ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1  del
decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 (Misure urgenti  in  materia  di
contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica  da  COVID-19),
convertito, con modificazioni, nella legge 5 marzo  2020,  n.  13,  e
dell'intero testo del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18  (Misure  di
potenziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale  e   di   sostegno
economico per famiglie, lavoratori e imprese  connesse  all'emergenza
epidemiologica da COVID-19),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 24 aprile 2020, n.  27,  nonche'  dell'art.  1,  comma  2,  del
decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 (Misure urgenti  per  fronteggiare
l'emergenza   epidemiologica   da    COVID-19),    convertito,    con
modificazioni, nella legge 22 maggio 2020, n. 35,  e  della  delibera
del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020 (Dichiarazione dello stato
di  emergenza  in  conseguenza   del   rischio   sanitario   connesso
all'insorgenza   di   patologie   derivanti    da    agenti    virali
trasmissibili), promossi rispettivamente, il  primo  dal  Giudice  di
pace di Macerata, con ordinanza del 30 ottobre 2020, e gli altri  dal
Giudice di pace di Fano, con  due  ordinanze  del  24  maggio  e  con
ordinanza del 21 giugno 2021, iscritte,  rispettivamente,  ai  numeri
57, 156, 157 e 158 del registro ordinanze  2021  e  pubblicate  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  numeri  19  e  42,  prima  serie
speciale, dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  6  aprile  2022  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera; 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 aprile 2022. 
    Ritenuto che il Giudice di pace di Macerata (r.o. n. 57 del 2021)
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del
decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 (Misure urgenti  in  materia  di
contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica  da  COVID-19),
convertito, con modificazioni, nella  legge  5  marzo  2020,  n.  13,
nonche' dell'intero testo del decreto-legge  17  marzo  2020,  n.  18
(Misure di  potenziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale  e  di
sostegno  economico  per  famiglie,  lavoratori  e  imprese  connesse
all'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19),   convertito,    con
modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, in riferimento agli
artt. 1, 2, 3, 13, 16, 17, 19, 24, 32, 76 e 117 della Costituzione; 
    che  il  giudice  rimettente   riferisce   di   conoscere   della
opposizione a ordinanza-ingiunzione con cui  e'  stata  inflitta  una
«sanzione», per fatto accertato il 13 aprile  2020,  «collegata  alla
fattispecie prevista dal d.P.C.m. 22 marzo 2020»; 
    che rilievo,  ai  fini  di  qualificare  il  fatto  illecito,  e'
altresi' attribuito all'art. 1 del d.P.C.m. 8 marzo  2020  (Ulteriori
disposizioni attuative del decreto-legge  23  febbraio  2020,  n.  6,
recante  misure  urgenti  in  materia  di  contenimento  e   gestione
dell'emergenza epidemiologica da COVID-19), nonche' all'ordinanza del
Presidente della Giunta regionale delle Marche 19 marzo 2020 n. 10  e
all'ordinanza del Ministro della  Salute  20  marzo  2020  (Ulteriori
misure urgenti in materia di contenimento e  gestione  dell'emergenza
epidemiologica  da  COVID-19,  applicabili   sull'intero   territorio
nazionale); 
    che le questioni, secondo il giudice a quo,  sarebbero  rilevanti
perche' l'applicazione delle suddette  norme  sarebbe  indispensabile
alla decisione; 
    che, in  merito  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  giudice
rimettente ravvisa un profilo di «eccesso di potere e di  difetto  di
delega, commissivo e/o omissivo», in contrasto con gli artt. 1, 2, 3,
13, 16, 17, 19, 24, 32, 76 e 117 Cost. 
