ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  18  della
legge della Regione Puglia 1° agosto 2003, n.  11  (Nuova  disciplina
del commercio), come modificato e integrato dall'art. 12 della  legge
della Regione Puglia 7  maggio  2008,  n.  5,  recante  «Modifiche  e
integrazioni alla legge  regionale  1°  agosto  2003,  n.  11  (Nuova
disciplina del  commercio)»,  promossi  dalla  Corte  di  cassazione,
sezione seconda civile, con due ordinanze del  30  e  del  18  giugno
2020, iscritte, rispettivamente, ai numeri 155  e  163  del  registro
ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
numeri 46 e 48, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di costituzione della Tata Italia spa; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  5  ottobre  2021  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    udito l'avvocato Felice Eugenio Lorusso per la Tata  Italia  spa,
in collegamento da remoto, ai sensi del  punto  1)  del  decreto  del
Presidente della Corte del 18 maggio 2021; 
    deliberato nella camera di consiglio del 6 ottobre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con due ordinanze, di analogo tenore, del 30 e del 18  giugno
2020 (rispettivamente, reg. ord. n. 155 e n. 163 del 2020), la  Corte
di cassazione, sezione seconda  civile,  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 18 della  legge  della  Regione
Puglia 1° agosto 2003, n. 11 (Nuova disciplina del  commercio),  come
modificato e integrato dall'art. 12 della legge della Regione  Puglia
7 maggio 2008, n. 5, recante «Modifiche  e  integrazioni  alla  legge
regionale 1° agosto 2003, n. 11 (Nuova disciplina del commercio)». 
    Tale disposizione e' censurata  nelle  parti  in  cui  disciplina
l'obbligo della chiusura domenicale  degli  esercizi  di  vendita  al
dettaglio e indica le fattispecie in cui e' possibile derogarvi. 
    Ponendo limiti e  prescrizioni  alle  aperture  domenicali,  essa
invaderebbe,  ad  avviso  dei  giudici  rimettenti,   la   competenza
legislativa  esclusiva  dello  Stato  nella  materia  «tutela   della
concorrenza», ledendo quindi l'art. 117, secondo comma,  lettera  e),
della Costituzione,  in  quanto  si  porrebbe  in  contrasto  con  la
previsione della piena liberalizzazione dei giorni di apertura  degli
esercizi commerciali introdotta dall'art. 3, comma 1, lettera d-bis),
del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per  il
rilancio  economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e   la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248, nella  formulazione
risultante dalle modifiche ad esso apportate dall'art. 31,  comma  1,
del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per
la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti  pubblici),
convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n.  214.
Norma, questa, a mente della quale «le  attivita'  commerciali,  come
individuate dal decreto legislativo 31  marzo  1998,  n.  114,  e  di
somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza  i  seguenti
limiti e prescrizioni: [...]  d-bis),  il  rispetto  degli  orari  di
apertura  e  di  chiusura,  l'obbligo  della  chiusura  domenicale  e
festiva,  nonche'   quello   della   mezza   giornata   di   chiusura
infrasettimanale dell'esercizio». 
    2.- Nel giudizio iscritto al  reg.  ord.  n.  155  del  2020,  il
Collegio rimettente riferisce di essere  investito  dell'impugnazione
della sentenza  d'appello  di  rigetto  dell'opposizione  avverso  il
provvedimento  di  irrogazione  di  una  sanzione  amministrativa  in
conseguenza  della  violazione,  commessa  il   1°   febbraio   2009,
dell'obbligo  di  chiusura  domenicale  degli  esercizi   commerciali
stabilito dalla norma censurata. 
    Analogamente, nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 163 del 2020,
la Corte di cassazione e' chiamata a decidere sul ricorso avverso  la
sentenza d'appello che aveva confermato la decisione di prime cure di
rigetto dell'opposizione all'ordinanza-ingiunzione emessa  a  seguito
della contestazione dell'apertura di un esercizio commerciale in  una
domenica del mese di aprile del 2009. 
    3.-  In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  i   rimettenti
innanzitutto osservano che secondo questa  Corte  (e'  richiamata  la
sentenza n. 239 del  2016)  l'evocata  norma  interposta,  in  quanto
funzionale ad assicurare la liberalizzazione degli orari e dei giorni
di apertura delle attivita'  commerciali  e  di  somministrazione  di
alimenti e bevande, sarebbe ascrivibile alla  competenza  legislativa
esclusiva  dello  Stato  in  materia  di  tutela  della  concorrenza:
sarebbero pertanto illegittime, per violazione dell'art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost., le disposizioni regionali che - come quella
denunciata - ne attenuano la portata. 
    Sostengono, poi, i giudici a quibus che il principio tempus regit
actum proprio della successione delle leggi  nel  tempo  non  sarebbe
applicabile   in   caso   di    dichiarazione    di    illegittimita'
costituzionale.  Questa,  infatti,  non   essendo   «una   forma   di
abrogazione,  ma  una  conseguenza  dell'invalidita'  della   legge»,
produrrebbe effetti retroattivi, secondo quanto previsto dagli  artt.
