specifiche disposizioni  asseritamente  incise,  le
norme di cui al d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme  di  attuazione
dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria). 
    La ricorrente, in secondo  luogo,  nemmeno  menziona  l'implicito
presupposto dell'intera censura,  cioe'  la  spettanza  alla  Regione
Siciliana di buona parte delle entrate tributarie  erariali  riscosse
nel territorio della stessa Regione, proprio ai sensi del  d.P.R.  n.
1074 del 1965. 
    Si limita, in terzo luogo,  ad  affermare,  sulla  base  di  mere
valutazioni prognostiche, che le nuove  imposte  erariali  introdotte
incideranno negativamente sulla produzione delle aziende operanti nei
settori da tali imposte rispettivamente interessati. 
    In quarto luogo, nulla argomenta circa l'eventuale  rilievo,  nel
presente giudizio, della disciplina prevista dall'art. 2  del  citato
d.P.R. n. 1074 del 1965, che riserva allo Stato le entrate  derivanti
dalle  «imposte  di  produzione»,  essendo  al  contrario  importante
comprendere,  proprio  nel  presente   caso,   se   le   imposte   in
contestazione rientrino o meno nell'ambito di  tale  definizione,  e,
quindi, se le entrate ad esse relative siano o meno annoverabili  tra
quelle spettanti alla Regione Siciliana. 
    A fronte della ricostruzione assai carente del  quadro  normativo
offerta  dalla  ricorrente,  si  staglia  il  dato  emergente   dalla
giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la  disciplina  impugnata
rientra pacificamente nella competenza esclusiva statale  in  materia
di «sistema tributario», di cui all'art. 117, secondo comma,  lettera
e), Cost.