    che, in particolare, quanto ai d.P.C.m. 8 marzo 2020 e  22  marzo
2020 (Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23  febbraio
2020, n. 6, recante misure  urgenti  in  materia  di  contenimento  e
gestione  dell'emergenza  epidemiologica  da  COVID-19,   applicabili
sull'intero territorio nazionale), il rimettente  sostiene  che  essi
sono «strumenti incostituzionali, posto che detti  provvedimenti  non
hanno la potestas di limitare la liberta' dei singoli  cittadini  ne'
imporre prescrizioni se non in via adesiva da parte dei destinatari»; 
    che il giudice a quo deduce, anzitutto, la lesione della liberta'
personale,  della  liberta'  di  circolazione,  della   liberta'   di
riunione, della liberta' di  culto  e  del  diritto  di  difesa,  che
sarebbero stati compressi in violazione delle rispettive  riserve  di
legge; 
    che, in secondo luogo, il rimettente lamenta la  violazione,  nel
bilanciamento tra i diritti sopramenzionati e il diritto alla salute,
dei  principi  di  prevenzione,   precauzione,   proporzionalita'   e
adeguatezza; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha eccepito l'inammissibilita'  delle  questioni,  e,  nel
merito, ha chiesto che esse siano dichiarate non fondate; 
    che  la  difesa  statale  ha  anzitutto   eccepito   la   carente
descrizione   della   fattispecie,   aggiungendo   che   neppure   si
comprenderebbe  il  riferimento  al  d.l.  n.  18  del   2020,   come
convertito,  che   non   regolamenta   il   regime   delle   sanzioni
amministrative di contrasto all'emergenza epidemiologica da COVID-19; 
    che, inoltre, l'Avvocatura generale osserva che, se  i  fatti  si
sono verificati  il  13  aprile  2020,  non  sarebbe  applicabile  il
censurato d.l. n. 6 del 2020, ma il decreto-legge 25 marzo  2020,  n.
19 (Misure urgenti per  fronteggiare  l'emergenza  epidemiologica  da
COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 22 maggio 2020,
n. 35, sicche' le disposizioni denunciate non sarebbero rilevanti; 
    che,  nel  merito,  l'Avvocatura  sostiene  che  i  decreti-legge
censurati rispettano la riserva di legge prevista dall'art. 16  Cost,
prevedendo la misura della sanzione, l'organo deputato ad  irrogarla,
e un giusto bilanciamento tra i diritti coinvolti, nel  rispetto  del
principio di proporzionalita'; 
    che, con tre ordinanze di analogo tenore (r.o. numeri 156, 157  e
158 del 2021), il Giudice di pace di Fano ha sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, del d.l.  n.19  del
2020, come convertito, nonche' della  dichiarazione  dello  stato  di
emergenza per rischio sanitario adottata con delibera  del  Consiglio
dei ministri 31 gennaio 2020 (Dichiarazione dello stato di  emergenza
in conseguenza  del  rischio  sanitario  connesso  all'insorgenza  di
patologie derivanti da agenti virali trasmissibili),  in  riferimento
agli artt. 2, 4, 13, 16, 77 e 78 Cost. (r.o. numeri  156  e  157  del
2021) e agli artt. 13, 77 e 78 Cost. (r.o. n. 158 del 2021); 
    che i giudizi a  quibus  hanno  per  oggetto  la  opposizione  ad
ordinanze-ingiunzione,  con  cui   sono   state   inflitte   sanzioni
amministrative pecuniarie ai ricorrenti, perche' trovati al di  fuori
della abitazione senza giustificato motivo; 
    che i fatti, riferisce  il  rimettente,  avevano  rilievo  penale
quando  furono  commessi,  e  sono  stati  in  seguito  depenalizzati
dall'art. 4, comma 8, del d.l. n. 19 del 2020, come convertito; 
    che,  in  particolare,  l'art.  1  del  d.P.C.m.  8  marzo   2020
(Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020,
n. 6, recante misure urgenti in materia di  contenimento  e  gestione
dell'emergenza epidemiologica da COVID-19) e il successivo d.P.C.m. 9