136 Cost. e 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), e
investirebbe pertanto  anche  le  fattispecie  oggetto  dei  processi
principali. 
    In ordine alla rilevanza, quindi, i rimettenti evidenziano che  i
provvedimenti  di  cui  si  discute  nei  giudizi  a  quibus  trovano
fondamento nel denunciato art. 18 della legge reg. Puglia n.  11  del
2003, con la conseguenza che, poiche' gli ulteriori motivi di gravame
delle sentenze impugnate sono stati disattesi, solo la caducazione di
tale disposizione consentirebbe l'accoglimento dei ricorsi. 
    4.- Con atti sostanzialmente coincidenti,  si  e'  costituita  in
entrambi i giudizi  la  societa'  Tata  Italia  spa,  ricorrente  nei
processi principali. 
    Per quanto qui  interessa,  la  parte  osserva,  in  ordine  alla
rilevanza delle  questioni,  che  gli  illeciti  dai  quali  traggono
origine le ordinanze-ingiunzione da essa opposte risalgono al 2009  e
sono, pertanto, disciplinati dalla disposizione regionale sospettata,
vigente al momento dei fatti contestati,  in  quanto  la  legge  reg.
Puglia n. 11 del 2003 e' stata abrogata solo nel 2015 (dall'art.  63,
comma 1, lettera a, della legge della Regione Puglia 16 aprile  2015,
n. 24, recante «Codice del commercio»). 
    Nel merito, le  questioni  sarebbero  fondate  alla  stregua  del
costante orientamento di  questa  Corte  che  avrebbe  reiteratamente
ricondotto  il  parametro  interposto  evocato  dai  rimettenti  alla
materia  «tutela  della  concorrenza»,  conseguentemente  dichiarando
illegittime le norme regionali con esso contrastanti. 
    5.- La Regione Puglia non e' intervenuta nei giudizi. 
    6.- In prossimita' dell'udienza, la Tata Italia spa ha depositato
memorie  illustrative  di  identico   contenuto,   insistendo   nella
fondatezza delle questioni sollevate dai giudici a quibus. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con due ordinanze di analogo tenore (reg. ord. n.  155  e  n.
163 del 2020), la Corte di cassazione, sezione seconda civile, dubita
della legittimita' costituzionale  dell'art.  18  della  legge  della
Regione  Puglia  1°  agosto  2003,  n.  11  (Nuova   disciplina   del
commercio), come modificato e  integrato  dall'art.  12  della  legge
della Regione Puglia 7  maggio  2008,  n.  5,  recante  «Modifiche  e
integrazioni alla legge  regionale  1°  agosto  2003,  n.  11  (Nuova
disciplina del commercio)». 
    2.- Tale disposizione e' censurata nelle parti in cui  disciplina
l'obbligo della chiusura domenicale  degli  esercizi  di  vendita  al
dettaglio e indica le fattispecie in cui e' possibile derogarvi. 
    Ponendo limiti e  prescrizioni  alle  aperture  domenicali,  essa
recherebbe un vulnus all'art. 117, secondo comma, lettera  e),  della
Costituzione, in relazione alla materia «tutela  della  concorrenza»,
in   quanto   contrasterebbe   con   la   previsione   della    piena
liberalizzazione dei giorni di apertura  degli  esercizi  commerciali
dettata dall'art. 3, comma 1, lettera  d-bis),  del  decreto-legge  4
luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e
sociale, per il  contenimento  e  la  razionalizzazione  della  spesa
pubblica, nonche' interventi in materia di  entrate  e  di  contrasto
all'evasione fiscale), convertito, con modificazioni, nella  legge  4
agosto 2006, n. 248, nella formulazione risultante dalle modifiche ad
esso apportate dall'art. 31, comma 1, del  decreto-legge  6  dicembre
2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 22 dicembre 2011, n. 214. 
    Il parametro interposto  evocato  stabilisce  che  «le  attivita'
commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo  1998,
n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza
i seguenti limiti e prescrizioni: [...]  d-bis),  il  rispetto  degli
orari di apertura e di chiusura, l'obbligo della chiusura  domenicale
e  festiva,  nonche'  quello  della  mezza   giornata   di   chiusura
infrasettimanale dell'esercizio». 
    Questa norma, entrata in vigore il 6 dicembre 2011, ad avviso dei
rimettenti  sarebbe  riconducibile   alla   materia   «tutela   della
concorrenza»,  con  la  conseguenza  di  rendere   costituzionalmente
illegittime le norme regionali recanti  vincoli  e  limiti  con  essa
confliggenti. 
    2.1.-  Nei  giudizi  principali,  peraltro,  si   discute   della
legittimita'  di  sanzioni  amministrative  irrogate  a  seguito   di
violazioni dell'obbligo di chiusura domenicale commesse nel 2009. 
