ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 438,  comma
1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto  dall'art.  1,
comma  1,  lettera  a),  della  legge   12   aprile   2019,   n.   33
(Inapplicabilita' del giudizio abbreviato ai delitti  puniti  con  la
pena dell'ergastolo), promosso dal Giudice  dell'udienza  preliminare
del Tribunale ordinario di Foggia nel procedimento penale a carico di
M.R. M., con ordinanza del 14 luglio 2020, iscritta  al  n.  140  del
registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti l'atto di  costituzione  di  M.R.  M.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  19  ottobre  2021  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    uditi l'avvocato Michele Curtotti per M.R. M. e l'avvocato  dello
Stato Agnese Soldani per il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
entrambi in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto
del Presidente della Corte del 18 maggio 2021; 
    deliberato nella camera di consiglio del 20 ottobre 2021. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 14 luglio  2020,  pervenuta  alla
cancelleria  di  questa  Corte  il  25  agosto   2021,   il   Giudice
dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  ordinario  di  Foggia   ha
sollevato questione di legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 438, comma 1-bis, del codice
di procedura penale, come introdotto dall'art. 1,  comma  1,  lettera
a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilita' del  giudizio
abbreviato ai delitti puniti con  la  pena  dell'ergastolo),  «quanto
meno nella parte in cui non contempla (e  quindi  non  fa  salva)  la
possibilita' per l'imputato di  accedere  al  rito  abbreviato  nelle
ipotesi in cui ricorrano dati  fattuali  certi  riferibili  al  fatto
(modalita'   oggettive   della   condotta)   ovvero   alla    persona
dell'imputato (quale nel caso in esame, il vizio parziale di  mente),
che consentano di ipotizzare, sul  piano  del  giudizio  prognostico,
l'irrogazione,  in  caso   di   condanna,   di   una   pena   diversa
dall'ergastolo»; 
    che il rimettente si trova a vagliare la  richiesta  di  giudizio
abbreviato formulata da una donna imputata, tra l'altro, del  delitto
di cui agli artt. 575 e 577,  primo  comma,  numero  1),  del  codice
penale, per avere cagionato la morte del coniuge legalmente separato; 
    che lo stesso capo di imputazione  evidenzia,  peraltro,  che  il
fatto sarebbe stato commesso in presenza della circostanza attenuante
del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 cod. pen.; 
    che, osserva il rimettente, la richiesta di  giudizio  abbreviato
sarebbe  inammissibile  ai  sensi   della   disposizione   censurata,
trattandosi  di  delitto   astrattamente   punibile   con   la   pena
dell'ergastolo; 
    che, tuttavia, il giudice a quo dubita della compatibilita' della
disposizione stessa con l'art. 3 Cost.; 
    che il rimettente richiama anzitutto l'ordinanza n. 455 del 2006,
in cui questa Corte, pur riconoscendo che la previsione normativa  di
preclusioni  a  riti  premiali  per  alcuni  reati  e'   «espressione
dell'ampia discrezionalita' di cui il legislatore gode», ha  altresi'
affermato  che  tale  discrezionalita'  incontra  il  «limite   della
manifesta irragionevolezza delle soluzioni adottate»; 
    che la norma censurata introdurrebbe per  l'appunto  nel  sistema
«una  disarmonia  (apprezzabile   in   termini   di   disparita'   di
trattamento) non sorretta da ragionevole giustificazione»; 
    che  il  vulnus  costituzionale  denunciato  dal  rimettente   si
apprezzerebbe sotto un triplice profilo; 
    che,  in  primo  luogo,  la  norma  determinerebbe  irragionevoli
equiparazioni sanzionatorie tra fatti  aventi  disvalore  differente,
perche' «identificando i delitti puniti con  la  pena  dell'ergastolo
con i reati piu' gravi  che  destano  maggior  allarme  sociale»,  il
legislatore accomunerebbe «nella medesima presunzione di gravita'  ed
allarme sociale, assoggettandole alla stessa preclusione, fattispecie
in realta'  differenti  tra  loro  che  non  presentano  il  medesimo
disvalore»: dal delitto di omicidio volontario aggravato - che a  sua
volta contempla ipotesi profondamente eterogenee - a fatti del  tutto
diversi quali la strage, l'epidemia,  il  traffico  di  esseri  umani
aggravato, il sequestro  di  persona  a  scopo  di  estorsione  o  di
terrorismo cui segua la morte, i crimini di guerra, nonche' i delitti
commessi  ai  danni  della  personalita'   dello   Stato   e   contro
l'incolumita' pubblica; 
    che, in secondo luogo, la norma censurata  darebbe  luogo  a  una
disparita' di trattamento sanzionatorio tra  fatti  aventi  disvalore
omogeneo, esemplificata dal  confronto  tra  le  ipotesi  punite  con
l'ergastolo riconducibili al primo comma dell'art. 577 cod. pen., che
comprendono oggi l'omicidio del  coniuge  anche  legalmente  separato
(rispetto  al  quale  e'  precluso  il   giudizio   abbreviato,   con
conseguente impossibilita' di beneficiare della riduzione di pena  in
caso di condanna), e quelle di cui al secondo comma,  punite  con  la
pena da ventiquattro a  trent'anni  di  reclusione,  che  comprendono