marzo 2020  vietavano  ogni  spostamento  delle  persone  fisiche  in
entrata e in uscita, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di
salute o di necessita'; 
    che l'inosservanza di tale divieto ha  determinato  l'irrogazione
della sanzione amministrativa oggetto dei processi principali; 
    che quanto alla rilevanza, il giudice a quo afferma la necessita'
di risolvere il dubbio di costituzionalita' ai fini delle decisioni; 
    che, in merito alla non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
sostiene che la dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio
2020 sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto «alcuna  norma
primaria o  avente  efficacia  di  legge  ordinaria»  attribuisce  al
Consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di  emergenza
per rischio sanitario; 
    che, inoltre, dopo aver riprodotto l'intero  testo  dell'art.  1,
comma 2, del d.l. n. 19 del 2020, il giudice  a  quo  assume  violato
l'art. 13 Cost., il  quale  prevede  che  la  liberta'  personale  e'
inviolabile e non e' ammessa alcuna restrizione personale se non  per
atto motivato dall'autorita' giudiziaria; 
    che, in aggiunta  a  cio',  lo  stesso  rimettente  eccepisce  la
violazione dell'art. 16 Cost. in quanto le limitazioni previste dalla
norma costituzionale per motivi di  sanita'  e  sicurezza  potrebbero
comportare un divieto di circolazione solo per  l'accesso  a  «luoghi
particolari», e non su tutto il territorio nazionale; 
    che,  infine,  il  giudice  a   quo   sostiene   l'illegittimita'
costituzionale delle norme censurate, in riferimento agli artt. 2 e 4
Cost., perche' vi sarebbe  una  violazione  del  diritto  al  lavoro,
impedendo alle persone di espletare le proprie attivita'  lavorative,
costringendole nelle proprie abitazioni; 
    che e' intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha eccepito  l'inammissibilita'  delle  questioni  e,  nel
merito, ha chiesto che esse siano dichiarate non fondate; 
    che l'Avvocatura ha sostenuto  che  le  ordinanze  sarebbero  del
tutto immotivate quanto alla rilevanza e che le fattispecie sarebbero
descritte in  maniera  cosi'  generica  da  non  consentirne  neppure
l'esatta collocazione temporale; 
    che il rimettente avrebbe anche omesso di valutare la  fondatezza
dei giustificati motivi dedotti con i  ricorsi  di  opposizione  alle
ordinanze-ingiunzione; 
    che, inoltre, sarebbe inammissibile la questione  vertente  sulla
dichiarazione dello stato di  emergenza  per  rischio  sanitario,  in
quanto atto privo della forza di legge; 
    che, nel merito, l'Avvocatura richiama la  sentenza  n.  198  del
2021 di questa Corte, osservando che l'individuazione della casistica
e delle situazioni di  fatto  interessate  da  una  compressione  dei
diritti fondamentali e'  effettuata  da  fonti  primarie  e  non  dai
d.P.C.m., nel pieno rispetto del disegno costituzionale; 
    che, in relazione alla dedotta violazione dell'art. 13  Cost.  da
parte dell'art. 1, comma 2, del d.l. n. 19 del 2020, come convertito,
l'Avvocatura sostiene non si tratti di una restrizione della liberta'
personale,  non  essendoci  alcuna  «degradazione  giuridica»   della
persona; 
    che si rientrerebbe, invece, in una  generale  limitazione  della
liberta' di circolazione che ha subito una conformazione ope legis in
nome dell'emergenza sanitaria, nel rispetto sempre  dei  principi  di
proporzionalita', adeguatezza e temporaneita' delle misure; 
    che, in conclusione,  secondo  l'Avvocatura,  il  legislatore  ha
operato  un  ragionevole  bilanciamento  tra  contrapposti  interessi
meritevoli di tutela, assicurando adeguata  salvaguardia  al  diritto
alla  salute,  gravemente  compromesso  dall'andamento  imprevedibile
della pandemia. 