    In stretta correlazione  con  le  fattispecie  sulle  quali  sono
chiamati a decidere - che riguardando  sanzioni  amministrative  sono
assoggettate, in linea generale, alla legge vigente al momento  della
condotta illecita - i  rimettenti,  in  sostanza,  ritengono  che  il
dedotto contrasto tra la disposizione regionale  censurata  e  quella
statale evocata comporti l'illegittimita' costituzionale della  prima
sin dal momento del suo ingresso nell'ordinamento e, in  particolare,
nel periodo precedente all'entrata in vigore  (il  6  dicembre  2011)
della menzionata norma statale. In  questa  prospettiva,  l'auspicata
declaratoria di illegittimita' costituzionale, producendo gli effetti
retroattivi di cui agli artt. 136, primo comma,  Cost.  e  30,  terzo
comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla  costituzione  e
sul funzionamento  della  Corte  costituzionale),  inciderebbe  anche
sulle fattispecie oggetto dei processi a quibus. 
    3.- Le ordinanze di  rimessione  sollevano  questioni  identiche,
sicche' i relativi giudizi vanno  riuniti  per  essere  unitariamente
trattati e definiti con unica decisione. 
    4.- I rimettenti muovono, come detto, dalla  prospettiva  secondo
cui l'evocata  norma  statale,  sopravvenuta  nel  2011,  costituisca
parametro  interposto  idoneo,  ratione  temporis,  a   valutare   la
legittimita' costituzionale di una disciplina  legislativa  regionale
previgente,  in  quanto  risalente  a  un  arco  temporale  anteriore
all'entrata in vigore del parametro stesso. 
    4.1.- Tale assunto non e'  condivisibile  e  rende  le  questioni
cosi' prospettate non fondate. 
    4.2.- Nel caso di successione nel tempo di discipline statali che
costituiscono parametro interposto ai fini del riparto di  competenza
fra Stato e  Regioni,  infatti,  la  valutazione  della  legittimita'
costituzionale di una norma  regionale  non  puo'  prescindere  dalla
considerazione del pertinente quadro  normativo  statale  vigente  al
momento della sua entrata in vigore (ex plurimis, sentenze n. 42  del
2021 e n. 5 del 2020). 
    Pertanto, se, come nel  caso  in  esame,  nell'esercizio  di  una
competenza esclusiva trasversale, lo Stato in un  momento  successivo
introduce  nuove  e   diverse   previsioni,   l'antinomia   determina
unicamente  un  vizio  sopravvenuto  di  violazione  del  riparto  di
competenza tra Stato e Regioni e deve essere esclusa l'illegittimita'
della norma regionale per  il  periodo  precedente  l'insorgenza  del
vizio stesso. 
    Secondo  il  costante  orientamento  di  questa  Corte,  difatti,
l'intervento   di   un   nuovo   parametro   statale   non    produce
l'illegittimita' costituzionale della  norma  regionale  per  il  suo
intero arco di vigenza, ma solo con riguardo  al  periodo  successivo
all'entrata in vigore della novella  statale  (sentenze  n.  189  del
2021, n. 70 del 2020 e n. 218 del 2017). 
    Tale conclusione non e' scalfita dal  rilievo  che  i  rimettenti
vorrebbero attribuire alla retroattivita', sancita dagli  artt.  136,
primo comma, Cost. e 30, terzo comma, della legge  n.  87  del  1953,
delle sentenze che  pronunciano  l'illegittimita'  di  una  norma  di
legge. 
    Se,  infatti,  le  sentenze   che   dichiarano   l'illegittimita'
costituzionale operano ex tunc, e' altrettanto vero che «la  naturale
retroattivita'  degli  effetti  [di  tali  pronunce]  non  e'   senza
eccezioni» e, per quanto qui rileva, «diversa  e'  la  decorrenza  in
caso di "illegittimita' costituzionale  sopravvenuta"»  (sentenza  n.
246 del 2019), la quale produce effetti a partire dal momento in  cui
diviene  «attuale  la  discrasia  [...]  della  distribuzione   delle
competenze» (sentenza n. 189 del 2021). 
    Alla luce delle considerazioni  svolte,  si  deve  escludere  che
l'evocato parametro interposto, entrato in vigore il 6 dicembre  2011
e privo di efficacia retroattiva, sia  idoneo,  ratione  temporis,  a
determinare la dedotta illegittimita' costituzionale della denunciata
norma regionale per il periodo precedente  alla  novella  legislativa
statale. 
    Quanto al periodo successivo, resta solo da precisare che  questa
Corte non  puo',  d'ufficio,  procedere  a  considerarlo  perche'  la
valutazione di legittimita'  costituzionale  della  norma,  per  tale
periodo, non si pone in rapporto di pregiudizialita' con le questioni
sollevate, in quanto l'eventuale pronuncia di incostituzionalita' non
rileverebbe nei giudizi a quibus. 
    4.3.- Le questioni prospettate dagli odierni  rimettenti  devono,
pertanto, essere dichiarate non fondate.