l'omicidio del coniuge divorziato (ipotesi per la quale  il  giudizio
abbreviato e' invece ammissibile,  con  conseguente  possibilita'  di
ottenere il relativo sconto di pena in caso di condanna); 
    che,  in  terzo  luogo,  la  violazione  dell'art.  3  Cost.   si
coglierebbe  con  particolare  evidenza  nelle  ipotesi  in  cui   la
comminatoria legislativa della pena dell'ergastolo  consegue  -  come
nel caso oggetto del giudizio a  quo  -  alla  contestazione  di  una
circostanza aggravante, che e' suscettibile, in caso di concorso  con
eventuali attenuanti (come il vizio parziale di mente), di potenziale
elisione all'esito del giudizio di bilanciamento di cui  all'art.  69
cod.  pen.,  con  conseguente  applicazione  della  sola  pena  della
reclusione; 
    che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  e
comunque non fondata; 
    che  l'inammissibilita'  discenderebbe  in  primo  luogo  da  una
incongruenza tra la motivazione e il  dispositivo  dell'ordinanza  di
rimessione, poiche' gli esatti termini della questione  proposta  non
risulterebbero essere stati riprodotti nella  parte  dispositiva  del
provvedimento in questione; 
    che, inoltre, il  giudice  rimettente  muoverebbe  da  un  errato
presupposto interpretativo, avendo omesso di  considerare  che  -  in
forza del tenore letterale dell'art. 429, comma 1, lettera  c),  cod.
proc. pen., come interpretato anche nella sentenza n. 112 del 1994 di
questa Corte - le circostanze  attenuanti  di  qualsiasi  natura  non
rientrano nella contestazione del fatto, e non operano sino a  quando
la loro ricorrenza non sia stata accertata in giudizio; 
    che nel merito la questione sarebbe comunque infondata, in quanto
i profili di asserita  illegittimita'  costituzionale  lamentati  dal
rimettente sarebbero gia' stati esaminati ed esclusi da questa  Corte
nella sentenza n. 260 del 2020; 
    che l'imputata si e' costituita in giudizio a mezzo  del  proprio
difensore, aderendo agli argomenti  dell'ordinanza  di  rimessione  e
concludendo  nel  senso  della   fondatezza   della   questione   ivi
prospettata. 
    Considerato che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice
dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  ordinario  di  Foggia   ha
sollevato questione di legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 438, comma 1-bis, del codice
di procedura penale, come introdotto dall'art. 1,  comma  1,  lettera
a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilita' del  giudizio
abbreviato ai delitti puniti con  la  pena  dell'ergastolo),  «quanto
meno» nella parte in cui non  consente  all'imputato  di  un  delitto
astrattamente punibile con l'ergastolo di essere giudicato  con  rito
abbreviato quando sia possibile ipotizzare, sulla base di dati  certi
relativi al fatto o alla persona dell'imputato, l'irrogazione di  una
pena diversa dall'ergastolo in caso di condanna; 
    che le eccezioni di  inammissibilita'  sollevate  dall'Avvocatura
generale dello Stato non sono fondate; 
    che,  innanzitutto,  non  sussiste  alcuna  incongruenza  tra  la
motivazione e il dispositivo dell'ordinanza di rimessione, posto  che
la presunta discrepanza tra i due puo' agevolmente risolversi tramite
gli ordinari criteri ermeneutici (sentenza n. 82 del 2020),  leggendo
il secondo anche alla  luce  della  prima,  nella  parte  in  cui  la
medesima rivela l'effettiva volonta' del giudice; 
    che dal tenore complessivo dell'ordinanza  di  rimessione  emerge
infatti chiaramente che  il  giudice  a  quo  auspica  una  pronuncia
ablativa   della   disposizione   censurata,   in   quanto   ritenuta
integralmente in contrasto con l'art. 3 Cost., prospettando  solo  in
via residuale - e dunque, in via logicamente subordinata -  l'ipotesi
di  una  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  parziale,
riferita al solo caso  in  cui  possa  ipotizzarsi  l'irrogazione  in
concreto di una pena diversa dall'ergastolo; 
    che, in secondo luogo, detta ordinanza non poggia nemmeno  su  di
un errato presupposto interpretativo, e in particolare sulla  fallace
convinzione che una  circostanza  attenuante  indicata  nel  capo  di
imputazione possa "operare" gia' prima  che  la  sua  ricorrenza  sia
stata accertata in giudizio; 
    che, al contrario, il rimettente si duole proprio del  fatto  che
di tale circostanza, gia' indicata nella contestazione  del  pubblico
ministero, l'assetto normativo attuale non permetta di tener conto ai
fini della decisione sulla ammissibilita'  dell'istanza  di  giudizio
abbreviato avanzata dall'imputato in udienza preliminare; 
    che,  nel  merito,  la  questione  e'   tuttavia   manifestamente
infondata; 
    che, infatti, identica questione e' stata ritenuta non fondata da
questa  Corte  con  la  sentenza  n.  260   del   2020,   pronunciata
successivamente rispetto all'ordinanza che ha sollevato la  questione
ora all'esame; 
    che, quanto alla denunciata  disparita'  di  trattamento  tra  la
fattispecie di omicidio del coniuge separato (punita con  l'ergastolo
ai sensi dell'art. 577, primo comma, del codice penale) e  quella  di
omicidio del coniuge divorziato (punita con la  reclusione  pari  nel
massimo a trenta anni ai sensi dell'art.  577,  secondo  comma,  cod.