    Considerato che Giudice di pace di Macerata (r.o. n. 57 del 2021)
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del
decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 (Misure urgenti  in  materia  di
contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica  da  COVID-19),
convertito, con modificazioni, nella  legge  5  marzo  2020,  n.  13,
nonche' dell'intero testo del decreto-legge  17  marzo  2020,  n.  18
(Misure di  potenziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale  e  di
sostegno  economico  per  famiglie,  lavoratori  e  imprese  connesse
all'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19),   convertito,    con
modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, in riferimento agli
artt. 1, 2, 3, 13, 16, 17, 19, 24, 32, 76 e 117 della Costituzione; 
    che, con tre ordinanze di analogo tenore (r.o. numeri 156, 157  e
158 del 2021), il Giudice di pace di Fano ha sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2,  del  decreto-legge
25 marzo 2020, n. 19 (Misure  urgenti  per  fronteggiare  l'emergenza
epidemiologica da COVID-19),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 22 maggio 2020, n. 35, nonche' della dichiarazione dello  stato
di  emergenza  per  rischio  sanitario  adottata  con  delibera   del
Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 (Dichiarazione dello stato
di  emergenza  in  conseguenza   del   rischio   sanitario   connesso
all'insorgenza   di   patologie   derivanti    da    agenti    virali
trasmissibili), in riferimento, rispettivamente, agli artt. 2, 4, 13,
16, 77 e 78 Cost. (r.o. numeri 156 e 157 del 2021) e agli  artt.  13,
77 e 78 Cost. (r.o. n. 158 del 2021); 
    che le questioni cosi' poste sono connesse e meritano  di  essere
riunite per una decisione congiunta; 
    che i  giudizi  a  quibus  si  originano  dalla  impugnazione  di
ordinanze-ingiunzione,  con  le  quali  sono   state   applicate   ai
ricorrenti sanzioni amministrative pecuniarie per avere trasgredito a
misure imposte, al fine di contenere  la  pandemia  da  COVID-19,  da
d.P.C.m. adottati sulla base di norme di legge; 
    che le questioni di  legittimita'  costituzionale  sollevate  dal
Giudice di pace di Macerata sono manifestamente  inammissibili,  come
eccepito dall'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta in tutti i
giudizi in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei  ministri,
per una assoluta carenza nella descrizione della fattispecie, che  si
traduce  in  difetto  di  motivazione  sulla  rilevanza  (da  ultimo,
ordinanza n. 76 del 2022); 
    che  la  ricostruzione  operata  dal  rimettente,  omettendo   di
indicare quale violazione sia  stata  contestata  al  ricorrente  nel
processo principale, impedisce infatti di valutare se e quale, tra le
disposizioni censurate, sia da applicare nel giudizio a quo; 
    che, inoltre, come anche stavolta eccepito  dall'Avvocatura,  ove
il fatto sia stato commesso il 13 aprile 2020, non  sarebbe  ad  esso
applicabile il censurato d.l. n. 6 del 2020, come convertito, che  e'
stato abrogato dall'art. 5, comma 1, lettera a), del d.l. n.  19  del
2020, salvo alcune  disposizioni  che  non  rilevano  ai  fini  della
presente decisione; 
    che anche le questioni sollevate dal Giudice di pace di Fano, con
le tre ordinanze sopra indicate, sono manifestamente inammissibili; 
    che, infatti, la  dichiarazione  dello  stato  di  emergenza  per
rischio sanitario adottata con delibera del  Consiglio  dei  ministri
del 31 gennaio 2020 non e' un atto avente forza di legge soggetto  al
sindacato  incidentale  di  legittimita'  costituzionale  (art.   134
Cost.), come rilevato dall'Avvocatura generale dello Stato; 
    che il denunciato art. 1, comma 2, del d.l. n. 19 del 2020,  come
convertito, reca un  numeroso  elenco  di  possibili  misure  atte  a
contrastare la  pandemia  da  COVID-19,  mentre  il  rimettente,  nel
censurare l'intero comma citato, non spiega  se  la  legittimita'  di
tali  misure  sia  oggetto  del  processo  principale,  omettendo  di
motivare sulla rilevanza della  relativa  questione  di  legittimita'
costituzionale; 
    che, percio',  sono  manifestamente  inammissibili  le  questioni
sollevate in riferimento all'art. 1, comma 2, del d.l. n. 19 del 2020
quanto a «tutte le restanti parti di tale comma che comunque limitano
anche indirettamente la liberta' personale degli individui»; 
    che la sola condotta delle parti ricorrenti oggetto dei giudizi a
quibus, in quanto sanzionata in via amministrativa, consiste, secondo
quanto riferisce il rimettente, nell'avere  lasciato  la  dimora,  in
mancanza di ragione giustificatrice; 
    che i fatti, in  tutti  e  tre  i  giudizi  riuniti,  sono  stati
commessi nella vigenza del d.l. n. 6 del 2020, come convertito,  come
si deduce da quanto precisato dal  rimettente  in  ordine  alla  loro
depenalizzazione; 
    che, infatti, l'art. 3, comma 4, del citato d.l. n.  6  del  2020
sanzionava ai sensi dell'art. 650 del codice  penale,  l'inosservanza
delle misure  di  contenimento  previste  dall'art.  1  dello  stesso
decreto-legge, e attuate con gli strumenti amministrativi di  cui  al
medesimo art. 3; 
    che, in seguito, l'art. 5, comma 1, lettera a), del  d.l.  n.  19
del 2020, come convertito, ha abrogato il d.l.  n.  6  del  2020,  ad
eccezione degli artt. 3, comma 6-bis e 4, qui privi di rilievo; 
    che,  inoltre,  l'art.  4,  comma  1,  del   medesimo   d.l.   ha
depenalizzato l'inosservanza delle misure di  contenimento  descritte
dal precedente art. 1, comma  2,  con  l'eccezione  della  violazione
della misura della quarantena imposta a chi sia risultato affetto  da
COVID-19; 
    che l'art. 4, comma 8, del d.l. n. 19 del 2020, come  convertito,
ha esteso la depenalizzazione alle violazioni commesse  anteriormente
alla data di entrata in vigore di tale testo normativo, e, dunque,  a
quelle realizzate nella vigenza del d.l. n. 6 del 2020; 
    che sui termini delle odierne questioni  non  incide  l'art.  11,
comma 2, del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti
per  il  superamento  delle  misure  di  contrasto  alla   diffusione
dell'epidemia da COVID-19,  in  conseguenza  della  cessazione  dello
stato di emergenza), convertito, con modificazioni,  nella  legge  19
maggio 2022, n. 52, secondo il quale l'art. 4  del  d.l.  n.  19  del
2020, come convertito, continua a trovare applicazione  nei  casi  in
cui disposizioni vigenti di legge facciano ad esso espresso rinvio; 
    che, infatti, tale  previsione  non  implica  un'abrogazione  con
effetto retroattivo del citato art. 4; 
    che il rimettente censura l'art. 1, comma 2, del d.l. n.  19  del
2020, come convertito, che elenca le misure adottabili per  contenere
la pandemia a partire dal 26  marzo  2020,  senza  avere  previamente
verificato se le condotte sulle quali verte  il  giudizio  a  quo,  e
precedenti a tale data, fossero, o  no,  illecite  al  tempo  in  cui
furono poste in essere; 
    che, in caso di esito negativo di tale scrutinio, il principio di
legalita' proprio delle sanzioni amministrative pecuniarie, enunciato
anche dall'art. 1, comma 1, della legge  24  novembre  1981,  n.  689
(Modifiche al sistema penale), impedirebbe di sanzionare un fatto che
non era illecito quando fu realizzato, sulla base di  una  previsione
di legge posteriore; 
    che,  mancando  di  ricercare  e  individuare  la   base   legale
dell'illecito contestato nel d.l. n. 6  del  2020,  come  convertito,
anziche' nel d.l. n. 19 del 2020, come convertito, il  rimettente  ha
omesso di motivare sulla rilevanza delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale; 
    che,  infatti,  non  sarebbe  neppure  in  astratto  ipotizzabile
l'applicabilita' nel giudizio a quo dell'art. 4, comma 8, del d.l. n.
19 del 2020 (che prevede che i fatti commessi anteriormente alla  sua
entrata in vigore siano puniti con sanzione amministrativa), peraltro
non espressamente censurato, se non  dopo  aver  verificato  che  gli
stessi costituissero gia' illecito nella vigenza del d.l.  n.  6  del
2020; 
    che il  rimettente,  percio',  avrebbe  dovuto  valutare  sia  la
riconducibilita' del fatto  ad  una  delle  misure  attivate  in  via
amministrativa durante la vigenza del piu' volte citato d.l. n. 6 del
2020,  sia  la  circostanza  che  tale  misura   trovasse   in   tale
decreto-legge  una  descrizione  sufficiente,  quanto  agli  elementi
costitutivi  della  violazione,  per  rispettare  il   principio   di
legalita' in senso sostanziale (sentenza n. 198 del 2021); 
    che, pertanto, le questioni relative all'art.  1,  comma  2,  del
d.l. n. 19 del 2020, come convertito, per la  parte  concernente  «la
limitazione della circolazione delle persone» e la  «possibilita'  di
allontanarsi dalla propria residenza,  domicilio  o  dimora»  sono  a
propria volta manifestamente inammissibili; 
    che   sono   cosi'   assorbiti   gli   ulteriori    profili    di
inammissibilita' eccepiti dall'Avvocatura. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87 e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi  davanti  alla
Corte costituzionale, vigenti ratione temporis.