pen.),  questa  Corte  ha  gia'  osservato  che  «la  disparita'   di
trattamento deriva [...] direttamente dalla scelta legislativa  -  in
questa sede non censurata - che si situa "a monte"  della  disciplina
del giudizio abbreviato», e cioe'  dalla  scelta  di  prevedere  pene
diverse per i due fatti. «[L]a presenza o l'assenza di preclusioni al
giudizio  abbreviato  nelle  due   ipotesi   costituisce   una   mera
conseguenza accessoria [...] della diversa comminatoria edittale  per
le due ipotesi» (sentenza n. 260 del 2020, punto 7.5. del Considerato
in diritto); 
    che   parimenti,   rispetto   alla    denunciata    irragionevole
equiparazione tra fatti aventi disvalore differente, accomunati  solo
dalla comminatoria astratta della  pena  perpetua  ma  espressivi  in
concreto di una gravita' diversa, deve ribadirsi che  la  preclusione
dell'accesso al  giudizio  costituisce  null'altro  che  il  riflesso
processuale della previsione edittale della pena  dell'ergastolo  per
quelle ipotesi criminose, previsione che non e' oggetto di censura da
parte del rimettente; 
    che infine, quanto al  meccanismo  normativo  che  riconnette  il
divieto di giudizio abbreviato alla comminatoria astratta della  pena
dell'ergastolo, deve riaffermarsi la non manifesta irragionevolezza o
arbitrarieta' di tale scelta legislativa (sentenza n. 260 del 2020 e,
in precedenza, ordinanza n. 163 del 1992); 
    che, infatti, la previsione della pena dell'ergastolo esprime «un
giudizio di speciale disvalore della figura astratta del reato che il
legislatore, sulla base di una valutazione discrezionale che  non  e'
qui oggetto di censure, ha ritenuto di formulare»  (sentenza  n.  260
del 2020, punto 7.4. del Considerato in diritto); 
    che la scelta legislativa  in  questa  sede  censurata  non  puo'
essere considerata manifestamente irragionevole o arbitraria  nemmeno
nell'ipotesi in cui la circostanza  aggravante  dalla  quale  dipende
l'applicabilita'   dell'ergastolo   sia   ritenuta   equivalente    o
soccombente rispetto a una  circostanza  attenuante,  come  il  vizio
parziale di mente, con conseguente irrogazione  in  concreto  di  una
pena detentiva temporanea; 
    che, in proposito, questa Corte ha gia' osservato nella  sentenza
n. 260 del 2020 come sia dotata di  una  «solida  ragionevolezza»  la
regola, prevista in via generale dall'art. 4 cod. proc. pen e seguita
anche dall'art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., in base alla quale
il legislatore «fa dipendere la scelta  relativa  all'applicazione  o
non applicazione di un dato istituto - qui, il giudizio abbreviato  -
dalla sussistenza di una circostanza aggravante che,  comminando  una
pena distinta da quella prevista per la fattispecie base - nel nostro
caso, la pena dell'ergastolo  anziche'  quella  della  reclusione  -,
esprime  un  giudizio  di  disvalore   della   fattispecie   astratta
marcatamente  superiore  a  quello  che  connota  la   corrispondente
fattispecie non aggravata; e cio' indipendentemente dalla sussistenza
nel caso concreto di circostanze attenuanti, che ben potranno  essere
considerate dal giudice quando, in esito al giudizio,  irroghera'  la
pena nel caso di condanna» (sentenza n. 260 del 2020, punto 7.5.  del
Considerato in diritto).